ilirska: alzò bandiera d'iiidipendenza ai tempi dei
Eomani, dei Falieri, e di Diedo •; e i €r<»ati la sa-
lutarono maestra ; e quei saoi %li, che sà trasser-o
dietro al loro Peg^seo, ella farìi tornare in se;
perciocché ella non vuole Pulciiielìa in Toscana;
temerebbe solo i precetti vandalici: e in questi
tempi ride Moutenegriiìi abbisognanti di cfeo ge-
iierazioMi per rimettersi; Serbi invano rainaccianti
la Isua; Croati delusi; e Xapole@i?e che per essi
non vuol muover guerra alF Eciropa. E 'T intelli-
genza Dalmata tntto prevedeva, e ben strana
compariva la baldanzosa pretesa del diritto storico,
che tutto ad un tratto k voleva trasformata in
croata; ed era grande assurdo il passaggio pre-
cipitoso dalla brillante civiltà latina, che la do-
veva aflfiiscinare, ad nna letteratura in fascie, e ad
una rustica civiltà.
Mai non appr<3v&i le rozze invettive dei gior-
nali croati, applaudite da rozze credenze ; forte-
mente difesi la mia nazionalità contro pochi ; par-
lai cou rispetto della maggioranza dei Dalmati ;
mi sortì tutto dal cuore, e la laia dignità aveva
diritto di farsi sentire. E i Croati, e i loro aderenti
spero che faranno senno; cke allora crescerà 1' anìor
della Ungua, e l'amor fraterno, the imbecille di-
viene quando viene bruscamente imposto da ru-
stici scoponi; e^nella iMalies, Dalmaliasha, e nel Na-
zionale, nella Cliaomicd^ io distinguo dei fonti di
progrediente dissidio, e di future ire; e tutti e tre
questi organi della nostra Slavia allora compari-
ranno formosi e sacri, quando si saranno civil-
mente alFratellati alla Voce fìahnalica, che non
ricusa e non dispregia, ma ama un graduato,
ragionato progresso della slava civiltà. E i talenti
di Ivichievich, di Nodilo e di Yojnovich, e di tanti
altri, devono a ciò rivolgersi ; e da questi deve
prendersi l'iniziativa, che si deve portar rispetto
alle secolari prerogative municipah come lo por-
sero i nostri Re. Il trionfo della causa slava tino
ad ora così malmenata, non potrebbe succedere che
colle baionette ; e io bramo che desso succeda col
ramo d'ulivo, e con riguardo alla dignità italiana,
che allora cederebbe il suo più eminente seggio,
quando rimirasse una vicina, di riverenza degna.
La conversione dovrebbe farsi sincera, con o-
neste transazioni da ambe le parti ; ferma la di-
gnità dalmata in confronto di quella d'oltremonte;
insegnare la creanza a quelh che ne hanno biso-
gno; non baldanza in isperanza di futuri sostegni;
ammonizioni amiche a qualcuuo che dispregiasse
il sacro nostro progresso. Queste ed altre simili
discipline è necessario praticare onde ridonare alla
patria da partiti lacerata il benefizio della pace ;
e la nostra Čitaonica (voce di puerile imitazione,
che dovrebbe scambiarsi col nostro Silo) dovrebbe
fondersi nel Gabinetto di lettura, eretto dair esi-
mio Bajamonti; dimentica dei passati rancori, do-
vrebbe con applauso di tutti i nostri cittadini fon-
dare un anniversario in memoria di Terpimiro e di
Zvonimiro, che lasciarono tanti pii legati al nostro
messer san Doimo. ')
Ora devo voltar pagina, e non lasciarmi placare
da desiderio così pio ; chè io voglio continuare nella
mia severità, onde meglio risalti la giustizia delle
mie passate asserziouL
I meriti croati che con tanto fracasso in mezzo
a noi si sparpagliarono, e che furono approvati
con barbare declamazioni contro al gran rifiuto;
hanno per base la politica concupiscenza; e qui
mi cade a proposito di provarne V assurdo.
Ludovico Gaj, principale promotore del movi-
mento croato, non ebbe nè ii talento, nè la virtù,
nè r occasione da grande impresa, chè per pro-
vocare grandi riscosse, si esige merito eminente. E
nei fasti delle altre nazioni, si trovano molti e-
sempii di cotali meschine riuscite, che arrecarono
più male che bene e prolungarono gli affanni. Di
fronte ad una potenza colossale, a tante fonni-
dabili legioni a lei da seeoh devote, alla feuda-
listića rozzezza del suo popolo, alla vicinanza di
popolo affine immerso in pregiudizii; costui doveva
modestamente fare la sua comparsa, e dai ferrei
secoli strappare poco per volta, e colla massima
cautela qualche diritto. Ed egli erasi in circostanze
'} Vedi la mi» «pistola ai Dalmati, pag. 37.
assai migliori delie mie, chè mi trovavo Si^ggetto
a censura irremovibile, la (^uale mi costriiigeva ad
esternare solo la n\illesima parte delle mie a-piraziuni.
Fu educato in iscuola tedesca, si inibevè di i-
dee liberali straniere, viaggiò, raccolse niemurie
patrie, portò da Praga V ortografia cornuta, fondò
giornali, si immaginò nii£ grande uiiioue di popoli
dal Danubio alla Bojans. dall' Adriatico al mai-
Nero; e sapendo che uniom« essere non può senza
nome Razionale universale, scartabellò le anticbe
biblioteche e vi trovò il dimenticato IHÌNO. Dunque
lUinio tutta quella regione^ e Jlliri e Dalmati, e
Serbi, e non Serbi, ecc. A prieri il progetto nie-
ritavà encomio ; a postej iori biasimo.
Egli sortì colla sua banica llirshn, che fece di
se brutta comparsa ; scritta iu dialetto delia Cro-
azia civile, mentre in Dalnsazia, Serbia, e Slavo-
nia si scriveva differentemente; così egli uscì con
laiìcia spezzata, e se si fosse hmitato dapprincipio
alla SRa terra, dàirintiuenza che allor lo soste-
neva avrebbe potuto poco per volta attirare a se
Slavoida, la limitrola Carinola, e Slovenia, e anche
Dalmazia, non ripugnante al nome Illiro, nè a
quella sua lingua, in cui scrissero da noi uomini
celebri, come Fra Bernardino da Spalato, Marulo,
Cavagnini, ed altri; i quali andarono fuor di moda
per il subentrato silenzio, rotto da autori che co-
me Kacich scrissero in altro dialetto, il quale, co-
me precedentemente accennai, è inferiore in merito
originale a quel!' altro ; anzi Gaj coir aver quello
soppresso, apportò ferita grave alP indipendenza
nazionale della sua Heroatda.
L'oculato sospettoso Serbo, scosso dalla novità
croata, non simulò la sua robusta invidia; e pen-
sando che qui gatta ci cova, si dimenò, assaltò,
gridò: che vuol quel decrepito Illirio? Ser-
bia, e non più; nostro Dositelo e basta! E da
quella dimostrazione in poi fissò gli occhi sulla
sua metropoli Belgrado, e sulla sua Carlovitz, e fino
al dì d'oggi dimostrò il suo carattere forte na-
zionale, che sarebbe giustissimo, se non fosse en-
trato in casa d'altri col suo ritornello Serbi svi i
svaria. Saffarilc, non Serbo, gli aveva insegnata la
sua antica culla tra il mare di Azof e il Volga,
ricordata da Plinio col nome di Serba o Serpa ;
a qual scoperta vien fatta piccina dalla biia Zora
di Livio, che i Serbi per togliersi dMmpaccio no-
niaron Bela^ come si ingegnano di nomar Beo-
grad, quello che è infatti Bilgrad, o per regola di
composizione Biògra fi E se noi lasciassimo ad essi
la briglia sciolta, di Split- Spalato - dovremmo
fare per regola eufonica Špljet, o almeno Spljef,
come vogliono Croati e croatanti, e così si dica
di una moltitudine di altre voci ; perciocché è
loro intenzione, vedendo la piccolezza del loro ter-
ritorio, tutto serbizzare; e ciò noi dobbiamo tutto
rintuzzare, e l'intelligenza Dalmata, se lascie-
rà fare, riceverà leggi come il Dottor Bartolo, che
afferma tutto sapere e non sa niente; che se i
Croati son divenuti matti, non siam noi, che vivia-
mo nella Toscana della Slavia meridionale, e dob-
biamo dare un calcio alle oltramontane imposizioni
e a tutta possa proteggere la Dalmata Ilervafska,
confermata dal Porfirogenito, dalle da me citate
memorie, e dal nome dominante di nostra lingua,
contrastatoci dalla boria serba. E siccome per
chiarir meglio la cosa dovrei scrivere un trattato
che qui non sta ; così mi trovo costretto di limi-
tarne la conoscenza su questi mici cenni, che me-
ritano di esser presi in considerazione e protetti:
perciocché non mi soddisfiumo le difese croate, che
restan come cosa morta sui giornali, coperta dal
Triregno, che per se stesso è un titolo vago, in
confronto del collettivo Serbia: a cui si ricorse
per misera necessità, volendo Slavonia esser Slavonia,
e Sirmio Sirmio, e Dalmazia Dalmazia, che preci-
samente ha la sua Hervatska slava, la quale, per
rispetto air inclito nome Dalmazia, si deve cliia -
mare Hervatska in Dalmazia, come si chiama Lom-
bardia in Italia, il che benissimo deve stare senza
offendere la nobil casta di origine latina, che ha
diritto di conservare alla terra dove sta il nome
venerato antico. Questa è questione semplicemente
di nome nazionale per la gente dalmato-slava, a
cui deve grandemente interessare l'avito titolo,
che provocò pur quello di lingua slavo-dalmata.
I Croati dopo che videro la mala riuscita del
loru miro, e pur agfjguaudu all.i grande unione,
inventarono i nt^mi di Ittguslaiia. lnu^sUu enskì, Na-
rodne novine, ecc. da abbracciaru tutte quelle terre;
si mostrarono or iudidgenti. or umili, ai Serbi; vi
si av\ iciiwrono cou miglioramenti di lingua, che
questi derisero e dis^regiaruno. Che dunque fare ?
Fare da Argonauti, andar in cerca del vello d'oro.
xVllora Gaj, e ^lazuranich ( Antonio se non erro)
calarojio dal Velebich in Dalmazia, di passaggio
distribuirono la famosa canzone, di cui feci men-
zione nel precedente mio scritto: giunti a Zara
mi visitarono, mi regalarono alquanti esemplari di
quella, e quaUiie traduzione di drammi; ed io vi
corrisposi col Bertoldo Bertoldin e Caeasseno tra-
dotti in islavo, che essi molto aggradirono e che
prima non conobbero.
Da quei due udii magnificamente lodar Dalma-
zia, e tutte le sue opere slave grandi, mezzane, e
piccole ; terra classica, culla di eroi, ed io di-
nanzi a loro compariva personaggio rispettabile.
Ed erano arti per aver Dalmazia tpmndo non si
poteva avere Serbia-; e quando, si ha Dalmazia,
si può avere anche Bossina, e Gaj talvolta non
ricordandosi dell'ampia laudo data, cedeva alle
mie osservazioni, chè non vi vedeva in ogni opera
i fiori.
Io che anche allora fui grande amico della be-
ata semplicità, vedeva Gaj caricato, slavo artifi-
ziato; ma Mazuranich serio e laconico mi com-
pariva in veste slava. E in quel tempo era a Zara
ad latus del conte di Lilienberg lelacich maggiore ;
ed essi vennero in contatto con lui, e certamente
cke poi influirono alla sua esaltazione. Con esso
una sola volta parlai, presente Vuk Sfeflinovich ;
e mi parve uomo di idee rapide, poco buon par-
latoi'e slavo per la tedesca militare educazione ;
lepido, di bell'aspetto quando il cappello gh cuo-
priva la calvizie ; e dopo i gran fatti della sua
vita, che qiu non è luogo da descrivere, comprovò
se noli altro di aver avuto gran desiderio di far
del bene alla nostra nazione.
Que"* due rappresentanti croati visitarono Dal-
mazia, videro llagusa, oggetto principale del lor
viaggio, culla dei maestri di lingua ; raccolsero
Gondola, Giorgi ed altri; h abbracciarono con am-
plesso fraterno, e li battezzarono con Gunduhch,
Giorgjicli ; insegnando così ai Ragusei, che quello
che credevano di origine fiorentina, era di origine
morlacca. E dopo questa lezione araldica, quelli
ritornarono in patria; Mazuranich un pò più tardi.
D'allora in poi tutto viscere per i Ragusei; non
più e y ma ie, nje, e djeje ; e i Serbi risero. Che
dunque fare in tanta contraddanza? Era da vol-
tare il retro a costoro, contentarsi del ducato
custodito da tante legioni, tarpar le ah ai genii
Ragusei, mirar Carniola e Slovenia, e aspettar
buone nuove di Dalmazia; e questa gran misura
sarebbe stata assai più salutare a Hervatska, che così
come è, è più Serpska che altro ; e non si sarebbe
ricorso ai locativi plurah e ad altre fandonie per
far comparire la composizione serbsko-ltèrralski, dai
Serbi dispregiata. Che si direbbe in Italia della
lingua, che portasse per titolo p. e. toscano-i>e«<?-
ziaiia? L'inclita Giunùi del regno bene fece di
appellar la nostra slavo-dalmata, che in futuro si
dovrà praticamente comprovare.
I Serbi in tutti i loro d<^tti e fatti dimostrarono
la loro boriosa rivalità, e in carta ampliarono la
loro tenuta, e si fecero conoscere all' Europa i-
guara delle nostre cose quali principali se non
unici abitatori di queste regioni ; e la nostra i-
iierzia lasciò fare ; comparimmo miserabih nell'ab-
bondanza; quindi le serpske pisme, che migliori ap-
paiono quando descrivono la gloria dei dalmati
eroi, tradotte in itahano e tedesco, mentre noi in
Dalmazia ne abbiamo assai più sparse per i po-
veri abituri e più venuste, da ftir scomparir quelle,
piene zeppe di corruzioni di lingua e di voca-
boli della mezza luna e di monotonia. E all'in-
telligenza dalmata dico inlelligcnli panca!
Spalato, li 20 ottobre 1862.
prof. A. Kuzmanioh.
« ;
o 1 ,,
Kara 5 Moreiiibre l§63t A.IIIIO III«
Prcxjro d'associazidiie in valutu austriaca ppf
Zara: per un anno fiorini S ; per mm nu'si fìiirini 4;
per tre mesi fiorini 2. Pil rimanente della Proviiu-ia
8 fuori: per un anno fiorini 9; per sei tiiesi fiorini -t
eoidi 50; per tre mesi fiorini 2:25, Per l'estero, e
pel Lombardo V eneto gli stessi prezzi in Hi gento, fran-
che di'l porto-postd.
Giornale politico-letterario
Esce il Mercoledì ed il Sabato.
1 sgruppi e le coniiiiisjiioni, franclii delle ^pe>9
.liri re,fui ili /-ir:i rt \ inn-nxo Diiplaneicli Ki-
dalti.re "it'Il.i Viict' ItillìiKirifU . e sii ablniiMianienti. ai
nejjo/.ii lilirarii dei >Ì!ii.ijri (Valrlli Hatlar:! e Pieiro
Abeli« li. («li awini di b l.'iit-e costano 1 fiorino, e ojjiti
linea ili più snidi ()'. La tassa di linanza resta ti rarioo
di 1 Cijuiiniitente. l'n noinei-o separato eosta solili 10
Il Cimitero di Zara.
Quando nella Voce Dalmatica (n. 30, 18G1) del
cimitero di Zara venne fatta menzione, senza i-
stiidiarvi l'eleganza della dicitura, senza una va-
na ostentazione di molto sapere, ma semplice-
mente e chiaramente si cercava, non soltanto
di rendere palesi le tante miserie di quel santo
luogo, chè già quelle da per se stesse abbastanza
s'appalesavano e tutt'ora s'appalesano, ma di
sollecitarne al piìi presto possibile la riparazione.
Taluni allora mestamente presentirono la inutilità
di quelle povere ma giuste parole, altri, e sono
i dandì dei nostri caffè, con leggiadro sogghigno
beffarono il giovane che montava in cattedra por
iilosofare; altri infine ma per questi ul-
timi apro la Divina Commedia e leggo : JSon li
curar di lor, ma guarda e passa! Solito compenso
questo serbato a chi, particolarmente se giovane,
tenta sfasciare le pi<ighe che ci logorano (e che
sono pur molte d'ogni genere) per mostrarle nude
e ili tutto il loro tristo aspetto, onde implorare
che alcuno s'accinga al taglio salutare, prima che
si rendano incurabili, od almeno che la loro cura
riesca tarda, difficile, e la mille volte più dispen-
diosa che non la sarebbe stata in sul principio.
Comunque però sia, le persone tutte assennate
e dabbene sospirarono a lungo invano di vedere
un qualche miglioramento nel nostro cimitero, quando
finalmente in oggi abbiamo almeno il conforto di
sapere che alcunché si sta progettando, e che a tal
uopo già venne dal Municipio aumentata la somma
che annualmente dispendia pel cimitero stesso. I
progetti però sono belli, sono superbi, ma valgono
meno d'iin zero quando che sono rimandati alle
calende greche, o restano, come di spesso av-
viene, a riposare fra la polvere di qualche scaf-
fale, a caro diletto delle tignuole. K per primo,
converrebbe che con maggiore cura s'impiegasse
r anima dote, onde potesse risultare che quella
in lavori utili non soltanto, ma i più necessavìi
venne impiegata, e non, come di solito, sprecata in
lavori di meschina apparenza, poco duraturi e meno
utili, e forse peggio ; per cui non cattivo pensiero
sarebbe quello di cercare persona, possibilmente
da non gravi occupazioni attorniata, la quale be-
Miignamente i lavori che si eseguiscono sorvegliasse,
m il tutto dirigesse. In tutte cose una buona di-
jezione vale un tesoro, e nobile esempio ne ab-
'biamo nel pubblico giardino, il quale va e andrà
sempre migliorando, sì, che fra non molto è da
sperare lo si potrà con più verità che non fino
.al presente chiamare fjiardino.
Fra i primi e veramente più importanti lavoi'i
proposti, sembra sieno le strade ; e diftatto, oltre
alla strada principale che conduce dall' ingresso in
retta linea all'altro spartimento del cimitero, per
:6ventura ancora in più basso fondo, converrebbe
tiene acooRiodare quella rampa, costruendovi dei
#nurÌQCiuoli laterali, e livellandola con ghiaia bat-
jtuta, onde non correr rischio di spezzarsi una
l^amba nello scendere o salire per quei macigni, e
1(510 ne ren^ei'ebbe anche più aggradevole t'aspetto.
Spalleggiare con ajberi I9, strada principale, che
jdovrebb' essere continuata dopo la rampa .anche
,iieU'altro spartimento, è ottimo pensiero ; e se
questi fossero cipressi, che del cupo e melanco-
nico loro verde fanno sempre bella mostra in tai
luoghi, meglio sarebbe. Dopo la principale, asso-
lutamente si richiede una rete ben», discosta di
stradelle, che portino all' ingiro e nei varii altri
punti del cimitero, senza vi sia necessità di pas-
I sare sopra i sepolcri, come al presente ; e queste
potrebbero essere tutte dì ciottoli bene connessi,
lavoro economico, e il più conveniente in quella
postura.
Sembra siavi pure il progetto per una piccola
chiesa da costruirsi nel mezzo del cimitero ; ma,
come molte saggio persone osservarono, questa
spesa, che non riuscirebbe certo indifferente, sa-
rebbe incompatibile nel momento che trattasi sol-
tanto di un ristauro generale ed imperioso, e non
già di un semplice abbellimento , molto più che
un'edicola già si trova dal cimitero poco discosta.
Quando si dovesse por mano a lavoro grande e
completo, altro converrebbe fare, come poi diremo.
Lavoro che oltre ad essere di sentita necessità,
addimostrerebbe per di più un nobile sentimento
d' umanità, d' amore veramente fraterno, di carità,
di religione, sarebbe quello di concedere un buon
tratto di terreno a quelle povere ossa che ven-
gono dissotterrate dopo lo spazio di tre anni dalla
loro tumulazione, ma spesso anche prima, e che
presentemente in aperti fossi vengono gettate; e-
sposte così agl'insulti del tempo, e, pur troppo,
anche degli uomini ! Questo tratto di terreno, ap-
profondato il più posR^ile e a forma di ampia
stanza ridotto, dovrebb'essere coperto da mode-
sto sì ma nobile monumento, il quale attestasse
e la pietà dei cittadini, e le cure del Municipio, e
nel tempo stesso indicasse anche a quelli che più
d'una povera croce non poterono donare alle spo-
glie dei cari loro, il luogo ove poter pregare e
spargere una lagrima sopra quegli avanzi in si-
curo asilo riposti. Questa tomba potrebbe acco-
gliere anche quegf infelici che muoiono nell'ospi-
tale, perchè ajl' infelici
Molle origliere è dei sepolcri il sasso.
La nobile gara sorta fra le più agiate fami-
glie nel coprire d' onorevoli monumenti le reli-
quie dei lor trapassati, è veramente degna d'ogni
encomio, molto più die se i medesimi sono per
arte pregievoli, avvantaggiano la patria. Tra i
quali, dopo l'Angelo che posa sopra la tomba Gi-
lardi del celebre Tantardini, e del quale nel fo-
glio sopraccennato s' è fatta menzione, è da ricor-
dare altro Angioletto, lavoro dello stesso, che sta gi-
nocchioni sopra quella delle famig-lie Luxardo e
Degiovanni. Quanta mestizia non traspare dalle ve-
ramente angeliche semlHanze di quel ])iccolo volto,
fra quella serenità e quella soave grazia d'amore!
Tiene nella destra una face rovesciata, e la manca
al mento dolcemente appoggia, e con lo sguardo
rivolto al cielo dolce melanconia infonde nell' a-
niino; ciò che per verità dire non puossi del mor
nuinento eretto al benemerito Vincenzo Costacchi
per cura dell' Istituto di pubblica beneficenza, il
quale presenta uno stile (jnlico-harharo; nò ci a-
steniaiiip ci' esporre questo giudizio, perchè conva-
lidato da persone maestre nelle arti del bello.
Tutti i progetti però di ristauro e di abbelli-
mento dovrebbero cedere il posto alla riduzione
del nostro ciiuitero nella forma proposta dall' or
defunto illustre architetto Yalentino Presani, giu-
sta il disegno da lui dedicato ul valente pittore^
nostro concittadino, signor Francesco Salghetti, in
una per lui dolorosa occasione. Il Municipio do-
vrebbe fermare l'atteuzioye sopra questo lavoro, che
renderebbe il nostro cimitero unico in Dalmazia, e
che per la bellezza del tutto, in perfetta armonia col
carattere dignitoso e grave dovuto al luogo santo,
non sarebbe fra que' ' Italia di' ultimo, ^la diffi-
coltà molte, quasi insuperabili, secondo alcuni, sor-
gono frammezzo il progetto e V atto pratico; eppure
se tutte le forze e grandi e minori e piccole con-
vergessero ad un punto, quaiito lieve non riesci-
rebbe il peso! Sgraziatanicute però in Dalmazia
r idea delle associazioni manca del tutto, e di que-
sta mancanza in parte dobbiamo condannare noi
stessi, giacché per quanto poco, pure alcun che
potrebbesi fare, come ne dà Spalato qualche bel-
r esempio ; ma più dobbiamo lamentare 1' altrui
poca volontà di giovare ai nostri interessi, i quali
alla fine de' conti arrecherebbero comuni vantaggi.
Condurre ad etTetto per via d' associazione il jiro-
getto Prešani farebbe onore alla patria, aggiun-
gerebbe alle altre opere d'arte di cui s'abbella
un ornamento novello e benedire farebbe alla
pietà de'suoi figU ; ma ben altri vantaggi, anche
materiali, ne ridonderebbero, se in altre occasioni,
invece di lasciare dormire molti capitali 0 ado-
prarli in cattive 0 nulle speculazioni, s'imprendes-
serc^ per associazione grandi lavori e della più sen-
tita necessità, impiegandovi considerevoli somme;
ed allora sì, che bene se ne conoscerebbe l'im-
portanza, potendosi in breve tempo rincassare il
prestito ed averne mi lucroso .compenso. P^gli è
però anche vero che per predi sporre il téireno a
queste associazioni, e per giungere al punto di
coglierne i vantaggi tutti, conviene che in prima
forte e costante regni 1' associazione delle idee ;
associazione, che tanto desiderabile in ogni tem-
po, la si rende specialineiite nel tempo nostro
e ira noi, come vanno tutto dì proclamando au-
torevoli voci ; ma, pur troppo, lo saran voci, che
ripetute più volte dall' eco, andranno a perdersi poi
nò vani interminabili dello spazio.
Il giorno dei morti del 18G2.
S. F. C.
Il Municipio di Spalato, nella ricostruzione della
chiesa di S. Francesco, trovatosi nella necessità
di metter mano dentro a un cumulo di sepol-
ture, racchiudenti ossa d' appestati morti nel 17G4,
richiese di consiglio 1' egregio suo conpatriota D.r
Angelo Frari, che cortesemente vi corrispose in-
viando una memoria da lui, più che ottuagena-
rio, dettata. Il Municipio, avutone da lui 1' asisenso,
crede suo debito renderla di publica ragione.
Quale vantaggio e quanto decoro per il paese
nostro e per la sua magistratura se uomini, quali
il Frari, siedessero ne' suoi Consigli!
Air inclita Congregazione Municipale di Spalato.
Sono sensibilmente grato per l'onore che co-
desta inclita Congregazione mi fece, chiedendo il
mio consiglio sopra il modo di condursi nel i)or
mano alle arche dei morti di poste in codesta città
neir anno 17G4.
Vorrei avere maggiori lumi che non ho per
poter ^dequatemente incontrare il quesito che mi
Tra le belle opere di Zara una e certamente la sua
dei Si'icnori; oggidì sembra però che, cippo i danni e i guasti ad
altre già recati, si stiulii a f|ucsta pure iiif>M-iriie qtidfano cho
J9. deturpi, e già s'è im^omlnciato dalla parte che riiiiard» il
Casino, ove oltre alla pozzui^hera e!-» * vi forinnn le pi<»£;?ie
la cattiva ricostruzione di quel tratto di strada, si dimitterii
forar varie jiietre della piazza por collocare la tenda di quel
Cairò; la quale tenda ora tolta, vennero ì buchi dirlle pictr - ot-
turati con toppe di legno ! e taluna delle pietr.; smos.-.^- yeniie
assicurata con urpesi di ferro ! - Non ha r onorevoli! Muuiciiuo
un proprio Inji-cgnere ? --
da izbiti, come da biti, battere, si dice ùlJeM, e non
biven ; e da dobiti, viacei'e o ottenere, si fa dobi-
ven e non dobijen-^ e in iiltiino quel suo verbale
suonar deve anche come dar delle buone bastonate;
quindi dobbiamo guardarci da facili equivoci.
Cosa ino direbbero i molti dottori di nostra lingua
(eliè in lingua non domiuaute non ce u' è carestia)
se io qui sostenessi, come sastengo, che il pre-
sente indicativo della coiigiugazione passiva è er-
roneauieute formato; perciocché non si dovrebbe
dire p, e, ja sam moljen, io sono pregato ; ma mene
moie, 0 mole me ? Ma anche qui mi si contraddili,
e non mi cale. — Credo in somma, che dove la
radice del verbo non si prestasse alla formazione
dei nomi essenziali mancanti, si debba ricorrere
alla perifrasi col verbo, piuttosto che formare un
ingiusto verbale.
È arbitrio dire che dileke vuol dire bambino
durante la gravidanza; perciocché e dile e diìesce
dal volgo si usa a piacere, sia durante la vita
intrauterina o dopo il parto, come è assurdo l'af-
fermare che l'aborto sempre succede per prava
intenzione. Proposi una distinzione scientifica tra
feto, e bambino nato, e mi parve che cedo si do-
vesse apphcare a feto per distinguerlo dal neo-
nato. Ma mi viene opposto che si dice : musho je
čedo rodila: ed io oppongo che si dice più comu-
nemente: muèko je dite rodila-, e perchè scientifi-
camente non lice fissare una distinzione? e non
si dice anche : čedo je pod fhom, alludendo a gra-
vidanza? Don Michele mi crede assai più gonzo
di quel che sono ; e non sa che ancora con giu-
stizia gli posso rimarcare che tlačenje ha mal col-
locato in mezzo ai suoi ingiusti verbali, perchè
quello giustamente deriva dal verbo frequentativo
tlaidli, conculcare ; e poi gamilje, svanatje (figu-
ratevi questo tratto da verbo impersonale), e tanti
altri consimili hanno acquistato ingiusta cittadinanza.
Infine noto anche questo, che egli appoggian-
dosi al dizionario delio Stefanovicli, che non con-
tiene tutto perle, dà ima temeraria interpretazione
air umile verbo pomelnuti, come se tutte le voci
serbe dovessero servire ai Dalmati ; ed è poi ri-
dicola la sua interpretazione di izmet e izmetniiti
come se si trattasse di reiezione d'immondezze ;
mentre a izmetìiuti si dà anche il significato di
scaricare un'arma da fuoco; izmetnuti ptiikii, top.
Ci vorrebbe altro a ventilare minutanieiite tutte
le bizzarrie dei miei avversari
La maschera corregge il mio njihovoga col suo
svoga (e ancora in altro luogo intrude ie, non mio,
e che ricuso), e così commette due errori: 1. per-
chè in quel caso determinato si dovrebbe dire
svojega e non svoga ; 2. perchè njihovoga sta là
bene, riferendosi a paziente e non ad agente. Dica
al suo protetto D.r Petranovich, di cui essa e un
alter ego, dica, perchè egh scrisse pišajući, gerun-
dio storto, e non pisaéi, e meglio ancor pisné ge-
rundio dritto? Forse che da pisati in indicativo
presente si deve dire: pisujem e non pišem? Noli
me tangere! Ma pur consoliamoci in mezzo ai
nostri errori, che ne commettono anche i gran
scrittori di altre liiigue ; e anche il tanto merita-
mente lodato Vuk Stefanovicli ne commise di molti;
e la prima parola della sua traduzione del Nuovo
Testamento è uno sproposito, ove la geneologia
traduce in pleme, stirpe, che abbraccia tutti i rami
collaterah e discendenti. Quello è il miglior scrit-
tore che fa meno torto alla lingua; e anche in
Dante vi sono dei versi fallati. La hugua non si
impara mai.
Chiudo questo mio scritto con interessante av-
vertimento. Corre voce che il D.r Pullich, diret-
tore effettivo del ginnasio di Zara, in commissione
straordinaria per la così detta riorganizzazione del
ginnasio di Spalato, intende e vuole via facti in-
trodurre la lingua slava, come lingua d'istruzione
per l'insegnamento religioso e per i discorsi do-
minicali nel ginnasio inferiore. Con ciò^ egli in-
tende, secondo si è espresso, di sopperire ai bi-
sogni della patria, spezialmente per ciò che con-
cerne la parte meno illuminata della popolazione
dalmata.
Questo doveroso zelo del D.r Pullich è di laude
degno; ma dove sono i libri di testo, che vorrei
vedere, se croati o slavo-dalmati, secondo la mia
intenzione e il buon senso dei Dalmati. Se croati,
rigettar si dovranno, che la Dalmazia non deve
deturpar la sua lingua cui farsi serva a Croazia;
come la si voleva far serva a Kussia nel 48; e
la lingua dell'archimandrita Raich, rnsso-serbo-
bulgara, che fu adottata da Giorgio Giarich, e-
letto dal governo per traduttore del giornale uf-
fìziale d'allora, è una palmare prova dell'attuale
nostra ignoranza di nostra lingua, e della dalmata
infelicità; e credo con ciò di non predicare alle
pietre.
Clii è ancora in letargo c!ie si scuota, altri-
menti orrevohnente ritornerò al mio biii-o , come
quel capitano che tutto i)erdè fuorché T onore ; e
se i croatizzauti insorgeranno culT atìVrmare che
queste son mie meticolosità, o che è mio vanilo-
quio ; lor risponderò : la malvagità dei tein^)! vi
assicura, e l'ignoranza vi fa plauso I
Spalato, li 8 novembre 18(J2
prof. A. Kuzmaxich.
Sulla coltivazione del tabacco.
La Dalmazia che in tempi antichi formava una
delle più fertili e ricche provincie dell'impero ro-
mano, sconvolta poscia da vicende politiche e bar-
bariche orde, la provincia divenne de'sogni, come
non ha guari un gentile corrispoudente della DJ-
nau-Zeituiig ebbe a qualificarla dopo profondo
studio.
E diffatti, cred'io aver egli ragione, perchè il
sonnifero liquore, di cui la provincia nostra ab-
bonda, r avrà forse tenuto in quella dolce estasi,
che sogni variati sa produrre, ed avrà sotto que-
sto influsso vergato quel caro articoletto, che tutti
ci manda a solcare il mare.
Ma davvero ch'io non sono l'uomo per questo
elemento, e grato m' è vagare piuttosto intorno
a' nostri vigneti e praticelli, e se volete anche fra
scoscesi dirupi, che affidarmi all'infido elemento.
Alla terra dunque emmi caro rivolgere i miei
peiisicii, e farvi sogni dorati, senza bisogno però
di sonnifero, ed eccovene uno.
Da più e più anni questa parto sognatrlce di
mondo, che Dalmazia s'appella, conosceva di quanto
interesse poteva essere a questa provincia la col-
tivazione del tabacco, per cui molto si è parlato,
più scritto, e nulla ottenuto.
Da due anni però l'i. r. Intendente di Ragusa
cav. de Kiiffer, ottenne tentarne Tesperimento a
Stagno in via amministrativa, perchè dubitavasi
della riuscita, non sovvenendosi forse dello stabi-
limento Manfrin, presso Nona, che ne sommini-
strava a tutto lo stato della repubblica veneta;
nel successivo fu accordato pure a qualche pri-
vato, e quest' anno poi, dietro reiterate ricerche di
questa spettabile Giunta provinciale, lo si accor-
dava a più d'uno. Senonchè, secondo il solito,
quest'autorizzazione giunse quando nessuno potea
darvi mano, cioè fuori di tempo.
Ad onta di ciò, vago come sono d'agricoltura,
io pure insistetti perchè mi fosse accordata la
permissione, e S. E, il sig. Governatore barone de
Maniula colla solita sua bontà ed interesse vivo
che ha sempre nudrito per questa terra, volle
concedermela. Ora poi che giunto sono quasi al
fine di quest' esperimento, mi credo in dovere di
renderlo pubblicamente noto.
Checché ne dicano i corrispondenti della Do-
nan-Zeitung, ed altri consimili, di cui, pur troppo,
abbondiamo, resperimento ebbe il più felice ri-
sultato, sebbene tardi eseguito. Rigogliosa più che
mai fu la vegetazione tanto de'tabacchi di Tre-
bigne, come di quelli dell'Amarica ed altre parti,
ottenute avendo de'primi piante dell'altezza di 5
a 6 piedi, e de'secondi da 7 a 8 piedi, con foglie
madri della grandezza di circa 2 piedi. Questa
vegetazione, che rarissima riesce nella contermine
Turchia, mostra ad evidenza, che tanto il clima
quanto il terreno sono fra noi oltremodo addatti
alla coltura di queste piante.
In quanto poi alla quahtà, esperti intelligenti,
fra cui alcuni di Trebigne, ottima la giudicarono.
Nulla dirò di quelli dell' America per mancanza
di periti, ma dalla loro vegetazione e fragranza
che tramandano, buoni devon^i ritenere, ad onta
che dubiti sulla originalità delle sementi regala-
teci da Vienna.
Dal complesso adunque delle fattevi osserva-
zioni ed esperienze risulta (ciò che nessuno du-
bitava) che ottimo ne sarebbe il prodotto, per cui a
tutta ragione presupporre devesi che ricercato sa-
rebbe il nostro tabacco all'estero, con grande
utile di questa provincia.
Di grave interesse però presentasi in economia
agraria conoscere quale ne sarebbe il tornaconto,
fatto riflesso alle restrizioni d-jlla pubblica ammi-
nistrazione, ed al mite prez/u che viene dalla
stessa pagato questo genere.
Seguendo il mio sogno, ritengo, che la coltura
del tabacco, tanto nell' interesse della pubblica
amministrazione, quanto dell' intera provincia, do-
vrebb'essere intieramente hbera, e senza la ben-
ché menoma restrizione. Ah! la m'è scappata, e
sento già darmi del pazzo da tutto il mondo fi-
nanziario austriaco, che indispensabile trova in ciò
il monopolio. Eppure v'hanno altri regni e stati,
che non lo vogliono conoscere, e che nondimeno
in ottime condizioni finanziarie s'attrovano.
In appoggio di ciò, d' uopo è passare all' elo-
quentissima logica delle cifre, che in materia fi-
nanziaria è il perno principale, su cui aggirarsi
conviene.
La Dalmazia nel triennio 185G, 57 e 58 diede
in termine medio un reddito sporco per tabac-
chi di fior. 367,219
e le spese avute soltanto in pro-
vincia ascendono a 24,000
rimangono quindi fior. 342,019
Da questo importo bisogna detrarre il prezzo
d'acquisto, le spese di fabbrica, quelle di trasporto,
impiegati ecc., per cui, senz' esagerare, riducesi ben
minore della metà, ma a questa per esuberanza
m' attengo, quindi ad una rendita netta di circa
fior. 171,300.
Oggidì la provincia offre in campi da semina
una superficie quadrata di iugeri 224,590.972 ;
se quindi si elevasse l'hnposta fondiaria a fi. 25
il iugero, che ogni coltivatore pagherebbe ben vo-
lentieri, basterebbero soh iugeri 6862, cioè meno
della 32 parte del suolo a semina, per esuberan-
temente cuoprire la spesa che l'erario introita da
questo ramo.
Siccome poi la nostra provincia è oltremodo
proclive a questo genere di coltura, e prova ne
sia, che ad onta degli eccessi^•i rigori che la vie-
tano, pure la si esercita clandestinamente, come
chiaro risulta dalle contravvenzioni che ogni anno
si verificano ; così dubbio non v' ha, che non solo
la suesposta superficie, ma ragionevolmente è da
presupporsi che ben maggiore ne verrebbe colti-
vata, per cui r erario guadagnerebbe forse il dop-
pio e più di quanto oi'a precepisce.
In economia politica massima principale è quel-
la, d' introitare dall'estero maggior denaro che sia
possibile, ed estrarne il meno che si possa.
Partendo da questo princii)io dirò, che l'Au-
stria oggidì invece enormi somme in argento di-
spendia all'estero per acquisto de"tabacchi, mentre
può averne in alcune provincie del suo impero in
tanta quantità, da sopperire non solo al consumo
interno, ma benanco inviarne all'estero. Eppure,
ad onta di questa, incontrastabile verità, per so-
stenere la privativa tabacchi, vengono pregiudicati
non solo gì' interessi erariali, ma benanco quelli
dei propri sudditi, il ben essere de"(]!iali è pur co-
mune con quello del governo stesso. Sa scono-
sciute mire non appoggiano questo sistema, egli
è in vero ben fatale.
La Dalmazia per la sua posizione topografica
potrebbe offrire eccellenti qualità di tabacco, che
una volta conosciuto, verrebbe al certo ricercato
ovunque, ed a preferenza pure della contermine
Turcliia per la facile comunicazione del mare. Al-
l'incontro ora, con poco interesse dell' erario, paga
circa fior. 307,219 annui, e tributa più di altret-
tanti alla vicina Turchia per tabacco dalla stessa
introdotto e qui consumato, dappoiché, per quanto
rigorose siano le leggi finanziarie, impossibile è
vietare il contrabbando. Non è questa una cifra
• Kara 12 IVoreinlire 1§63. tuno III.
Dalmatica
Prezzo d'associazione in vuluCa austriara por
Zara: per un anno lìorini b ; per >-('i iiu'si lionni 4;
liei- tpe mesi fiorini 2. l*,-i riniaiiciile .Iella Provincia
il fuori; per un anno fiorini 9; per sci mesi (iorini 4
soldi 50; per (re mesi fiorini 2 ; 25. Per l'estero, e
pel Lombardo Veneto gli stessi prezzi in argento, tran-
fhe dei poHo-posta
Giornale politico-le<terario
Esce il Mercoledì ed il Sabato.
I S 'ppi e le cnmniissioni. franchi dell - upe^e
postali, si diri ^^ono in Xxra a \ ine«>nx(i Duptancich K*-
ilaliore dell.» Voce Ilalniatic.'l. e sii abbuonam etili, ut
ncjuzii librari! dei M'.noti fr:ttelli Bailara c Pietro
Abclicli. («li avviM di S liner coMano I fiorino, e ogni
linea di |iiù soldi ti. La tassa di finanza resta a carico
di | ciiniiinitenie. L'ii numero separato costa soldi |0
La Grecia e l'Italia.
Il re Ottone non ha abdicato ma è però par-
tito dai paraggi della Grecia coli'aria di chi in-o-
testi contro l'ingratitudine d'una nazione, alla qua-
le in trenta anni di regno non seppe piacere, e
allo stesso tempo senza molta disposizione a tor-
narci. L' aver detto che la questione apparteneva
alle grandi potenze europee, è un modo di dire:
chè ei deve ben sapere poter esse accordarsi in
tutt' altro che nell' idea di rimetterlo colla forza
nel suo regno. Ottone è irremissibilmente caduto :
od è caduto per un grave suo torto, quello di es-
sersi mostrato inetto a guadagnarsi gli animi dei
Greci ed a governarli nel modo eh' era dalle loro
condizioni richiesto. Questo torto non sarebbe im-
l)utabile all'uomo, al principe cadetto della casa
di Baviera ; ma per il re di Grecia è un torto
reale, di cui egli non può accagionare altri che
sè stesso. Non è colpa il non esser fatti per l'uf-
tìzio di re; ma a quest'uffizio, cornea qualunque
altro, bisogna mostrarsi atti per poterlo fungere.
Il re Ottone scelse a suo rifugio Venezia, il cui
destino sembra addosso di accogliere tutti i prin-
cipi spodestati; i quali paiono compiacersi di quel
silenzio e di quella solitudine. Così avranno campo
a fare quelle utili riflessioni, che non poteano na-
scere nel tumulto delle Corti.
Sembra che i Greci abbiano insistito su di una
curiosa idea, venuta loro già fino dal 1843. Essi
aveano allora ideato di caricare il re Ottone so-
pra un vapore e spedirlo a Trieste. Il viaggio at-
torno al Peloponneso, cominciato su di un vapore
alcuni giorni prima della rivoluzione, forse non è
che r esecuzione del disegno d'allora. Difatti, ap-
pena ei fu partito, la rivoluzione scoppiò su pa-
recchi punti, e presto fu generale, e Ottone s'in-
sospettì tanto dello stesso equipaggio del legno
su cui si trovava, che si fece scortare da un le-
gno inglese e poscia anche da uno francese. E
questa è la prova ch'ei non lascia in Grecia a-
derenti.
Il Governo provvisorio sta per convocare una
Assemblea nazionale costituente, perchè decida del
nuovo Governo. Già si parla di parecchi candi-
dati al trono ; tra i quali un figlio del principe
Luitpoldo di Baviera, il duca di Leuchtemberg, i
secondogeniti delle case d'Inghilterra, di Savoja e
del Belgio, il principe greco Ypsilanti. Qualunque
di queste candidature sarebbe naturalmente mo-
tivo di dissensi interni e di brighe diplomatiche.
Ma la difficoltà maggiore non sta ancora in que-
sto: bensì nella tendenza, naturale nei Greci, di
completarsi colle provincie vicine; la quale ten-
denza, quand'anche possa venire assecondata da
alcune delle potenze, sarebbe certo fortemente con-
trastata da altre.
La stampa semi ufficiale austriaca, dopo avere
incolpato r Italia della rivoluzione greca, pare cre-
dere allo slatu quo, od almeno alla successione ba-
varese da imporsi dalle potenze. La Russia non
vedrà certo malvolentieri, che l'impero turco torni
ad agitarsi, sperando di riacquistarsi la sua in-
fluenza; sebbene da qualche tempo essa pure ab-
bia dovuto assumere una pohtica di transazione
nelle singole quistioni in cui la quistione orien-
tale si viene successivamente diramando. Il Go-
verno inglese si sa che professa in Oriente ad
oltranza la politica dello slatu quo ; e la voce di
Palmerston parlava tsstè nel Morning-Post \IL que-
; sto senso fino alla minaccia, accusando anche il
Governo italiano di voler sconvolgere hi Turchia,
per trovarvi all'Austria un compenso del Veneto.
In generale però la stampa inglese è di jìarere che
si debba lasciar fare ai Greci quello che vogliono
in casa loro, mantenendo anche in questo caso la
pohtica del non intervento. A giudicare dalle ultime
notizie telegrafiche, le quali portano chele potenze
protettrici si accordano nel lasciare ai Greci di-
sporre di sè, salvo però il trattato del 185G, che
stipula r integrità dell' Impero ottomano, anche
la Francia avrebbe acceduto a quella politica di
temporeggiamento, cui essa dimostrò da ultimo ri-
guardo alla Slavia turca : forse indotta a ciò an-
che dalla parte che prende attualmente alla qui-
stione americana.
Or bene : il Governo italiano, quale politica se-
guirà esso in Grecia?
Circa alla facoltà, cui devono avere i Greci di
disporre di sè medesimi, non vi può essere dubbio.
L'Italia deve propugnare più che ogni altra po-
tenza questo ijrincipio, come ogni altro partito che
torni favorevole alla nazione greca. Ma sarebbe
un precorrere gli avvenimenti se si volesse di-
scorrere della eventualità, che i Greci mettano in-
nanzi la quistione nazionale ed escano dai confini
del Regno, entro cui la politica delle grandi po-
tenze sembra volerh per ora contenere,
L'Italia però non può avere in Cfrecia e nel
resto dell' Europa orientale che una sola pohtica,
e quindi una sola hnea di condotta, quali che si
siano gli eventi.
È per r Italia un interesse, non già solo mo-
mentaneo e come preparazione alla sua guerra na-
zionale, ma permanente, la politica dell' emanci-
pazione, dell' incivilimento e del progresso dei po-
poh in tutta la regione tra il Danubio , il Mar
Nero ed il Mediterraneo; poiché da tali condizioni
di quei paesi dipenderà in molta parte la pro-
sperità del nostro commercio e queir esterna e-
spansione, a cui la nazione italiana può aspirare.
Nè condizioni di stabihtà si possono immaginare
neir Europa orientale, senza che a tale emanci-
pazione ed al naturale aggruppamento dei popoli
di quella regione si venga il più presto possibile.
Altrimenti la quistione orientale risorgerà ad ogni
momento, per ogni insurrezione, per il più piccolo
incidente che intravvenga; e con essa quistione ri-
comincieranno ad ogni momento le gare d'influen-
za delle grandi potenze, fino a produrre forse,
r una volta o V altra, uno scoppio.
Ma la politica italiana, se l'Italia saprà pren-
dere una iniziativa nelle quistioni che insorgono
nell'Europa orientale, s'essa prende non solo la
parte dei popoli, ma cerca di metterli d'accordo
che non sciupino indarno le loro forze ; la pohtica
italiana, non dovrebbe terminare col divenire il
punto d'accordo delle altre potenze?
L'Italia non è sospetta di volere conquiste ; e
quindi è la più propria a promuovere la politica di
emancipazione e di conciliazione ad un tempo.
Se la Russia non vuole altro che questa poli-
tica di emancipazione, perchè non sarà dessa con-
tenta di trovare nn' alleato, il quale ha un gran-
de interesse a seguitare e ad accettare questa
politica?
Se la Francia, in molta parte per gli stessi in-
teressi dell'Italia, prosiegue anch'essa nell' Europa
orientale la politica delle nazionalità, ed ama di
non lasciare a-d una sola potenza il protettorato
delle popolazioni cristiane, non dovrà mostrarsi
contenta che l'Italia concurdi pienamente con lei ?
Non dovrà dessa anzi desiderare che l'Itaha sia
forte per averne un aiuto in questa politica e nello
stabilire la neutralità delle vie del traffico mon-
diale che s'aggruppano nel ^lediterraneo?
Ora, non deve quest' ultinia essere una delle
mire anche dell'Inghilterra, e non dev'essere que-
sta contenta che sorga un'altra potenza interes-
sata a mettere un argine alle contiuiste da lei te-
mute ? Non v' è una migliore politica da seguire che
non lo stalu quo in Turchia, per impedire i popoli
che da questa vogliono emanciparsi, di cadere in
mano della Russia? Allorquando l'Italia sia una
potenza ed una potenza interessata a vedere nel-
l'Europa orientale popolazioni indipendenti ed in-
civilite, non avrà l'Inghiltcr.-a una guarentigia di più
per r equilibrio in Oriente ?
La sicurezza in cui deve trovarsi l'Italia che
la sua politica dovrà da ultimo conciliare gl'inte-
ressi delle grandi potenze nella quistione orien-
tale, deve darle animo a seguirla con tutta fran-
chezza, senza tenersi, per improvida timidità, in ul-
tima fila. L'Italia non solo ha grande interesse
nel seguire una tale politica: ma non potrebbe pub-
blicamente professare un'altra senza danneggiare sò
stessa ed il principio per cui esiste e per cui deve
compiersi.
Nò altri potrebbe mai ragionevolmente supporre,
eh' essa avesse una politica diversa. Adunque il te-
nersi in disparte, od il farsi troppo umile, od il dis-
simulare la sua vera politica, per riguai'do a qual-
che altra potenza, all' Inghilten-a, per es., non le
gioverebbe punto. La politica di emancipazione
nell'Europa orientale francamente professata, ed a-
bilmente condotta, non solo apporterà all'Italia oc-
casioni ed alleati ; ma le permetterà altresì d'i-
niziare una pohtica conciliativa nella quistione o-
rientale per tutte le grandi potenze.
Ma qui sorge tosto il quesito che l'Italia, molto
dubbiosa al certo, fa a sè medesima: Ho io un Go-
^•erno così sicuro, così pronto nel concepire e nel-
l'eseguire, che si possa sperare da lui una politica
d'iniziativa di tal sorte? Il Parlamento avrà fra non
molto da rispondere a questa domanda.
e Perseveranza.)
Circolare della Giunta provinciale
alle Comuni della Dalmazia,
Il professore d' agraria di Gorizia signor Bar-
tolomeo Radizza in una sua dotta memoria a que-
sta Giunta diretta, accennava i molti vantaggi de-
rivanti all' economia agricola dalla coltura dell'Ai-
lanlo, pianta che prospera vigorosamente e presto
in ogni più ingrato terreno della nostra provincia.
Ad onta che l' Ailanto sia conosciuto e dilì'uso
in Dalmazia, questa Giunta per incontrare le gen-
tili offerte del signor profossore, e venir hicontro
ai bisogni d' esso spettabile Comune, se fosse del
caso, previene che verso richiesta diretta, prima
del 15 corrente, ad esso professore, egli spedi'
rebbe piantoni d' Ailanto vigorosi al prezzo di fio-
rini tino ogni cento piante, non comprese le spese
di condizionatura e spedizione; e sementi d'Ai-
lanto a soldi trenta il lotto, franco di ogni spesa
di traduzione.
La Giunta non può che caldamente raccoman-
dare ad esso spettabile Comune la diffusione la
da izbili, come da biti, battere, si dice ùljeu, e noa
èiven ; e da dokiti, vincere o ottenere, si fa dobi-
ven e non dobijen'^ e in ultimo quel suo verbale
suonar deve anche come dar delle buone bastonate;
quindi dobbiamo guardarci da facili equivoci.
Cosa mo direbbero i molti dottori di nostra lingua
(cliè in lingua non dominante non ce n' è carestia)
se io qui sostenessi, come sastengo, che il pre-
sente indicativo deìla coiigiugazione passiva è er-
roneauieute formato; perciocché non si dovrebbe
dire p, e, fa sam moljen, io sono pregato ; ma mene
mole, 0 mole me ? Ma anche qui mi si contraddirà,
e non mi cale, —- Credo in somma, che dove la
radice del verbo non si prestasse alla formazione
dei nomi essenziali mancanti, si debba ricorrere
alla perifrasi col verbo, piuttosto che formare un
ingiusto verbale.
È arbitrio dire che ditesce vuol dire bambino
durante la gravidanza; perciocché e dile e diiesce
dal volgo si usa a piacere, sia durante la vita
intrauterina o dopo il parto, come è assurdo l'af-
fermare che l'aborto sempre succede per prava
intenzione. Proposi una distinzione scientifica tra
feto, e bambino nato, e mi parve che cedo si do-
vesse applicare a feto per distinguerlo dal neo-
nato. Ma mi viene opposto che si dice : musho je
cedo rodila: ed io oppongo che si dice più comu-
nemente: muèko je dite rodila-, e perchè scientifi-
camente non lice fissare una distinzione? e non
si dice anche : čedo je pod pdsoni, alludendo a gra-
vidanza? Don Michele mi crede assai più gonzo
di quel che sono ; e non sa che ancora con giu-
stizia gli posso rimarcare che tlačenje ha mal col-
locato in mezzo ai suoi ingiusti verbali, perchè
quello giustamente deriva dal verbo frequentativo
tla'dli, conculcare ; e poi ganulje, svanutje (tigu-
ratevi questo tratto da verbo impersonale), e tanti
altri consimili hanno acquistato ingiusta cittadinanza.
Infine noto anche questo, che egU appoggian-
dosi al dizionario dello Stefaiìovicli, che non con-
tiene tutto perle, dà una temeraria interpretazione
all' umile verbo pomelnuli, come se tutte le voci
serbe dovessero servire ai Dalmati ; ed è poi ri-
dicola la sua interpretazione di izniet e izmelniUi
come se si trattasse di reiezione d'immondezze;
mentre a izmetìiuli si dà anche il significato di
scaricare un'arma da fuoco; izmetmti ptiiìui, top.
Ci vorrebbe altro a ventilare minutamente tutte
le bizzarrie dei miei avversari.
La maschera corregge il mio njihovoga col suo
svoga (e ancora in altro luogo intrude ie, non mio,
e che ricuso), e così commette due errori: 1. per-
chè in quel caso determinato si dovrebbe dire
svojega e non svoga ; 2. perchè njihovoga sta là
bene, riferendosi a paziente e non ad agente. Dica
al suo protetto D.r Petranovich, di cui essa e un
alter ego, dìciì, perchè egli sdisse pišajući, gerun-
dio storto, e non pisiiéi, e meglio ancor pisiié ge-
rundio dritto? Forse che da pisali in indicativo
presente si deve dire: pisujeni e non pišem? Noli
me tangere! Ma pur consoliamoci in mezzo ai
nostri errori, che ne commettono anche i gran
scrittori di altre lingue ; e anche il tanto merita-
mente lodato Vuk Stefanovicli ne commise di molti;
e la prima parola della sua traduzione del Nuovo
Testamento è uno sproposito, ove la geneologia
traduce in pleme, stirpe, che abbraccia tutti i rami
collaterah e discendenti. Quello è il miglior scrit-
tore che fa meno torto alla lingua; e anche in
Dante vi sono dei versi fallati. La Hngua non si
impara mai.
Chiudo questo mio scritto con interessante av-
vertimento. Corre voce che il D.r Pullich, diret-
tore effettivo del ginnasio di Zara, in commissione
straordinaria per la così detta riorganizzazione del
ginnasio di Spalato, intende e vuole via [adi in-
trodurre la lingua slava, come lingua d'istruzione
per l'insegnamento religioso e per i discorsi do-
minicali nel ginnasio inferiore. Con ciò^ egli in-
tende, secondo si è espresso, di sopperire ai bi-
sogni della patria, spezialmente per ciò che con-
cerne la parte meno illuminata della popolizione
dalmata.
Questo doveroso zelo del D.r Pullich è di laude
degno; ma dove sono i libri di testo, che vorrei
vedere, se croati o slavo-dalmati, secondo la mia
intenzione e il buon senso dei Dalmati. Se croati,
rigettar si dovranno, che la Dalmazia non de\e
deturpar la sua lingua col farsi serva a Croazia;
come la si voleva far serva a Russia nel 48; e
la lingua dell'archimandrita Raich, rnsso-serbo-
bulgara, che fu adottata da Giorgio Giurich, e-
letto dal governo per traduttore del giornale uf-
lìziale d'allora, è una palmare prova dell'attuale
nostra ignoranza di nostra lingua, e della dalmata
infelicità; e credo con ciò di non predicare alle
pietre.
Chi è ancora in letargo c!ie si scuota, altri-
menti orrevohnente ritornerò al mio buco , come
quel capitano che tutto perde fuorché V onore ; e
se i croatizzanti insorgeranno culi' atll-rmare che
queste son mie meticolosità, o che è mio vanilo-
quio ; lor risponderò : la malvagità dei tem^)i vi
assicura, e l'ignoranza vi fa plauso !
Spalato, li 8 novembre 1802
prof. A. KrzM.vxic'H.
Sulla coltivazione del tabacco.
La Dalmazia che in tempi antichi formava una
delle più fertili e ricche provincie dell'impero ro-
mano, sconvolta poscia da vicende politiche e bar-
bariche orde, la provincia divenne de'sogni, come
non ha guari un gentile corrispondente della Z>J-
nau-Zeilung ebbe a qualificarla dopo profondo
studio.
E diffatti, cred'io aver egli ragione, perchè il
sonnifero liquore, di cui la provincia nostra ab-
bonda, r avrà forse tenuto in quella dolce estasi,
che sogni variati sa produrre, ed avrà sotto que-
sto influsso vergato quel caro articoletto, che tutti
ci manda a solcare il mare.
Ma davvero ch'io non sono l'uomo per questo
elemento, e grato m' è vagare piuttosto intorno
a' nostri vigneti e praticelli, e se volete anche fra
scoscesi dirupi, che affidarmi all'infido elemento.
Alla terra dunque emmi caro rivolgere i miei
pensieri, e farvi sogni dorati, senza bisogno però
di sonnifero, ed eccovene uno.
Da più e più anni questa parto sognatrice di
mondo, che Dalmazia s'appella, conosceva di quanto
interesse poteva essere a questa provincia la col-
tivazione del tabacco, per cui molto si è parlato,
più scritto, e nulla ottenuto.
Da due anni però l'i. r. Intendente di Ragusa
cav. de Kùffer, ottenne tentarne T esperimento a
Stagno in via amniiuistrativa, perchè dubitavasi
della riuscita, non sovvenendosi forse dello stabi-
limento Manfrin, presso Nona, che ne sommini-
strava a tutto lo stato della repubblica veneta;
nel successivo fu accordato pure a qualche pri-
vato, e quesf anno poi, dietro reiterate ricerche di
questa spettabile Giunta provinciale, lo si accor-
dava a più d'uno. Senonchè, secondo il solito,
quest'autorizzazione giunse quando nessuno potea
darvi mano, cioè fuori di temjìo.
Ad onta di ciò, vago come sono d'agricoltura,
io pure insistetti perchè mi fosse accordata la
permissione, e S. E. il sig. Governatore barone de
Mamula colla solita sua bontà ed interesse vivo
che ha sempre nuclrito per questa terra, volle
concedermela. Ora poi che giunto sono quasi al
fine di quest' esperimento, mi credo in dovere di
renderlo pubblicamente noto.
Checche ne dicano i corrispondenti della Do-
nau-Zeilang, ed altri consimili, di cui, pur troppo,
abbondiamo, l'esperimento ebbe il più felice ri-
sultato, sebbene tardi eseguito. Rigogliosa più che
mai fu la vegetazione tanto de'tabacchi di Tre-
bigne, come di queUi dell'America ed altre parti,
ottenute avendo de'primi piante dell'altezza di 5
a 6 piedi, e de'secontli da 7 a 8 piedi, con foglie
madri della grandezza di circa 2 piedi. Questa
vegetazione, che rarissima riesce nella contermine
Turchia, mostra ad evidenza, che tanto il clima
quanto il terreno sono fra noi oltremodo addatti
alla coltura di queste piante.
In quanto poi alla quahtà, esperti intelligenti,
fra cui alcuni di Trebigne, ottima la giudicarono.
Nulla dirò di quelh dell' America per mancanza
di periti, ma dalla loro vegetazione e fragranza
che tramandano, buoni devon^i litenere, ad onta
che dubiti sulla originalità delle sementi regala-
teci da Vienna.
Dal complesso adunque delle fattevi osserva-
zioni ed esperienze risulta (ciò che nessuno du-
bitava) che ottimo ne sarebbe il prodotto, per cui a
tutta ragione presupporre devesi che ricercato sa-
rebbe il nostro tabacco all' estero, con grande
utile di questa provincia.
Di grave interesse però presentasi in economia
agraria conoscere quale ne sarebbe il tornaconto,
fatto riflesso alle restrizioni d-jlla pubblica ammi-
nistrazione, ed al mite prezzo che viene dalla
stessa pagato (piesto genere.
Seguendo il mio sogno, ritengo, che la coltura
del tabacco, tanto nell' interesse della pubblica
amministrazione, quanto dell' intera provincia, do-
vrebb' essere intieramente hbera, e senza la ben-
ché menoma restrizione. Ah ! la m'è scappata, e
sento già darmi del pazzo da tutto il mondo fi-
nanziario austriaco, che indispensabile trova in ciò
il monopolio. Eppure v'hanno altri regni e stati,
che non lo vogliono conoscere, e che nondimeno
in ottime condizioni finanziarie s'attrovano.
In appoggio di ciò, d' uopo è passare all' elo-
quentissima logica delle cifre, che in materia fi-
nanziaria è il perno principale, su cui aggirarsi
conviene.
La Dalmazia nel triennio 185G, 57 e 58 diede
in termine medio un reddito sporco per tabac-
chi di fior. 367,219
e le spese avute soltanto in pro-
vincia ascendono a 24,000
rimangono quindi fior. 3-42,G19
Da questo importo bisogna tietrarre il prezzo
d'acquisto, le spese di fabbrica, quelle di trasporto,
impiegati ecc., per cui, senz' esagerare, riducesi ben
minore della metà, ma a questa per esuberanza
m' attengo, quindi ad una rendita netta di circa
fior. 171,300.
Oggidì la provincia offre in campi da semina
una superficie quadrata di iugeri 224,590.972 ;
se quindi si elevasse l'hnposta fondiaria a fi. 25
il iugero, che ogni coltivatore pagherebbe ben vo-
lentieri, basterebbero soli iugeri 6862, cioè meno
della 32 parte del suolo a semina, per esuberan-
temente cuoprire la spesa che l'erario introita da
questo ramo.
Siccome poi la nostra provincia è oltremodo
proclive a questo genere di coltura, e prova ne
sia, che ad onta degli eccessivi rigori che la vie-
tano, pure la si esercita clandestinamente, come
chiaro risulta dalle contravvenzioni che ogni anno
si verificano ; così dubbio non v' ha, che non solo
la suesposta superficie, ma ragionevolmente è da
presupporsi che ben maggiore n;?. verrebbe colti-
vata, per cui r erario guadagnerebbe forse il dop-
pio e più di quanto ora precepisce.
In economia politica massima principale è quel-
la, d' introitare dall' estero maggior deiraro che sia
possibile, ed estrarne il meno che si possa.
Partendo da questo principio dirò, che l'Au-
stria oggidì invece enormi soiiime in argento di-
spendia all' estero per acquisto de" tabacchi, mentre
può averne in alcune proviucio del s!io impero in
tanta quantità, da sopperire non solo al consumo
interno, ma benanco inviarne all' estero. Eppure,
ad onta di questa incontrastabile verità, per so-
stenere la privativa tabacchi, vengono pregiudicati
non solo gl'interessi erariali, ma benanco quelli
dei propri sudditi, il ben essere desinali è pur co-
mune con quello del governo stesso. Se scono-
sciute mire non appoggiano questo sistema, egli
è in vero ben fatale.
La Dalmazia per la sua posizione topografica
potrebbe offrire eccellenti qualità di tabacco, che
una volta conosciuto, verrebbe al certo ricercato
ovunque, ed a preferenza pure della contermine
Turcliia per la facile comunicazione del mare. Al-
l'iucontro ora, con poco interesse dell' erario, paga
circa fior. 367,219 annui, e tributa più di altret-
tanti alla vicina Turchia per tabacco dalla stessa
introdotto e qui consumato, dappoiché, per quanto
rigorose siano le leggi finanziarie, impossibile è
vietare il contrabbando. Non è questa una cifra
Atti della Giunta provinciale
Dalmata.
I Alle Comuni della proYincia.
Sino da quando nell'ottobre 1861 La Giunta
proriflciale pubblica\rfit il budget per Tanno am-
ministratiyo 1861-62, attenendosi a quello stato
di cose che trovò praticamente esistente e dal qua-
le non poteva allontaijarsi attese le relazioni di
leggi in vigore da parte sua immutabili, ed i ti-
toli di spese assegnate al fondo provinciale, essa
dichiarava nel modo il più solenne che il dì lei
operato in tale riguardo non comprendeva qual-
siasi riconoscimento obbligatorio, e non doveva
perciò recare pregiudizio al fondo provinciale, o a
quella discussione che avrebbe potuto essere pro-
mossa dalla Dieta e dalla Giunta stessa sull' irre-
golare applicazione a peso dei fondo medesimo
dell' una o dell' altra delle rubriche nel budget
indicate. In questo modo, nell' obbedire alla neces-
sità di non interrompere il corso della gestione
degli interessi provinciali, la Giunta tutelava il di-
ritto della Dieta di discutere ed approvare, a te-
nore dello statuto provinciale, il budget dalla pro-
vincia per le future gestioni.
E fu appunto nell' intendimento di porre sulle
norme del regime costituzionale questa importante
parte degli interessi della provincia che la Giunta
provinciale, basandosi sul § 8 del regolamento pro-
vinciale pel regno di Dalmazia, invocava da S. M.
la convocazione della Dieta provinciale prima che
fosse spirato 1' anno amministrativo, pel quale ven-
ne sanzionato ed ebbe effetto il budget nelle forme
che la necessità imponeva.
Non avendo però potuto aver luogo una tale
convocazione, e d'altronde rendendosi necessaria
una decisione in proposito, venne interpellata la
Giunta provinciale in ordine a dispaccio 10 otto-
tobre decorso n. 5443 di S. E. il signor Ministro
di Stato se, in riserva della pertrattazione del bud-
get in via costituzionale, trovasse necessario per
ora di ammettere per l'anno 1862-63 il preli-
minare sanzionato per 1' essercizlo 1861-62.
La Giunta provinciale convinta della necessità
di una qualsiasi base determinata nella pertratta-
zione dei pubblici interessi, e conscia dei danni
che ne sarebbero derivati da una irregolare inno-
vazione negli effetti di un amministrazione in corso
che non ammette dilazioni nei suoi molti bisogni,
aderì al proposto interinale provvedimento, e S.
M. con sovrana risoluzione 15 ottobre decòrso si
è degnata di approvare che in riserva della de-
terminazione in via costituzionale del preliminare
provinciale per l'esercizio 1862-63, le addizionali
necessarie al coprimento delle esigenze provinciali
vengano frattanto attivate in via provvisoria anche
per l'anno amministrativo 1862-63 nella misura
stabilita per l'esercizio 1861-62; e che qualora
in seguito alla pertrattazione in via costituzionale
del preliminare provinciale, che avrà luogo a suo
tempo da parte della Dieta, si verificasse un cam-
biamento nella misura di dette imposte, potrà
questo essere pareggiato nel corso dello stesso anno
camerale.
In seguito quindi a dispaccio 23 ottobre de-
corso n. 58475-1607 dell'Ecc. i. r. Ministero di
finanza, l'i. r. Direzione provinciale delle finanze
ebbe a disporre perchè gli organi di percezione
delle imposte abbiano a ripartire, intavolare, ed
esigere le addizionali provinciali e circolari i)er
r esercizio 1862-63 nella misura fissata per 1' e-
sercizio 1861-62, lo che si ha l'onordi portare
a conoscenza di codesto spettabile Comune per sua
notizia e norma neU' interesse dei contribuenti.
Zara, 14 novembre 1862.
Il Presidente
PETEOVICH.
mita, 0 se volete, di un attrazione magnetica.
Quello che Orfeo era per le pietre, io sono pei
malanni. L' antico suonatore attirava a sè le pie-
tre, io i malanni, ed i malanni cadono a me d'in-
torno l'un presso l'altro, come in proprio centro.
L' unico mio conforto si è quello, di credere,
che la divina previdenza ordinò in questo modo
le cose, onde neir altra vita goder possa la pal-
ma del martirio.
' Oggi stesso sono in procinto di schiattare, e
se non mi sfogo, la cistifelea creppa. La perse-
cuzione, 0 il mahmno die stò per narrarvi è tanto
grosso, anzi mostruoso, da non trovare esempio
in tutta la storia universale di Cesare Cantù. E
questo malanno va accompagnato da un insisten-
za, tanto insistente, che se fosse volto a buon
fine, per esempio, a tirar alla fede gh Ebrei, il
popolo d'Israello non esisterebbe più. Ma finiscila
ima volta, e fuori questa presecuzione. Sentite.
Saranno dieci giorni, in circa, dacché un tale,
con la regolarità d'un impiegato che va all' uffi-
;sio ogni giornó, mi scrive' una lettera firmata il tuo
ApJĆ.
II. All' onorevole Comitato della lingua c letteratura
slava in Zara.
Neil' istituzione di esso onorevole Comitato la
Giunta aveva in vista di creare una consulta d'in-
telligenti in materie letterarie e filologiche, e spe-
cialmente pelle opere poste in concorso.
E dagh anteriori, e dai più recenti due rap-
porti del 10 ottobre ultimo decorso ai n. 4 e 5.
emerse manifesto come esso onorevole Comitato
abbia compreso^ in più lato senso la sua missione,
nè di ciò la Giunta intende di fargli carico, di-
sposta come fu sempre ad occuparsi di ogni con-
siglio, da qualunque parte le pervenga.
Esso onorevole Comitato disapprovò quanto la
Giunta aveva progettato e promosso con programma
pubblicato allo scopo di procurare alla provincia nn
buon vocabolario italiano-slavo dalnialoeslavo dcd-
malo-ilalianQ ; nonché una raccolta in idioma slavo-
dalniaio di azioni virtuose d'ogni sorta, special-
mente di carattere civico e sociale, tratte da sto-
rie antiche e moderne, nazionali e straniere, e
narrate in istile intelligibile agli abitanti della cam-
pagna continentale; esso Comitato negò inoltre il
suo ufficio, e propose in sostituzione mezzi, a suo
credere, indispensabili alla diffusione, ed al perfe-
zionamento della lingua slava.
Però esso non avvertì quanto fosse ristretta l'au-
torità della Giunta, quanto deboli i suoi mezzi, e
come tutte le materie dell' insegnamento siano di
esclusiva competenza dello Stato, e dei Vescovi.
Ciò ben comprese la Giunta negU studii che
fece sul modo di aumentare le scuole popolari,
ed i maestri, perlocchò appunto dedusse non re-
starle altra iniziativa tranne quella di contribuire
co' fondi provinciali, il che è certamente assai poco
perchè tenui i fondi stessi.
E non pertanto nell'esercizio dell'anno came-
rale 1861-62 la lingua slava nelle scuole promosse
coir assegno di venti preniii, estesi pure ai mae-
stri preparandi, premii i quali dieci essendo di
fir. 30 ciascuno, e dieci di fior. 50 ciascuno, rap-
presentano nel complesso la somma di fior. 800;
non avendo per anco ottenuto offerte a tale vo-
cabolario quale richiedevalo il menzionato suo pro-
gramma, da cui non ha receduto, pure, ad otte-
Epistola prima.
Apparve un articolo nel dì dietro di Sperato
Nodilo, vale a dire nella quarta pagina del Nazio-
nale redato dal sig. Sperato Nodilo, firmato Prete
M/chiele Girolamo Granich. Con molta attenzione
lessi quell'articolo, e secondo il solito non ci ho
capito dentro nulla, e ciò prova che Prele Michiele
Girolamo Granich non è un ignorante, ma una ci-
ma d'uomo. Ma non è dell'articolo, che chiedo
a te parere, ti scrivo soltanto per sentire da te,
che sei una lesla matta, che indovina tutto, senza
capir nulla, perchè jìrele Miclwde Girolamo Granich
porta quel doppio nome di Michiele e Girolamo.
Attendo risposta
il tuo Ante.
Non è questa una strana curiosità?
Potete pensare se io rispondessi a questa let-
tera ! e se anco volessi rispondere, posso saper
io, perchè al Prete Granich hanno attaccato il
Michiele e Girolamo, invece del Michiele o Girola-
mo soh ?
Ma l'amico .Ante non si sgomenta, e al!'indo-
mani torna scriverei
nere frattanto qualche cosa, in luogo di quella ste"
rile raccomandazione ch'erale stata proposta, as-
segnò un sussidio di fior. 800. all' edizione che
annunziavasi prossima di tale vocabolario, il quale,
seppure non comprendente le condizioni da lei
desiderate, però, in risultato di pertrattazione su
ciò intavolata con esso onorevole Comitato, appa-
riva di merito prevalente ad altra opera conge-
nere; ed in fine assegnò un premio di fior. 100.
in ciascuna delle cinque città principali di Zara,
Sebenico, Spalato, Ragusa, e Cattare a persone che,
in relazione a tale eccitamento, prestaronsi ad i-
struzione della lingua slava.
Nel totale adunque un dispendio di fior. 2100,
senza contare che i ricordati due programmi sus-
sisto n sempre, e che si sta trattando sul premio
richiesto relativamente a due opere estese in hn-
gua slava.
La Giunta tende lealmente ed operosamente a
tale fine per cui in provincia l'istruzione della
lingua stessa si estenda a tutti ed a tutto , ma è
di ferma opinione che tale scopo raggiungersi debba
senza coercizione.
Allorquando la lingua slavo-dalmata si sarà for-
mata all'istruzione, ed agli affari; allorquando la
parte colta della popolazione ne sarà in pieno pos-
sesso ; allorquando in fine potrà introdursi nelle
scuole e nella gestione delle pubbliche cose, senza
scompagnarla dalla scienza, eh'è primo imprete-
ribile requisito dell' une e dell' altra ; allora l'opi-
nione pubblica, interpretata dalla Rappresentan-
za del paese, le accorderà il primato che le è dovuto.
Fuor di dubbio spetta agU sforzi della provin-
cia, ed all' amor patrio dei Dalmati, di rende-e
assai più breve la via che alla meta conduca, ed
in questi sforzi sarà la Giunta costantemente per
concorrere, nè nell'opera sua vi avrà difetto di
amor patrio; ma non istà nel Governo il deter-
minare oggidì, come vorrebbe esso onorevole Co-
mitato, l'ora precisa in cui lo scopo debba con-
siderarsi raggiunto.
E perciò appunto che, non potendo convenire
nell'opinione esternata da esso onorevole Comitato
laddove sostiene che coloro i quali, nei limiti in
cui ciò avvenne generalmente finora, conoscono
per dovere d' ufficio la hngua slava, possano ap-
prendere a scriverla correttamente ^'•con atlendervi
^mediocremente in un paio di settimane, e coli'eser-
citarvisi una volta al giornoy,, non può tampoco
la Giunta interporsi perchè questa condizione dello
scrivere corretto venga indispensabilmente richiesta
a) per ogni nuovo impiegato, avvocato, o notaio ;
h) pei diurnisti in attualità di servizio, sotto com-
minatoria di licenziamento dopo un anno infruttuo-
samente trascorso ;
c) e nello stesso termine pegFimpiegati di can-
celleria, sotto pena di multa.
L' attitudine agl'impiegln, ed alle libere profes-
sioni di avvocato e di notaio, non si acquista da un i-
stante all' altro : nè in luogo qualsiasi fu dato finora
cU procurarsela mediante studii in hngua slava ; nò,
rifiutandosi a ciò che tempo si accordi altempo, po-
Amico.
Perchè Michiele Girolamo, e non Michiele solo,
0 Girolamo solo ? Prete Michiele Granich, ed anche
Girolamo Granich può correre, si capisce, ma Mi-
cliiete Girolamo!!!
"Rispondimi a vista avvertendomi ecc.
il tuo Ante.
Io non rispondo si sa, ma l'amico Ante non si
stanca, e torna all' assalto col Michiele Girolamo, ler
mattina poi mi venne fuori con una filippica, per
obbligarmi a rispondere, mettendo sulla mia co-
scienza la sua prossima morte, perchè (mi scrive),,
se non rispondi, e non trovi ragione del Michiele
Girolamo porrò fine a'miei giorni.
il tuo Ante,
Eccomi addunque in pericolo di vedermi cadere
sulla coscienza il nostro Ante.
La sembra cosa da ridere ; ma pensate un pò,
se questo disgraziato s'accoppa davvero, lasciando
una lettera — come vuole la moda . . . del sui-
cidio — in cui incolpi me della sua morte I . . .
La lettera và in mano del tribunale, e F è un di
più se non ci vado ancor io.
• Tali essendo le cose, il governo del re aveva
nel 1860 sciolta la Camera come quella in cui
egli credeva vedere nna rappresentanza partigiana
e non nazionale. A certe cose, che non era lecito
dire, non era neanche prudente il porgere ascol-
to. Si venne alle nuove elezioni, e gli scanni dei
deputati furono occupati nuovamente. I neo-eletti
erano gente bene diversa da quella che il Mini-
stero aveva poc' anzi mandata in vacanza. Non più
interpellanze^ non più rivanghi, non più concioni
veementi e niinaccie e proteste ; ma silenzio e
perfetta adesione a tutto ciò che moveva dal banco
ministeriale; obbedienza e rispetto ai progetti di
legge, alle proposte e ai quesiti dei quali i signori
ministri avevano zeppi i portofogU. D.r P.
{Rivista Friulana) {ConlinuaJ.
Al sig. Dottor G. Slade.
Se aveste inteso il mio articolo, direttovi col
n. 46 della Voce Dalmatica., e che io intieramente
confermo, vi sareste risparmiata gran parte della
fatica per rispondermi, come fate, colla lettera in-
serita nel n. 72 del Nazionale.
Chiedete: "come adunque si devono intendere i
suoi scritti?^ Come qualunque altro, sia esso buono
sia esso cattivo. Non vi abbisogna se non quello che
S. Tommaso raccomandò a Dante di osservare quan-
do cercare voglia il senso dei detti e scritti altrui.
San Tommaso, dopo aver mostrato come Dante,
per non aver fatto attenzione al valore del vocabolo
surse e per non averlo rapportato al contesto, non
aveva inteso il significato di quelle sue parole,
dette di Salomone: " A veder tanto non surse ti
secondoy,, gli diede il seguente avvertimento:
"Con questa dislinzion prendi il mio detto;
E così puote star con quel che credi
Del primo padre e del nostro diletto.
E questo ti fia sempre piombo a' piedi,
Per farti muover lento, com' uom lasso,
E al sì e al no, che tu non vedi;
Chè quegli è tra gli stolti ben abbasso
Che senza distinzione afferma o niega
Così neir un come nell' altro passo ;
Pcrch'egli incontra che più volte piega
= L'opinion corrente in falsa parte,
E poi l'affetto lo intelletto lega.
Vie più che indarno da riva si parte
Perchè non torna tal qual ei si move.
Chi pesca per lo vero e non ha l'arte.,
I^Parad. 13. Ì09-123J
Avete notato che tra gli stolti è ben abbasso chi,
nel cercare i sensi negU scritti o nei detti, non
distingue ? Ma per voi queste le son bagatelle ;
poiché voi non intendete di ragionare su distin-
zioni che sanno di scuola: e questa di Dante non
sa certo di piazza, ma proprio di scuola. Per voi,
dottorato in filosofia e in matematica, divenuto
scrittore di polemiche, informare senza chiasso e
fublicare colle gazzette è tutt' uno ; agire prudente-
mente e suscitar scandali in una città ; parlare ad
una persona sopra un argomento a fine di prenderne
lo liberarono ; rimase però in ferri durante il sog-
giorno del proconsolare bassa in Traù,, (Meni, per
la st. della Dalm. v. II, fac. 233).
Anche Mattia Bel nella sua prefazione alla ri-
stampa dell' opera principale del Lucio fra gli Scrip-
tores rerum hungaricarum, questo fatto ricorda, ma
dice soltanto ch'egli ferreo vincalo, altero pede,
vincitiir, inque trireme veneta, per plures dies, ad
moduin captivi, detinetur (voi. HI, fac. XIII). Qui
ci mancano le bastonature.
Più addietro ancora, troviamo lo Spon, contem-
poraneo del Lucio e suo conoscente, il quale giunto
in Dalmazia nel 1675, abitò in Traù la sua me-
desima casa, ed accennando al fatto di cui si tratta
dice che Giovanni abbandonò quella casa "per
"T asprezza d' un Generale di Dalmazia, il quale
"venuto a Traù, gU fece sapere che vi voleva al-
^loggiare, e perchè il padrone se ne riserbava un
"appartamento, gh fece gittare i mobili fuori dei
"balconi, e l'obbligò a ritirarsene immediatamente,,
(Viaggi per la Dalm. ecc. tradotti dal Freschot,
Bologna, 1688, facc. 13). Qui non si parla, non
solo di battiture, ma nemmeno di galera e catene.
una risoluzione e dare-alla persona stessa un'ac-
cusa di abuso d! uffizio, ^ev voi, dico, è tutto Io
stesso.
Yi dolete della reticenza del seguente tratto:
"ciò che in questa occasione mi scriveste io noi
dico, e tanto più che voi, come rilevo dalla vo-
stra del 2 ottobre, in parte ve ne ricordate ecc.„
Ebbene, supplite adunque così: ciò che in que-
sta occasione mi scriveste io noi dico per ciò che
lascio aioi tutto l'onore di publicare le lettere al-
trui. Questa gloria m Dalmazia, grazie al cielo, è tutta
vostra propria, e spero che a lungo resterà tutta in-
tera a voi solo. Eccovi tolta la reticenza a sod-
disfazione vostra e lume altrui.
Nel resto, ei sembra che vogliate anche far dei
progressi in questa nuova via da voi tracciata per
giungere a rinomanza. Io vi mostrai il mi risen-
timento per tale fatto; vi rinfacciai l'abuso della
fattavi confidenza (e se tutta la lettera non fu con-
fidenziale, alcuni punti, per chi sa è voglia fare
le dovute distinzioni, lo erano); l'indignazione ge-
nerale vi fece conoscere quale giudizio ne faccia
la società, la quale, in simili casi, si crede in certo
modo pur essa medesima offesa: e voi, non solo
ne riproduceste, senza alcun bisogno, una seconda
volta un tratto, colla giunta di alquante circostanze
che la prima volta credeste di omettere ; ma ne
publicaste anche il P. S., anch' esso senza bisogno
alcuno, ed esso pure allora tralasciato, e di certo,
perchè anche quel senza chiasso 1' avevate preso,
non altrimenti che quel prudentemente, per altret-
tanti pleonasmi. — Voi che non volete saperne
di distinzioni, che sanno di scuola, vi sapete a-
dunque giovare delle figure gramaticali, e le tro-
vate per fino là, dove il buon senno solennemente
le rigetta. Ma le fate queste cose per malignità,
0 per mancanza di logica ? Tanto nell' uno che
nelF altro caso ne siete ben da compiangere !
Senonchè, e vi sapete pur voi servire di reti-
cenze! Voi dite: 'non solo mi tiene broncio, non
solo mi accusa di aver abusato di sua confidenza,
ma ancora m più oltre, adopera armi, per ridurmi
al silenzio, cKio non voglio citare.„ E perchè non
volete citarle ? per risparmiarmi un infamia ? ve-
diamolo. La mia reticenza vi risparmiava un sar-
casmo molto abbrobioso ; e la vostra a che tende?
1 lettori lo giudicheranno. Le armi, alle quali voi
alludete e che non volete citare sono una lettera
eh' io, tosto dopo aver letto la lettera dell' x\m-
ministrazione comunale diretta all'anonimo, pre-
vedendo che voi potreste venire agh eccessi, ai
quali siede giunto, scrissi a vostro fratello, do-
lendomi a lui del vostro riprovevole contegno e
verso gH altri e verso me, e raccomandandogli di
leggerla al vostro patrigno e benefattore, a fine
che, informato ed egli e vostra madre del vostro
procedere indecoroso e verso di me e verso di
loro, e verso altre persone rispettabilissime, essi
tre ponessero freno alla vostra peggio che scon-
sideratezza. E questa lettera voi mi rinfacciaste,
facendomi sapere che voi non seguireste punto i
loro consigli, e che anzi fareste peggio e più; nè
Sicché più che all'epoca del fatto ci avviciniamo,
più scema esso di gravità, mentre invece più che
ce ne discostiamo più si verifica il crescit eundo
della fama. E in vero, lo Spon scrittore dello stes-
so XVII secolo, non parla che del gitto delle robe
dalle finestre, e soggiungendo /' obbligò a ritirarsene
immediatamente, dimostra ben chiaro la nessuna
offesa patita dalla persona del Lucio; il Bel, nel
secolo dopo, vi aggiunse la catena e la galera; il
Nutrizio ed il Kreglianovicli nel XIX vi aggiunsero
le bastonature, e, andando di questo passo, qua-
lora non si sapesse che il nostro Giovanni con-
dusse in Roma per molti anni ancora la vita, chi
sa che noi facesse qualcuno anche pendere dal-
l' antenna della proconsolare galera. Io, per me, cre-
do sia d'attenersi piuttosto allo Spon, il quale per
la sua conoscenza del Lucio, per le notizie at-
tinte d' un fatto così recente sul luogo stesso in
cui avvenne, e pel nessun interesse d'alterarlo, de-
gno rendesi di maggior fede. Il solo gitto delle
robe dalle finestre, per un uomo della condizione
del Lucio, che, a quanta dicono, fungeva in quel
tempo il carica d'uno dc^i rappresentanti, della Co-
dubitaste di attribuirmi intenzioni, le quali sono •
altamente smentite e dalla parte da me presa in
vostro favore presso il vostro secondo padre, e da
altre ragioni a voi ben note. Tant' è che le vi e-
rano parimente smentite dalla vostra coscienza nel-
l'atto stesso, che volevate imputarmele; essendo
che mentre in questa lettera mi scriveste tali cose,
per cui io avrei dovuto credervi pazzo, se non
aveste dato in questi ultimi mesi prove pubbliche
coi vostri scritti di essere piuttosto maligno ; non
siete stato in caso di completare quell'imputa-
zione ; eh' io, cioè, forse tendessi a far annullare i
diritti che una generosa adozione vi ha conferiti.
Siccome io mi vanto ei essermi servito di questa
arma per ridarvi al silenzio, si può vedere che la
vostra reticenza aveva portata ben differente della
mia, e che, se per essa non intendeste di far na-
scere a danno mio de' sospetti, voleste per lo meno
rapirmi il merito di essermi servito del miglior ^
mezzo possibile a fine di prevenire dissensiosi e
pubUcità vergognose.
Ma che cosa ne direte ora che, giorni addietro,
e prima che voi pubblicaste questo vostro arti-
colo, ne diressi una con recepisse di ritorno e
colla nota "m sue proprie mani„ al vostro bene-
fattore stesso, tenuto ignaro, con arte, di tutto,
e, voi dite, per non recargli mortificazioni! Che
logica, che affetto!
Ma tutto questo scandalo 1' avete fatto in mia
difesa e per dimostrare che la mia non era una
fonte disonestamente impura. E non arrossite di so-
stenere tuttora e dopo quel mio articolo, che le
cose da voi supposte e dette prima dall' anonimo
alquanto men chiare, e poscia apertamente ed ar-
ditamente da voi sostenute, le abbiate attinte alla
mia lettera! La mia lettera vi fu di pretesto, ciò
è verissimo ; ma la fonte vera fu la malignità di
ambedue, quando non vogliate confessare, ve lo
ripeto ancora, che non avevate inteso la mia let-
tera, 0 per non sapere o per non voler fare quelle >
distinzioni, che sono la pietra di paragone per co-
noscere se, chi porta il titolo di dottore in filo-
sofia, lo porti per ciò che ne tiene veramente la |
scienza, ovvero sempHcemente un foglio di perga- "
mana, E qui giustizia mi obbhga- a distinguere tra
voi, e l'anonimo. L'anonimo avrebbe potuto forse
giustificarsi. Potrebb' essere eh' egli per aver letto
la lettera alla sfuggita, per non averla avuta sot-
t'occhi quando scriveva il suo articolo , le abbia
attribuito un senso ch'essa precisamente non a-
veva, ma voi non potevate dir altrettanto, e spe-
cialmente dopo aver letto quella lettera dell'Am-
ministrazione comunale, che lo aveva confutato,
dispensando intieramente me di entrare in iscena.
Ma voi scriveste queir articolo per mostrare la
vostra stima e il vostro rispetto per me. — Anche
questo è un modo di attestare stima e rispetto
tutto nuovo e tutto vostro proprio ! — E parlate
sinceramente ? Credete forse eh' io mi sia dimen-
ticato (eppure ve lo ricordai anche nel precedente
scritto) che quella persona autorevole e rispettabile
ve n' ebbe sconsigliato ; che vi pregò, vi scongiurò
munità, è già da per se un tale atto, da bastar
a mostrare la prepotenza del magistrato che lo e-
sercitava, ed a cui, per quanto fosse d'irascibile
tempra e male verso il Lucio disposto, non con-
veniva forse tant' oltre spingere una violenza, che
veniva ragionevolmente a concitare gli animi di
una intera città.
Incertissima è inoltre la fama sulla epoca vera
di questo fatto, e sulla vera persona del veneto
Provveditore a cui esso è d' attribuirsi. L' offeso
Lucio nessuna menzione, per quanto io so, ne
faceva, ed altro da lui non s' apprende che d'es-
sere stato il 1654 l'anno in cui parti dalla pa-
tria {M di T. fac. 531). Il fatto dunque si dv^ve
ritenere accaduto in epoca da quella data poco
discosta. Il Kreglianovich, seguendo il Nutrizio,
lo mette nel 1650 e crede che l'oltraggiatore
fosse Girolamo Contarini ; ma ciò non può darsi,
mentre ne' cataloghi dei nostri Provveditori ge-
nerali il Contarini si trova in tale carica soltanto
nel 1662. Il Ciccarelli fac. 57), il Casotti
flìiog. del Lucio nella Gazz. di Zara n. 77 del
1834.), l'ab. Gliubich (Di:-. Mog.) dicono che fu.
estensione; l'insegnamento ebbe un più ampio svi-
luppo; l'industria, per quanto riesci possibile, fu
favorita e promossa. Tutto questo ed altro ancora
non bastò a impedire la caduta della dinastia bava-
rese. Biformazioni. simili e più rilevanti di queste
saranno sufficienti a perennare il potere di cui i
Greci hanno adesso la scelta?
Il problema è tanto intricato e complesso, che
noi rinunziamo a risolverlo. E poi la soluzione
potrebbe essere, a questi lumi di luna, uno stu-
pendo svarione. Crediamo, però, che l'unico mezzo
che potrebbe avviare alla scoperta dell'incognita,
sarebbe la buona intelligenza fra le tre potenze
protettrici. Un protettorato geloso, sospettoso e
continuamente in sull'arme, non può certo esser
fecondo di benefici effetti per nessuna istituzione
del mondo. Il segreto per fare di un punto dispu-
tato un assioma, si è il coraggio di smettere la
reciproca uggia e di non istare in cagnesco col
proprio vicino ; di saper fare a tempo un tenue
sacrificio, onde in seguito evitare un sacrificio
più grave. »«
Letteratura slava.
YIII.
fn omnibus teìpsum praebe exeniplum honorum operum — ad Tituui —
Dopo quella burrasca richiamai i pensieri a ca-
pitolo, quindi mi immersi in sohloquio pio :
Infelice Dalmazia! Sopra il tuo capo non pende
la spada di Damocle, chè tu sei innocente e sem-
plice qual colomba: quella pendeva sui tiranni;
su te pende la corona di mirto, che croata mano
ti preparò ; e or non ti resta che come Saloni-
tana Vergine resistere ai dardi delle Abariche orde.
Attendi a quello che ti dissi e non temere. Ri-
getta. i rostri, che son indegna ironia dei tuoi an-
tichi, che coronaron la testa di Marco Agrippa;
dà bando alla non tua favella, ed eseguisci il te-
stamento del tuo moribondo eroe Elia Smiljanich:
*'Yeé me nosi mome bilu"dvoru,
"Mome dvoru, mojoj staroj majci,
'Da mi majka moje rane vida.
^Tudja majka ràne povridjuje,
"Tudja ljuba brigovito stere,
^'Tudja seja gorkom vodom poji!
Pol ripigliai : Profanamente riflettendo sui guai
di quaggiiì, appare velato il Sommo Vero, e quasi
inosservata la crociata stella, che del suo splen-
dore riempie l'Oriente.
Di quanto impaccio è mai questa dissolubile
creta, che durante questa vita terrena racchiude
rimmortai favilla! Solo è privilegio della mente pura,
come svincolata da tanta spoglia, il rimirare quel
sapiente raggio, che spunta dall' occhio della Divina
Provvidenza, a consolazione degli umili mortali.
Quante difi"erenti opinioni o credenze aspra-
mente sostenute e credute e combattute , da la-
sciare ai remoti posteri l'ardua sentenza! Quanti
sforzi per vincere i conati della parte avversa.
fosse allora mandata in Dalmazia tale straordi-
naria magistratura, chiaramente apparisce che
r ultima epoca in cui n' era stato l'invio decre-
tato, fu nel 1674; ma però tosto soggiunge che
nienfe dlsendo le memorie circa la partenza e le
azìon dei Sindici, dovemo crederlo rilruUado (Oraz.
sud., Yen., Picotti, 1831, fac. 31). Di fatto,
nei cataloghi che abbiamo delle supreme venete
magistrature state in Dalmazia, non si fa nel detto
anno menzione alcuna di Sindaci, come pnossi
vedere in quello inserito da Lorenzo Fondra nella
sua Istoria di S. Simeone, scritta nel 1G86; al
quale Fondra, contemporaneo e diligente scritto-
re, non sarebbe al certo sfuggito uu fatto cosi
recente (Ist. sud., Zara, Battara, 1855, fac. 287).
Anche gli storici veneti Sandi e Tentori non fanno
punto parola di Sindacato per la Dalmazia nel
secolo XVII, e notano anzi la interruzione lunghis-
sima eh' ebbe luogo in tal pratica per un secolo
e mezzo fino all'epoca del Foscarini suddetto.
L'oggetto inoltre, o, come vorrebbe l'annalista
di Ragusa, il pretesto per cui s irebbero stati al-
lora mandati i Sindaci^ quello cioè di togliere i
che da torbido fondo tira le sue prove per re-
stare in sella! Quindi applausi da una parte, fi-
schi dall'altra; quindi svolgimento di passioni va-
rie, che sarebbe in me pazzia oppugnare colla sola
arma del volgare rancore.
Vestite le nostre idee dalmaticamente, pensier
nostro primo deve esser rivolto al patrio amore,
che solo può versare il salutar balsamo della no-
stra rigenerazione ; cacciando da se l'egoismo, al-
l' umanità tutta inimico. Cura per ora ristretta alla
casa nostra, che reclama i Melchisedecchi e non
gli Orlandi ; basata quella sulla morale pura, sulla
legge di natura, da infiammare i petti sentimen-
tali ; e speranza in Dio che benedirà questa pa-
tria desolata.
L'era del fango che successe ai Liburnici dì,
deve tramutarsi in era novella aurea, in quella
che diè vita ai Leonardi ed ai lìziani; e per
arrivare a quella febee meta, dobbiam indossare
la sacrosanta lorica dell'amor fraterno.
Non pili ciarle, non più contrasti linguistici ;
a prò di un dettato gergo non demarcazione di
immaginarii confini ; ma fissar lo sguardo sul
prossimo bisognoso, quindi abilitarlo ad acquistarsi
delle utilità permanenti ; e già la Giunta del regno
ben cominciò. La vera cagione della prostrazione
mentale, fu sempre il bisogno; e la storia ci in-
segna che accanto alla prosperità materiale sem-
pre presso le nazioni incivilite fiorì l'ingegno.
La lorica dell' amor fraterno è la carità, e ca-
rità non può essere feconda di benedizione, ove
manca l'umiltà e la fede ; e noi abbiamo tut-
todì dei solenni esempi di pietà infruttifera, che
il genio farebbe sua a prò universale.
Quella pudica vergine, che genuflessa appiè del-
l' ara della Croce, supplice prega per se e per il
prossimo ; con quel!' atto sorvola tutta quanta la
gloria mondana, e noi non vediamo simulacri e-
retti alla pudicizia divota.
Quel pastore che deposte le aspirazioni dell'or-
gogUo, porta la benedetta palma negh umili abi-
turi, ove geme derehtta la malvisa povertà ; e con
parole e con fatti prepara gli afflitti alla pace dei
giusti, e cerca di sopi?erire all'inopia; spettacolo
è questo estremamente raro. E tu mi odi, o uomo
di Dio Biancovich, decoro di Macarsca e di Dal-
mazia tutta, che nei tuoi brevi ozi sedevi all'om-
bra di frondoso pino, e pregavi per il tuo gregge.
Il nostro benemerito storico Tommaso Arcidia-
cono, narra di aver veduto a Bologna il Divo
Francesco d'Assisi tutto sparuto e ravvolto in cen-
cioso sacco, predicante in piazza a gran folla di
gente, la quale impetuosamente lo assaliva per
strappare come da santa reliquia qualche bran-
delhno di quei suoi benedetti panni. Fu questa
una prova, ripetuta in ogni tempo al cospetto della
maestatica Santità, che i buoni e i cattivi presso
tutti i popoh venerarono l'insigne virtù, e Fe-
derico secondo, re di Prussia, che non faceva pro-
fessione di cristiano, volle nella sua reggia, che
conteneva anche gli Antinoi, l'immagine di quel-
r uomo benedetto.
monumenti pubblici eretti ad onore di veneti reg-
gitori, non sembra di tanta importanza, da richie-
dere una tale straordinaria misura, la quale non
era solito a praticarsi che per gravi scopi di buon
governo e di amministrazione pubblica. Ciò vie
meglio conferma nel caso nostro un' ordinanza, che
relativamente appunto a simih monumenti veniva
emessa dal Senato nel 1691, prescrivendo risolu-
tamente che fossero lecafe tulle le statue ed abolite
tutte le iscrizioni(y. giornale La Dalmazia n, 39 e
40 del 1847). Per tale oggetto dunque, nò sa-
rebbesi fatto uso di Sindaci, uè, facendolo, vi sa-
rebbero stati all' epoca pretesa, mentre, se stati
vi fossero, è ben da credere che avrebbon essi
adempito l'ufficio loro in guisa, da non rendere
necessaria in così breve termine quella ulteriore
disposizione. Tutto ciò prova che, ai tempi del
Lucio, Sindacato in Dalmazia non vi sia punto stato.
Ned è meglio vera 1' assorta devastazione di mo-
numenti storici, e lo spoglio praticato alle Comu-
nità di tutti gli antichi istrumenti. Subitochè i
Sindaci non sono venuti, non è possibile neppnr
eh' eseguissero "un'operazione loro cittribuita. E
Coloro che non volessero ammirare i prodigi
della Croce, ammirino la pietà e gli slanci della
virtìi naturale, che ebbe i suoi divi anche fra i
pagani; ammirino e imitino Aruleno Rustico, insigne
senator romano, che trascura una carta di Domi-
ziano, per udire una lezione filosofica di Plutarco;
Germanico Cesare, che si scalza per onorare l'A-
reopago greco; e Cimone, che a piè nudi sacri-
fica agli dei, veste e nutre la poveraglia ateniese.
Noi abbiam bisogno di grandi e moltiplicati e-
sempi di civile virtìi, per mandar ad effetto la
gran sentenza: Volere è potere; perciocché la vo-
lontà anche secondo sant'Agostino è assoluta con-
dizione per grandi riuscite, e le più belle imprese
cadono per difetto d'insistenza.
Cosa è l'associazione, se non il fascio di Sva-
topluk re nostro? E la pietà slava, non sortì forse
anche da erculeo petto ? Dov' è il mio fratello
Carlol compassionevolmente ripetute volte gridò
lo czar Pietro il grande, vedendo passare dinnanzi
a se la moltitudine dei prigionieri di guerra, e non
scorgendovi il re di Svezia, suo degno rivale. Con
quella effusione di cuore superò Divo Giulio, che
a Farsaglia non compianse Pompeo Magno.
Sopravvengono certi tem,)i di ferro, che ottun-
dono gU slanci del cuore; e noi scossi da tanto
fracasso di guerra lontana apportatrice di nuo\ e
brame, rimirando lo stato nostro, dobbiamo resi-
stere dispiegando il nostro possibile, e far rina-
scere i Maruli e i Biancovich, cominciando prima
dalla pietà, come fece san Marino, nostro dalmata,
fondatore di quella repubblica, di cui discorsi nella
mia Zora; e il giornale Nazionale, diretto a sol-
levare questo popolo da tanta bassura, dovrà la-
sciar spazio anche ai desiderii pii; e a me pur
piaceva di pubblicare degli squarci di morale, e
dei concetti dei santi Padri; quindi o deve lasciar
da banda i movimenti guerreschi stranieri, oppure
con avveduta riservatezza commentarli, come esi-
gono le nostre condizioni, anche a rischio di per-
dere gli associat', di novità chiassosa unicamente
curiosi.
L'inclita Giunta del regno fece fino ad ora dei
passi, provocatori di miglioramento, di laude de-
gni; ma ed essa, e la ventura Dieta, che abbiano
sempre presenti i precetti dei grandi legislatori, e
benefattori dei popoli, i quali si regolarono sem-
pre secondo la tempra di essi ; quindi Solone agli
Ateniesi consigliò una cosa, Licurgo agli Spartani
un' altra ; e la sapienza dell' Areopago, che si im-
maginò r ignoto Dio, n )n voleva dannare alla testa
chi non fu istrutto nelle civih discipline ; così di-
mostrando che l'ignoranza ha anche i suoi gran
peccati perdonabili; e le leggi repressive devono
essere giustamente commisurate; di che già toc-
cai più volte nei miei scritti.
Una delle grandi disgrazie che colpirono que-
sti nostri zotici, si fu quella dell' ignoranza di no-
stra lingua; e io dico e sostengo, che chi cono-
sce bene il popolo e la sua lingua, è capace di
troncare delle grandi discordie, e dei gran litigi;
perciò è necessarissimo che si studi praticamente
ciò basterebbe a tutta risposta. Ma v' è di più,
comprovato essendo che neppure poteva nel secolo
XVII quell'intera devastazione avvenire. Il Fon-
dra nell'Istoria suldetta (fac. 37), parlando ap-
punto della mancanza d'antichi documenti e me-
morie, l'attribuisce, almeno per Zara, alle vicen-
de guerresche e agi' incendii, che dispersero e di-
vorarono gh archivi nostri in epoche ben di molto
anteriori ; ed il P. Faini, presso il Fondra mede-
simo, un atto riporta del 1358, in cui si lamen-
tano le perdute scritture della cancelleria pubblica
quando Zara, due anni avanti, fu presa dagli Un-
gheri (fac. 84.) E ciò che s' afferma di Zara si
può anche a tutte 1' altre città nostre applicare.
D'altronde, le opere stesse del Lucio comprovano
che prima del suo tempo gli antichi documenti
nostri andassero già sperperati, distrutti, e per
quelle vicende che simili oggetti dovunque incon-
trarono, non ne fosse agevole sempre, o ne fosse
talvolta dovuto soltanto al puro caso il rinveni-
mento. Nelle Memorie di Traù egli dice che dì
Colomano, il quale fu il primo re d ' Ungheria che
concedesse privilegi ai Dalmati, "non si trova al-
libila camera di Torino, avvegnacchè la parola sia
un nerbo che vale pochissimo per chi non ha altre
armi in suo sussidio. Pur nondimeno si griderà
assai, — Si ripeterà per la millesima volta che
il papa è un povero diavolo fatto signore per maso
e per malizia, — Si dirà che il governo di Piazza
Castello è stato debole; ed egso risponderà che
non poteva essere più forte, che non poteva smuo-
vere i macigni, che il tempo maturerà il papato
come matura le nespole, e cento altre cose, una
più magra dell' altra. — H centro distillerà i so-
liti decotti malvacei; la sinistra fremerà fremiti
profondi ; e la destra tirerà tabacco aggiustandosi
sul bavero il nastro verde dei Ss. Maurizio e Laz-
zaro.— L'onorevole Boncompagni proporrà fi-
nalmente un ordine del giorno opportuno per il
ministero, non offensivo per il magnaninìo alleato,
inappuntabile dal lato dello spirituale, inutilissimo
per il temporale. E così, dopo una baruffa più o
meno parlamentare, la controversia romana uscirà
sempre gravida, ma sempre vergine !
Appena V iride avrà fatto capolino dalla soffitta
dell'aula parlamentare, le anime incerte dei de-
putati si rinvigoreranno, sparirà la perplessità dei
ministri ed i credenzoni grideranno vinta la causa
contro il pontificato. Secondo questi ultimi il Par-
lamento avrà tale un'influenza morale, che, col
solo suo voto, farà aprire le porte di Roma; l'im-
perat^-e, informato delle opinioni itahane, lascierà
libero corso alle sue profonde simpatie; il papa,
stregato dalla teologia del Passaglia, del Liverani,
del Lodigiani e da mille e mille altri preti be-
nedetti dal popolo, piegherà la testa alla volontà
della nazione; xiatoneHi farà Io stesso, se non ti-
rerà le cuoia in antecedenza ; il re Vittorio Eina^
jiuele andrà a Roma; e 1'onorevole Ricciardi legr
gerà dall' alto del Campidoglio 1' ultima sua Ge^
remiade, intitolata ; (ine delle interpellanze sulla
guistione romana. — Sarà vero questo pensare
àei credenzoni? — Dio lo voglia. — Persone di
poca fede pensano altrimenti. Il papa,, letta la di-
gcussione della Camera a lui relativa, prenderà
un brodino per ristorarsi dalla noia; F Antonelli
gi darà, lieto heto, una fregatina di mano, nella
certezza di essere sempre in tempo per fare il
gacchetto; Merode si gratterà il mento nella fi-
ducia che comodamente gli verranno due baffi ed
lina barba prepotente per acquistare un po' di
ceffo chiavonico; Montebello si accovacierà nel suo
palazzo in aspettativa del bastone di maresciallo
per la grande abilità con cui avrà favorito papa
e borbonici e fatto le fiche ai soldati itahani.
A Torino il ministrerò studierà un nuovo pro-
getto di soluzione, che, appoggiato a splendide pa-
role, andrà da Torino a Parigi e viceversa, per
poi cadere come documento di una quistione in-
soluta sul banco della presidenza della Camera dei
deputati, a sollazzo di tutti gii onorevoli (ilo-inter-
pellanti. Dunque?-^Dunque dopo le attuaU inter-
pellanze saremo da capo dove eravamo due anni fa,
e resteremo sempre inchiodati al medesimo posto,
finché le parole degli italiani non si tramuteranno
in fatti serii e reali,
Ma, tu ci giri nel manico, mi direte voi : que-
sta tua, più che una tirata umoristica è un'elu-
cubrazione atrabihare. — Ebbene, poiché volete,
parliamo d'altro . . , . Ma di che debb'io intrat-
tenervi, Dio buono? — Vi parlerei del nostro
prefetto marchese Pes di Villamarina, il quale è
sapiente come lo sono tutti i prefetti (chi nega
questo epifonema merita sette anni di carcere
duro); ma, a dirvela schietta, di questo signore
non saprei quah sentenze mi sputare ; perchè, da
tanti mesi eh' egli è qui, nessuno ha mai visto,
nessuno ha mai udito, nessuno ha mai toccato il
nostro eccellente prefetto. Con ciò non intendo
mica dire eh- egU se ne stia con le mani in mano:
ina chi può constatare quello che ha fatto e quello
che non ha fatto, rimanendo, com' ei suole, nell' om-
jbra e standosene chiuso nel suo gabinetto di Mon-
forte, come un romito nella sua cella, come una
Odalisca nel serraglio del suo Pascià?Vi par-
lerei di alcuni consigireri del" nostro municipio che
giorni sono rifiutarono la miseria di cinquecento
lire ai poveri garibaldini che transitavano scalzi
e laceri, le vie della città ; i quah consiglieri vo-
tarono all'unanimità due dì dopo un enorme au-
mento di soldo agli scribi che poltriscono negli
uffizii del palazzo Marino : — ma anche su di
questo é megho tacere, perchè tutti conoscono l'a-
forismo. c/te il Comune è una varca , e chi non
sa tniuìfjcrla è un becco. — Per togliermi dun-
que dal ginepraio, vi dirò due parole dei nostri
teatri.
Al Re abbiamo la drammatica compagnia, di-
retta da Ernesto Rossi. lersera si recitò 1'
neW imbarazzo, commedia antidiluviana - esecu-
zione moderna. Il pubblico rise e poi si pentì. La
impresa non ride, perchè la sua Elena fu rapita
alle scene da un raffreddore che la tiene a letto.
Recipe : stufe sul palcoscenico e commedie col si-
stema russo !
Al teatro Fossati la compagnia Biagini-Pesca-
tori recita il dramma intitolato : / due carnefici.
Ma i carnefici non fecero teste, attesa la man-
canza di questa indispensabile estremità in chi
recita, e di pazienza in;chi ascolta! ,
Al teatro dell' opera comica abbiamo il Bottero
e la Pozzi, che raccolgono ogni sera larga messe
di applausi.
Al Carcano si sente 1' Attila, e certuni ne di-
cono bene, cert' altri male. Io - come Cobombio -
fra due opposte opinioni, sono sempre di parere
contrario, e trovo che, tolta la Sannier, tutti gli
altri di lei compagni si possono buttare tra gli
scarti.
La Scala tira innanzi ora colla Marta ora col
Faust : deP ballo non vi parlo per non ricordar-
mi delle gambe della Boschetti : — mi preme l'a-
nima, né me la vo' dannare per il peccato più
stupido che vi sia., quello di desiderio! . . .
Ancora un aneddotò' e poi mi cheto.
La signora Bazzurri, esimia cantante, doveva
mostrarsi r altro giorno alla Scala in una poetica
scena dì dolore e di disperazione, nell'opera Marta.
Bisogna dire che il suo parrucchiere se ne fosse
innamorato, e che perciò F avesse mal pettinata,
poiché nel momento appunto in cui ella rappre-
sentava la sua parte e lasciava cadere in liqui-
dazione i suoi magnifici capelli, gliene restò in
mano una ricchissima treccia. Inutile il dirvi quali
risa scoppiarono fra il pubblico a quella vista, e
la costernazione della povera donna rimasta colla
coda in mano. — lì sipario dovette calare !
Ne trarremo la seguente morale : — Le donne
al dì d' oggi, come gli uomini, debbono disfarsi
della coda, se non vogliono divenire il ridicolo e
lo zimbello del pubbhco ! — E con questo vi saluto.
E. M.
Col pianto del cuore accompagniamo il tristo
annunzio, che dar ci conviene, d'essere stato il
giorno ultimo di novembre l'ultimo anche della
vita di Giovanni Franceschi d'Almissa, Canonico
onorario della cattedrale di Spalato, ex Direttore
provvisorio di quel ginnasio, ed ora Professore
anziano del ginnasio superiore di Zara. Benché
da solo un mese qui dimorante, non però ci ve-
niva egli nuovo, sendo stata la città nostra dove
compiva r ecclesiastica instituzione ; dove tanti
porgeva nobili saggi della sua letteraria prestanza
e della ricca sua poetica vena; dove accolto fra
i professori di questo ginnasio, davasi ben presto
a conoscere per uno dei più valenti e stimabili.
Fu il primiero tra noi che s' avventurasse alla
impresa di pubhcare un giornale economico-lette-
rario, e quello eh' egli col titolo di Dalmazia con-
dusse da maggio 1845 a dicembre 1847 sarà o-
gnora un bel monumento, così dell'amore che lo scal-
dava per il benessere ed il progresso delia pa-
tria nostra, come dell'eccellenti qualità del suo
ingegno. Chè in lui era eleganza di stile, acume
di critica, sodezza di dottrina, copia d' erudizione;
e sia che in legata od in sciolta orazione, sia che
in itaUano, in latino, o in illirico d'esercltai-e la
penna si dilettasse, portarono sempre gli scritti suoi
l'impronta di tali doti; rese ancor più pregevoli
da quella bontà e gentilezza d' animo che lo ren-
dea caro a tutti, e di tutti gli conciliava la riverenza.
D'ingenua e mite indole, non era egli fatto per la se-
verità e la durezza ; quella sagacia non possedeva di
cui, pur troppo, conviene anche al merito vero
farsi talvolta schermo contro la malignità dei tempi
e degh uomini : quindi le sofferenze morali che a-
mareggiarono i suoi ultimi anni; e quindi anche
il fomite di quel fisico sconvolgimento che da più
tempo gli si pingeva lugubremente sul volto, e che
precipitoso irrompendo, lo condusse di botto al
sepolcro. E Zara, che si congratulava secostessa
d'averlo racquistato al proprio ginnasio, non bene
ve lo vedeva riporre il piede, e nell'amplesso git-
tarsi degli antichi suoi estimatori ed amici, che
restare dovea colpita dall'inatteso dolore della sua
perdita ; dolore, a cui non dubitiamo che sia per
far eco, e la gentile Spalato, dove ci è noto
quanto il nome di lui fosse pregiato e caro, e la
nostra provincia tutta, che venne a perdere in
esso uno de'più distinti suoi figli, da cui molto
potea ripromettersi ancora, non avendo egli che
appena compiuto i 52 anni.
Solenni l'esequie, per cura specialmente di
questo ginnasio. Tutte le confraternite, la scola-
resca di tutti gl' istituti, le fiebih armonie della
musica militare alternate al canto di tutto il clero
secolare e regolare, numerose torcie portate in gran
parte dagli stessi giovani studenti, iscrizioni e versi
in più lingue, folto sèguito di funzionarli publici
d' ogni rango e di cittadini d'ogni ordine, resero
più che mai splendido ed espressivo quel generale
sentimento d'affetto e di stima ch'animava la fu-
nebre pompa, cui prendevano parte anche l'ec-
cellentissimo sig. Governatore ed il reverendissimo'
mons. Arcivescovo, il quale dopo aver assistito
all'ecclesiastico uffizio, diede l'ultima benedizione
alla bara, che fregiata delle insegne canonicah e
di componimenti stampati e scritti, posava su de-
coroso catafalco in mezzo del presbiterio.
Tra le cose a stampa si lesse una breve ele-
gia di gentile signora, ch'erudita dal Franceschi
nelle italiane lettere, deve a lui di saper bella-
mente associare alle cure della famiglia il culto
amenissimo delle muse, ed esprimere gliene volle
pubbhcamente l'indelebil sua gratitudine.
Ai meriti ed alle virtù del defunto ci é grato
sapere che s' apparecchi rendere convenevol tri-
buto di ricordanza e di lode il sig. ab. Matteo
Ivcevich, che stato già suo discepolo e poi collega
nell'istruzione publica, fu sempre a lui tenerissimo
amico, e gli toccò essere anche il confortatore de-
gh ultimi suoi momenti ed il testimonio dolla pia
sua morte.
Gradisca frattanto l'anima benedetta questo po-
vero cenno che a noi dettava, frammezzo alla com-
mozion più profonda, un antico affetto, ed abbia
questa da lei tanto amata comune patria un An-
gelo di più in cielo che la protegga e conforti;
G. FERRARI-CUPILLI.
Consiglio Municipale di Zara.
sediUa pubblica del fjiorno 6 cor. alfe ore I 1
nella sala della Biblioteca comunale Paravia,
Ordi n e d el gio r n 0.
1. Ulteriori deliberazioni peli' iliuminazioni della
città giardini e rive durante l'anno 1863.
2. Proposta d'alienazione dell'antico torrione
di Malpaga.
3. Nomina d' un Assessore,
4. Nomina d' un direttore della biblioteca co-
munale,
5. Domande di sussidi e rimunerazione ad iiU"
piegati e addetti al municipio,
Tipografia Fiat^lII Battamv YijfCENZio Duplancich Redattore responsabile,
i giornali di una nazione chiamano monotone o
peggio {tooty-tooty) ie -celesti note di Kandel, non
si ha bisogno di altro per giudicarla sicuramente
• sótto questo riguardo, t per aver il diritto di dire
ché' il cotone. le. è penetrato perfin negli orecchi.
•Del resto, quelli^ satira acerba che il Giusti seri-'
veva "^QÌ. reuma d'un cani ante,- non perderebbe
neanche in America la sua applicabilità ; avve-
gnaché ad onta del poco senso musicale di que-
gli abitanti, essi pagano profumatamente i vir-
tuosi die approdano al loro emisfero per assistere
agli sbadigli dei palchetti e delle platee.
Lo spasso a cui di gran cuore si dedicano gli
Americani sono i giochi di forza (out of ilonrs ga-
mes), lo scivolare sul ghiaccio {pattiiiage) e le
' corse a cavallo. Fra i primi, tiene il posto d'o-
nore quello che dicesi box e che a noi altri Eu-
ropei sembra sollazzo più da facchini che da per-
sone civili. I boxers (non dissimili in questo da-
gli antichi gladiatori romani), una volta impegnata
la lotta, non cessano di martellarsi coi pugni fino
a che non siano rifiniti di stanchezza e di busse;
e si ritirano dal combattimento sformati in ma-
niera da non poterti più. riconoscere. SuU'esito
della lotta, s'avvicendano fra gli spettatori nume-
rose scommesse; cosicché, giunti alla fine, allo stre-
mo miserabile dei pugilatori, si unisce la rovina
di quelli^che, basandosi sull'alea d'una scommessa
vedono passare nelle mani d'un altro tutto o quasi
tutto quello che hanno.
Meno fecondo di simili effetti si è il pattinale.
Sul lago di Parc-Central, giunto l'inverno, si vede
giornulmeiite una folla di gente che va scivolando
sul grosso ghiaccio di esso e corre e s'incrocia e
s'aggira di modo, che la ti pare una treggenda
di stregoni venuti a far la rida con megser dia-
volo. Gli uomini sopra piccoli scandaletti di ferro
0 di acciajo (pattìnsj, le signore sopra slitte ele-
ganti e leggere spinte velocevolmente da servi-
zievoli dami, prendono tal gusto in quelle rapide
corse che non lasciano il parco se non quando la
notte è già fitta, per ritornare l'indomani a riprende-
re il giuoco. Se si può credere alle relazioni, date
cotidianamente dai diarii locali, vi furono dei giorni
nei quali sul quel piastrone di acqua gelata si
trovarono fino 50,000 persone; ma noi riteniamo
che, com' è superlativa la loro mole, sia un po-
chino superlativa anche la cifra surriferita.
In quanto alle corse a cavallo, l'è una storia
sì nota che noi riteniamo superfluo il parlarne.
La mania del cavalcare, presso gli Americani può
essere pienamente scusata dall' eccellenza dei loro
destrieri e da quella ammirabile leggerezza che
nulla detrae alla loro prodigiosa forza. Si citano
esempi di cavalli che hanno percorso al trotto
3. 200 metri in 4 minuti, con quella indifferenza
(!on cui un ronzino di messaggiera può fare le sue
cinque miglia all'ora. Vero è che da queir andare
a rompicollo, ne derivano spesso fratture, contu-
sioni e altre tali incerti; ma non per questo gli
Americani rinunciano a queir amore di furia pel
quale i loro treni ferroviari divorano 40 e 50 mi-
gha nel corso di 60 minuti.
Dalla preferenza da essi accordata ai piaceri
volgari sopra i piaceri di tempra delicata e gen-
tile, il lettore si sarà già immaginato che, come
di musica, gli Americani s'intendono poco di ar-
chitettur.ì, di pittura, e delle altre figlie dell' arte.
1 loro lavori architettonici avranno della grandezza,
della maestà; ma vanno spogli di quella indefi-
nibile impronta che, senza addimostrarsi più in
una parte che in altra, palesa nell'insieme l'in-
tervento del genio ed è il segreto dell' euritmia
edile. Vasti editìzii abbelliscono Nuova-York e le
altre inferiori città; ma non v'ha forestiero, che
vedendoli per la prima volta, non li prenda per
tanti magazzini, banche, borse, stabilimenti di ma-
nifatture, officine, e non provi una vera sorpresa
quando apprende eh' essi sono abitazioni di facol-
tosi privati, luoghi di beneficenza, scuole, univer-
sità, ufficii governativi et reliqm. I soli monu-
menti ai quali fu dato d'inspirarsi agli artisti di
America, furono i dodat, le darsene, e i arsenaU
fondati un tempo dai loro avoli inglesi; ed è na-
turale che con tali modelli non potessero riuscire
quello che sono riusciti, per e^mpio, gli artisti
itahani. Le memorie e le reliquie del tempo pas-
sato, si fanno troppo sentire in appresso perchè
quelli che soiio non sUnformino tanto o quanto
su quelU che furano o-non ne assumano in buona
parte il cacAeL ; ' ;
Lo stesso è da dirsi della pittura ; c^)n una pic-
cola differenza però. Resta fermo che gli Ameri-
cani se ne curano poco e 1' hanno in conto di vana
quisquilia. Ma ciò non toglie eh' essi possano van-
tare dei buoni pittori e delle opere pregevolissime
d' arte. Il nominare Elliot, Church, Jannes e Mi-
gnatt, dispensa dal dilungarci nel dimostrare ai
lettori che anche in America la pittura possiede
degli insigni cultori. Una particolarità da notarsi,
in questo argomento, si è l'abborrimento profes-
sato dalla maggioranza dei cittadini agli artisti
stranieri. Un pittore che si proponga di recarsi
negli Stati-Uniti coli' idea di farvi denari e di pi-
gliarvi pei capelU la volubile sorte, versa nel più
deplorevole inganno. I pochi lavori commessi, sono
commessi ai nazionali, e uno straniero, per quanto
superiore in merito a questi, per quanto limitato
nei prezzi, è sicuro di vedersi privo di pane se
non ricorre a qualche altra professione a cui ab-
bisognino braccia.
Tale la società americana attuale ; o almeno
tale una parte di essa. Essa abbonda di grandi
elementi di bene ; essa è giovine, forte, fidente
nell' avvenire. Che se pur in qualche lato del qua-
dro nereggiano delle tinte fosche e paurose, se
qualche volta alle nobili aspirazioni e ai palpiti
santi del cuore prevalgono i dettami del materiale
interesse che dimezza l'anima e ne inaridisce la
vita, non è lecito per ciò solo inferire (come da
taluni si fa) eh' essa sia affetta da tale un malore
al quale è impossibile arrecare rimedio. La pre-
sente guerra civile che per molti è lo strumento
della sua completa rovina, per noi è soltanto una
tremenda lezione di quella Suprema Giustizia che
punisce le colpe dei popoli come quelle degli in-
dividui, un'emenda degli errori commessi, un am-
monimento alle genera^oni , chiamate a compir l'o-
pera del sociale perfezionamento. D.r P.
^ ' fflw. Friul.J
• —P—•••—-—
Il discorso del D.r Giskra.
nella seduta del 26 nella Camera dei Deputati.
Questo famoso discòrso fa parte del rapporto alla
Camera a nome della Giunta finanziaria e si collega
colla diminuzione dei budget militare, rispetto a
che il Dr. Giskra ebbe a dire :
In questa direzione io sono guidato dall'intimo
convincimento che una diminuzione progressiva
dell' esercito sia ammissibile, perchè, secondo il mio
modo di vedere, le circostanze si sono consolidate
di molto a nostro favore, in modo che, se tutti
i sintomi dell' epoca non ingannano, non è da at-
tendersi per l'anno prossimo un attacco da quella
parte. Io poi, per parte mia, non temo neppure i
400,000 uomini votati in Itaha, nè truppe ita-
liane , che per il momento trovansi ancora sulla
carta, le quali dovrebbero marciare nella prima-
vera verso il Po e il Mincio, giacché mi rammento
che nell'anno 1812 l'Imperatore Napoleone, quando
comandava sopra mezzo mondo, non condusse in
campo che 580,000 uomini. Come potranno 400,000
Piemontesi minacciare nella prossima primavera le
fortezze dell' Austria al Po e al Mincio ? Non pa-
vento neppure i proclami di focosi condottieri e
di uomini distinti d'Italia, con cui si pone in pro-
spettiva una prossima guerra per la conquista di
Venezia, e si predica la crociata contro il suppo-
sto eterno nemico d'Italia. Si predica facilmente,
ma si fa la guerra molto più difficilmente. Io sono
partito dall'opinione che le condizioni politiche si
sono in complesso consolidate, e come fu osser-
vato ieri sono più rosee di prima, sebbene io ne
attribuisca il merito ad altra fonte che quella ieri
accennata. Le condizioni si sono in complesso mi-
gliorate; e in quanto la nostra diplomazia ab-
bia contribuito a tale miglioramento, la è un'altra
questione. Voglio trattenermi dall'esporre come,
secondo i sintomi esterni, queste favorevoli condi-
zioni furono condotte ben più da cause fuori del-
l'a?:ione della diplomazia auitritica, che da quo-
st' azione stessa {(irida: benissimo). Giacché la di-
plomazia austriaca non seppe rendere vano il trat-
tato di commercio franco-prussiano tanto minac-
cioso per noi; la diplomazia austriaca non seppe
impedire il riconoscimento del Regno d'Italia per
parte di vicini, che stanno con lei in rapporti a-
michevoli ed intimi; la diplomazia austriaca non
seppe impedire che una stirpe fedenile alemanna
pella quale battono non solo i cuori dei deputati
della Stiria, ma tutti i cuori tedeschi, venga mal-
trattata in modo affatto inaudito {Vive grida dì
Hravn). La diplomazia austriaca non si adoperò
in modo che possiamo uscire dallo stato di dover
rimanere in assetto di guerra. Dico, che noi stiamo
meglio per la forza delle circostanze, e non pel
merito della diplomazìa austriaca. Devo però ac-
cennare come inesatto quanto disse il mio onore-
vole amico della Moravia, essere colpa della pre-
sente direzione della diplomazia austriaca, se negli '
ultimi tempi abbiamo spesi 60 milioni di più di
quanto era necessario. Non esigerete da me, o
signori, eh' io entri nel campo della grande politica
europea, come fu fatto ieri in modo abbastanza
esauriente; io non voglio esprimermi sull'alleanza
franco-inglese; ma vorrei pure rendere attento un
onorevole preopinante della Boemia, che 1' amico
di là del Reno, raccomandato da un diplomatico
della stessa parte della Camera (accennando la si-
nistra), c'indusse colla sua alleanza nell'anno 1854
allo schieramento di truppe in GaUizia, coli'emis-
sione del prestito nazionale; che quello stesso a-
mico pochi anni appresso venne contro di noi
come nemico in Italia; che quell'amico è forse
causa, che dobbiamo ancora di presente avere uno
straordinario di spese di 20 a 25 milioni, perchè
egli fu nostro grande aulico ! {Ilarità). Concede-
temi soltanto di dire alcune parole relativamente
alla questione italiana, onde esprimere la mia o-
pinione individuale.
Io non disconosco gli sforzi d' una grande na-
zione di unirsi politicamente, ma non comprenderò
mai, eh' io debba recare danno a me stesso per
tale volontà altrui, e non comprenderò mai, che
per la ragione che in una parte dell'Austria si
parla italiano, questa parte dell'Austria venga ce-
duta alla poHtica italiana d'annessione, al co.nso-
hdamento nazionale, e ciò non soltanto nell' esten-
sione come la vorrebbe la carta dilatata dei con-
fini d'Italia, oltre il Brenner, per la Carniola, al-
l' Istria e alla Dalmazia ; ma io non cederei la più
piccola parte della nostra Itaha (Ihru^o Hravo).
Egli è ben questo il luogo, ove, in faccia ai
continui attacchi espressi in tal senso in altre
Camere contro F Austria, in faccia all' eterno grido
essere necessaria 1' unità nazionale, 1' autonomia,
e la grandezza, la conquista di Venezia, che qui
in questa Camera venga risposto espi'essamente
"No,„ e da questa Camera verrà udito da lunge
— No, la grandezza e la potenza dell' Austria
non permettono che venga tolto neppure un pai- *
ino della nostra Italia, e noi sacrificheremo uo-
mini e denaro perchè nulla del suolo austriaco
venga ceduto alla politica annessionista d'Italia.
{Fragorosi applausi.) Dicasi un po' all' Inghilterra
che ceda l'Irlanda, che non è inchnata per la
Granbrettagna, o che ceda l'Indostan, Gibilterra,
0 le Isole Ionie. Tutti questi luoghi essa h di-
fenderebbe colla sua ultima nave, e col suo ul-
timo soldato. Per quanto vivo sia il desiderio dei
filelleni di possedere l'Isole Ionie, la prudente e
ricca Inghilterra, ben progredita nella politica, non
cederebbe alla Grecia neppur un palmo di terra.
E la Francia cederebbe ella 1' Algeria ? Non si
opposero le tribù arabe fino all' ultimo momento
colle armi alla mano per non voler divenir fran-
cesi? Nondimeno la Francia noi farà mai, e se
questa curiosa esigenza dei tempi moderni dovesse
valere, che si dovessero formare gli Stati secondo
la lingua, o come sono conformati gli occhi, od
il naso {ilarità), o secondo l'idioma che vi si ^
parla, in quale caos piomberemmo! Certo sarebbe
questo pensiero il più insano e più infelice , che
si dovessero dividere o formare gli Stati secondo
la nazionalità. Gli Stati si formano secondo leggi
più sublimi. Non è già perchè l'inglese parla la
-sua lingua, e lo scjzze-se la sua, ma perchè sono