nel suo cuore un altro più vivo sentimento per
Amalia.
Frattanto si stabilisce la partenza di Aimisso
per la Dalmazia, afiincliè egli ritragga notizie
sulla sua famiglia. Sembrerebbe che Venezia fosse
stata distante d'Almissa come le isole di Sandvig.
Il nostro autore fa viaggiare il povero Ai-
misso; ma questo viaggio è dilettevolissimo, per-
chè, invece di correre in Almissa per aver con-
tezza della sua famiglia, e squarciare il velame
che copriva la sua esistenza, egli si ferma a
Trieste, fa escursioni archeologiche, vede certo
castello di Lveg^ di Novooglio^ passa a Pola, e
a Capo d'Istria, n'esamina le antichilà, ne scri-
ve ad Amalia, e trova gran gusto nel bere del-
l' ottimo vino vecchio della Brazza.
Ma un'orrenda procella ne coglie il navi-
glio nel Quarnero; tocca Cherso. le isole di Orbo
(invece di Ulbo), Siloe (invece di Selve), di
Melada, di Pago, e finalmente approda a Zara.
L'autore descrive il porto di Zara come
assai vasto per contenere vascelli (?); ha l'im-
pudenza di ridere della veneranda reliquia di san
Simeone, e non la crede il corpo del santo; si
lagna che Zara ha una delle più grandi prioa-
z4oni^ cioè la mancanza di aqua, eh' è d' una
rarità eslrema; i nobili e ricchi per V insalubrità
dell' aria passano la bella stagione in campagna.
Aimisso presenta le lettere commendatizie
al Provveditore; questi gli procura divertimenti,
gli fa vedere A'oa«?, Biograd., e Zara-vecchia;
cosi tra Zara e Zara-vecchia vi è una città, che
noi, poveri ciechi ed idioti, non conoscemmo
(inora, poiché ritenemmo sempre essere Zara-
vecchia in italiano e Biograd iu illirico tult' uno.
Di più, quel razza di cane d' Attila sarebbe a
bella posla venuto niente altro che a distruggere
Zara-veccliia. Che tesoro di notizie storiche e
topografiche !
ìHa una lettera venuta da Venezia, fa che
Aimisso, dopo tante cortesie ricevute dal Prov-
veditore e munito di salvo condotto e di ordini
dati a tulle le autorità, parta sopra una felucca.
In quel viaggio ei misura coli' occhio i monti.,
che lunghesso il^canale si alzano tredici a se-
dici metri al disopra del mare., mira gruppi d'i-
sole parie incolte., sterili., sabbiose., alcune di u-
na natura feconda e lussuriante., ombreggiate da
alberi magnifici, irrigate da argentei ruscelli.,
altre giganteggianti., che prolungano le loro e-
normi basi fino alla riva del mare; là., tra mez-
zo., capanne selvagge-^ vede (stando però sem-
pre nella felucca) colonne orgogliose e solitarie
della maestosa antichità; qua larghi laghi., il
mare., la terra., e i cieli popolati d' uccelli di
tutte le specie. E così tra queste meraviglie giu-
gno il nostro Aimisso a Sebenico.
Ma pare che qui il povero Aimisso sia un
po' disturbato; perchè volle sfortuna che in quel
giorno si accompagnasse un morto al campo
santo. E il signor Levasseur fa piangere dirot-
tamente cinque parenti. Che bordello di funerale!
Si grida, si si straccia i capelli, e via via ; ma,
sepolto il cadavere, si muta la scena in baldo-
ria, si va a mangiare e a sbevazzare insieme
col prete, per far gli evviva al decesso. JVla Ai-
misso è già ristucco di Sebenico; parte a Scar-
dona, per vedervi la cascata dei Kerka; chiama
Scardoua una delle più belle città della Liburnia;
ma si sdegna contro quella popolazione, secondo
lui, assai mediocre (très-medioeres)., che ha di-
strutto i più be' monumenti dell' antichità. Alla
cascata del Kerka ei s'inchina alla divinità e
r adora, il viaggio prosegue: Aimisso, dopo pas-
sato le isolette di San-Mario e Rianca e l'isola
di Licana (sono parole testuali dell'autore), ar-
riva nel canale di Bazza (sic') su cui giace Spa-
lato. Ci fa conoscere che gli eretici, sotto il
basso-impero, venivano relegali nell' isola Bua:
isola eh' ei loda assai per essere coltivata con
cura, e specialmente lunghesso le sponde; men-
tre basta vederla, per convincersi dell' opposto.
Ciò che maggiormente lo fa sorprendere, s'è
che, sotto il cielo dolce e temperato di Traù,
un' infinità d'insetti sembra cospirare per distrug-
gere le produzioni della campagna. Infelice terra!
il signor de Levasseur scoperse iu te un verme,
che mangia il grano, e che gli abitanti appellano
magnacoz., ed una specie di tarantola, assai ras-
somigliante a quella delle Calabrie, che gì'illirici
chiamano Pauk. II signor de Levasseur non ha
da occuparsi di altro che di descrivere questo
mostro di Pauk., che gli ha fatto proprio paura.
Aimisso però, sgomentato poc' anzi dalla
vista del Pauk, si rianima ad un nuovissimo spet-
tacolo; e vede tutti gli abitanH grandi e piccoli.,
nobili e borghesi., portarsi nella chiesa di Bua.,
oce due giovani si fanno pobratimi e due ra-
gazze possesirice. E qui descrive questa ceri-
monia, e sì grosse ne inventa da farvi riderò
di cuore. Notate però che tali cerimonie di fra-
tellanza si usano nei paesi montani fra i Mor-
lacchi, e non nelle città marittime; nè mi ricordo
che nelle chiese di Traù si praticassero cosifatte
cerimonie.
Arrivato a Spalato, sentite le meraviglie
eh' ei racconta: Che sono queste ruine gigantesche
di Spalato in paragone di quel monte Mariglia-
no (sic) le cui cime sembrano sfidar le tempeste?
Che diviene Spalato stessa a piedi di questa e-
norme montagna (di Marigliano), sulla sommità
della quale la diffidenza ed il furore dell' uomo
hanno fabbricato le muraglie delle guerre., e de-
posto r apparecchio della folgore delle pugue ?
Queste notizie ci riconfermano nell' opinione
che il sig. Levasseur non sia slato fra noi, ma