SKara 34 et (em lire t§63.
Voce
Prezzo d' associazionp in valuta a astria ca per
Zara: per un anno fiorini 8: per sei iìit?>;i (ioriiri 4;
per tre mesi fiorini 2. IM rimanente delia Provincia
e fuori: per un anno fiorini 9; per sei mesi fiorini 4
soldi 50; per tre mesi fiorini 2:25. Per l'estero, e
pel Lombardo Veneto gli stessi prezzi inargento, fran-
che del porto-posta.
Giornale polìtico-letterario
Esce il Mercoledì ed il Sabato.
f o-riippi r le t'oniinissioni. franchi dell" spesa
post;di, si dii'/;I';in<) in Zara H VUÌOCUZO Duplanrieh R."-
diitton; della Voce LUtlmuticit. e gii abbuonamenii. HÌ
ni'jjozii librarii dei siiiioi-i fratelli Battara e Pietro
Abelieli. (ili avvisi ili 8 linee eostano I fiorino, e ogni
linea di più suldj (ì. LH tassa di finanza resta a carica
d>;l committente. Un numero separato costa soldi IO
La Redazione della Voce Dalmalica, vista da un
canto la difficoltà di rinvenire, nella stringenza del
tempo e nelle condizioni presenti, chi voglia as-
sumere r impresa e la compilazione del giornale,
e considerato dall'altro il rincrescimento con cui
fu accolto in generale l'annuncio della sospensio-
ne pur temporanea di un qualsiasi periodico che in-
tenda difendere la patria autonomia, deliberò, com-
posti e accomodati alla meglio i propri interes-
si, di continuare le sue pubblicazioni. Viene per-
ciò riaperta l'associazione pel venturo trimestre,
invitando i signori Socii di riftnovarla senza por
tempo in mezzo, affine di evitare interruzione o
ritardo nella spedizione del giornale. Si pregano
poi caldamente quei signori associati che fossero
ancora debitori dell'abbonamento del passato tri-
mestre, di spedire senza più gl'importi dovuti,
per non accrescere difficoltà alla impresa, già sov-
verdiiamente aggravata.
Appendice alla lettera di N. T.
stampala nel n. 37, ddla Voce Dalmalica^
Accennasi a quel che scrissero gli abitanti di
Sigli, di Stretto, e di Zlarin, affermando d'essere
Slavi e tenersene. Non solamente per la temperanza
del linguaggio ma, per le notizie che contiene,
sarà letta da'buoni non senza piacere la lettera
che a me indirizzarono circa due mesi fa gli abi-
tanti di Zlarin; della quale io tralascio le parole
di troppo amorevole lode a me. Superfluo avvertire
che nulla ci è aggiunto o mutato da me nè da altri.
E non sò quanti Municipii d'Italia potrebbero
in forma più italiana esprimere sensi più dignitosi.
N. TOMMASEO.
, . . . Dediti, come la tradizione ci narra, da
assai tempo alla navigazione e perciò stesso a
contatto dapprima con l'Itaha ed ora con tutto
il mondo, non avremmo potuto resistere a quello
spirito di libertà e progresso^ che agita le nazioni:,
e che non tarderà mercè le recenti scoperte che
ageTolano la comunicazione delle^ idee ed a?-
vicinano fra loro i popoli, d'informare a civiltà
APPENDICE.
In occasione dell' ingresso solenne alla sede
arcivescovile di Zara di Monsignor Illusi, e Kev. vmvwko MAtnPASi
YERSI.
Se dopo lenti e tedovi
Giorni di smorta luce,
Pacificato sd ilare,
0 priego 0 amor conduce
Il sol, che dal suo vertice
Porge la fronte amica
Alla sua fida antica,
Cui Dio lo disposò:
A fargli festa surgono
Ville e cittadi ft prova.
Di proda in proda l'opera
La vita si rinnova;
Caldo di speme un alito
Neil' ime zolle ferve,
E tutto plaude e serve
All'astro che tornò! —
anco le renitenti. Fu oltracciò gran ventura, l'a-
vere il senno de'nostri m^aggiori provveduto al
r educazione con parrochi^ invitati a venire talor
anco da luoghi lontani della provincia, die erano
in voce di dotti, e la cui memoria vive benedetta
fra questi abitanti; finché or son pochi anni, s'in-
stituì la scuola comunale. E appunto a tali felici
circostanze dobbiamo quel senso di civiltà da Lei
accennato. — Accettiamo riconoscenti il conside-
rarci che Ella fa a ragione quasi suoi concitta-
dini; perchè tali potremmo dirci veramente, sendo
Zlarin non altro che un sobborgo di Sebenico
alla quale vincoli di sangue, di parentele spirituali,
d'amicizia, di traffichi ci legano così, da farci parte
della medesima.
L' accoglienža ospitale, che famiglie nostre eb-
bero dalla sua, ci rammenta le non meno liete
accoglienze che alcuni di noi ebbero da Lei, Il-
lustre Signore, in Venezia nel 48, e vive tuttora
e vivrà sempre fra noi gratissima la memoria
de' benefizii, che i nostri pescatori del corallo rice-
vettero da Lei, esule in Corfù, abbracciati e baciati
con affetto paterno, a'quah Ella profferse assistenza,
li visitò infermi ed in certi lor bisogni s'interpose
efficacemente a prò loro presso quel Governo.
Noi siamo Slavi e ce ne teniamo,
amiamo la nostra lìngua perchè nostra, e perchè
bella di bellezze recondit^v ignote a chi pretende
di farcela in ciò da maestro. Le canzoni del Kacich
sono lette e cantate da que'pochi che sanno di
lettere, come le cantano il nostro marinaio e il
contadino e le donne. I frutti esotici, al contra-
rio, non li gustiamo punto; e non è mica perchè
abbiamo ottuso il palato; tutt'altro, chè anzi se
il cibo è nostrano, e da'nostri con nostri elementi
ammannite, lo assaporiamo avidamente. Tale era
la Zora, giornale slavo, per noi di grata rimem-
branza pe'dialoghi dell'or defunto canonico San-
tich scritti in quella bella lingua dalmata, quale
la parla il popolo, e pieni di utili ammaestra-
menti, e pegli articoli dei signori Ivichievich e
Verdogliak ritraenti del pari la voce ed il modo
di dire popolari. Così faremmo buon viso a qua-
lunque altro scritto che ci si presentasse vestito
Santo Pastor! cui nobile
Sorte concede il freno
De' peregrin che anelano
Sul mio natal terreno,
Perchè cemento e vincolo
Tu sii d'amor, di pace,
E guida alla verace
Patria che niun può tor;
Io ti saluto e venero
Siccome un nume anch' io.
Ma in venerarti trepido
Ammuto avanti il Dio,
Che questa rea compagine
Di polve e di peccato
Oltre il mortale stato
Mortai solleva ancor:
Sì verecondo e tenero
Il pio ti porgo omaggio,
Ch' a Dio ' ritorna, a volgere
A chi ne veste il raggio:
Raggio vital deifico
Che casto e aperto a tutti
Sol può affidar di frutti
Gli steli che avvivò. ^
della veste nazionale. E al bisogno di cosi fatti
libri, universalmente provato, s'accinse di soddi-
sfare la Giunta, e ci riuscirà, lo speriamo. Che se
ci è cara la lingua nostra, non potremmo seiiza
taccia d'ingrati disprezzare l'italiana, da cui ab-
biamo quel poco che sa])piamo, la cui mercè siamo
ospiti graditi nelle città italiane ove approdiamo,
e che per la grande sua diffusione ci è mezzo
migliore che non la nostra a farci intendere in
tutte le altre parti a cui ci rechiamo, per remote
che siano. Perciò non che bandirla da noi, dob-
biamo porre ogni studio che i figli nostri siano
in iscuola ben addestrati nel parlarla e nello scri-
verla, per non prirarii de'suaccennati vantaggi.
Ben a ragione Ella ci dice che "se la patria
nostra rimaneva possessione Croata, la famiglia
di Marco Polo non sarebbe stata da Sebenico
donata a Venezia ed al mondo; di quel Polo i
cui scritti furono ispirazione ed impulso alla sco-
perta del Colombo». E se è lecito di compai^are
le cose minime alle somme, noi diremo alla no-
stra volta, che se Dalmazia fosse stata unita
a Croazia, gli abitanti di Zlarin non sareb^
bero, come lo sono i piìi, marittimi, cui il
Commissario di guerra in Sebenico con decreto
1 decembre 1807 chiamava valorosi; nè posse-
derebbero, come posseggono essi soli, il secreto
della pescagione del corallo. Certamente questi
beni non ci sarebbero potuti venire di Croazia,
poiché nessuno sà quello che non possiede. Fu
invece dall'Italia che li ebbero gli avi nostri, i
quali mossi dall'esempio e dall'incoraggiamento
de' Marchigiani che a queste rive approdavano per
trafficarvi, non indugiarono d'imitarli dandosi alla
navigazione, e annodando seco relazioni commer-
ciali: e dall'ItaUa apprendemmo parimenti l'arte
del pescare il corallo; poiché i Conti Galbiani di
Sebenico accintisi a tale impresa, e fatti venire
all'uopo de'pescatori Napolitani, trascelsero fra
gh abitanti a mare di questo distretto i padri
nostri per farla loro insegnare.
Deploriamo, che la questione dalmato-croata
abbia divisi gli animi nella patria nostra, viventi
finora in fratellevole concordia, non ostante le due
Oh dolce torna al reduco
Sol della vita il canto:
Però non sdegna il crepito,
Ch'in solitario cànto
Gli alza una foglia, ch'esule
Dalla materna vetta,
Non più quel raggio aspetta
Al cui tepor sbocciò. —
Ma quella fè, la semplice
Fede del pargoletto.
Selvaggio ancora a' torbidi
Del dubbio e del sospetto;
Questa che specchio e regola
Proposta fu a' saputi.
Ed a'consigli astuti
b' un demone crudel ;
Fregii a mia musa il candido
Lume del santo errore,
Che crede al cuor, agl'impeti
Del sempre vivo amore.
Che del suo pondo libero
Copioso altrui si spande
In laudi ed in ghirlande
A cui consente il ciel. —
è
f
tiiii3iito per uu oggetto, il quale non è in sostanza
che un ridicolo sogno di un 1.
Ad altra querela ti porge appicco V iscrizione
dello spedale ora civile, ma in origine militare (spe-
dale di malati, e non ospizio d'invalidi, come tu
il dici), giusta la quale parrebbe che foss' egli stato
dal veneto governo costrutto soltanto pei soldati
italiani ed epirotl Che ai fedeU Schiavoni, tu pronto
soggiungi, ne avesse preparato uno, non ci consta.
•—- Io non so quali regole tenessero i Yeneziani
riguardo a taU stabilimenti; so bensì che un'al-
tra interna iscrizione fa destinato il nostro cegris
mìlitibus curandis, senza distinguer nazioni, ed in
ogni caso, quand' anco non ci fosse ivi luogo per
gli Schiavoni, lo che non credo, ciò vorrebbe non
altro dire se non che sarà stato ad essi già prov-
vevuto in qualche altro modo, come sarebbe h-
cile a rilevare con qualche investigazione ; ma tanto
mi par ella superflua, che stimerei di fare io stesso
un oltraggio al governo veneto con V eseguirla, piii
che non altri cercasse di farglielo con quella ma-
ligna scempiezza.
È da stupire, del resto, che tu nel suddetto in-
contro abbia degnata di fede un'iscrizione veneziana;
tu che le stimi tanto bugiarde^ d'aver meritato che
10 stesso governo veneto vi facesse delle cancella-
ture. Ma tu che altri appunti di bugia, sei pie-
namente certo di parlare anche in quest'argomento
la verità ? Osserva ben quelle scritte, e vedrai che
le cancellature colpirono non gh oggetti ramme-
morati, ma soltanto i nomi e qualche particolarità
riferentesi alle persone, per lo più Provveditori
generah, che vi figuravano, e ciò niente per altro
se non perchè Venezia stimava non conveniente
alle costituzioni del suo governo che paresse at-
tribuito in simih monumenti ad esclusivo merito
di particolari individui ciò ch'essa riferito voleva
all'intero corpo sovrano dello Stato. Da questo
motivo di tali cancellature a quello delle hiigk da
^ sognato, ci corre; non dire adunque degli altri
ciò che potrebbe dirsi con più ragione a te stesso.
Felice il governo veneto, mio buon I, se d'al-
tre colpe non gli si potesse dar taccia che di quelle
da noi discorse, o d'altre simili che discorrere si
potrebbero. Volpina ed egoistica sia pure stata
quanto si voglia la sua politica, io qui non cer-
co in tutto difenderla ; ma eh' ella esercitasse an-
che sulle opere materiah queir odiosa parte da te
pretesa, non crederò mai, sinché tali saranno i fat-
ti, quah a noi vennero finora mostrandosi. Credo
bensì, fratello caro, che la pohtica dei governi,
con la sua trista coorte di scaltrimenti e doppiezze,
sia stata sempre la medesima in ogni tempo, senza
che però sian tutti giunti la sapienza del veneto
ad emulare, del quale, ammesso anco che gravi fos-
sero le peccata, conviene pur confessare che grandi
eziandio fossero i meriti e i benefatti, se tanto seppe
guadagnarsi l'affetto dei popoli, quanto glielo di-
mostrarono i leali e prodi Schiavoni, e durante il
periodo lungo del suo dominio, ed all'epoca spe-
cialmente di sua caduta.
Una cosa mi resta, per ultimo, a dirti ancora,
facendo teco passaggio dai monumenti pubblici ai
privati degl' illustri Zaratini, e questa è : non a-
ver mai nessuno disconosciuto, ma tutti aver anzi
sempre degnamente apprezzato i meriti che qual-
che Slavo acquistossi colla città nostra, come
11 Giovino, e non aver nessuno aspettato d'impa-
rare da te che foss' egli d' origine serviana, sendo
già stato avvertito ciò molto innanzi, col testimone
appunto della sua pietra sepolcrale, da un Zaratino,
che di lui scrisse nella Rivista dalmata n. 3 del
1859. I Zaratini mai non furono tanto incuranti
della propria storia, d'aver duopo che altri li con-
duca per mano ad apprenderla sui moiunnenti loro,
con quella novità di vedute che è propria soltanto
di certe menti privilegiate, ond'ora s'adorna, per
sua grande ventura, la città nostra; non furono
però mai neppure tanto presuntuosi di sè, da non
soffrire che anche altri consacri alle cose loro gh
miditi suoi studii, e molto anzi sapranno gra-
do a chiunque lo faccia, purché guidato da quello
Spirito d'imparzialità e rettitudine, die solo può
sempre più rischiararci la via del vero. Lo che
ijuanto di te, mio buon L, possa dirsi, le cose il
provano fi-a uoi ragionate in questa (come tu la
chiamavi) escursione archeologica. La quale ormai
giunta essendo al suo compimento, altro non mi
rimane che prendere da te riverente connato. Nelle
parole tue, chi volesse, trovare forse potrebi)e ad
altre molte l'appicco; ma siccome io so bene
d'averne sinora fatte più del bisogno per un og-
getto, sul quale, anche senza di esse, chiunque ha
fiore di senno poteva già proferire da per sé stesso
il conveniente giudizio, e decidere qual sia la parte
che dovrebbe arrossire di certe sfide ; così di più
non m'inoltro, e baciandoti per l'ultima volta
la mano, d'essere godo a quel punto già pervenuto,
che tanto è qualche volta sospirato dall' uditorio
di certi oratori — il punto cioè dell' ''Ho detto
Con tanto maggior piacere diamo luogo al se-
guente articolo, mandatoci da Curzola, in quanto
che, oltre all' evidenza delle verità enunciatevi, e
l'opportunità generale degh annnonimenti e con-
sigli offerti, li troviamo per avventura pure alle
condizioni nostre singolarmente adattati. Purtrop-
po nelle prime ore di sera non solo, ma talora in
pien meriggio, si odono risuonare per la nostra
città nelle bocche del povero popolo, e ciò che è
più doloroso, de'fanciulh più teneri, canzoni sem-
pre nuove, venute non si sa d'onde nè come, nelle
quah al più sfrontato cinismo si congiunge la sci-
pitezza delle parole e la trivialità delle melodie,
con fastidio indicibile delle orecchie, e offesa e
danno presentissimo del pubbhco costume. Noi pos-
siamo in qualche modo intendere che in paese
vasto, dove nell' ampiezza delle vie e delle piazze,
riempiute d'ogni frastuono^ siffatta sconcezza passa
inavvertita, e, fuorché per coloro che vi si av-
voltolano, innocua, non si voglia e non si possa
darsi briga di impedirla o scemarla; ma in città
piccolissima, dove la popolazione densa vive stret-
tamente accostata, dove tah canti entrano per
forza in tutte le orecchie, a ingombrare le menti
e contaminare gli animi degli abitanti d'ogni età
e d'ogni sesso ; non ci pare perdonabile che non
si procacci con ogni energia di vietarla e toglierla
con misure anco severe. E Siccome poi d' altron-
de, r efficacia, elei. divieti ei-dólle misure di rigore
non potrebbe essere che momentanea , non mai
perenne e generale, nè tale da portare rimedio
verace e radicale ; questo ci pare sia piuttosto a
cercare nella maggior cura per la educazione e
coltura del popolo, di quella infima (cioè misera)
parte del popolo, che ovunque altrove si procura
oggimai di sollevare a dignità di nobile sentire e
di onesto e morale operare. A questo gioverebbero
mirabilmente, (nè forse sarebbe impossibile di isti-
tuirle fra noi, con migliori e più serii intendi-
menti che non si sia fatto finora) quelle scuole
dominicali o serali, fiorenti già in ogni colta città
e paese, dove adulti e fanciulli possono attingere
gratuito, e facile, e piacevole insegnamento, volto
soprattutto a dirozzare gli animi e polire il co-
stume, a far comprendere e sentire la stretta obbli-
gazione dell'adempiere scrupolosamente il dovere
e seguire i dettami della morale, sentimento che
invano si cerca in chi fu abbandonato agl'istinti
di natura e a' consigli dell' amor proprio. Giove-
rebbero sovrattutto, e più direttamente, le scuole
popolari di canto, dove da prim'anni ciascheduno
del popolo potesse venir educato al sentimento
del bello e a squisita gentilezza di affetti, nelle
quali gli fosse fatto agio di udire c gustare e ap-
prendere quelle armonie temperate e quelle soavi
melodie che sono appunto essenzialmente educa-
tive, di imparare ad esprimere sensi affettuosi e
morali in ritmiche parole di semplice sapienza,
delle quali appunto sarebbero esempi mirabili quelle,
accennate nell' articolo, del Tommaseo, e dal Sai-
ghetti musicate. Ed altre se ne avrebbero del Dal-
l' Ongaro e del Buffa, altre sarebbero da procac-
ciare aposta e da vestire acconciamente di note,
avuto sovra ogni cosa mente a escludere ogni sorta
di musica da teatro, la quale intesa a fine diverso,
avrebbe qui per effetto di suscitare più elio di
temperare le passioni, e sarebbe coruttrice meglio
che educatrice. E siffatta istituzione avrebbe com-
pimento, e sarebbe per di più mirabile prepara-
mento, per coloro che vi avessero una singolare
attitudine, all' insegnamento superiore clic può
ognuno che il voglia ritrovare nella Società filar-
monica, la qiiale è tanto d jcoro e sì grande utilità del
paese nostro, e avrebbe così maggiore increni3nto
e prosperità, e salirebbe a maggioro importanza e
dignità di ufficio.
E a creare tale istituzione e travare i mezzi
a ciò più opportuni ed efficaci, a indirizzaria con
sapienza e perseveranza ed amore al vero suo
scopo, per autorità e per posizione sociale e per
singolare attitudine, sarebbe appunto proprio quel
Giovanni Salghetti, di cui nell'articolo, e il quale
diede di sè tali saggi di valore, da dare diritta
di attendere da lui, e in ordine all'esercizio del-
l' arte, e in ordine alla operosità sociale e citta-
dina, cose maggiori. E qui perdoni egli se ci per-
mettiamo, coir autorità dell' attetto, di animarlo a
questa impresa, di pregarlo caldamente a tentare
cosa che riescirebbe immancabilmente di solenne
onore suo e di verace utilità della patria.
I canti del popolo.
da Curzola.
È il canto un vero bisogno, è uno sfogo del
cuore. Tutti i popoli n'ebbero, e in tutti i tempi,
dall' armonioso e misurato dei greci, in antico, fino
al cupo e sordo dei Tarn - Tarn degli odierni sel-
vaggi dell' Oceanica.
Nò sola n'è inspiratrice la gioia. "Il cantico,
dicea s. Agostino, e prega e geme, e teme e spe-
ra, e gioisce, e si rallegra,,. E come canteremo,
misere a noi, in terra straniera ? diceano lagrimose
in esigilo, le figlie di Sion. Eppure quelle deso-
late, dal crine incolto, scioglievano in riva all' Eu-
frate un cantico (Ps. 13G), caro, anciie dopo ven-
totto secoli, a chi sospira invano il tetto nativo.
Hanno i suoi canti le nozze, le messi, e le ven-
demie, ma ne han pure le sanguinose battaglie, e
gli stentati lavori, e le funebri bare. Tirteo, e i
bardi nostri, spronavano i guerrieri ai fieri ludi
di Marte : antico è il cehiisma , che fa andare
a voga arrancata 1' abbronzato rematore, e noi ve-
diamo, sui nostri cantieri, tutto giorno, il canto
unire le individue forze di molti in una sola ri-
sultante, succedaneo emulatore di leve potenti, di
che ancor difettiamo.
Figlio del cuore il canto, egli è che ne disvela
Io stato, nè pare s'ingannino coloro, che dai modi
e ritmi de'canti di un popolo, concludono alle con-
dizioni della sua vita : certo che i flebili toni mi-
nori degli Slavi, e il canto gemebondo del Fellah
dell' Egitto, non hanno lo stesso senso dell' agile
canto di un popolo, più o men soddisfatto.
Parto del cuore il canto, egli torna al cuore,
come a bacio materno, e lo agita, e lo consola, e
lo rattrista, e, se degno, lo sublima, ingentilisce,
e a sensi degni lo desta de' suoi alti destini. Canili
solata laborem accendere cantu. Lasciamo a parte
i miti di Orfeo e di Amfizione, che pur hanno
qualche senso, e le meraviglie operate col canto,
da Terpandio sui Lacedemoni, da Solone sugli A-
teniesi: noi cristiani, sappiamo per prova, come
parlino al cuore i gravi cantici della Chiesa, nei
giorni più solenni de'suoi augusti misteri.
I legislatori della Grecia, riguardavano il canto^
come una parte assenziale della educazione, come
uno de' più bei doni del cielo, e vegliavano atten-
tissimi che non si allontanasse da quella decenza
e dignità, che n' è F anima, la meta, il carattere
primiero. Plutarco ne scrisse un libro , Aristotele
e Platone, nei loro libri della Repubblica, vi de-
dicarono calde pagine e luminose, e Cario Magno,
neir evo medio, lo affidava ne' suoi Quadriviutn
alla Chiesa, gelosa custode della joubblica costu-
matezza. E il secolo nostro, questo secolo, che stan-
ca la malena perchè lo fornisca di piaceri, è egli
penetrato del nobile influsso de' canti popolari sul
pubblico costume? Clie cosa facciasi altrove, noi
non sappiamo: la sola Lira popolare, uscita, non
è molto, a Trieste, ci è nota, e noi la salutammo
come lieto augurio. Ma tra noi? ....
Non sono pieni quattro lustri, che il nostro po-
polo cantò le feste, le sagre, le nozze, le colendt^^
e se nelle belle notti estive dio talor nell'erotico,
raccolto e pudico era il suo canto, come il raggio
mite della luna, ti-auquillo come la sottoposta on-
da marina: T uccello, il fiore, l'eco della moutii-
• J&arebbs quello di farmi intendere dalla maggio-
ranza deir intelligenza Dalmata, che poco ne a-
Vrebbe saputo, poco informata essendo della lin-
gua nostra. E trattandosi di un argomento di grande
importanza, die, se non adesso, in futuro la po-
trebbe riguardare, e renderla cieca seguace di una
dottrina che minaccia di alterare, corrompere e
ftiTprare la nostra bella lingua Slavo-dalmata ; mi
tro?o costretto, onde metterla in guardia, di scri-
vere questo articolo in lingua italiana, che non
ho mai coltivato per aspirare nemmeno al posto
di mediocre scrittore. E qui mi cade tosto in mente
che a taluno potrebbe sembrare strana quest' aria
•di dottrina che pare assuma, nel voler erigermi
giudice 0 quasi giudice di un affare che spette-
rebbe a merito assai superiore al mio. Ma io vedo
dappertutto un silenzio poco dignitoso, un lasciar
fare; quindi mi persuado che sia ormai tempo che
qualcuno anche dalla mediocrità sorga e alzi la
sua voce; e tale io ora mi presento, che credo
•di poter avere voce in capitolo dopo tante fatiche
<ì lucubrazioni sostenute nello "studio delle cose
patrie ; quindi mi persuado, o a ragione o a torto
giudichi chi vuole, che sono capace di dire alcun
che di buono, e mi lusingo di potere gli uomini
intelligenti persuadere.
La merce non ha guarì vendutaci dal D.r Pe-
tranovich e che porta il titolo scritto in fronte di
questo articolo, devo rigettare, e proverò perchè
la rigetto. Questa opera veramente non è sua., ma
di alcuni letterati, fra i quali egli pure figura,
raccoltisi, non in Dalmazia, per compilare una ter-
minologia giuridica in lingua slava; e la compi-
larono, e col favore del Ministero la stamparono
e diffusero, e una copia mi fu mandata dal Go-
verno qual norma da seguirsi nella traduzione de-
gli atti uffiziaU quando ero redattore del Glasnik
Dalmalinski, e ne feci ampio uso anche nel foglio
giuridico Prcmlomm, sebbene contro voglia; ma
mi doveva adattare, non potendo allora, oppresso
da moltitudine di affari, pensare a creazione di
yocaboH nuovi.
Il sig. Petranovich, ingegno mezzano, scrittore
corretto s\, ma senza stile, è seguace della nuova
riforma e dittatura sorta in Croazia, ad oggetto
di propagare volens nolens un gergo fondato su
pensiero tedesco, tedesco essendo stato il lungo
tirocinio degli studi percorsi da quei riformatori.
E si intende da se, che tale diffusione ha per scppo
runità della lingua in Dalmazia e Croazia, non
compresa la Serbia, che per giusto orgoglio na-
zionale, e per ra^gior sapienza, sostiene e difende
!a sua particolare letteratura, che è certamente le
mille volte migliore della croata. E questo con-
cetto mi sono formato dopo letti, oltre ad altre
produzioni, dei brani di storia Serba, scritti da
Vuk Stefanovich Karadcich, da Giovanni Svetich,
da Milutinovich, che per originalità e proprietà
di lingua meritano di esser pareggiati alle più ve-
nuste pagine di Tucidide e di Cesare.
Ar contrario, le opere croate, e quelle dei Dal-
.mati loro imitatori, sono obbligate e avvinte a
lingua straniera, appoggiate all'autorità dei loro
classici che non son classici. E tanto sono con-
vinto di questa sentenza, che vorrei aver il po-
tere di quel famoso Califfo il quale fece abbru-
ciare la biblioteca Alessandrina, per fare un au/o
da fe degli scritti di quei pseudoclassici, e in tal
catasta vi metterei il Manuale del D.r Petrano-
vich. E credo che questo non sia giudizio preci-
pite, avventato, o falso, essendo bene in grado di
discernere i buoni dai cattivi libri, anche se non
fossi capace di scriverne di buoni. Oltre a ciò, io
penso che fra le altre produzioni che potrei ac-
cennare, la tanto esaltata opera Osmanide, di in-
gegno nobilissimo, ma in altra lingua pensante, chec-
ché se ne dica da giudici incompetenti, rappre-
senta il Tasso 0 l'Ariosto ravvolto in panni slavi,
e la grammatica dell'Appendini è la traduzione della
grammatica italiana. Quale differenza nei canti po-
polari, nella S^pbianka del Milutinovich, e nella
poesia del Vladika del Montenegro, e di altri, ove
rifalge il pensiero slavo ! — Io per natali e pro-
fessione amantissimo della mia nazione, che vorrei
veder sorta a miglior vita, e meglio rappresen-
tata, col protestare contro a queste innovazioni ^
non intendo, che il ciel mi guardi, di arrestare
lo sviluppo della idea slava,-ma di tentare e pro-
muovere una nuova via più opportuna al nostro
progresso letterario, chè nel politico non mi vo-
gho impacciare. Questa è questione puramente let-
teraria, e presso ogni nazione colta o non colta
è permesso ai letterati pubblicamente esporre il
proprio sentimento. Che se i riformatori croati e
loro aderenti credessero di trovare in questo mio
passo ardito, uno sforzo a-far trionfare una causa
straniera, si ingannerebbero a partito, e mostrereb-
bero di voler essi comandare, come se Dalmazia
nostra fosse terra coecorum. E non è questa la
prima volta che vengo in contrasto coi fratelli
Croati; lo esperimentai tante e tante volte prima,
e ne ricavai delle persecuzioni che seppi tolle-
rare; e sono pronto a tollerare e a sopportare
delle altre che per avventura mi si facessero, con
animo forte, preparato a,,respinge re 1' assalto di
coloro che nel campo letterario non ho mai te-
muto, ne temo. E noi in questi giorni di galop-
pante pogresso letterario in senso croato, non dal-
mate, vediamo quella caccia e furia, che confina
coir ebbrezza di coloro che per la prima volta be-
vono Hquori, e di coloro che di repente trascor-
rono dalla secolare schiavitù alla libertà ; come quel
miserando folle, ricordata da Manzoni, che a rom-
picollo fugge dalla magione degli appestati di Milano.
E il sig. Petranovich fautore di quelle da me
ripudiate novità, assai prima di questa volta si
peritò di eseguire opere assai superiori alla sua
capacità, come sarebbe la traduzione di un codice,
che insigni giureconsulti e letterati italiani nella
lor lingua dopo grandi e profonde meditazioni hanno
con fatica eseguito, onde non nasca mala inter-
pretazione di qualche punto, a confusione e danno
dei giudici e delle parti. Stuprò nostra lingua le-
gandola alla tedesca, in Cui è provetto quale al-
lievo di università tedesca. — In somma, predo-
minio italiano da una parte, tedesco dall'altra, e-
secutori dilettanti con pensiero italo o tedesco,
corrompono più che possono il nostro idioma, e
Dalmazia non ha ancora persone autorevoli e com-
petenti da dar un^p^Ma. a tanti spropositi. E l'In-
clita Giunca composta'di'personaggi per dottrina
e capacità scientifica rispettabili, ma poco versati
in cose slave, va rischio di venir infinocchiata dai
croatizzanti (intendo in senso letterario) in mezzo
ai quali si erge presidente il D.r Petranovich, che
per le sue cognizioni legali, che io non gli con-
tendo, si farà forse stimare dai suoi colleghi, ma
che non posso salutare qual egregio scrittore o
conoscitore di nostra lingua. Nè io pretendo con
ciò di farmi superiore a lui, chè tutti siamo una
mediocrità, ma credo di saper meglio di lui gu-
stare questa lingua ; e parlai così schietto e forte,
nella persuasione che ci vogliono dei forti esempi
per impedire e respingere un abuso, che va sem-
pre più diffondendosi.'
Ora mi appigho alla critica di alcuni vocaboli
contenuti nella prima pagina del Manuale, riser-
vandomi di estendermi più in là se il rispettabile
pubblico aggradirà le mie osservazioni ; avvertendo
che queste manifestano puramente una mia opi-
nione, che da accademia composta di uomini dot-
tissimi in nostra hngua si potrebbe valutare e ap-
provare.
I. Aborto attentato -— pobisano ponielnuce.
1. Nego che ponielmióe sia bene inventato giusta
la proprietà di nostra liiigua; 2. nego che cor-
risponda ad aborto; 3f nego che basti a svolgere
il concetto del vocabolo aborto.
1. In nostra hngua, non abbiamo un vocabolo che
significhi aborto ; ed è perciò che di necessità per
adattarsi a hngua scientifica fu inventato pomet-
niióe. da pometnuli abortire. Questione la sarebbe
grande quando si dovesse stabilire 1' anzianità dei
nomi sui verbi, o viceversa ; ed io qui dove parlo
di nomi tratti dai verbi, intendo solamente di quelh
che costretti siamo di inventare o creare.
Pomelìiuóc è qui verbale composto dalla termi-
nazione passiva di pMuettiuli, ponieltiut, e da je,
per cui grammaticalmente dovrebbe terminare in
pomelìiutje, e per regola eufonica in pometmiée.
E regola dimenticata o non conosciuta di no-
stra lingua che si debbano torni ire i sostantivi pret-
ti, non dai participi! passivi dei verbi di azions
perfetta, che diconsi perfettivi, ma dalla radice di
questi verbi. Ed è perciò che il nostro popolo, se-
guendo il genio di sua lingua, da dometnuti, na-
melniUi, che entrano nella famiglia di pomctnuii, for-
mò i sostantivi domet, o namet \ ovvero da questi
formò i verbi corrispondenti, e non ammise per la
regola qui accennata nò domelnuée, nè nanielnuée,
le quah terminazioni contraddicenti a ciò che or
dissi, opera sono dei nostri dotti, i quali fecero
dare cittadinanza ad una moltitudine di parole dt
tal fatta, come per esempio sarebbero, izvidjenjc,
objavljenje, oznanjenje, pouzdanje ecc. ecc. stiracchia-
ture dei participii passivi perfettivi.
I così detti verbali per regola inalterabile di no-
stra lingua sono tratti dai passivi dei detti verbi
di azione continuata, imperfetta, durativa; proprietà
singolare di nostra lingua. E così da klati, klanje^
placali, plaćanje, vikati, vikanje, ecc. ecc., che suonano
in italiano lo scannare, il pagare, il gridare.
E qui la sarebbe lunga se dovessi per chi poco
intende, o non intende lo slavo nostro, spiegare
la differenza che passa tra i perfettivi e gli im-
perfettivi. Accennerò solo, che la maggior parte
dei verbi italiani doppiamente da noi si traduce;
per esempio: pagare, piatili e placali-, gnììave, vik-
nuti e vikali', saltare, skočiti e skakali ecc. ecc. ecc.
I primi sono perfettivi, che indicano atto perfet-
tamente compito, i secondi sono imperfettivi, che
in qualunque tempo (e ciò si dica anche dei per-
fettivi), significano azione incompleta. Dicendo, p. e.
skočio sani, o skociéu, vale che me la son cavata
con un salto, e sarò per fare un salto, e dicendo
skakao sam, o skakaču, intendo che si è praticata,
0 si praticherà quell'azione piìì volte senza pre-
cisare il tempo di sua durata. Alla domanda:
che fai? non si può rispondere con un perfettivo,
ma con un imperfettivo. Per esempio risponderei
bene, skačem, e no skočim ; plaćam, e nò platim,
chè questi secondi possono usarsi solamente come
presenti storici.
Ora si potrà intendere quel che sopra dissi del
participio dei perfettivi, da cui non si deve trarre
un nome, come è quel pomelnuce, che figura qual
sostantivo, ma devesi trarre qnesto dalla radice
del verbo: ed è per ciò che stando al valore di
ponietnuti si doveva formare pomet, e non pomet-
nuée, come da načiniti, nac/mba, nacim, e non na-
(injenje ecc.
II nostro popolo non pensò al scientifico voca-
bolo aborto, e perciò non ne creò un corrispon-
dente, ma ben ne adattò uno alla placenta o se-
condina e la chiamò pomelina, il che se avessero
saputo i dottori, non avrebbero proclamato l'aborto
con pometnućc, che cozza con pomelina come coz-
zerebbe aborto con abortaccio (mi si permetta l'e-
spressione), essendo pomelina voce peggiorativa, o
aumentativa di pomet.
2. È vero che pometnuli, da cui è tratto l'ir-
regolare punUniiće, è voce usata in alcune con-
trade della Slavia meridionale, ma noi abbiamo due
voci corrispondenti, le quali meglio convengono ad
aborto, e queste sono izmelnuti e izverći, o iz-
vrći sic, riportato nel Manuale, e che venne pos-
posto a pomeniili. Perciocché la preposizione iz
preposta a metnuti e vèréi, nel nostro caso spiega
a proposito un atto che completamente dall' interno
all' esterno si eseguisce ; mentre la po di ponietnuti
indica azione collettiva, come la po di potući.
E dovendosi di necessità formare un sostantivo
che corrisponda ad aborto, devo da izmelnuti (che
preferisco a izverći più applicabile alle bestie) for-
mare izmet, e no izmetnuće, voce già in altro senso
usata, ma che per questo bisogno avrebbe diritto
di essere intesa anche a questo modo.
3. Nel Manuale il testo tedesco diceiAbtreiòung
der Leibesfriicht, che dà chiaro concetto dell'aborto,
e io qual membro di facoltà medica trovo egre-
giamente espresso, per cui, secondo la proprietà
di nostra hngua, a fianco del nudo pometnuće del
testo, e del nudo mio izmel, aggiungerei la bella
parola a proposito nedonošče, e quindi direi: po-
kusani izmet nedonos'-eta, che ancor meglio che in
tedesco spiega di che si tratta. E nedonoè'e vuol
dire feto che non ha raggiunta la sua maturità
e perfezione nel seno materno : chè appunto in ciò
.. '8. Quanto [proficuo sia 1'insegnamento nelle
scuole parrocchiali ausiliarie — se tale lo si po-
trebbe rendere con piìx generose rimunerazioni.
9. Come si potrebbero rendere più attive le
autorità preposte all' istruzione — se basti la sor-
veglianza degl' ispettorati decanali sulle scuole tri-
viali e ausiliario — se debbasi sostituire quella
dei diocesani, o altre autorità laiche, e con quali
- mezzi — quali controllerie sul numero degli sco-
lari, sulla frequentazione, e sul profitto si potreb-
bero introdurre?
Ma fino ad ora "né nuovi sussidi! furono con-
cessi, nò Io saranno giudicando dal progettato
preventivo del 63, nò alla progettata discussione
ven)ie data speranza di consenso.
La Giunta non dispera che alla sua impotenza
dimezzi autorevoli ed economici venga supplito dallo
stato con nuovi provvedimenti, ma non può aquie-
tarsi in tale speranza sì per la responsabilità che
le incombe verso il paese, quanto pel timore che
non prevalgano alcune opinioni ottimistiche, se-
condo le quali, avendo il governo fatto abbastanza
anzi molto, nulla per ora sarebbevi a fare. Sì
certamente, il governo ha fatto molto per l'istru-
zione popolare in Dalmazia, e sarebbe ingrato chi
questo negasse, nè gli avversarli stessi potranno
negarlo. Ma i frutti non corrisposero allo speadio
perchè in uno stato assoluto manca il concorso
delle classi illuminate, manca la persuasione in
chi deve accettare i dettami dell' autorità senza
averli discussi nè comprenderne la necessità. Non
è ora a presumere che un governo liberale vo-
glia essere meno progressista di un assoluto, nè
che voglia ristarsi dalla via che lunga ancora ri-
mane a percorrere per condure la Dalmazia al
livello dei paesi austriaci di mezzana coltura. Come
potrebb' esso riposarsi sugli allori, maitre la Dal-
mazia è tuttavia dopo la Bukovina la provincia
più illetterata dell' impero austriaco ?
A prova di ciò veggasi, iu mancanza di ])iù
recenti dati statistici sull' impero, le Tafeln ziir
statislik del 1857 pag. 78, 79.
Secondo quelle la Dalmazia ^su 301G7 fanciulli
atti alla scuola aveva scolari 7'058, ai quali ag-
giungendo circa 400 di rito greco che senza fre-
quentare le scuole ordinarie imparavano il ciril-
liano ; in tutto 7458, ossia il 24 mentre la
Croazia ne aveva il 46 la Transilvania il 70,
la Voivodina il G4, i confini militari il 56, l'Un-
gheria il 73. Deesi però ritenere che ancor più
triste riesca il confronto, essendo evidentemente
erronea la cifra di 30167 non corrispondente alla
popolazione (di maschi 24628, femmine 22546,
totale 47174) indicata dall'anagrafi per la classe
dai G ai 12 anni, quella appunto che qualificasi
atta alla scuola, e che dedotti gì' impotenti, i fre-
quentanti le scuole e gì' istruiti, non era in quel-
r epoca inferiore a 38000 La proporzione perciò
dei frequentanti sarebbe di 20 % anziché di 24.
Una base di confronto più positiva colle altre
Provincie bassi nella popolazione generale.
La Dalmazia nel 57 aveva uno scolare su a-
bitanti 53
La Bucovina 1 su abitanti . . 57
Lasciamo il confronto troppo umiliante col Tirolo,
colla Moravia, Boemia e Slesia che davano 1 su 5;
e coir Austria e Sahsburgo 1 su 6 ; ma non possia-
mo sostenerlo nemmeno colle più arretrate poiché
l'Ungheria ne aveva 1 su . . 12
I Confini militari „ „ . . 14
La Transilvania , „ . . 15
La Galizia , „ . . 33
La Croazia „ „ . . 34
Ciò ò conseguenza naturale dell' esser stato in
Dalmazia minimo, dopo la Croazia, il numero me-
dio dei frequentatori per ogni scuola, poiché ar-
rivava appena a 42, mentre la Galizia ne aveva
62, la Transilvania 54, e l'Ungheria 84, e del-
l' aver la Dalmazia dopo la Bucovina il minor
numero di scuole in rapporto alla popolazione,
contandone 1 su abit. 2300, mentre la Galizia
ne aveva una su abitanti 2121
La Croazia , „ , 1057
La Transilvania „ ,, , 850
1 confini militari „ „ „ 1302
jyUnghcvia , „ ,, 1032
la qualunque modo si faccia questo confronto,
la Dalmazia è sempre Tjultimo o il penultimo
paese dell'Impero.
Sarebbesi forse migliorata da queir opoca la po-
sizione? Nò, pur troppo. I dati sommarli del 59
ne danno scolari maschi e femmine 7189 ; e colla
giunta dei greco-sei'bi 7589; soli 131 di più! E
se si volesse procedere con una rigorosa inda-
gine su questo numero, è molto probabile che si
vedrebbero figurare nelle scuole ausiliarie degli
scolari che non conoscono 1' alfabeto. E nemmeno
il numero delle scuole è aumentato ; esso anzi da
17G è sceso a IGl ; quindi 15 scuole di meno;
regresso forse unico in Europa ! Dati più recenti
non si hanno perchè il rev.mo ispettorato dioce-
sano di Zara non ha ancora presentato le ta-
belle del 60 e del 61, nè la c. r. Contabilità può
compire la sua statistica. Si può essere certi però
che se il confronto si lipetesse coi dati del G2,
esso riescirebbe ancora più svantaggioso per-
chè in questo frattempo Croazia, Ungheria, e tutte
le Provincie orientali hanno assai più progredito
della Dalmazia
Eppure il Governo spende per questo titolo in
Dalmazia più che in qualunque altro 'paese della
Corona, cioè fior. 38,000 circa all'anno. Le co-
muni ne spendono 31000. Totale fior. 69000. 0-
gni scolare costa fior. 9, 58. Bisognerebbe con-
cludere che la Dalmazia è una terra di cretini.
Ma nessuno oserà asserirlo che conosca il Dal-
mata sia marittimo, sia mediterraneo. A qualun-
que cosa ei volga la sua intelligenza, cssa-ilo se-
conda mirabilmente. Egli è slavo della stessa
razza di quei della Croazia e della Voivodina, che
nell'istruzione elementare progrediscono più ala-
cremente di lui.
E se sì doloroso confronto emerge fra la Dalma-
zia presa iu massa e le altre provincie ; che sa-
rebbe se la sola parte interna si prendesse? Ba-
sti il dire che le comuni di Benkovaz, Dernis, ^Ki-
stagne, Knin, Sebenico, Clissa, Imoski, Mudi, Sign,
Vergoraz e Verlika in una popolazione di 92.m
abitanti, non hanno fra maschili e femminili più
di 17 scuole, cioè 1 su abit. 5400, frequentate
da forse 700 scolari, quando gli atti alla scuola
arrivano a 8000. Uno scolare su abit. 114! Ciò,
è ben peggio della Bukovina.
Nè a giustificare tanta inferiorità avvi più l'o-
stacolo della lingua. Da qualche anno in tutte le
scuole minori si legge su testi illirici, e nelle
maggiori più o meno s' insegna questa lingua;
eppure nè scuole nè scolari aumentano.
Qual meraviglia dunque se la statistica crimi-
nale del circolo di Zara ribocca di assassinii, in-
cendi e rapine? È chiaro che il popolo campe-
stre difetta d'idee morali. Molti lo vorranno at-
tribuire a incapacità o inattività del clero. Fosse
pur ciò vero, è certo altresì che senza il sussi-
dio di una scuola ove la religione s'insegni as-
sieme coir alfabeto poco il parroco può giovare
con qualche rara lezione di catechismo.
Questo stato di cose evidentemente riclama le
più seria attenzione di un Governo che voglia co-
scienziosamente adempire alla sua missione. L'in-
clita Luogotenenza sarà certamente di questo pa-
rere; e, sia che voglia associarsi la Giunta in
questa crociata, sia che voglia da se procedere,
non farà che trascorra quest'intervallo delle va-
canze senza concretare -qualche efficace provve-
dimento.
Nella speranza che l'ecc. Ministero di stato
voglia impartire all' ecc. Luogotenenza più larghi
mezzi e poteri, perchè questa possa meglio adem-
pire a così sacro uffizio, la Giunta và a comu-
nicare copia della presente ai signori membri di
ambe le Camere, colla preghiera che verbalmente
rimostrino la condizione di questo paese tauto ai
ministri di Sua Maestà, quanto al Consiglio del-
l' Impero.
N. 2076.
GIUNTA PI-OVINCIALK DALMATA
N O T A
All'inclita i. r. Pretura di
Dalle lisposte che alcune Preture ftivorirono
ai quesiti fatti dalla_(Uimta colla nota 10 settem-
bre spirante N. 1960, rilevasi ch'esse mancavano
di una base di confronto per formare un giudi-
zio sulle condizioni, in cui trovavasi la popolazione
del loro distretto nell'anno 1860.
È perciò che la Giunta si pregia di rimetterle
l'unito prospetto da cui risulta in qual propor-
zione colla ])opolazione siano seguiti i matrimoni,
le nascite e le morti nel suddetto anno. Per gli
anni precedenti le mancano i dati di ogni singolo
distretto che furono rimessi alla suprema conta-
bilità di Vienna.
Se i movimenti di codesto distretto non diver-
sificano molto dalla media, è prova ch'esso tro-
vavasi in condizioni normali, ma se se ne allon-
tanano sensibilmente, ciò significa che in esso si
spiegò una maligna o benefica intluenza.
Fu tale influenza propria di quell'anno? Od è
permanente? Quali ne sono le causo accidentali
0 stabili ?
L'inclita Pretura comprenderà quanto sia in-
teressante questo quesito, e colla sua solita cor-
tesia vorrà prestarsi a risolverlo.
Zara 30 settembre 1862.
Il presidente
PETROVICH.
Proporzione dei matrimonii, nascite, e morti
avvenute in ogni distretto della Dalmazia nell'anno
1860.
1
tri atri-
inonio
l
nato
1
morlo
sopra abilanli
M8 1 _ 31,75 05,3fi
Pil^O 13! 21), 20 59,36
ObbroTazzo 173 29,79 44,16
Ziira 150 28,55 55,45
Benkovnz lai 25,73 53,78
Kistagne 219 28,71 50.65
146 21,47 51,40
Dernis 188 26,58 31,31
256 22,18 50,01
MS 25,00 40,87
152 2 ).,75 00,06
24(3 5l,r.3 75,01
172 52,40 43,18
Spalalo 156 27,09 31,42
209 28,7 2 . 34,82
Meikovich 102 20,08 41,57
Vergoraz 127 28,88 79,13
Macarsca I2;5 50,2.') 69.14
Almissa 165 50,55 58,22
Hrazzit 154 25,08 31,28
M4 51,83 69,08
Li ssa 145 20,18 82,79
Gurzola 105 53,05 46,70
Sabbionecllo 131 4-2.00 07,08
Sl.ngno 102 5 4.08 50,33
lo4 51,28 48,23
Hagiisavcccliia 149 59,32 0-2,11
Castellino vo 158 5 t,OU 31,12
169 50,28 45,2,1
Caltaro 109 51,"fi' 59,99
Budiia ....... 80 57,07 42,49
Meilia . . . 131 28,87 49,66
Ci facciamo dovere di pubblicare la seguente
lettera che l'illustre N. Tommaseo ci scrive da
Firenze, a rettificazione di alcune cose dette ncl-
r altra a lui diretta dal sig. Antonio Damianovich
di Sign, e inserita nel nostro numero 38.
Pregiatissimo sig. Direttore.
Non La importunerei con preghiera di dar luogo
a questa mia lettera nel suo giornale se non te-
messi col silenzio parere consenziente a parole,
dettate certamente da buona intenzione, d'uomo
soverchiamente benevolo a me ; parole troppo, per
quel ch'io stimo, severe agli educatori e maestri
del povero paese nostro. Gliele dettava il deside-
rio del meglio; e gli fiiceva in quell'atto dimen-
ticare l'esempio proprio, e i molti uomini rispet-
tabili che la nostra educazione domestica e le scuoio
nostre hanno dati alla patiia. Il dì stesso che nella
Voce io leggevo quelle parole, leggevo in un gior-
nale italiano accreditato e de' più temperati e non
avverso alla presente condizione di cose nella pe-
nisola le seguenti"Le nostre scuole non vauuo
Ziìfi'a 15 Oti^lìve I§62. .ILbìmo Wi
Prezzo d'associazione in valuta austriaca per /ara: [ict* un luiiio (liiri:i: S; jM'i* iHi'si linrini 1; Jier ire inrsi (iiirini 'i. riiiiiiiii-nii' ili'lla l'mvinci.i a fuori: |]cr un anno (iuri li !): |Ji'r sei Ihiiini -1
Koldi 50; per Ire mesi lliirini 'J:'-l'>. l'er l'esteri), e
liei Loniliardo \ cnelu gli stessi prezzi in argento, tran-
cile del |)orta-|)Osta.
Giornale polltico-lefterario
Esce il Mercoledì ed il Sabato.
I ffrnnT»? p !<• rn'nmi«'*!')?'!. fr^^nel»! (li»)!» ^»K««*»
postali, si litri iiiMio ih a \ iiire:i7.u UII|)I:\IICIL'II KC-
diiltore della Vure I>;lli;iiirli'.n. c sii ahbuonnnieiiti. ai
iiea:nzii lilirarii dri Mtnmi Iriitilli Itailnra e l'iitro
Alielieli. (ili ili » linfe eiiSl;!no I fiorini), e usui
line.) di pii'i snidili, /.il i:!-si .li linaiizii Pesti a esrico
d. I eninniillenle. l'n iMiiui'rii M-|.ai ali) fusla si Idi 10
••r
Pregiatissimo sig. Eedattorc.
]\Ii farà cosa grata collo accogliere nel suo ri-
putato giornale la seguente dichiarazione. Abbia
i miei ringraziamenti e mi creda
Suo devotissimo
BAJAHOXTI.
Vienna, 1 ollobre i862.
ersona di' io altamente venero testò mi scri-
a: Con quella schiellezza che viene da slima af-
7llunsa le dirò, che sentendo io notare l'adoprarsi
eh' ella (a per il povlofranco di Spalato, risposi quel
che credo essere vero : che non sperando ella il tutto,
s'affretti intanto a conseguire una parte. Ma eh'ella
desideri il bene di tiitli, non so diihitare.
Dalle quali parole, toi-nerebbe inutile il dirlo,
risulta troppo chiaro come da taluno si vada in-
sinuando l'idea che leino^doni Lapenna c Alberti
fossero state da me indettate, o del mio viaggio
a Vienna sieno elleno scopo jirincipalc, a non dir
unico: in una parola, ch'io tentassi ogni via le-
cita, e forse illecita, per giovare a Spalato a danno
dell' intera provincia.
Se si trattasse unicamente di me tacerei; da
lunga pezza ho appreso a disprezzare i maligni, a
sorridere agli stolti : ma poiché dal tacere ne po-
trebbe venir danno al paese, alterando forse quella
concordia che sono superbo di avere iniziato fra
i dalmati Municipii, credo opportuno di dichiarare
nulla, dell' accennata taccia, essere pifi falso e, dirò
pure, pili ingiusto. Quanto io abborrissi ogni stolido
municipalismo, credo di averlo dimostrato, meglio
che a parole, a fatti: la mia suprema ambizione
quella fu sempre di mostrarmi, non Spalatino, ma
Dalmata.
E nelle questioni del portofranco non Ilo del
pari smentito me stesso. Interpellato nell' anno de-
corso dal nostro onorevole presidente cav. Petro-
vich, risposi senza esitanza : dinnanzi al bene ge-
nerale essere noi dispostissimi a sacrificare il no-
stro speciale; fare plauso all'idea della Giunta e
Biuettere per parte nostra ogni passo. Poneva però
innanzi i miei timori, e pregava, quando il tenta-
tivo per l'intere costa andasse fallito, non si di-
menticasse Spalato, ed ai nostri sforzi speciali vo-
Icssesi unire quelli dell'Autorità provinciale.
E quanto promisi scrupolosamente mantenni. Da
allora—lo dichiaro nella più solenne forma sul
fino onore — non un passo, non mio scritto, non
lina parola mai ad alcuno, e quindi nè a Lapenna
nò ad Alberti ; nò da me, nè da alcuno de' miei
•mici, uè direttamente, nò indirettamente, e le loro
mozioni, se pure graditissime, ci giunsero inaspet-
tate. Ed oggi stesso ch'io mi trovo a Vienna,
mentre cerco di trarre dal mio viaggio 1' utile mag-
giore pel mio Comune, del portofranco non ne
parlai e non ne parlo affatto, quasi e' fosse un in-
teresse, non di Spalato, ma della Cina.
A tale dichiarazione formale non dubito si vorrà
credere, quantunque il tenere una tale condotta
potrebbe forse parere a taluno diftìcile, a non dire
impossibile. Dico ciò perchè di questi giorni ap-
punto ebbi prove che non tulti i Dalmati la pen-
serebbero a modo eguale. Per esempio non è molto
che un Dalmata ') andava strombazzando qui in
Vienna l'inutilità della diga di Spalato, porgendo
così occasione a taluno di avere una scusa di più
a propria discolpa. Eppure la costruzione della
diga non avrebbe certo recato danno di sorta a
qualsiasi altro luogo della Dalmazia, o so il- pu-
blico erario prometteva di accordare 300000 fio-
rini, ciò non era certo da tondi provinciali, ed il
nostro Comune d'altronde si sobbarcava ad una
spesa forse maggiore di 200000 fiorini. Altro e-
sempio: mentrio sono qui a Vienna per procu-
rare a taluno il divertimento d'irridere ad uii pazzo
die vi parla della ferrovia Belgrado - Spalato —
idea che fortunatamonte, con buona pace delle ce-
leberrima Donau Zcitung, non tutti trovano del jiari
strana o ridicola, e cui forse uu non lontano av-
venire mosterà uon essere stata utopia — un (pialche
Dalmata (autonomista) non Spalatino, si sbraccia
a sciorinare lunghe epistole per raccomandare la
splendida idea lachich con isbocco non a
Spalato. Terzo esempio; un tale di città non ul-
tima fra le Dalmatiche, infamia, ebbe a esclamare
allo udire la notizia delle mozioni accennate, in-
famia! . . dacché Y non poteva avere il porto-
franco, non lo doveva avere neppur Spalato. E di
consimili potrei citare degli altri, se non credessi
più opportuno il tacere. E lo stesso conturbarsi
ed agitarsi di taluno non credo provi un amor pa-
trio esente da quel sentimento, cui vorrebbesi me
inspirato.
Che se, non potendo per ora l'intera Dalmazia,
causa speciali condizioni, ottenere la franchigia
daziaria, si voglia pretendere che anche Spalato
vi abbia a rinunciare, olvl aucsta, vivaddio, è im-
pudente stoltezza, degna di riso, piìi che di bia-
simo. Io non entro nel merito della quistione, a-
vendola sciolta recentemente l'onorevole Lapenna
nel N. 30 di questo giornale, con tale copia di
argomenti, da render inutile ogni altro ragiona-
mento. Ripeterò qui solo — e credo poterlo ri-
petere a noine di quanti abitiamo la costa appar-
tenente al Circolo di Spalato — la franchigia ge-
nerale cól sacrifizio del dazio di favore pei nostri
maggiori prodotti, oglio e vino, sarebbe rovina,
non vantaggio, e d sarà permesso, speriamo, di
combatterla con quanta forza avremo. Lifine, se
un giorno Spalato avrà il portofranco, ci si vorrà
permettere del pari, speriamo, di gioirne, se pure
non lo avesse l'intera provincia, egualmente come
gioiremmo domani per uu bene di Zara, Sebenico,
0 Ragusa, quand'anche Spalato non potesse es-
serne posta 0 parte. È così, io credo, che si ab-
bia ad amare la nostra patria comune.
•) Trovandosi altualmente in Vienna l'egregio Conle
Rorelli, cui mi legano particolare stima ed amicizia, a to-
gliere a qualche maligno la possibilità di un dubbio che
ofTenderebbc ['.Tnimosuo nobilissimo, trovo di dichiarare
non solo non essere lui li persona cui «lindo, ma a sus-
sidio de' miei progetti avere avuto i consigli e 1" opera suoi.
Le parole dell'articolo precedente, risguardanti
la lettera a noi diretta dal deputato Lapenna, e
inserita nel nostro numero 30, ci obbligano no-
stro malgrado a tornare sopra quella questione che
avevamo deliberato lasdar cadere, affine di evi-
tare ogni motivo di disgusto con persona a cui
noi professiamo stima sincera, ed ogni occasione
di torta interpretazione alle parole nostre, che a-
miamo sieno credute sempre, come veramente sono,
dette a fine di bene, e con intendimento di gio-
vare al paese nostro, non mai di adulazione o
biasimo personale, il che sovente, ci duole il dirlo,
non ci vien fatto. Noi ci torneremo, però, per quello
che riguarda la essenza della questione medesima,
e più specialmente per quello che si riferisce alle
parole stesse, non già al resto della lettera, é
meno che mai alle incolpazioni o-' recriminazioui
personali che ne potessero scaturire.
Dice r egregio Bajamonti, che il Lapenna, in
quella lettera dimostrò la migliore opportunità e
utilità del limitare la franchigia doganale ad un
solo sito e più specialmente a Spalato, che non
di estenderia a tutta la costa dalmatica, con tanta
copia di argomenti da rendere vana ogni ulte-
riore discussione. Ora noi dobbiamo rispondere che
uon solo nelle cose dette dal Lapenna noi non tro-
viamo ragioni di tale evidenza da far trionfare
quella opinione che noi reputiamo un paradosso
evidente ; ma d pare invece die egli non ne ab-
bia saputo addurre neppure una sola valida ad
abbattere la opinione contraria; diè an.n nella
lettera, come già nella proposta fatta alla Ca-
mera, risulta chiarissima la contraddizione del ri-
conoscere dall' una parte la maggiore utilità della
franchigia generale, e del contentarsi dall'altra
della circoscritta, e ciò unicamente, per evitare
allo stato una diminuzione di reddito.
Primieramente quando si tratta di ripetere per
diritto, 0 per convenienza, o per grazia da taluno
alcuna cosa, non ò ragionevole di cercare e mo-
strare noi mc(le.siuii gli ostacoli ch'egli potrebbe
trovare a concedercela, e speculare sottilmente
quali sarebbero le ragioni ch'egli potrebbe avere
per negarcela, non è ragionevole di farci avanti e
dichiararci pronti di rinunziare a parte dei diritti,
0 delle esigenze, o delle domande che stiiimo per
pretendere, o fare. A noi conviene fare la domanda
intera, anzi quanto ò ragionevolmente possibile
larga, ed a noi vantaggiosa. Che se altri troverà
poi di avere buone i-agioni per negai-cela o li-
mitarla, lo farà senza dubbio da sè; e allora ap-
pena resterà a noi libero, per minor male, e con
maggior dignità, di starcene contenti a concessioni
minori. Facendo altrimenti, noi corriamo rischio,
anzi possiamo tener per fermo, di ottenere meno
ancora, e di incontrare maggiori restrizioni allo
nostre domande, come accade appunto nel caso
presente, nel quale il ministro già dichiarò di non
poter consentirci che per gran grazia, in luogo della
franchigia generale o dol porto -tVaiico spedalo ,
dei meschini entrèpnts.
Lo ragioni addotto dal Lapenna nella sua let-
tera, contro la fraiiflìigia generale, riguardano u-
nicamente il caso che veiig.i adottata la projiosta
della Criunta provinciali.;, di oitViro a compenso
della perdita de'dazi, alla pubblica finanza, la ri-
nuncia al dazio di tavore per i generi nostri en-
tranti nel territorio doganale austriaco, in confronto
degli esteri. Ora la proposta della Giunta ò un
opinione da discutersi e da esaminare ; nò da noi
nè dalla Giunta medesima fu prescatata come l'u-
nico partito da prendere, ma corno un progetto
da ventilare. Se il compenso oit'erto allo stato nel
modo dalla Giunta proposto, può parere sover-
chio, c tale da contrabilanciarc i vantaggi che no
verrebbero al paese dalla franchigia generale,
altre maniere di compenso possono rinvenirsi che
il međeshno inconveniente non presentino, e ci ot-
tengano il bene di cui andiamo in traccia, sen-
za andare incontro a mali maggiori. Tale po-
trebbe essere il compenso diretto per un aumento
alle altre qualità d'imiiosizioui, fossero anche le
dirette già gravosissinie ; avxegnacchò siftiitto au-
mento non sarebbe una maggiore gi-avezza, la iptale
già sussiste nei dazi nicdesiiai, non da altri dn' (fai
pae^e medesimo pagati; ma uno spostaiiiuatn, il
N, 45. Zara IS Ottobre 1§03. Alino
Prezzo d' iìssoei;iz1onp In valuta austi iaca per
./ara: pt-r un anno (ioriiii b; per sei mesi fiorini 4;
Jier tre mesi (iorini 2. l'. l riinaiiente della Provinria
a Ciioi-i: per un anni) fiorini 9; per .sei mesi (ioi ini -i
«oidi 50; per tri; mesi tìoi-ini 2:25. l'er l'estero, e
l'el Lomljarilo Veneto gli stessi ])i'ezzi in arg-ento. frati-
flii! del porto-posta.
Giornale politico-letterario
Esce il Mercoledì ed il Sabato.
I gruppi e le rornml.s.sioni, franelil delle spesi
postali, si diriffono in X;!ra a \ ineenzo Duplancich Ke
dattore dell.i Vote Dalmatica, e kH abhuonamentl, a
nejcozii librarli dei siii.-ruri /'rateili Battara e Pietri
Abelich. Uli avvisi di » linee eostano I fiorino, e ogn
linea di più soldi ò'. La tassa di finanza resta a carici
di'l couiniittente. Un numero separato costa soldi 10
Memoriale della Camera di com-
mercio ed industria di Zara, sulla
franchigia doganale in Dalmazia.
Eccelso i. r. Ministero !
L'eccelse Camere dell' Impero, dietro proposta
ilei deputati dalmati, prima d'aggiornare le loro
sedute esternarono, benché in modo diverso, il
desiderio die il governo avesse ad esaminare e
]>ro])orre le misure che sarebbero d' attivarsi pel
iiiigliorameiito degl'interessi commerciali ed indu-
striali di questa provincia; la Camera di coni-
nicrcio e d'industria del circolo di Zara, qualun-
que sieno per essere nel corso dei costituzionali
procedimenti le sorti dei desiderii di quella au-
gusta assemblea, fallirebbe al suo istituto, e man-
cherebbe ai più positivi de' suoi doveri, se nella
generale agitazione degli animi i)el finale esito
angustiati, non facesse a questo eccelso Ministero
l)resenti i sentimenti e non indicasse i bisogni
de' suoi rappresentati, e dimostrando la necessità
di un radicale provvedimento, non additasse i
mezzi di conciliare gì' interessi apparentemente
discordi delle parti.
Colla dignità quindi di una magistratura con-
scia de' suoi doveri, incoraggiata dalle premure
d' un Principe illuminato e dalla previdenza d'un
(joverno intento al ben essere de'suoi popoli, e-
sporrà essa nel vero, benché triste aspetto, le
condizioni di questa infelice provincia, affinchè co-
nosciuto il male, se ne possa con fondamento ri-
cercare ed applicare i rimedii che atti sieno a
salvarla.
Chiunque soltanto scorra le coste di questa
misera provincia, non può non sentirsi stringere
e addolorare l'anima da un sentimento d'inde-
finibile tristezza nel vedere i suoi magnifici porti
nniti e deserti, i suoi marinari oziosi o dispersi,
essa divisa dal consorzio dei popoli civili, stac-
cata dal movimento generale dei traffici, privi i
suoi abitanti di quegli interessi, di quegli eccita-
menti, dai quali soi'ge e si forma la vita com-
merciale ed industriale de' popoli.
Qualora poi s'inoltra, non lo rattiista meno l'e-
stremo squallore che vi scorge ; la sua agricol-
tura languente ed abbandonata a sò stessa, o di-
]-etta da pratiche superstiziose ed empiriche, strane
ed infeconde, senza giovamento o soccorso d'arte
0 di scienza qualunque, distrutti i boschi, le ac-
que sfrenate e nocenti, non un' industria che ral-
legri 0 ravvivi un fiume, non un canale che ar-
richisca un prato, non un lavoro infine che faccia
fede di civiltà e progresso.
Le naturali sue risorse neglette, trascurate, o-
striitte le fonti del suo benessere, gravata d'in-
sopportabili pesi, misurato e gravoso per sino il
jìrezzo del sale che la natura le offre per ogni
sito, non sufficiente a' bisogni comuni nonché a
quelli del commercio, agricoltura, pastorizia, con-
cime, conservazione de' cibi al villico ne' tristi
giorni d' inverno, al navigante ne' lunghi suoi
viaggi.
Generale la miseria, se si eccettui iu pochis-
simi individui, la maggior parte appena che vi
po^san conservare Je apparenze d'una decenza
propria alla condizione in cui si trovano, in lotta
continua pella soddisfazione dei primi piii urgenti,
j)iìi necessarii bisogni d' una civile convivenza,
senza speranza, senza prospettiva di un bene, di
pna qualsisia risorsa, che loro procuri una posi-
zione che li tolga dalla tortura d' un incalzante
inevitabile miseiia.
Tale l'aspetto delle città e più infehce se può
darsi quello delle campagne.
Che queste sieno le vere condizioni di questa
provincia, e queste le cause della sua miseria, in
più occasioni con eloquenti parole i dalmati de-
putati lo dichiararono agli attoniti uditori delle
eccelse Camere dell'Iin])ero. Eppure usutVuttaté le
sue risorse, questa provincia potrebbe godere di
un' agiatezza pari a qualunque altra dell'Impero.
I brevi vantaggi degli anni decorsi pella ri-
cerca e peli'eccezionale prezzo de' suoi vini, val-
sero appena a sanare alcune delle antiche e pro-
fonde piaghe che la laceravano ; ora che i prezzi
si sono equilibrati, si presenta all'atterrito pen-
siero di questi miserissimi abitanti un' era d'in-
condizionata miseria, se un qualche provvedimento
non viene in soccorso agli stessi.
II male che li aggrava in gran parte è d'attri-
buirsi ai principii, ai sistemi ed agli uomini del
passato; la cura di giovarvi, deve essere dei pre-
senti: ma le volontà più ferme, le migliori i;iten-
zioni, i più santi desiderii s'infrangerebbero con
tah condizioni, sotto il peso di tanti ostacoli; vi
vuole una leva forte e potente cbe scuota gli a-
nimi, che vinca le resistenze, c\ve offra i mezzi a
tale miglioramento. Tale misura, ^dopo accurati
studi, con paterna previdenza 1' additò l'inclita
Giunta dalmata nella generale franchigia doganale
d' entrata. Questa concessione solo può salvare
la Dalmazia.
Di breve estensione, sassosa, con monti nudi,
spogli d'ogni vegetazione, ora allagata, ed ora
arsa, con un quinto di suolo coltivabile ed in gran
parte incolto, con fiumi che scorrono fra roccie,
non offre essa alcuna condizione a divenire nep-
pure col tempo, non solo una ricca regione agri-
cola, ma nemmeno capace di provvedere o sup-
plire ai bisogni dei propri abitanti; i suoi pro-
dotti che le costano tanta spesa e fatica, non
potranno giammai sperare di entrare in concor-
renza con quelli delle grasse ed ubertose terre
de' paesi vicini; nella navigazione solo e nel com-
meicio può essa trovare i mezzi alla sua sussi-
stenza, ed a tale fine deve essere diretta. La
provvidenza le ha generosmiente largito quanto
le abbisogna a divenire un paese commerciante,
la sua magnifica posizione, i suoi innumerevoli
porti, i suoi bravi marinari le assicurano e ga-
rantiscono un felice destino.
Il mare è la sua missione, esso le indica la
via alla sua rigenerazione, esso, ove la stessa gli
apre i cento suoi seni per accogliere i prodotti
di tutte le nazioni e riversarli poi ad un m!)ndo
che le sta addietro, ricco di naturali prodotti che
le darebbe in ricambio, ma mancante di qualsisia
produzioni d'arte o d'industria. Ogni altra isti-
tuzione, ogni altro miglioramento riescirebbe tardo,
lento ed inefficace, opera del tempo e delle ge-
nerazioni future; da questo può solo questa pro-
vincia sperare ogni bene, la sua prosperità, il suo
migliore avvenire. Il negarlo sarebbe condannare
la stessa ad una perpetua miseria, la quale de-
gradando ed abbrutendo la natura umana, ne av-
vilisce i caratteri, ne snerva le volontà, ed iu
tale stato da esseri così depravati nulla può spe-
rarsi, nulla chiedersi; ironia e derisione sono per
essi ogni più santo nome, ogni più più cara idea,
ogni più liberale istituzione. Coijvien trarla dalln
miseria e dair abbrutimento per pretendere qual-
che cosa da essa.
Quel provvedimento le aprirebbe una fonte i-
nesauribile di lavoro, il quale moralizzerebbe il
popolo più di qualunque istituzione o scuola, nè
si vedrebbe tanta gioventù oziosa, inerte, inutile
a se stessa e di peso alla società, vagare pelle città
per non avere occupazione o mezzi di procurar-
sela al di fuori.
Tutti in generale gli organi che si pronunzia-
rono in tale questione : l'inclita Giunta dalmata,
le Conumi, le Camere dell' Impero, l'opinione pub-
blica, il Governo stesso, convennero nel bisogno di
una misura che lenisca la miseria di questa pro-
vincia; nel modo solo e nell' estensione non s' ac-
cordarono. La giustizia però e l'interesse dell'Im-
pero esiggono che a' suoi mali sia provveduto in
modo largo ed efficace.
Tre sono i modi coi quali si potrebbero conce-
dere quelle franchigie alla Dalmazia.
Il primo ed il più decoroso pello Stato e piìi
proficuo ad essa sarebbe di concederle senza al-
cun diretto compenso od indennizzo. Le pubbliche
imposte accresciute col maggior benessere de' suoi
abitanti, la cessazione dei quasi annuali soccorsi,
compenserebbero largamente di tali concessioni lo
Stato -, iiua qualclie ritorma amministrativa, la li-
bera facitura del sale, che potrebbe essere dui)li-
cato triplicato e più in Dalmazia, ne darebbero
un compenso molto maggiore dell'attuale rendita
di quei dazii, i quali non arrivano, né arriveranno
mai con tali condizioni a più di 200,000 fiorini
annui. Vi sono degli interes.si che non sono sog-
getti all'impero della cifra, uno de'quali è quello
che ne deriverebbe da tale concessione, e meri-
riterebbe bene che lo Stato facesse un tale sa-
crificio, se così si può esso chiamarlo, ridondando
infine il benessere di questa provincia a benefizio
di tutto l'Impero.
Il secondo modo sarebbe accettando il progetto
dell' inclita Giunta, essendo assolutamente esage-
rato il danno che si vuole avrebbero a soffrire
alcuni prodotti della provincia coli'abohzione del-
l' esistente favore della metà del dazio entrando
nel territorio doganale austriaco, essendoché s'a-
prirebbe agli stessi largo spaccio e consmno col-
r istituzione del portofranco generale.
Il terzo modo sarebbe esigendo un compenso ;
sepjìure si deve porre in questione l'avvenire di
questa provincia con una si meschina somma,
l'indennizzo di quei dazii con altra imposizione,
nonché un' impossibilità, come venne sostenuto
d'alcuni, od un danno, sarebbe un vantaggio ed
un benefizio per essa, poiché pagando già quella
somma, potrà in ogni modo pagarla meglio pro-
curandosi i mezzi ed aprendosi le fonti di gua-
dagno, che nella miseria in cui si trova. La que-
stione quindi si ridurebbe ad un semplice sposta-
mento di tributo e non già nell' addossarne un
nuovo , nel pagarlo nel modo migliore e meno
gravoso per essa, invece che nel più rovinoso e
pesante, poiché infine chi pagano quei dazii sono
i consumatori della provincia e non già quelli
che introducono i generi, quelli che U fanno ve-
nire e non gli esteri, essendoché di tanto h' in-
cariscono di quanto è l'importo del dazio almeno,
od altrimenti non l'introducono, doppio danno che
ne risente dallo stesso.
È vero che il peso andrebbe a colpire momen-
taneamente altri, ma distribuito nel modo più equo,
N. 46. Zara 22 OIàolire I§63«
/K
/timo lii^
Prozio d'assoein/.iunc in valu(a anstriaea per
Kara: per un anno tìoiini H; |ier im-si fiorini 4;
per tp-c nursi fiorini a. Pii rinianciile della Provincia
a fuori: per un Hiino fiorini fl : per »fi mesi fiorini 4
sulJi 30: ppr (re mesi fiorini '-J : 25. Per l'estero, e
pel Lombardo \ eneio gli scessi prezzi inargento, fran-
t'Iie del pitrio-posta.
Giornale [)oIi^co-le<^erario
Esce il Mercoledì ed il Sabato.
I ffruppi <• le c iniiiiiissiiiiii, fi anelli delle »pes«
postali, si diri nwiii in /:;rH » \ iiieenno Uuplancieli Ke-
datiore delU Vi i e |ic;!i;i:itiira. e »11 »bbuonaraenii. ai
• eirozii dei ^i^ll(ll I fratelli Battara c Pietro
Alielieli. Gli ani>i di M linee eoslano I fiorino, e ojni
linea di più snidi K. I,a la^sa ili finanza resta a earico
di-I eoniioittenic. I n numero separato eosta soldi IO
Giunta Provinciale.
Air I. li Ministero delle Finanze in Vienna.
La Giunta provinciale delia Dalmazia in data
11 ottobre 18G1 nr. 381 esponeva alla inclita
Direzione provinciale delle iiiianze alenile idee sul
modo di fare degli esperimenti di coltivazione di
tabacco, perchè dassero all' i. r. Finanza nna esatta
norma delle qualità più perfette, e delle località
più opportune.
Priva (fi risposta, replicò le sue istanze li 25
gennaio a. c. ur. 203, alle quali venne dato eva-
sione col pregiatissimo ministeriale dispaccio 4
marzo nr. 6803-238. Si concedeva di piantare
300,000 piante sul fondo erariale di Stagno grande,
0 00,000 al sig. Vincenzo Coltidrovich a Ragusa.
A questa disposizione inopportuna pella sta-
gione avanzata, per la quantità enorme concessa
al sig. Coludrovich, e per F inattitudine di Stagno
a produrre buon tabacco, la Giunta replicò con
un caldo indirizzo qui unito a S. E. il sig. Mi-
nistro delle tìnanze.
Li 25 aprile 1' eccelso Ministero concedeva che
la piantagione si facesse in tre punti ])resso Sta-
gno e Eagusa a spese e per conto della Giunta.
Ad una simile evasione la (riiinta in data 10
maggio 1862 nr. 988 risposo coli'unita nota di-
mostrando :
1. Esser troppo tardi per seminare il tabacco.
2. Esser cattiva la scelta di Stagno, terreno
salino, e aria paludosa.
3. Non poter la Giunta nò alcuna autorità as-
sumere la coltivazione del tabacco con successo,
ma doversi ciò lasciare all' interesse privato.
Consta alla Giunta che quest'anno siasi ripe-
tuta la coltivazione a Stagno, benché i saggi pre-
cedenti non dovessero incoraggiare a una terza
prova; che siasi pure concesso al sig. Michele
Coludrovich di Zara di far una piccola prova, e
lo stesso pure al signor Vincenzo Coludrovich di
lìagusa.
Sarà un miracolo se piantagioni fatte fuor di
tempo riescano bene; e se riescono, ciò proverà
la somma attitudine della Dalmazia per questo
genere di coltura.
La Giunta però non crede che su queste anor-
mali e imperfette prove si debba basare alcun giu-
dizio. Essa insiste che se ne faccia a tempo e luogo,
APPENDICE.
I veri ed i falsi liberali.
Libertà, augusta parola, seducente e glorioso
pensiei'O, tu accendi negli animi nobili potenti pas-
sioni ed affetti, la razza umana nobiliti e perfe-
zioni, sollevandola dalle abbiezioni e da molte mo-
rali miserie per stringerla in armoniosi accordi e
procurarle i migliori beni, cui può aspirare il suo
consorzio. Chi è che non ami, non desideri e non
ricerchi questa sovrana delle sociali prerogati-
ve e virtù ? Ahi molti ! i despoti, perchè le loro
anime piccole si compiacciono della maestà del
comando; i tiranni, perchè essa tende a spode-
starli dell'aborrito dominio; gh imbecilli, e que-
sti sono 1 più, perchè serve loro d'imbarazzo, non
essendo atti a trarne partito; gli ipocriti, perchè
temono di perdere le arti subdole, mercè cui dcln-
dono i poveri cretlcnzoni, e Id sciame di tutti quelli
se si ha la seria intenzione di eseguire tiiialmonte
le sovrane disposizioni. Essa creile die le prove
soltanto saranno decisivo quando si faranno nel
modo proposto colla sua nota 10 maggio suddetta.
Essa crede tinalmente, come rappresentante e
tutrice degli interessi economici, ed in ispecie de-
gli agrarii di questa provincia, di dover riiii jstrare
alla benevola attenzione dell'eccelso ]\Iinistero la
necessità che immediatamente si proceda alle mi-
sure preparatorie per nuovi e più estesi esperi-
menti; i quaU non saranno normali nè decisivi,
se il terreno non verrà arato iu no^'cmbre, se la
semina non sarà fatta nella seconda quindicina di
gennaro, e il trapianto entro ajjrile, |come si usa
a Trebigne, se si vuol avere di questa qualità die
fra le turche è la più squisita.
Bisogna penetrarsi del riflesso che la Dalmazia
è un paese meridionale, e soggetto alla siccità;
che perciò la cultura ritardata cresce male per
difetto di pioggie in estate, alla quale per mancanza
d'irrigazioni non si può rimediare.
La Giunta crede che ora l'i. r. finanza debba
prendere un interesse più vivo a questa cultura,
perchè in Turchia il prezzo del tabacco, che già
da qualche tempo va aumontandousi, dove ancor
più fortemente aumentare por la grave imposta
introdotta colà su questo prodotto; imposta che
equivale al prezzo" orieinario. ìi sperabile che
quando la coltura si avviasse, iti po
trebbe fornirlo più a buon mercato, e sostenere
vantaggiosamente la concorrenza col tabacco turco
anche sui mercati esteri.
Sotto r aspetto economico si deve riflettere, che
questo prodotto potrebbe migliorare di assai le
condizioni agrarie di alcuni distretti e specialmente
dei montani interni, che sono i più arretrati in
ricchezza e civiltà. E impossibile che coi magri
prodotti che attualmente esportano, avena, orzo
ecc. quando l'anno è prospero, possano cominciare
a formarsi un primo capitale onde progredire nei
miglioramenti; tutta la produzione basta appena
per vivere, e spesso non basta, anzi bisogna che
il governo con enormi somme ogni quarto o quinto
anno venga a salvare dalla morte migliaia d'individui.
Il tabacco terrebbe poco terreno ad altre cul-
ture. Esso non sarà mai coltivato in Dalmazia a
grandi estensioni perchè non potrà mai convenire
di produrre del tabacco ordinario ; si coltiverà
i quali dall'oscuratismo, dai raggiri, dalle impo-
sture e prepotenze ottengono il loro sostentamento
ed i loro poteri.
La vera libertà è estremamente rara, pura ed
unica, assomigliando alla luce del sole che non
ha confronti. — Cosa sono i liberali ? i suoi fau-
tori ed apostoli, l^ssi la professano, la promuovo-
no, la difendono, e la sostengono, basandola sul
sentimenti e diritti i più naturali e su leggi prov-
vide, da loro stessi create e deposte nei sacrarli
della fede pubblica. Se non che, liberali non sono
pur troppo tutti quelli i quali ne van facendo na -
stra. Disaminateli, ed essi vi appariranno come le
gemme le quali tutte risplcndouo e colla loro lu-
centezza vi attirano ed anche abbagliano', senza-
chè in tutte si riscontri l'uguale intrinseco valore;
donde facile e frequente l'inganno nella loro stima
e nella loro scelta, che non va evitato che da at-
tenti esami e circospezioni. Così vi imbatterete nei
veri e falsi liberali tra loro confusi ed indiscer-
nibili; ed incontrerete in ogni dove quei tanti e
in vece negh orti, e in alcuni tratti di terra ben
situati, del tabacco della più scelta qualità, quello
che si potrà vendere fra i 20 e i 40 tior.
Non si pretende di dire che questa sarebbe la
sola risorsa dell'agricoltura in tpielle pari della
Dalmazia: ve ne sarebiìero certamente delle ultre,
ma nello stato attuale di civiltà nun sono ancora
possibili.
Riassumendo le proposto co;itenute in questa
lunga, e finora infruttuosa pertrattazionc, la Giunta
Dalmata domanda :
1. Che tosto si determinino varii punti della
Dalmazia, per provarne 1' attitudine da un' estre-
mità all' altra.
2. Cbe si scelgano coltivatori onesti, intelli-
genti, e possessori di un terreno adatto per un
piccolo saggio di coltura, non maggiore ognuno di
3 a 4000 piante, e che loro s'insinui di prepa-
rare convenientemonte il terreno e a suo tempo
concimarlo.
3. Che al principio di gennaro si affidino a
loro sementi della più perfetta qualità di Trebigne,
ed altre ancora se vuoisi.
4. Cha raccolto e condizionato il tabacco, lo si
classifichi jirima in Dalmazia da una commissione
composta di delegati della Giunta e dell'i. r. Fi-
nanza, indi a Vienna dalle i. r. Direzione della
fabbriche.
C. OIiv «ol Timromhr^ <lt>ll' nnnn Vf>n«
turo, al più tardi, si faccia conoscere il giudizio
definitivo della qualità, e il prezzo che la suddetta
i. r. Dii-ezione intendesse di pagare in relazione
ad analoghe qualità che aquista, dall' estero o nel-
r interno.
6. Che in base a questi prezzi sieno invitati a
prodursi coloro che volessero coltivare tabacco nei
18G3 colle precauzioni che 1'1. r. Finanza troverà
di stabilire.
Stimatissimo sig. Redattore.
Firenze, 6 ottobre 1S02.
Nella precedente mia lettera panni d'essere corso
con un mezzo im;)egno, e giacché dovetti contro
voglia prolungare qui il mio soggiorno per un tempo
quattro volte maggiore di quello che era stato
fissato , così restandomono agio, credo doverlo
soddisfare.
tanti i quali si danno tutta la pena possibile per
comparire tra le schiere dei liberali, perdio ad
essi il mondo tributa ovazioni e fiducia cui ane-
lano gli spiriti deboli, ambiziosi ed interessati, di
cui tra noi v' ha copia numerosa e pur troppo so-
verchia. —-1 veri liberali, possiamo asserire, stannfì
rimpetto ai falsi, nella stessa proporzione, come le
genuine gemme di fronte alle fiilse.
Volete sfuggire gli inganni e gli abbagli? siate
per quanto importa diffidenti ed onestamente dub-
biosi, analizzate attentamente la società, adden-
tratevi, indagatori, in mezzo alle passioni che la
agitano; riconoscerete il vero e discoprirete dei
peccati gravi ammantati da simulate virtù: scor-
gerete r egoismo, r interesse, la vanità, e quanto
v'ha ancor di peggio, assumere l'ingannevole a-
spetto dei sentimenti i più nobili, dc!!;i nl.iìitropia,
della generosità, dell' amor patri ), e di tante ai-
tre cospicue doti che il moiido deluso ap^jre^'^a e
talvolta premia.
Nei severi sqiiittini, in mezzo a tante witerv«
scuola intendessero istruirsi da sé; perchè, nè vi
sono istruttori che possedano la lingua da poter va-
lersene con niaestria/aè i giovani; sopra ogni cosa,
la hanno, per propria e nativa, da poter perfettamente
conii^ei^ri^ »è k liìttei^tof^ slava è sufficiea-
teiH^Éf pr^redta dt fornire uim completa istru--
seleatifea. dÈ^re u«a lun^a lista di autori e
di opere, a d'imostrare il contrario, noa giova, quando
non si possono annoverare che nomini e opere me-
diocri. Se la lingua italiana non avesse avuti che
Brunetto Latmi c il Cavalcanti, e il Gruinicelli, e Guit-
ton d'Arezzo, e i poemi cavallereschi, e Matteo Bo-
jardo, certo poco più sarebbe atta, che non la slava
attualmente, a dare una istruzione completa. A con-
durla a perfezione ci fu d' uopo di quella molti-
tudine d'uomini e d'opere insigni che la lingua
slava non ha.
Nè r infehce argomento del non poter noi sen-
tenziare di ciò, per la ignoranza in cui versiamo
della lingua, vale altro che a mostrare negli avver-
sari la mancanza d' ogni solida ragione. La co-
gnizione della Mngua non darebbe a noi maggiore
autorità di negare pregio alia coltura sJava, che
non dia ad essi raffermarlo. L'autorità la pren-
diamo dal fatto universalmente conosciuto che nes-
suna declamazione vale a distruggere, la prendiamo
dalla opinione, non di uno o due sapienti di slavo,
ma di tutta la nazione, che non si fa punto le illu-
sioni che i nostri slavisti si fanno. Dove uomini
ed opere e monumenti di vera grandezza esistono,
se ne diffonde rapidamente la cognizione dovun-
que, nè rimangono punto sconosciuti a coloro che
non possono pigliarne da sè notizia immediata. Po-
chi dotti, a cagion d'esempio, sono in Europa che
conoscono il sanscrito: ma pochissimi tra gli istruti
che non sappiano che merito s' abbia Vahnici, e
che monumenti sieno il Mahabharata e il Rama-
yana. Se la lingua slava possedesse opere di tale
X>regio, sarebbero a conoscenza di ciascheduno, nè
ci sarebbe nessuno die potesse arrischiare di negar-
ne r esistenza.
Lo stesso tacito rimprovero che in questo argo-
mento si contiene a quelli tra noi che la lingua
non conoscono, è mia prova come la verità sta
dalla nostra parte. La ragione essenziale che lo
studio della lingua slava non è tra noi diffuso, la
ragione che^ se non giustifica quelh che la igno-
rano, in gran parte li scusa, è appunto la man-
canza di mezzi per apprenderla^ di grammatiche e
di dizionari da studiarla e consultare, di libri da
leggere, di capolavori da ammirare e gustare. Non
tutti, anche di coloro che sentono il dovere d'istruirsi,
hanno tanta squisitezza di facoltà intellettuali, o cosi
forte tenacità di volere, da affrontare e vincere gli
ostacoli che all'acquisto di una lingua mancante
di questi mezzi s'incontrano; non tutti che inten-
dano agevolmente la necessità di intraprendere uno
studio ingrato, che non dia nessun frutto immediato,
che non giovi all'acquisto di cognizioni, che non of-
fra pure il solletic«;) di letture piacevoli ed istruttive.
Letteratura Slava.
III.
(Coììtìimazioìie, redi n. 45J.
HannibaI ante porias!
Come nocchiero, che dopo lunga e penosa as-
senza rivede il sospirato lido, e col vento in poppa
e a gonfie vele sulle amiche onde vi si avvicina,
e pargli toccar con mano i cari oggetti che vi
lasciò; ma vedi sventura! ad un tratto crudele
forza di nemico elemento lo arresta nei suoi beati
sogni, e fa che giri di bordo ; - così anch'io pro-
seguendo il mio cammino, pregna la mente di sa-
lutare impresa, udii ingrata voce, e mi sovvenni
che la tristezza è la compagna delle gioie umane :
(jdi fe sriéa, tu je i neméa ! - E mi conversi, e
vidi un pseudo Fausto, ') che ini rampogna, che
mi vuol conquiso. Ed io a lui :
Non è Hus che mi destò, che mi condusse per
mano ; e voi tutti, suoi imitatori, foste bimbi in Sla-
via quando io era slavo maturo. E più amai le
opanclie del marito della nostra regina Libussa,
che religiosamente si conservano nella cattedrale
V, N(t:iomle ii, Oj, G6.
di Praga, che Xixka e Hus; come divoto italiano
amerebbe più veder in Campidoglio V aratro di Gin-
cinato, che la dalmatica di €ola. E io qui ricordo
quella veste che nel suo tìrloftfo indossò quel tri-
buno; cosa nostra.
Nella mìa e|>istiila ai Kteati trftluce U mia
vocazione, e tu o pseudo fausto, mi costringi di
dar bando alla modestia e Wtar tutt'altro sacco
che mi protegga dal tuo erulò inveire. E ciò tra-
luce pur dal mio programma alla Zora Dalniafin-
^/ffl', frutto del mio pensiero, che da Berlich, illu-
stre Slavone, fu salutato col krasno dalniollnukì.
Io fui slavo nella casa paterna, vedi la mia e-
pistola ; fui slauo a Vienna nell'anno 1826 ; colà
poi conversai con gioventù polacca, miei condi-
scepoli in chirurgia e medicina; mi leggevano in
polacco le descrizioni dei ftitti eroici in quella
gran guerra contro i Russi, io allora non sapeva
di Hus; e quando le cose voltarono in - peggio, a-
morosa vecchia mi abbracciò in Cilly, ed eslamò:
poveri Polacchi! — e più tardi a Padova ammirai
la statua di Sobieski.
Ritornai in Dalmazia ricolmo di idee slave, e
il primo a cui le svolsi fu Casotti redattore, che
non ne fece gran caso: io desiderava un posto
nelle colonne del suo foglio, e ne avrei parlato
anche a Brambilla, se non fosse stato italiano. De-
ficienza di mezzi, distratto dalla mia professione
ostetrica, appena nel 44 potei effettuare il mio
concetto. È falso dunque che Hus fu il mio donno,
e ai fratelli di Boemia, che mi volevano membro
della lor assemblea, corrisposi colla Lipa, albero
agli Slavi sacro, quanto agli antichi Druidi il sa-
cro vischio di Norma.
Venni in contesa con Tommaseo; in quell'epi-
stola lo salutai lume chiarissimo, onor d'Italia,
stella dalmata, e lodai l'insigne mio concittadino
Bajamonti ; e sempre il vero merito^ di qualunque
opinione fosse, rispettai.
Riportasti un passo di quellla mia epistola, o-
ve si trova la parola sriednjega, col da te innesta-
tovi che io ricuso. ^
Quella epistola scrissi vinto da forza istintiva,
elle mi fece distinguere u^i punto Ivmvinoso, e non
l'altro nero, che gli stava accanto ; distingueva
un gigUo immacolato, non l'ortica. Mi si potrà
dar del cieco, non mai dell'insensato; e il mio rav-
vedimento da onta mi salva.
Lodai Petranovich, che mai non mi conobbe, o
non mi voleva conoscere; e in quel momento di
laude pensai più al suo distinto merito come uno
dei promotori di nostra nazionalità, che ai suoi
talenti letterari. E lodai Ivichievich, che è mente
grandemente superiore alla sua.
Voleva andare a Zagabria in compagnia di de-
putato illustre, che mi voleva suo compagno e non
a spese mie; contrario inopinato vento ci impedì,
e noi dovevamo passare sotto archi, che portavan
l'iscrizione ^Felix advenlus^ calpestare le rose, e
ammirare il bue intero arrosto. E se si avessero a
rinnovare quelle circostanze, vi andrei potendo, e
i Croati arrendevolissimo mi troverebbero sub con-
ditione or che ho gh occhi aperti. Non sono nè
autouomo nè annessionista; seguo mia natura, che
non mi fa ligio a nessuno.
Sostenni lotta coi discepoH di Hus, lotta acca-
nita, ed ebbi un bravo soldato, l'egregio letterato,
canonico D.n Simeone Starcevich di Carlobago, di
cui i Dalmati, che amava cordialmente, dovrebbero
conservare memoria sempiterna, e collocare nel
novero dei loro illustri, la di cui voce venne sof-
focata da materia bruta ; e quello che scrisse nella
Zora contro gh innovatori, benché sappia di aspra
severità, racchiude verità grande, a cui essi rispo-
sero con luride contumelie.
Air osservazione sul classico non trovo necessa-
ria la risposta; e a quella che prende di mira le
due lezioni croate da me invocate, rispondo col
dire che nella mia ira quello mi si competeva.
Falsamente asserisci, che quel mio articolo è
un completo credo politico ; tu non mi conosci ;
Zara per venti anni mi conobbe, e non mi vide
adular nessuno; e quel Gaj, ingannato da lettera
infame, mi chiamò traditore e spia, perchè come
traduttore uffiziale tradussi la sua canzone per
ordine del direttore di Polizia Martinez, e . con
vile credulità divulgò quella calunnia. E chi ha
la camicia sporca non ardirebbe di portar in
blico tanta nequizia inorpellata. E io sono il
tire della nià iiazàoné !
Dici, else i p^roìftotori croati furono ormai giù,
dicati dà tutta k g®erazione die è pur
qualcosa; e io ti ridondo che furoniO giudicati dal-
ignoranza, e il pubblico che frastmmt ed a ratjmie,
è il tuo pubblico^ è qiteW uomo il cui passato era
uìia sfila perenne aWelemento non nazionale, spiegò
nella Voce Dalmallca come poteva il suo concetto;
e se quello non basta, dirò, sosterrò, che Croazia
non ha 1' Emi odoro di Eraclito, la di cui statua
fu collocata nel Comizio.
Accennai ad un' accademia, onde non compari-
scano tronfie e ampollose quelle mie correzioni ;
ed è sproposito sostenere, che una terminologia
giuridica spropositata possa passare. E Italia ebbe
i suoi Dante, Petrarca, Boccaccio, che vissero in
mezzo al suo popolo ; e noi abbiamo dei semidotti
(e fra questi mi trovo anch' io, che ho il merito
di conoscermi, come l'ignoranza che conosce se
stessa), che passarono il lungo tirocinio delle di-
scipline umane in lingua straniera, poco appro-
fittarono della propria, e se ne fanno dottori, e
la corrompono seminando una moltitudine di vo-
caboh indigesti; e poi aspettate la Crusca che li
ritiri.
Dai Ragusei non ho imparato niente, ma dal
popolo quel poco che io so ; e poteva anche da
essi qualcosa imparare, e se non stimo gran fatto
i lor classici slavi, jwrto rispetto all' inclita Ra-
gusa, che diede tanti uomini illustri, di fama e-
guale a Lucio e a Marulo nostri, e fra quelli ben
a diritto vanta Boscovich e Baglivi međico chia-
rissimo. E la grammatica nel Glasnik non è mia;
scrissi solo degli articoli grammaticali a mio modo.
Nastava è uno, e zavod è im altro; e tu non
sei buon giudice in lingua. Zavod, istituto, sarà
buono in Russia, e noi dovremmo intendere za-
vod sostantivo di zavodili o zavesti preso anche
per sedurre ; e invece dell' erroneo zavedenje del
Manuale Petranovich, si doveva dire zavod.
Mi dici : sacrificherebbe ella per la sdolcinata
r annessione ? Sì che la sacrificherei, e non sa-
crificherei Diis manibns ne noceant. E queste ed
altre mie parole non sono gettate a caso, son da
me pesate, solo dispiacemi che il mio sermone è
inculto. E questo punto non devo lasciare senza
un' addizione al mio articolo sotto la voce accer-
tare, inserito nel n. 41 della V. D., che dovrebbe
servire di guida all'inclita Giunta del regno, se
vuole la Mngua sÌRYO-dalmata.
Per lingua slavo-dalmata, voluta dalla Giunta
(che la deve intendere a modo mio, altrimenti o
contradirebbe a se stessa, o avrebbe parlato im-
boccata, il che non credo), per cui essa fu posta
in canzone dai fogli liberali croati, e a cui rispose
con dignitoso silenzio ; intendo, e così dovrebbero
intendere tutti quanti gh autonomi e non auto-
nomi, quella parlata dalla maggioranza del popolo
dalmate. Ora si oppone dagli avversarli volenti
lingua una nella Slavia meridionale : che lingua
slavo-dalmata è titolo improprio, predicato scon-
cio, quasi ridicolo, e che Serbia e Croazia, in una
parola, tutta la Slavia nostra ha la stessa lingua.
Questa asserzione in apparenza è vera, in sostanza
falsa.
La lingua della nostra Slavia, quella volgare,
(che se parlassi di letteraria sarebbe un guazza-
buglio) è tutto una in quanto alla sua intelligenza,
ma in punto dottrinario che distingue i tre gran
dialetti, in orientale, meridionale, e occidentale,
com'è il nostro slavo-dalmato, presenta delle dif-
ferenze, che sono degne di rimarco, e di seria at-
tenzione. Il Serbo a nessun patto non dirà, e non
scriverà p. e. mliko ma mlijeko, o mleko ; e qui sta
il punto più culminante della questione : i riforma-
tori croati, e i croatizzanti da noi, sostengono che
si debba dire e scrivere mlieko, e quelli che ere«
dono da noi di essere Serbi, quelU cioè di rito o-
rientale, mostrano a ciò il bel bocchino, approvanlo
a bocca semichiusa {na po ustali) perchè ci ve^
dono Serbia pullulante nel Triregno, e ancor non
ardiscono di dire a'croati e croatizzanti: voi siete
meschini, così non si scrive, dovete prender il no^
ilirska: alzò bandiera d'iiidipendenza ai tempi dei
Eomani, dei Falieri, e di Diedo •; e i €r<»ati la sa-
lutarono maestra ; e quei saoi %li, che sà trasser-o
dietro al loro Peg^seo, ella farìi tornare in se;
perciocché ella non vuole Pulciiielìa in Toscana;
temerebbe solo i precetti vandalici: e in questi
tempi ride Moutenegriiìi abbisognanti di cfeo ge-
iierazioMi per rimettersi; Serbi invano rainaccianti
la Isua; Croati delusi; e Xapole@i?e che per essi
non vuol muover guerra alF Eciropa. E 'T intelli-
genza Dalmata tntto prevedeva, e ben strana
compariva la baldanzosa pretesa del diritto storico,
che tutto ad un tratto k voleva trasformata in
croata; ed era grande assurdo il passaggio pre-
cipitoso dalla brillante civiltà latina, che la do-
veva aflfiiscinare, ad nna letteratura in fascie, e ad
una rustica civiltà.
Mai non appr<3v&i le rozze invettive dei gior-
nali croati, applaudite da rozze credenze ; forte-
mente difesi la mia nazionalità contro pochi ; par-
lai cou rispetto della maggioranza dei Dalmati ;
mi sortì tutto dal cuore, e la laia dignità aveva
diritto di farsi sentire. E i Croati, e i loro aderenti
spero che faranno senno; cke allora crescerà 1' anìor
della Ungua, e l'amor fraterno, the imbecille di-
viene quando viene bruscamente imposto da ru-
stici scoponi; e^nella iMalies, Dalmaliasha, e nel Na-
zionale, nella Cliaomicd^ io distinguo dei fonti di
progrediente dissidio, e di future ire; e tutti e tre
questi organi della nostra Slavia allora compari-
ranno formosi e sacri, quando si saranno civil-
mente alFratellati alla Voce fìahnalica, che non
ricusa e non dispregia, ma ama un graduato,
ragionato progresso della slava civiltà. E i talenti
di Ivichievich, di Nodilo e di Yojnovich, e di tanti
altri, devono a ciò rivolgersi ; e da questi deve
prendersi l'iniziativa, che si deve portar rispetto
alle secolari prerogative municipah come lo por-
sero i nostri Re. Il trionfo della causa slava tino
ad ora così malmenata, non potrebbe succedere che
colle baionette ; e io bramo che desso succeda col
ramo d'ulivo, e con riguardo alla dignità italiana,
che allora cederebbe il suo più eminente seggio,
quando rimirasse una vicina, di riverenza degna.
La conversione dovrebbe farsi sincera, con o-
neste transazioni da ambe le parti ; ferma la di-
gnità dalmata in confronto di quella d'oltremonte;
insegnare la creanza a quelh che ne hanno biso-
gno; non baldanza in isperanza di futuri sostegni;
ammonizioni amiche a qualcuuo che dispregiasse
il sacro nostro progresso. Queste ed altre simili
discipline è necessario praticare onde ridonare alla
patria da partiti lacerata il benefizio della pace ;
e la nostra Čitaonica (voce di puerile imitazione,
che dovrebbe scambiarsi col nostro Silo) dovrebbe
fondersi nel Gabinetto di lettura, eretto dair esi-
mio Bajamonti; dimentica dei passati rancori, do-
vrebbe con applauso di tutti i nostri cittadini fon-
dare un anniversario in memoria di Terpimiro e di
Zvonimiro, che lasciarono tanti pii legati al nostro
messer san Doimo. ')
Ora devo voltar pagina, e non lasciarmi placare
da desiderio così pio ; chè io voglio continuare nella
mia severità, onde meglio risalti la giustizia delle
mie passate asserziouL
I meriti croati che con tanto fracasso in mezzo
a noi si sparpagliarono, e che furono approvati
con barbare declamazioni contro al gran rifiuto;
hanno per base la politica concupiscenza; e qui
mi cade a proposito di provarne V assurdo.
Ludovico Gaj, principale promotore del movi-
mento croato, non ebbe nè ii talento, nè la virtù,
nè r occasione da grande impresa, chè per pro-
vocare grandi riscosse, si esige merito eminente. E
nei fasti delle altre nazioni, si trovano molti e-
sempii di cotali meschine riuscite, che arrecarono
più male che bene e prolungarono gli affanni. Di
fronte ad una potenza colossale, a tante fonni-
dabili legioni a lei da seeoh devote, alla feuda-
listića rozzezza del suo popolo, alla vicinanza di
popolo affine immerso in pregiudizii; costui doveva
modestamente fare la sua comparsa, e dai ferrei
secoli strappare poco per volta, e colla massima
cautela qualche diritto. Ed egli erasi in circostanze
'} Vedi la mi» «pistola ai Dalmati, pag. 37.
assai migliori delie mie, chè mi trovavo Si^ggetto
a censura irremovibile, la (^uale mi costriiigeva ad
esternare solo la n\illesima parte delle mie a-piraziuni.
Fu educato in iscuola tedesca, si inibevè di i-
dee liberali straniere, viaggiò, raccolse niemurie
patrie, portò da Praga V ortografia cornuta, fondò
giornali, si immaginò nii£ grande uiiioue di popoli
dal Danubio alla Bojans. dall' Adriatico al mai-
Nero; e sapendo che uniom« essere non può senza
nome Razionale universale, scartabellò le anticbe
biblioteche e vi trovò il dimenticato IHÌNO. Dunque
lUinio tutta quella regione^ e Jlliri e Dalmati, e
Serbi, e non Serbi, ecc. A prieri il progetto nie-
ritavà encomio ; a postej iori biasimo.
Egli sortì colla sua banica llirshn, che fece di
se brutta comparsa ; scritta iu dialetto delia Cro-
azia civile, mentre in Dalnsazia, Serbia, e Slavo-
nia si scriveva differentemente; così egli uscì con
laiìcia spezzata, e se si fosse hmitato dapprincipio
alla SRa terra, dàirintiuenza che allor lo soste-
neva avrebbe potuto poco per volta attirare a se
Slavoida, la limitrola Carinola, e Slovenia, e anche
Dalmazia, non ripugnante al nome Illiro, nè a
quella sua lingua, in cui scrissero da noi uomini
celebri, come Fra Bernardino da Spalato, Marulo,
Cavagnini, ed altri; i quali andarono fuor di moda
per il subentrato silenzio, rotto da autori che co-
me Kacich scrissero in altro dialetto, il quale, co-
me precedentemente accennai, è inferiore in merito
originale a quel!' altro ; anzi Gaj coir aver quello
soppresso, apportò ferita grave alP indipendenza
nazionale della sua Heroatda.
L'oculato sospettoso Serbo, scosso dalla novità
croata, non simulò la sua robusta invidia; e pen-
sando che qui gatta ci cova, si dimenò, assaltò,
gridò: che vuol quel decrepito Illirio? Ser-
bia, e non più; nostro Dositelo e basta! E da
quella dimostrazione in poi fissò gli occhi sulla
sua metropoli Belgrado, e sulla sua Carlovitz, e fino
al dì d'oggi dimostrò il suo carattere forte na-
zionale, che sarebbe giustissimo, se non fosse en-
trato in casa d'altri col suo ritornello Serbi svi i
svaria. Saffarilc, non Serbo, gli aveva insegnata la
sua antica culla tra il mare di Azof e il Volga,
ricordata da Plinio col nome di Serba o Serpa ;
a qual scoperta vien fatta piccina dalla biia Zora
di Livio, che i Serbi per togliersi dMmpaccio no-
niaron Bela^ come si ingegnano di nomar Beo-
grad, quello che è infatti Bilgrad, o per regola di
composizione Biògra fi E se noi lasciassimo ad essi
la briglia sciolta, di Split- Spalato - dovremmo
fare per regola eufonica Špljet, o almeno Spljef,
come vogliono Croati e croatanti, e così si dica
di una moltitudine di altre voci ; perciocché è
loro intenzione, vedendo la piccolezza del loro ter-
ritorio, tutto serbizzare; e ciò noi dobbiamo tutto
rintuzzare, e l'intelligenza Dalmata, se lascie-
rà fare, riceverà leggi come il Dottor Bartolo, che
afferma tutto sapere e non sa niente; che se i
Croati son divenuti matti, non siam noi, che vivia-
mo nella Toscana della Slavia meridionale, e dob-
biamo dare un calcio alle oltramontane imposizioni
e a tutta possa proteggere la Dalmata Ilervafska,
confermata dal Porfirogenito, dalle da me citate
memorie, e dal nome dominante di nostra lingua,
contrastatoci dalla boria serba. E siccome per
chiarir meglio la cosa dovrei scrivere un trattato
che qui non sta ; così mi trovo costretto di limi-
tarne la conoscenza su questi mici cenni, che me-
ritano di esser presi in considerazione e protetti:
perciocché non mi soddisfiumo le difese croate, che
restan come cosa morta sui giornali, coperta dal
Triregno, che per se stesso è un titolo vago, in
confronto del collettivo Serbia: a cui si ricorse
per misera necessità, volendo Slavonia esser Slavonia,
e Sirmio Sirmio, e Dalmazia Dalmazia, che preci-
samente ha la sua Hervatska slava, la quale, per
rispetto air inclito nome Dalmazia, si deve cliia -
mare Hervatska in Dalmazia, come si chiama Lom-
bardia in Italia, il che benissimo deve stare senza
offendere la nobil casta di origine latina, che ha
diritto di conservare alla terra dove sta il nome
venerato antico. Questa è questione semplicemente
di nome nazionale per la gente dalmato-slava, a
cui deve grandemente interessare l'avito titolo,
che provocò pur quello di lingua slavo-dalmata.
I Croati dopo che videro la mala riuscita del
loru miro, e pur agfjguaudu all.i grande unione,
inventarono i nt^mi di Ittguslaiia. lnu^sUu enskì, Na-
rodne novine, ecc. da abbracciaru tutte quelle terre;
si mostrarono or iudidgenti. or umili, ai Serbi; vi
si av\ iciiwrono cou miglioramenti di lingua, che
questi derisero e dis^regiaruno. Che dunque fare ?
Fare da Argonauti, andar in cerca del vello d'oro.
xVllora Gaj, e ^lazuranich ( Antonio se non erro)
calarojio dal Velebich in Dalmazia, di passaggio
distribuirono la famosa canzone, di cui feci men-
zione nel precedente mio scritto: giunti a Zara
mi visitarono, mi regalarono alquanti esemplari di
quella, e quaUiie traduzione di drammi; ed io vi
corrisposi col Bertoldo Bertoldin e Caeasseno tra-
dotti in islavo, che essi molto aggradirono e che
prima non conobbero.
Da quei due udii magnificamente lodar Dalma-
zia, e tutte le sue opere slave grandi, mezzane, e
piccole ; terra classica, culla di eroi, ed io di-
nanzi a loro compariva personaggio rispettabile.
Ed erano arti per aver Dalmazia tpmndo non si
poteva avere Serbia-; e quando, si ha Dalmazia,
si può avere anche Bossina, e Gaj talvolta non
ricordandosi dell'ampia laudo data, cedeva alle
mie osservazioni, chè non vi vedeva in ogni opera
i fiori.
Io che anche allora fui grande amico della be-
ata semplicità, vedeva Gaj caricato, slavo artifi-
ziato; ma Mazuranich serio e laconico mi com-
pariva in veste slava. E in quel tempo era a Zara
ad latus del conte di Lilienberg lelacich maggiore ;
ed essi vennero in contatto con lui, e certamente
cke poi influirono alla sua esaltazione. Con esso
una sola volta parlai, presente Vuk Sfeflinovich ;
e mi parve uomo di idee rapide, poco buon par-
latoi'e slavo per la tedesca militare educazione ;
lepido, di bell'aspetto quando il cappello gh cuo-
priva la calvizie ; e dopo i gran fatti della sua
vita, che qiu non è luogo da descrivere, comprovò
se noli altro di aver avuto gran desiderio di far
del bene alla nostra nazione.
Que"* due rappresentanti croati visitarono Dal-
mazia, videro llagusa, oggetto principale del lor
viaggio, culla dei maestri di lingua ; raccolsero
Gondola, Giorgi ed altri; h abbracciarono con am-
plesso fraterno, e li battezzarono con Gunduhch,
Giorgjicli ; insegnando così ai Ragusei, che quello
che credevano di origine fiorentina, era di origine
morlacca. E dopo questa lezione araldica, quelli
ritornarono in patria; Mazuranich un pò più tardi.
D'allora in poi tutto viscere per i Ragusei; non
più e y ma ie, nje, e djeje ; e i Serbi risero. Che
dunque fare in tanta contraddanza? Era da vol-
tare il retro a costoro, contentarsi del ducato
custodito da tante legioni, tarpar le ah ai genii
Ragusei, mirar Carniola e Slovenia, e aspettar
buone nuove di Dalmazia; e questa gran misura
sarebbe stata assai più salutare a Hervatska, che così
come è, è più Serpska che altro ; e non si sarebbe
ricorso ai locativi plurah e ad altre fandonie per
far comparire la composizione serbsko-ltèrralski, dai
Serbi dispregiata. Che si direbbe in Italia della
lingua, che portasse per titolo p. e. toscano-i>e«<?-
ziaiia? L'inclita Giunùi del regno bene fece di
appellar la nostra slavo-dalmata, che in futuro si
dovrà praticamente comprovare.
I Serbi in tutti i loro d<^tti e fatti dimostrarono
la loro boriosa rivalità, e in carta ampliarono la
loro tenuta, e si fecero conoscere all' Europa i-
guara delle nostre cose quali principali se non
unici abitatori di queste regioni ; e la nostra i-
iierzia lasciò fare ; comparimmo miserabih nell'ab-
bondanza; quindi le serpske pisme, che migliori ap-
paiono quando descrivono la gloria dei dalmati
eroi, tradotte in itahano e tedesco, mentre noi in
Dalmazia ne abbiamo assai più sparse per i po-
veri abituri e più venuste, da ftir scomparir quelle,
piene zeppe di corruzioni di lingua e di voca-
boli della mezza luna e di monotonia. E all'in-
telligenza dalmata dico inlelligcnli panca!
Spalato, li 20 ottobre 1862.
prof. A. Kuzmanioh.
da izbiti, come da biti, battere, si dice ùlJeM, e non
biven ; e da dobiti, viacei'e o ottenere, si fa dobi-
ven e non dobijen-^ e in iiltiino quel suo verbale
suonar deve anche come dar delle buone bastonate;
quindi dobbiamo guardarci da facili equivoci.
Cosa ino direbbero i molti dottori di nostra lingua
(eliè in lingua non domiuaute non ce u' è carestia)
se io qui sostenessi, come sastengo, che il pre-
sente indicativo della coiigiugazione passiva è er-
roneauieute formato; perciocché non si dovrebbe
dire p, e, ja sam moljen, io sono pregato ; ma mene
moie, 0 mole me ? Ma anche qui mi si contraddili,
e non mi cale. — Credo in somma, che dove la
radice del verbo non si prestasse alla formazione
dei nomi essenziali mancanti, si debba ricorrere
alla perifrasi col verbo, piuttosto che formare un
ingiusto verbale.
È arbitrio dire che dileke vuol dire bambino
durante la gravidanza; perciocché e dile e diìesce
dal volgo si usa a piacere, sia durante la vita
intrauterina o dopo il parto, come è assurdo l'af-
fermare che l'aborto sempre succede per prava
intenzione. Proposi una distinzione scientifica tra
feto, e bambino nato, e mi parve che cedo si do-
vesse apphcare a feto per distinguerlo dal neo-
nato. Ma mi viene opposto che si dice : musho je
čedo rodila: ed io oppongo che si dice più comu-
nemente: muèko je dite rodila-, e perchè scientifi-
camente non lice fissare una distinzione? e non
si dice anche : čedo je pod fhom, alludendo a gra-
vidanza? Don Michele mi crede assai più gonzo
di quel che sono ; e non sa che ancora con giu-
stizia gli posso rimarcare che tlačenje ha mal col-
locato in mezzo ai suoi ingiusti verbali, perchè
quello giustamente deriva dal verbo frequentativo
tlaidli, conculcare ; e poi gamilje, svanatje (figu-
ratevi questo tratto da verbo impersonale), e tanti
altri consimili hanno acquistato ingiusta cittadinanza.
Infine noto anche questo, che egli appoggian-
dosi al dizionario delio Stefanovicli, che non con-
tiene tutto perle, dà ima temeraria interpretazione
air umile verbo pomelnuti, come se tutte le voci
serbe dovessero servire ai Dalmati ; ed è poi ri-
dicola la sua interpretazione di izmet e izmetniiti
come se si trattasse di reiezione d'immondezze ;
mentre a izmetìiuti si dà anche il significato di
scaricare un'arma da fuoco; izmetnuti ptiikii, top.
Ci vorrebbe altro a ventilare minutanieiite tutte
le bizzarrie dei miei avversari
La maschera corregge il mio njihovoga col suo
svoga (e ancora in altro luogo intrude ie, non mio,
e che ricuso), e così commette due errori: 1. per-
chè in quel caso determinato si dovrebbe dire
svojega e non svoga ; 2. perchè njihovoga sta là
bene, riferendosi a paziente e non ad agente. Dica
al suo protetto D.r Petranovich, di cui essa e un
alter ego, dica, perchè egh scrisse pišajući, gerun-
dio storto, e non pisaéi, e meglio ancor pisné ge-
rundio dritto? Forse che da pisati in indicativo
presente si deve dire: pisujem e non pišem? Noli
me tangere! Ma pur consoliamoci in mezzo ai
nostri errori, che ne commettono anche i gran
scrittori di altre liiigue ; e anche il tanto merita-
mente lodato Vuk Stefanovicli ne commise di molti;
e la prima parola della sua traduzione del Nuovo
Testamento è uno sproposito, ove la geneologia
traduce in pleme, stirpe, che abbraccia tutti i rami
collaterah e discendenti. Quello è il miglior scrit-
tore che fa meno torto alla lingua; e anche in
Dante vi sono dei versi fallati. La hugua non si
impara mai.
Chiudo questo mio scritto con interessante av-
vertimento. Corre voce che il D.r Pullich, diret-
tore effettivo del ginnasio di Zara, in commissione
straordinaria per la così detta riorganizzazione del
ginnasio di Spalato, intende e vuole via facti in-
trodurre la lingua slava, come lingua d'istruzione
per l'insegnamento religioso e per i discorsi do-
minicali nel ginnasio inferiore. Con ciò^ egli in-
tende, secondo si è espresso, di sopperire ai bi-
sogni della patria, spezialmente per ciò che con-
cerne la parte meno illuminata della popolazione
dalmata.
Questo doveroso zelo del D.r Pullich è di laude
degno; ma dove sono i libri di testo, che vorrei
vedere, se croati o slavo-dalmati, secondo la mia
intenzione e il buon senso dei Dalmati. Se croati,
rigettar si dovranno, che la Dalmazia non deve
deturpar la sua lingua cui farsi serva a Croazia;
come la si voleva far serva a Kussia nel 48; e
la lingua dell'archimandrita Raich, rnsso-serbo-
bulgara, che fu adottata da Giorgio Giarich, e-
letto dal governo per traduttore del giornale uf-
fìziale d'allora, è una palmare prova dell'attuale
nostra ignoranza di nostra lingua, e della dalmata
infelicità; e credo con ciò di non predicare alle
pietre.
Clii è ancora in letargo c!ie si scuota, altri-
menti orrevohnente ritornerò al mio biii-o , come
quel capitano che tutto i)erdè fuorché T onore ; e
se i croatizzauti insorgeranno culT atìVrmare che
queste son mie meticolosità, o che è mio vanilo-
quio ; lor risponderò : la malvagità dei tein^)! vi
assicura, e l'ignoranza vi fa plauso I
Spalato, li 8 novembre 18(J2
prof. A. Kuzmaxich.
Sulla coltivazione del tabacco.
La Dalmazia che in tempi antichi formava una
delle più fertili e ricche provincie dell'impero ro-
mano, sconvolta poscia da vicende politiche e bar-
bariche orde, la provincia divenne de'sogni, come
non ha guari un gentile corrispoudente della DJ-
nau-Zeituiig ebbe a qualificarla dopo profondo
studio.
E diffatti, cred'io aver egli ragione, perchè il
sonnifero liquore, di cui la provincia nostra ab-
bonda, r avrà forse tenuto in quella dolce estasi,
che sogni variati sa produrre, ed avrà sotto que-
sto influsso vergato quel caro articoletto, che tutti
ci manda a solcare il mare.
Ma davvero ch'io non sono l'uomo per questo
elemento, e grato m' è vagare piuttosto intorno
a' nostri vigneti e praticelli, e se volete anche fra
scoscesi dirupi, che affidarmi all'infido elemento.
Alla terra dunque emmi caro rivolgere i miei
peiisicii, e farvi sogni dorati, senza bisogno però
di sonnifero, ed eccovene uno.
Da più e più anni questa parto sognatrlce di
mondo, che Dalmazia s'appella, conosceva di quanto
interesse poteva essere a questa provincia la col-
tivazione del tabacco, per cui molto si è parlato,
più scritto, e nulla ottenuto.
Da due anni però l'i. r. Intendente di Ragusa
cav. de Kiiffer, ottenne tentarne Tesperimento a
Stagno in via amministrativa, perchè dubitavasi
della riuscita, non sovvenendosi forse dello stabi-
limento Manfrin, presso Nona, che ne sommini-
strava a tutto lo stato della repubblica veneta;
nel successivo fu accordato pure a qualche pri-
vato, e quest' anno poi, dietro reiterate ricerche di
questa spettabile Giunta provinciale, lo si accor-
dava a più d'uno. Senonchè, secondo il solito,
quest'autorizzazione giunse quando nessuno potea
darvi mano, cioè fuori di tempo.
Ad onta di ciò, vago come sono d'agricoltura,
io pure insistetti perchè mi fosse accordata la
permissione, e S. E, il sig. Governatore barone de
Maniula colla solita sua bontà ed interesse vivo
che ha sempre nudrito per questa terra, volle
concedermela. Ora poi che giunto sono quasi al
fine di quest' esperimento, mi credo in dovere di
renderlo pubblicamente noto.
Checché ne dicano i corrispondenti della Do-
nan-Zeitung, ed altri consimili, di cui, pur troppo,
abbondiamo, resperimento ebbe il più felice ri-
sultato, sebbene tardi eseguito. Rigogliosa più che
mai fu la vegetazione tanto de'tabacchi di Tre-
bigne, come di quelli dell'Amarica ed altre parti,
ottenute avendo de'primi piante dell'altezza di 5
a 6 piedi, e de'secondi da 7 a 8 piedi, con foglie
madri della grandezza di circa 2 piedi. Questa
vegetazione, che rarissima riesce nella contermine
Turchia, mostra ad evidenza, che tanto il clima
quanto il terreno sono fra noi oltremodo addatti
alla coltura di queste piante.
In quanto poi alla quahtà, esperti intelligenti,
fra cui alcuni di Trebigne, ottima la giudicarono.
Nulla dirò di quelli dell' America per mancanza
di periti, ma dalla loro vegetazione e fragranza
che tramandano, buoni devon^i ritenere, ad onta
che dubiti sulla originalità delle sementi regala-
teci da Vienna.
Dal complesso adunque delle fattevi osserva-
zioni ed esperienze risulta (ciò che nessuno du-
bitava) che ottimo ne sarebbe il prodotto, per cui a
tutta ragione presupporre devesi che ricercato sa-
rebbe il nostro tabacco all'estero, con grande
utile di questa provincia.
Di grave interesse però presentasi in economia
agraria conoscere quale ne sarebbe il tornaconto,
fatto riflesso alle restrizioni d-jlla pubblica ammi-
nistrazione, ed al mite prez/u che viene dalla
stessa pagato questo genere.
Seguendo il mio sogno, ritengo, che la coltura
del tabacco, tanto nell' interesse della pubblica
amministrazione, quanto dell' intera provincia, do-
vrebb'essere intieramente hbera, e senza la ben-
ché menoma restrizione. Ah! la m'è scappata, e
sento già darmi del pazzo da tutto il mondo fi-
nanziario austriaco, che indispensabile trova in ciò
il monopolio. Eppure v'hanno altri regni e stati,
che non lo vogliono conoscere, e che nondimeno
in ottime condizioni finanziarie s'attrovano.
In appoggio di ciò, d' uopo è passare all' elo-
quentissima logica delle cifre, che in materia fi-
nanziaria è il perno principale, su cui aggirarsi
conviene.
La Dalmazia nel triennio 185G, 57 e 58 diede
in termine medio un reddito sporco per tabac-
chi di fior. 367,219
e le spese avute soltanto in pro-
vincia ascendono a 24,000
rimangono quindi fior. 342,019
Da questo importo bisogna detrarre il prezzo
d'acquisto, le spese di fabbrica, quelle di trasporto,
impiegati ecc., per cui, senz' esagerare, riducesi ben
minore della metà, ma a questa per esuberanza
m' attengo, quindi ad una rendita netta di circa
fior. 171,300.
Oggidì la provincia offre in campi da semina
una superficie quadrata di iugeri 224,590.972 ;
se quindi si elevasse l'hnposta fondiaria a fi. 25
il iugero, che ogni coltivatore pagherebbe ben vo-
lentieri, basterebbero soh iugeri 6862, cioè meno
della 32 parte del suolo a semina, per esuberan-
temente cuoprire la spesa che l'erario introita da
questo ramo.
Siccome poi la nostra provincia è oltremodo
proclive a questo genere di coltura, e prova ne
sia, che ad onta degli eccessi^•i rigori che la vie-
tano, pure la si esercita clandestinamente, come
chiaro risulta dalle contravvenzioni che ogni anno
si verificano ; così dubbio non v' ha, che non solo
la suesposta superficie, ma ragionevolmente è da
presupporsi che ben maggiore ne verrebbe colti-
vata, per cui r erario guadagnerebbe forse il dop-
pio e più di quanto oi'a precepisce.
In economia politica massima principale è quel-
la, d' introitare dall'estero maggior denaro che sia
possibile, ed estrarne il meno che si possa.
Partendo da questo princii)io dirò, che l'Au-
stria oggidì invece enormi somme in argento di-
spendia all'estero per acquisto de"tabacchi, mentre
può averne in alcune provincie del suo impero in
tanta quantità, da sopperire non solo al consumo
interno, ma benanco inviarne all'estero. Eppure,
ad onta di questa, incontrastabile verità, per so-
stenere la privativa tabacchi, vengono pregiudicati
non solo gì' interessi erariali, ma benanco quelli
dei propri sudditi, il ben essere de"(]!iali è pur co-
mune con quello del governo stesso. Sa scono-
sciute mire non appoggiano questo sistema, egli
è in vero ben fatale.
La Dalmazia per la sua posizione topografica
potrebbe offrire eccellenti qualità di tabacco, che
una volta conosciuto, verrebbe al certo ricercato
ovunque, ed a preferenza pure della contermine
Turcliia per la facile comunicazione del mare. Al-
l'incontro ora, con poco interesse dell' erario, paga
circa fior. 307,219 annui, e tributa più di altret-
tanti alla vicina Turchia per tabacco dalla stessa
introdotto e qui consumato, dappoiché, per quanto
rigorose siano le leggi finanziarie, impossibile è
vietare il contrabbando. Non è questa una cifra