slavi posteriormente comparvero (v. Cattalinich,
t I, lib. I, cap. IV e V).
Lo slavo adunque e l'italiano essendo gli
elementi preponderanti nella Dalmazia, la slava
e la italiane, sono pure le lingue che più este-
samente vi dominano, e che, senza punto nuo-
cere l'una all'altra, indifferentemente si parlano.
— Fin dall' età più remote la Dalmazia fu sem-
pre bilingue, sendo che in essa nè le conquiste
romane, introducendovi l'idioma del Lazio, val-
sero mai a soppiantare l'indigena lingua trova-
tavi, nè le invasioni slave sbandeggiare poterono
la latina, con cui anzi gli slavi stessi addimesti-
caronsi, nella guisa medesima che d'altri usi del
vivèr civile, Ira noi rinvenuti, si vantaggiarono. Al
latino poi succedette per diritto di figliuolanza le-
gittima l'italiano, che le relazioni continove della
patria nostra col bel paese cui sta dirimpetto,
sempre più propagarono, e larga fonte hanno
reso di civiltà e gentilezza. Per moltissimi quindi
tra noi, 1' unica lingua col materno latte succhiata
è la dolce lingua del sì; dolce lingua ma po-
tentissima, siccome quella con cui Dante fulmi-
nava nelle sul bolge i soperchiatori dei deboli,
gli adulatori dei fortunati^ i traditori della patria,
e gì' ipocriti. E dessa inoltre da secoli la lingua
del foro e del pulpito, dei commerci marittimi,
delle scuole, e di tutti i ceti colti, nelle città del
pari, che in varie delle più popolose borgate. Ma la
slava lingua, la lingua delle Vile e dei Bardi, per cui
la Dalmazia non è da meno della Toscana fra
le sue consorelle un orizzonte più vasto si-
gnoreggia, siccome quella che d' un maggior
numero della popolazione è la propria, e che
nelle campagne non solo, ma nelle città mede-
sime sempre fu coltivata molto più di quanto si
crede. Pruova ne sono (senza parlar di Ragusa,
che tiene in questo proposito un bel primato) e
gli scrittori di merito in essa lingua usciti da
tutti gli altri punti della Dalmazia, ed un' acca-
demia esistita per la diffusione, col mezzo suo,
dell' intellettuale coltura fra il popolo, e due se-
minarli fondati per la istruzione del clero slavo.
— E tutto ciò sotto gli occhi ed all' ombra di
queir italiano governo a cui fu la Dalmazia per
quattro secoli sottoposta, e che ben lungi dal-
0 Omnibus caeteris slavonicae linguai idiomatibus
dahnaticum praelulerim; ea causa est, quod In-
ter rehquos purissimum [sit, quemadmodum
inter italica hetruscum. Così Fausto Veranzio
nella prefazione al suo Dictionarium quinque
nobilissimarum Europee linguarum, Venezia^
1595; col quale concorda un'' illusfre linguista
straniero dell' età nostra, il Mezzofanti^ a cui
giudizio il dialetto dalmato ed il bosnese sono
i pié puri ed i più originali d' ogn' altro del-
l' illirica lingmi.
r avversare la nazionalità de' suoi prodi schia-
voni, come taluni pretendono, dettava ad essi
neir idioma loro le proprie leggi, ed in essi tro-
vava, come dice Tommasèo, quel po' d' ugna ri-
masta al Leone^ che perduto aveva già da gran
tempo la ricca criniera, e i denti, e gli artio;H.
—^ Nò schiavoni tutti si erano que' valenti che
della slava lingua facevansi allora coltivatori, e
cogli scritti loro giovavano la slavo-dalmata let-
teratura, ma quanti d' essi non furono d' origine
e di nome italiano ? Lo che ben dimostra quanto
sia falsa ed ingiusta V accusa da certuni ora mossa a
coloro che stranieri addomandano '), d'aver fra
noi soffocati i germi della slava nazionalità, abituan-
doci all'odio ed al separatismo, quando eglino
invece facendosi illirici di lingua e di cuore, co-
me di taluno fu detto, s'adoprarono anzi perchè
quei germi si sviluppassero più fiorenti al vivifico
raggio dell' italica civiltà, ed a rassodare contri-
buirono que' legami di buona araionia e di frat-
tellevole convivenza che d' italo-dalmati e di
dalmato-slavi, di nazionali e nazionalizzati, hanno
sempre fatto un popolo solo, popolo sventurato
ma forte, povero ma generoso, sventurato e po-
vero, ma non per sua colpa.
Per sangue dunque e per lingua cosa dire si
dovrà questo popolo? ''Se i miei conterranei
(risponderò col soprallodato Capor) se i miei
conterranei annunciarsi volessero per ciò che
sono, andrà bene che dicano, come mi sovviene
averlo sentito qualche volta: Mi jesmo Slavni
Narod! (Noi. siamo nazione slaca^ ossia glorio-
sa l)^ oppure che si enuncino Dalmati a dirit-
tura^ e Dalmati di quella progenie, di cui il ro-
mano oratore scriveva a Vatinio, che semper ha-
biti sunt bellicosi!,, (I. c. 152). — Ma slavi o
dalmati che si dicano, sacro ad essi lia sem-
pre il diritto della propria autonomia. — La Dal-
mazia soggetta al dominio di più nazioni, lace-
rata, sovversa, desolata, negletta, soffrì abbastan-
za le vicende delle umane contraddizioni, per lo
che il pontefice Pio II parlando d' essa e de'suoi
confini ebbe ragione a dire: confusi sunt ad-
modum fìnes^ ut nec expedire nooa facile, nec
quis velustissima possit absolcere. Il suo nome
però sussistette sempre, e sia che a più o meno
ampio tratto di paese lo si estendesse, sia che
lo portassero i re e bani, congiunto ad altri, per
r esercizio d' un effettivo potere, o che, cessato
questo, ambissero di conservarlo come una o-
norata memoria, la Dalmazia fu sempre consi-
Diciamo stranieri per usare del piìi gentile
fra i nomi con cui designati nengono da qual-
che tempo i dalmati d' origine italiana,
che se di tutti gli altri mlessimo tener conto-,
dovremmo arrossire talmlta noi stessi della
trimalità di certi scrittori.
dalfanno 1B38, o piuttosto 1842, abbia falto
Giganteschi avanzamenti, non pertanto essa an-
cora non è a quello stadio di elevatezza che
valga metterla nella possibilità di surrogarsi con
riputanza alla potente sua rivale, T italiana: vi-
gorosa in ogni ramo dello scibile, ricca di for-
me e di concetti, e pieghevole, e per ogni cosa
adatta che possa mente umana concepire. Come
risponderebbe, ad esempio, con plausibile suffi-
cienza alle molte e difficili necessità delle scien-
ze naturali e delle matematiche?... Mn, oh: si
possono coniar vocaboli, si possono fabbricarne
alla semplice maniera dei tedeschi... Gli è vero!
Ma di quanto tempo non abbisognò anche que-
sta lingua per arrivare all'odierna floridezza?..
A chi mai non è noto lo spazio e la differenza
che corrono per 1' eleganza, vigoria, e ricchezza
fra il Nibelungelied (serie di canzoni eroiche) e
la s. Bibbia di M. Lutero '): o meglio fra le
pagine di questa e le opere immortali di Klop-
stock, di Schiller, e di Goethe ?... Voglio con
ciò dire, che anche per questo vuoici tempo e
lavoro, vuoici fatica e studio, vuoici progresso e
coltura.
Dopo il detto fin qui, sorge naturalissima
dimanda. Oggidì, e come stanno di presente le
cose, a cui delle due lingue finalmente lascie-
rassi il primato nelle scuole?... AW italiana^ io
rispondo; e qualunque che non sia acciecato dallo
spirito di parte, sempre ed a tutti fatale, dovrà
meco convenire... Col tempo si potrà, anzi si
dovrà peir illirica questa principale onoranza ri-
petere; attualmente, se non si vuol uccidere nel
suo nascere il progresso, è allatto impossibile
volerla!,.. Molto piìi che sappiamo come buona
parte di gente, sulla quale peli'avvenire contia-
mo, sia nei tempi che corrono se non ostile,
I certo poco benaffetta alla materna favella.
I Bisogna adunque vincere questa deplorabile
noncuranza, e il disamore per essa. Ed allora si
1 farà da sè che venga dato il seggio a cui per-
tiene, e va di tutto diritto e dovere.
Ma conseguito un giorno quanto io co' miei
voti e il desiderio affretto, cioè che l'illirica si
sollevi a tal fastigio di perfezione da disgradarne
per intero 1' emula italiana, ed occupi il suo po-
sto: sarebbe egli buono e provido di sbandire
per sempre dalle scuole l'insegnamento e la col-
tura di essa lingua?... Io lo chiamerei allo di
leso incicilimenìo l...
Conchiudiamo.
Ogni prudente dalmata e non acciecato da
La s. Bibbia di M. Lutero mene dai dotti te-
deschi considerata come la base deW odierno
loro vigoroso e doviziosissimo idioma
Perchè quella dello Scarich non avrebbe po-
tuto esserla per lo slam-meridionale?...
sinistro spirito di parte, dovrà approvare con me,
ed altro non seguire che il piano già, come pa-
re, adottato. Dovrà studiarsi cioè ogni cordato
patriotta con vigilantissima industria d'ingrandire,
sviluppare, allargare T elemento illirico, ma ad
agio, e non per isbalzi e salti, e per altre mi-
sure, le quali, più che da altro, dipendano dal-
l' arbitrio.
S'insinui, e si rafforzi, e si moltiplichi la-
more pella madre che ci attende, ma non si di-
sprezzi la nutrice che finora allevocei bambini.
Voglio dire si favoreggino gli slavi, si aiuti a
loro di giungere alla meta, ma non urtino bru-
scamente e di fronte gì' interessi, ed i diritti aon
si conculchino degl' italianali, e della loro lingua.
Perchè i guai diversamente si accrescerebbero
a dismisura, e la nostra civiltà in luogo di pro-
cedere ed abbellirsi sempre più con nuove con-
quiste, 0 si risterebbe nella cerchia dell' irrile-
vanza presente, od al più varrebbesi mascherare
di una cotal fatua vigoria, somiglievole d' assai
agli sforzi di chi avvinto in catene tentasse collo
spesso dimenio e il forte scotimento di provarsi
libero e donno di sè mentre ahi! misera-
mente non altro ricorda che il tristo stato di u-
no schiavo, che od ama d'illudersi, o disennato
folleggia.
I Canonico Paviovlcli-liuclcli»
BIOGRAFIA.
Il cavaliere (ìiovanni Obradicli Bevilacqua.
La gratitudine è alto dovere tra gli uomini,
giacché uno dei più preziosi anelli nella ci-
vile società. Tale dovere va ad essere maggior-
mente sentito, allorché il beneficio non si limita
all' individualità, ma si diffonde a generale vantag-
gio. La nostra Dalmazia in tutti i tempi produs-
se degli uomini, i quali colle loro azioni aquista- *
rono un diritto perenne alla patria riconoscenza,
e ciò sia nel campo delle lettere, sia nel cam-
po delle armi, sia per altri modi, coi quali si
resero benemeriti. Gli ultimi trascorsi secoli ne
presentarono in copia maggiore, specialmente per
riguardo ad azioni valorose e memorande a di-
fesa dei patrii lari di frequente esposti ad ostili
invasioni. Nume costante del dalmata 1' onore, la
Dalmazia conservò religiosamente la memoria dei
suoi illustri e benemeriti, e ciò non solo per sod-
disfare all' indicato dovere di gratitudine, ma pus
anco pel commendevole affetto alle glorie nazio-
nali. Prova ne sieno e le raccolte dei nazionali r
canti, e le cronache delle dalmate città, e le
biografie publicate per mezzo di giornali, e fi-
nalmente le tradizioni popolari che si tramandane
da una all' altra generazione. Però a fronte di
tutto ciò, col vogliere degli anni molti nomi di
benemeriti rimasero dimenticati dalla generalità,
Ed in una votazione popolare può il raor-
laeco della Dalmazia essere ammesso ad un voto
deliberativo?
Può votare per la nazione chi non ne co-
nosce, nè la storia, nè la posizione, né gli in-
teressi ?
Può votare chi non conosce altro che il
proprio campicello e la propria capanna, non sa
scrivere nè leggere, e non ha spirilo ned inte-
resse nazionale?
Ed essendo ora la Dalmazia passiva al go-
verno, se deliberato venisse dover essa bastare
a se stessa^ prenderà parte la Croazia all' au-
mento delle sue spese?
Quale sarà la lingua del foro, e dell' istru-
zione in Dalmazia?
Sarà la croata, appena compresa in Dalma-
zia; 0 la dalmata, cattivo dialetto; o la boema,
non compresa nella Slavia meridionale; o la ser-r
bica, 0 la polacca?
E tutta la gioventù presente educata nella
lingua italiana, perchè lo stato la ha educata in
quella, perchè dovrà cominciar con altra lingua,
onde guadagnarsi un pane?
E quanti sono che in Dalmazia conoscano
a fondo questa qualsiasi lingua che si vorrà sta-
bilire?
Non son forse pochi nel ceto civile, e nes-
suno nel popolo?
Se il dalmata adunque potrà parlare, scri-
vere, e pensare, in qual lingua dovrà farlo?
(Da Spalalo) T.
Indirizzo al conte Borelli.
La congregazione municipale di Spalato nella
sua tornata del 6 corrente ha deliberato ad u-
nanimi mti di spedire al signor conte Francesco
BofelU il seguente indirizzo :
N. 39.
Iliustiissi'ino Signor Conte !
La Congregazione municipale di Spalato nel-
r accompagnare a Vossignoria Illustrissima due
esemplari della relazione fatta al proprio Consi-
glio riunito nel dì 23 decembre 1860 non può
a meno di manifestare i sensi della più viva ri-
conoscenza e dell'alta stima ond'essa è com-
La relazionef a cui qui s' accenna^ e bella pro-
ta di queW energico e dignitoso linguaggio
con cui le piìi delle Comuni dalmatiche^ al-
V ombra dei propri legali diritti, s'alzarono a
propugnar le ragioni di questa provincia in
momento assai grave, facendo mostra d' una
franchezza e d'una fermezza tanto piti com-
mendevoli^ quanto men solite ad essere ordi-
nariamente vedute.
Red.
presa verso Vossignoria pel franco, intelligente
e dignitoso contegno tenuto nel Consiglio raf-
forzato dell' Impero, e particolarmente nella tor-
nata 26 settembre 1860.
Fino a che Dalmazia potrà gloriarsi di tali
patrocinatori, se pur .sgraziatamente non fossero
molli, la causa del diritto e della giustizia non
sarà, speriamo, perduta. Che se ciò non fosse,
avremo almeno salvato il più dignitoso de' sen-
timenti d' un popolo, la dignità civile.
Voglia, sig. Conte, accogliere di buon grado
i sentimenti nostri, ed avere la certezza che in
qual si fosse incontro la scrivente non saprebbe
scegliere persona che meglio di Vossignoria sa-
pesse farsi interprete de' suoi pensieri, o più de-
gnamente potesse rappresentarla.
Il Podestà
D.r BAJAMONTi
Assessori
degli Alberti
D.r Jllich
D.r Giovannizio.
ISiogralia.
Della vita c delle gesta di Giovanni Alberto Duimio.
Un uomo veramente grande spesso bastò ad
illustrare una intera nazione, non che la città o
famiglia, dalia quale sortì i natali. Molti uomini
di prima sfera, celebri non meno nella politica
che nelle scienze e nelle lettere, ha prodotto
Cattare; ma il solo che ora imprendo a lodare,
è sufficiente a vendicarci della ingiustizia di co-
loro, che vorrebbero porci tra i popoli meno in-
civiliti, e ad ispirare nel tempo medesimo stima
e veneraziane a coloro, che nelle loro memorie
non ci obbliarono. Mi duole però, che le glorie
dei nostri maggiori non si sottrassero dall' oscu-
rità e dall' obblivione per opera di tanti degni
nipoti, che in ogni tempo abbellirono questa città;
e per ciò i nomi grandi e reverendi dei secoli
trascorsi si sanno da pochi, ed i frutti più si^
gnificanti di loro vita sono appena noti agli stessi
letterati di professione, ed a qualche erudito a-
matore delle patrie istorie di que' remoti tempi.
Poiché dunque gli onori resi agli illustri estinti
giovano mirabilmente ad incoraggiamento dei vi-
venti e dei posteri per seguirne l'esempio, ri-
svegliamo r emulazione negli animi di queste cre-
scenti speranze della patria nostra, con gli e-
sempi degli uomini illustri del nostro paese.
Giovanni Alberto naque in Cattare sul prin-
cipio del 1500 dalla famiglia Duimio, o Duimia,
che portava anche 1'altro cognome di GUricich.
Volle provvidenza, che la sua famiglia fosse nè
ricca, nè povera, nè nobile, nè vile, e però re-
spirasse quella beata mediocrità, che non teme
Zara ha voluto però nell'accogliere il Rap-
presentante della citlà di Spalato sorella, ecce-
dere generosa quanto i mutui riguardi potevano
consigliare, ed ha sapulo mostrare che la mente
ed il cuore del Dalmata sono capaci di mettersi
d' un sol trailo a livello del più liberale patriot-
tismo, e farsene interprete con modi così deli-
cati e splendidi, da porsi a paro della più alta
civiltà.
Un grazie adunque ed un saluto a' Zaratini,
ed air onorevole loro Rappresentanza comunale,
da questa città, che nel mentre ammira e plaude
alla sorella, si sente degnamente inspirare a que'
nobili sentimenti, che eletrizzano i popoli e pre-
parano loro di que' momenti di vita, che bastano
soli ad assicurarne la libertà; e Spalalo sarà
ambiziosa solo in quel giorno, in cui corrispon-
dendo almeno in parie alle tanle dimostrazioni
di simpatia, onde venne onorato il Capo della
sua municipale Rappresentanza, le sarà dato di-
re sulla propria riva ai figli di Zara : Dalmazia
ha due figlie, che vanno del paro in amarla, per
tendere di qua le destre ad altre sorelle illuse o
perplesse, ma non meno ricche di vita e di spe-
ranza.
Ancora un grazie, e 1' espressione dei più
caldi sentimenti di fratellevole amore, inspiran-
dosi al quale gli animi forti sono destinati a
vincere le più ardue difficoltà, ed assicurarsi la
stima e le simpatie anche nelle file dell'opposi-
zione.
Sia la moderazione il nostro vessillo, Dal-
mazia il nostro alFetto, civiltà la nostra mira, ed
a questa triade non può mancare T apoteosi
della civile libertà. Se avremo sapulo meritarci
questa, ne giudichi il mondo, chè il còmpito de-
stinato dalla previdenza alla presente generazione
è invidiabile, e ci autorizza a dire orgogliosi:
L' avvenire è nostro.
Fratelli addio.
Spalato, 14 gennaio 1861.
Il Podestà
D.r BAJAMONTI
Assessori
degli Alberti
D.r lllich
D.r Giocannizio.
Alia ragguardevole Congregazione municipale di Zara.
Lo scrivente si pregia d' esternarle i propri
sensi della più viva riconoscenza per la feste-
vole accoglienza e per la piena fiducia di cui
venne costà onorato il Podestà di Sebenico, il
qual contegno è una prova ulteriore della piena
concordia ed unione fra la nobile Zara e noi,
concordia ed unione, che in ispecialità in questi
tempi sono una necessità suprema,
Sebenico, 13 gennaio 1861.
Il Podestà
S 1 S G 0 R E 0.
Assessori
Corlellini
Zuliani,
Dopo già stampali i due indirizzi or or let-
ti, ce ne giunse un altro da Spalalo, che non
meno caldo di generosi e nobili sentimenti, ed
onorevol non meno per chi lo scrive che per
quelli a cui è rivolto, ci torna gralissirno di fre-
giarne, com'era desiderato, le nostre colonne:
Onorevoli Cittadini di Zara.
Mancherei a debito di riconoscenza se re-
duce in patria — pieno il cuore delle più dolci
impressioni che vi seppero desiare lo aspirazioni
e 1' alTralellamento onde fui testimone nella mia
breve dimora in questa indila centrale —• non
rivolgessi publica parola di ringraziamento a tutti
que' gentili che, associalisi a cotesto spettabile
Municipio nello onorare delle più affettuose di-
mostrazioni il Rappresentante di Spalalo, vollero
dare a questa città non dubbia prova di fraterno
affetto. — Oh! benediciamo a chi ci porgeva
occasione di comprenderci e di slringerci affet-
tuosa la mano, destando il più nobile sentimento:
r amor della patria. — E il giuramento di con-
cordia e fratellanza, che spontaneo ci usciva dal
labro in quel dì in cui '1 miglior senno della
nobile Zara, seduto a mensa comune, dava sì
splendida prova di civiltà nel rispetto delle di-
vergenti opinioni, non sarà per Dio I una vana
parola. Mostriamo ad Europa, come Dalmazia, se
pure modesta e inavvisala, ha sapulo inspirarsi a
quelle idee civilizzatrici di libertà e nazionalità,
che sole potranno condurre a prosperitade i po-
poli. — Mostriamo che quel senno civile ond'^"»
sì gloriosa la storica pagina de' dalmati Comuni
non è spento, ma, favilla nascosta o repressa,
sorgerà a novella vita, dacché lo spirito de' tempi
ci conduce al nobile arringo della publica cosa.
Dalmati! il solenne momento, il tempo della
prova è giunto. — L' affratellamento di Zara,
Spalato, Sebenico e Scardona, testò avvenuto
nelle più nobili forme, sia foriero di quella con-
cordia, con cui speriamo vorranno unirsi tutti
gli altri Comuni dalmati, non meno rigogliosi di
vita e ricchi di speranze. — E come in oggi
diceva alla nobile Zara questa Rappresentanza
municipale, porgendo parole di ringraziamento e
di affetto, io pure dirò ad ogni dalmata onesto:
la moderazione sia il nostro vessillo, Dalmazia
il nostro affetto, civiltà la nostra mira. — Alla
usi delle g-enti marittime, e indotti da altre ca-
gioni ignote a noi, si recassero in quella terra
che da loro ebbe il nome; questo stesso lo pro-
Va, che alla Dalmazia restò il nome suo; che
nelle parecchie centinaia d'anni corse tra gli A-
vari e i Veneti, mai la Dalmazia non fu nomi-
nata Croazia; che i due regni rimasero netta-
mente distinti; come la dominazione germanica o
la spagnuola o la ottomana non potè fare mai
che Italia e Grecia diventassero Turchia, nè Ger-
mania nè Spagna.
Se il popolo dalmata si sentiva altro da
quello che il suo nome suona, avrebbe nominato
sé stesso altrimenti; se coloro che tanto fecero
per avere il dominio di questa piccola ma pre-
ziosa linea di terreno, avessero creduto potersi
dell' origine e del nome creare un titolo di si-
gnoria, non se ne sarebbero al certo astenuti per
amore di Venezia contro cui combattevano. Ma
nè allóra nè poi stimarono potere adoperare que-
st' arme : e tale reticenza del nome vero e am-
missione del falso sarebbe un esempio di gene-
rosa menzogna o di smemoraggine o di sempli-
cità nuova nei fasti delle politiche ambizioni. Al-
lorché la Dalmazia sulla fine del secolo, non più
potendo nè essere difesa dall' amata repubblica
nè difenderla, non avendo in sè stessa elementi
di repubblica, per fuggire all' anarchia chiamò le
armi austriache, memore forse del governo di
Maria Teresa in Italia, e rinvenne (sia lode al
vero) un altro conte di Firmian, nel conte di
Goes; fece quest' atto (che alla fine è atto di
sovranità) come regno di Dalmazia e non altro;
e Croazia, eh' io sappia, non ne mosse querela.
Questo paese fu sempre tenuto non solamente
come provincia distinta, ma come regno separato;
fece governo da sè, con sue proprie condizioni.
Napoleone, eh' ebbe nel suo esercito e Croati e
Dalmati, così come Italiani e Francesi, non li
volle confusi mai; e il reggimento Dalmata fece
onore e alla bellicosa patria e al gran capitano.
Che se il Tizio e il Giadro tutt' a un tratto di-
vennero fiumi di Francia così come il Tevere e
l'Arno; a lui, ne'trastulli della sua oltrepotenza,
non piacque eh' e' fossero acque croate. Al va-
sellaio di Corsica costò caro il rimpastare le na-
zioni a guisa d' argilla : e la sua testa di granito
si venne in esse da ultimo a infrangere come
vaso d' argilla.
Ma insomma, questa ostinazione della storia
a voler nominare Dalmazia la Dalmazia, dacché
si restrinse il prisco nome di Illirio, merita che
sia rispettata da'Dalmati, i quali finora non eb-
bero fama d'irriverenza alle tradizioni, o di vo-
lubilità. Il nome loro, più antico che quel d'In-
ghilterra e di Francia e di Spagna, meno variato
nella significazione che quello d* Italia (or Au-
Sonia, or Enotria, e qui Magna Grecia e lì Gal-
lia), questo nome è un' eredità, ricca o povera,
fausta 0 infausta, che ai nepoti non è lecito ri-
pudiare. Ch' e' debbano a tutti i popoli slavi af-
fratellarsi con r animo, e, quant' è possibile, colle
istituzioni se buone siano, bene sta: ma lo sbat-
tezzarsi non è rigenerazione, nè la fraternità si
celebra con lo scambio dei nomi. Unione non è
confusione. Mettansi insieme i beni a comune
incremento; ma l'incremento degli uni non sia
perdizione degli altri; non sia quella che i giu-
reconsulti chiamavano dimimilio capifìs. Quanto
ne'tempi di violenza non fu nè potuto nè osato,
non si richieda che i Dalmati stessi in nome delle
proprie libertà lo consentano; che, per apparire
fratelli, rinneghino i padri loro. Nessuna menzo-
gna sarebbe più stolta, più empia, più codarda,
più inutile.
III. Se il diritto moderno avessesi à rifondere
secondo 1' archeologia, bisognerebbe rendere alla
Dalmazia i confini suoi del tempo romano, e
sbrattare parte di quel che è Turchia, con altri
non piccoli spazii di terra; bisognerebbe rivedere
i conti a tutti o quasi tutti i potentati europei.
Se i Croati richiedono che Dalmazia sia data
loro per la ragion del più forte, per quella che
li fece vincitori degli Avari; siano i più forti, e
di fraternità non si parli. Ma giacché questo ti-
tolo recasi in mezzo ; siano i patti di famiglia
ben chiari, posino, se è possibile, sul fondamento
della verace uguaglianza. Come sia possibile per
ora cotesto, tra breve vedremo : qui domandasi
solamente che il fratello maggiore non sia po-
sposto al minore, che 1' unione domestica non
sia germe di liti e di risse; che non ci accostia-
mo sgraziatamente per quindi più abbominosa-
mente respingerci. Or che il popolo dalmata sia
nella civiltà il fratello maggiore, Io dicono i no-
mi di que' Dalmati eh' entrarono in parte del più
illustre patriziato moderno (ai dotti Croati non fa
di bisogno, perchè intendano, additare Venezia);
lo dicono i nomi d'un De Dominis, d'un Ve-
ranzio, d'un Baglivi, d'un Boscovich; i nomi di
quei non pochi e professori e scrittori noti al-
l' Italia e all' Europa; lo dicono i monumenti d'arte
per cui la Dalmazia è da' viaggiatori tuttavia vi-
sitata; lo dice la repubblica di Ragusa. Nè in
Ragusa soltanto la lingua latina ebbe culto e
scrittori e maestri, nel secolo scorso tanti forse
tra i più lodati, quanti ne contò Italia tutta; ma
nelle altre cittadette di Dalmazia altresì posse-
devansi fino ai tempi della mia adolescenza ed
esercitavansi le latine eleganze. E questo ivi era
studio di soprappiù, come dire di lusso; men-
trechè alla Croazia 1' uso del latino era infino
alla metà quasi del presente secolo necessità della
pubblica vita. Nè, per amare le due favelle d'I-
talia, disprezzavano i Dalmati la lingua natia po-
polare: e quando i Croati incominciarono a vo-
colla prima chiesta della conferenza banale ci ap-
parve come il lenzuolo di morte, che stava per
avvolger noi vivi.
ì mezzi ad opposto fine riescirono : i ri-
sentimenti destaronsi. Le rappresentanze cittadine
compresero il loro dovere e F adempirono, chie-
dendo al Monarca fosse sospesa ogni delibera-
zione fino a che non si fosse dichiarata la dieta
dalmata, g-iusta le disposizioni dell'imperiale di-
ploma 20 ottobre 1860. I nepoti dagli avi non
degenerarono; loro scudo è la legge, nè la vio-
lazione resta impunita: quello che oggi avvenisse
de' Dalmati, domani potrebbe esser fatto de'Croati.
Non sia obbligata la storia a registrar Fora
dell' unione di due nazioni sorelle, come una so-
perchieria, una violenza. La dieta dalmata, que-
sto palladio delle nostre libertà, non sia stroz-
zata neir utero materno per man fratricida.
È primo carattere dell' eroe del popolo sla-
vo r abborrimento da ogni viltà, e la Croazia
slava per conservar intero questo tesoro nazio-
nale non dee volere un'unione, che non sia il
sospiro di popolo a popolo; il conforto di co-
muni dolori; la garanzia de' rispettivi diritti ; il
risultato di concordi volontà legittimamente ma-
nifestate, come lo chiesero i municipi dalmati.
Deputati non scelti dal popolo, ed ai quali
il popolo non diede un publico voto di fiducia, non
sarebbero che una larva di rappresentanza ; ma
non la Dalmazia, non la sorella della nazione
de' forti, che Napoleone da Smolensko chiamò i
miei prodi; che con eroica costanza per tanti
anni difese la propria nazionalità contro il giogo
ungherese; che nel dì del cimento profuse sa-
crificio generoso di sangue sull' aitar delia patria;
che giornalmente s'affatica con operosità por-
tentosa a crescere 1' edificio della sua letteratura,
ad appurare la lingua, ed a togliere alle tene-
bre le memorie del suo passato; che nella fami-
glia slava saldo eleva V onorato vasillo, cui la
nobile nazione de'Maggiari il proprio accoppia
come simbolo di accordo solenne.
L'onta de'mezzi usati ceda il posto a mezzi
legittimi, degni di Croazia e Dalmazia, degni
della stirpe slava. Sul cammino della giustizia
battuto dai dalmati municipii s'incontrino le due
nazioni sorelle; e quell'incontro sarà germe,che
Dio maturerà; sarà foriero d' avvenire più lieto
nella conservazione e nello sviluppo delle ri-
spettive fonti di vita, all' ombra dell' augusto
Trono, che fa ragione al diritto di tutti i popoli
suoi.
Sebenico^ 10 gennaio 1861.
SEulianif avvocato.
I diritti storici dell' Ungheria sulla Dtiloiazia.
Il num. 30 della Voce Dalmatica recava
un pregevolissimo articolo intorno le relazioni
della Dalmazia con F Ungheria e con la Croa-
zia, storicamente considerate. Siccome F erudito
autore si va poggiando unicamente a lavori u-
sciti colle slampe, e a dir vero di poco peso,
perchè nella mancanza di atti storico-diplomatici,
quelli dovettero necessariamente quasi sempre
essere orditi sopra fonti per F ordinario impure,
come sono le cronache e le relazioni private,
così mi sarà lecito toccare alcuni punti di que-
sto scritto, non ad altro scopo, che per svilup-
pare e chiarir meglio alquanti fatti ivi toccati a
maggiore ut'lità de' patri studi.
L
L'a. osserva, che il dominio ungherese in
Dalmazia è un fatto, ma non dice se poggiato
a diritto o meno; prende come legale la vendita
fatta dal re Ladislao nel 1409 a'Veneti, e quindi
legittima i susseguenti allargamenti veneti su
quella costa durante la guerra tra la republica
e Sigismondo, affermando eziandio, che quest'ul-
timo colla pace dej 1433 lasciò i Veneti iTel
tranquillo possesso della Dalmazia marittima.
Tanto il dominio veneto, che l'ungherese in
Dalmazia, fino al 1358, furono più di protezione
o di violenza, che di dominio propriamente tale.
Fino a quest' anno mai F intera Dalmazia fu sog-
getta nè di Venezia nè d' Ungheria. Ambe se ne
contrastavano il possesso senza posa; e quindi
noi veggiamo sempre parte delle città ed isole
ubbidire alla republica, e parte all'ungarico rea-
me, 0 ned alF una ned all' altro. Gli è però ad
ogni modo fuor di dubbio, che la prima calata
de' Veneti sulla costa dalmatica avvenne dietro
invito de'Dalmati e in modo affatto amichevole;
Fungherese invece si fu un allo di mera inva-
sione. Ad onta di lutto ciò la Dalmazia amava
meglio durante quest' epoca F ungarica che non
la veneta protezione, perchè quella era una pro-
tezione non altro, questa intendeva tutta a di-
venire dominio. Ed ò per questo motivo, che i
Dalmati, allorché da circostanze tratti venivano
a piegare sotto l'ali del veneto leone, cercaro-
no sempre di porre nelle loro capitolazioni o
patti la clausula salvis honorificcnciis et juribm
domini Regis himgarie^ qne haheret vel deheret
halyere^ cui i Veneti alcune volte s' adattarono.
Il primo dominio stabile, che comprendesse
tutta la Dalmazia, si fu ungherese. La guerra
infelicemente combattuta da Veneti contro Lodo-
vico d'Ungheria e Francesco Carrara, li con-
dusse alla pace del 18 febbraio 1358, con cui
N. 7. Zara-Sabato IO Febbraro ISOI. Anno II.
LA VQGE DAiMATIGA
GIORNALE ECONOMICO-LETTERARIO.
Il Giornale si publica ogni Sabato. — II prezzo d'associazione per Zara è di fior. 5 sol. 40 V. A.; pel resto
della Dalmazia e fuori, di fior. G V. A. — I pagamenti potranno farsi per V annata intera, ed anche per semestre, anti-
cipatamente, e dovranno da fuori di Zara essere inviati franciii per la posta, coir indicazione del nome, cog-nome, e domicilio
deir associato. — Lìttere, libri, articoli, devono affrancarsi. — I reclami si mandano con lettera aperta, senza affranca-
zione. — In Zara le associazioni si ricevono anche al negozio librario del sig. Pietro Ahelkh. — Un numero separato vale s. 15.
solfi T5 A RIO — Parole della Deputazione dalmata a
S. M. — Autonomia provinciale e nazionalità. — E-
pigrafe. — Indirizzo al sig. conte Boielli del Comune
di Scardona. — Corrispondenza musicale, — Illustri
contemporanei; il padre Lacordaire. — Dichiaraz,ione.
— Alla Redazione. — Al sig. Nicolò Matteo de' Gradi.
— Al siij. Vito Morpurgo. — Annunzio.
Parole della Deputazione Dalmata
nella sua presentazione
ALL'AUGUSTISSIMO NOSTRO MONARCA
il giorno 7 corr.
comunicate a noi dalla stessa.
iiaera ]!M[aei§tà!
La Deputazione della grande maggio-
ranza delle Comuni Dalmate, che ha l'aito
onore di trovarsi all'Augusta Vostra presen-
za^ compie al più gradilo dei doveri, pre-
gandovi di accogliere benignamente l'espres-
sioni di sincera devozione e fedeltà, della
quale non teme di asserire di averne date
le più costanti ed indubbie prove all'Augu-
sta Vostra Persona e Dinastia, e della più
sincera gratitudine per le riforme inaugurate
dalla Vostra Patente del 20 ottobre anno de-
corso, pel cui libero e pieno sviluppo Vi u-
milia i più leali auguri.
E giacché nello stabilimento dei nuovi
ordini civili la Conferenza Banale di Zaga-
bria fece sorgere la questione dell' annessio-
ne di Dalmazia al Regno di Croazia e Sla-
vonia, pretestando un diritto storico, ed in-
vocando la nazionalità, e la Maestà Vostra
coi Sovrano Suo autografo del 5 decembre
1860 diretto al Bano delist Croazia, ma non
publicato in Dalmazia, ordinava che la que-
stione avesse ad esaminarsi, discutersi, e re-
golarsi mediante Deputati del nostro Regno,
noi, inviati a tale scopo all' Augusta Vostra
Maestà, Vi preghiamo, o Sire, a voler in-
tieramente devolvere la decisione, per ciò
che riguarda i nostri interessi, alla prima
Dieta Dalmata.
È codesta per noi la questione della più
alta importanza fra quante sotto V Austriaco
Governo si agitarono sulle nostre sorti, ed
il risolverla è risolvere di tutto il nostro av-
venire.
Nel domandare adunque che sia chia-
mata la Dieta Dalmata a pronunciarsi, noi
non abbiamo altro pensiero che quello di as-
sicurarci una decisione seria e libera da parte
dell'assemblea, che, dopo la Vostra Patente
del 20 ottobre, è la sola capace dì ottenere
il rispetto di tulli, ed al cui volo ogni Dal-
mata saprà riverente inchinarsi, e verrà con
fiducia accompagnato all'alta Vostra sanzione.
Sarà codesto il voto legale del popolo
Dalmato, e qualunque esso sia per essere,
avendo da noi stessi cooperato alla decisione
del nostro avvenire, non potremo temere il
rimprovero d' aver rinunziato al diritto di
un'autonoma esistenza nel momento in cui
la vita delle nazioni risorge nell' Austria, e d'a-
ver mancalo di riverenza alle sloriche Iradizioni
die ricordano rispettato il nome Dalmalo fino
dai secoli più remoti, prima a fronte del grande
colosso romano, poscia nelle secolari riva-
lità fra Veneti ed Ungheresi e nella sua vila
municipale. Nè ebbe vera dipendenza clie
dalla Republica Veneta c dall'Aiiguata Vo-
avvantaggerà; nè in questo caso sarebbe neces-
sario che per avvantaggiarsi si desti da letarghi
0 da torpori, perchè Dalmazia veglia solerte al
suo bene, e dice aperto: Coi croati mai, coi bo-
snesi e coi serbi sempre; e Ivichievich stesso Io
disse nella sua lettera al conte Borelli. Unendosi Dalmazia a Croazia, l' avvantag-gio dipenderebbe dalle libertà stesse garantite da possesso secolare e da popolo forte, pronto sempre a spargere il suo sangue per la con-
servazione di quelle. Di qual possesso intende
egli parlare? Croazia non ebbe giammai diritti
su Dalmazia, ma la prima come la seconda fu-
rono bensì una volta soggette all' Ungheria, e
simile assoggettamento esclude diritti da parte
della Croazia. Parlare di. popolo forte, riferendo
a croati, è dar lode al merito, ma parrebbe che
1 dalmati fossero tanto imbelli e paurosi, d' ab-
bisognare nelle cose benché minime d'aiuto al-
trui. Poco storico è questo punto. Che il nostro commercio non avendo nulla
a perdere ne avvantaggerà senza dubbio coll'u-
nione alla Croazia, io non so; questa è questio-
ne da statistici, epperò la lascio all' autore della
Hetti/ica di Fiume, il quale tanto bene conosce
gli elementi commerciali e d'industria della Croa-
zia, e, come dalmata, non sarà. Io credo, di-
giuno di quelli della Dalmazia. I dalmati non possono dire al certo che
i croati sono più poveri di loro, che grandi ric-chezze non vantano, nè resta loro cosa dividere cogli altri. La Croazia però se non è ricca, pos-siede grandissime risorse naturali.^ le quali., per miglior reggime sviluppate, possono farla tale. Se Croazia ha grandissime risorse, dov' è il Narenta della Dalmazia, che per miglior reggime svilup-
pato, diverrebbe granaio e per Dalmazia e per
molte altre provincie!!
Verso la fine dell' opuscolo, vale a dire là
dove, sviluppali i principii, l'autore cerca di per-
suaderci con belle parole, si si scontra nel se-guente punto: Unione od annessione non è lo stesso che accentramento; questo lo sapevamo. Una provincia quindi se ad altra s' unisce^ non perde di conseguenza tutta affatto la sua au-tonomia, ma può ed è bene la conservi in parte., vale a dire tanto., quanto le sia vantaggiosa per lo sviluppo interno. Io confesso di non in-
tendere nulla di quanto è detto qui sopra. Mi
parla di autonomia in frazione, dice che questa
frazione deve conservarsi per l'avvantaggio dello
sviluppo interno, e non dimostra come può sus-
sistere questa frazione d'autonomia. L'autore
qui sfoggia un principio politico, il quale per
nulla imbrocca la natura dei suoi principii; porta
in campo un'imiovazione, e non la definisce. Qua-
lunque però si fosse «tata la sua definizione, io
sosterrei, che i'autonomia d' una iprovincia fu e
sarà mai sempre un tutto indivisibile, e che
quando Dalmazia dovesse unirsi a Croazia, essa
dovrebbe di conseguenza perdere 1' autonomia
sua. 0 la Croazia assorbirebbe quella di Dalma-
zia, 0 questa quella; e in una collisione d' au-
tonomia, ambedue ne avrebbero scapito.
La nostra posizione, come provincia del-
l' impero austriaco, sarebbe in caso di fruire e-
gualmente degli avvantaggi predicali, quando l'Au-
stria effettuasse ciò che promise il sovrano au-
tografo 20 ottobre 1860.
Ha termine quest' opera col progetto d' una
nuova organizzazione amministrativa per la Dal-
mazia ove questa fosse unita alla Croazia e Sla-
vonia, e vuol persuaderci che a noi potranno
convenire le basi di governo che si formeranno
in Ungheria. Dunque se noi ci uniamo, cioè se
ci uniscono alla Croazia, noi assieme ad essa
verremo esser fusi all' Ungheria, dunque non
saremo piiì slavi ma ungheresi. La conclusione
non può infatti dispiacere. Il nostro autore ci lu-
singa, provando a persuaderci che coi croati noi
ne avvantaggeremo; per comprovar ciò, non o-
mette di venirci troppo da vicino con certe e-
spressioni alquanto disdicevoli ad una nazione,
che se anche povera, pure non manca di glorie
e di meriti; tocca il punto del grande elemento
che vorrebbe centralizzarsi, e conclude col farci
ungheresi. Risponda chi vuole; a me manca al-
l'uopo la lena e il tempo, troppe sendo, per in-
cominciare una polemica sull' opuscolo in discor-
so, le contraddizioni e le anomalie di cui è ri-
pieno.
Fra tanti opuscoli ch'ebbero luce in questa
circostanza, e specialmente da quelli che naquero
in Dalmazia, noi vediamo che il principio d'ogni
idea non è già quello dell' annessione alla Croa-
zia, ma invece d' una generale centralizzazione
slava. Fino ad ora questo principio fu sempre
confuso, e principal causa ne fu il rimestamento
dei documenti e delle fonti storiche falto da co-
loro che per dare maggior forza alle loro ve-
dute, travisavano il passato a proprio capriccio;
e il nome di publica opinione, assunto da tutti
quanti scrissero, non fece altro che porre sulla
scena il povero popolo, e attribuirgli un' azione
tanto viva, quanta si è la sua indifferenza, se
non sostanziale almeno apparente. Air autore dei Partiti in Dalmazia che s'ha
a dire ? Mente; egli col suo opuscolo s' è giu-
dicato abbastanza da sè medesimo.
A quel dalmata che a Fiume stampò la sua
Retti^ca diremo, che i tempi sono troppo bur-
rascosi, che il mondo non ha bisogno d' essere
sconvolto più di quello che lo è in fatto, e che
collo suscitare le masse ove si tratta di questioni
come le nostre, poco si guadagna. Lo ringra-
ziamo de' suoi progetti^ ma tutt' altra è la voglia
territorio; con che verrebbesi a dire che ogni
Croato in Dalmazia ha potestà più che regia e
che imperiale. E per (itolo di cotesta proprietà
citaronsì parole di Costantino Porfirogenito, il
quale non si sognava di dovere, tanti secoli
dopo, esser chiamalo come augusto testimone
nello strano processo; e, se potesse parlare, di-
sdirebbe alla propria parola la potestà di mutare
i nomi e le nature de' popoli. Di cotesta ragione,
la contésa diventa di critica storica; e tocche-
rebbe alla Croazia accademica, non alla banale,
trattarla dinanzi a un'assemblea d'eruditi. Ma nè
i gabinetti nè i popoli intendono di rimettere ne-
gli archeologi Tarbitrio delle volontà e sorti loro.
Se disputa di ciò potessesi fare in sul serio, sa-
rebbe pronto il rispondere che gli Avari, ster-
minati dalla Dalmazia per le armi Croate, ci si
erano posti per questa ragione, che il paese era
bello; che volendo goderne al modo che sole-
vano 1 barbari invasori godere, non avranno cer-
tamente ambito di fare essi il mestiere di zap-
paterra e di magnani, di muralori e di marinari;
che si saranno astenuti dal distruggere i soggio-
gati abitanli, non per umanità ma per comodo
proprio; che dunque la vera stirpe Dalmatica,
per scemata di numero che si faccia, rimaneva
legittima possedilrice; che i Croati vincitori degli
Avari, per governare (come giova credere) me-
glio di quelli, non potevano essi venire alle nie
di fatto alle quali i primi invasori non erano po-
tuti venire; che, volend'anco, non avrebbero sa-
puto esercilare il mestiere, essi gente armigera
e nuova, di zappaterra e di magnani, di mura-
tori e di marinari; che, fosser anco stati barbari
tanto da volere uccidere o di scacciare gli uo-
mini del paese tutti, e' non lo potevano senza
detrimento delle proprie comodità; che cotesto
non fu mai fatto da'barbari nessuni in paese nes-
suno, e che i, Croati non vorranno certamente
arrogare la palma di così efferata singolarità agli
avi loro; che, secondo il detto stesso dell'«w-
gusto testimone^ dico l'imperatore Greco, i tre
fratelli e le due sorelle Croate, i quali e le quali
(secondo la storia tra simbolica e mitologica
de' tempi bui) debellarono gli Avari, non pote-
vano avere seco tanta moltitudine di seguaci da
popolare a un tratto l'intera Dalmazia e l'intera
Croazia rimaste disabitate; che in quel frattempo
doveva gran parte della regione esser fatta co-
vile di bestie feroci, o almeno deserto desolato,
della qual cosa nessuno fa fede, nè anco 1' au-
gusto testimone, del resto alquanto lontano dai
luoghi e da'tempi, e che non poteva accertarlo
nè per sua veduta, nè per contezza di prossime
testimonianze. Che se, a detto dell' autore ano-
nimo il quale ragiona della proprietà del terreno^
i Croati a'luoghi che vennero occupando, muta-
rono i nomi, coni' è che la Dalmazia lasciarono
nominarsi Dalmazia tuttavia, e lei cosi nomina-
rono sempre essi stessi? Veramente, se prima
la Dalmazia fu da' loro antenati popolata, essa
per prima doveva prendere il nome da loro ; i
Croati veri sarebbero i così delti Dalmati, tanto
più che parlano lingua più pura e mostrano pro-
genie più caucasea; essi i Dalmati sarebbero,
anco a titolo di conquista, posseditori del suolo
che tengouo; la capitale del regno, non Zagabria,
dovrebb' essere Zara. E il nome di Zagabria mu-
tato in Agram, e in questa forma noto all'Eu-
ropa, dimostra chiaro che gli Slavi Croati sono
una razza mista con gente di costumi diversi;
gente, se così piace, più nobile, ma slava no;
senonchè una questione di vita presente non è
da ridurre a una esplorazione d'ossa fossili; nè
i Croati assennati consentiranno che la storia loro
s'appareggi alla storia de' Megalosauri, e de' Ma-
stodonti.
VI.
Guai se una notizia pescata nelle cronache
del medio evo, se un nome di equivoca signi-
ficazione, foss'anco vivo nelle tradizioni de'po-
poli, si facesse titolo ai rimpasti politici, e va-
lesse a decidere il destino d'anime a milioni I I
discendenti de' Galli, degli Ibtri, de' Greci, de' Goti,
e chi sa di quante altre schiatte, s' avventereb-
bero sull'Italia; e per riaverne un brano, dovreb-
bero sbranarsi tra sè: ai discendenti de' Romani
toccherebbe la llomenia e la Romelia. Perchè S.
Marino, Dalmata, primo abitò le solitudini del
Titano, la republica di S. Marino diverrà forse
un'appendice al regno Croato? Perchè Sisto V,
provalo ormai di dalmatica origine, ai Dalmati
canonici di S. Girolamo in Roma aperse un ri-
cetlo, quella istituzione diventerà forse cosa croa-
ta? Perchè il Lorgna. Dalmata, fondò la illustre
società dei Quaranta, sarà forse accademia croata
la società dei Quaranta?
VII.
La storia de' popoli esce dalle viscere della
loro natura, conferma essa natura e la fa: ma
purché sia storia continuata, storia, della quale
esso popolo, almeno di tratto in tratto, abbia e
significhi coscienza. I Croati dormirono dodici se-
coli; e adesso s' accorgono d' aver popolale le
terre dalmatiche, e d' èssere Dalmati. Noi con
gratitudine rammentiamo i servigi che questa
gente, da molli Europei dispregiala, rese alla ci-
viltà dell'Europa, opponendosi più e più volte al
torrente de'barbari e disft\cendoli : ma appunto
perciò non vogliamo che titolo ai suoi nuovi ac-
quisti facciasi un' occupazione alle barbariche so-
migliante. Se vera fosse : ma vera non è. E per
togliere i diritti che essi hanno ad esistere, a
progredire, a perfezionarsi. Ma si gridi e si fac-
/ eia quello vuoisi, essi non perciò cesseranno
/ d'essere i fattori della civiltà dalmata. Ma son
! essi i soli? No certamente; giacché fattori più
0 men importanti, più o men preziosi, della ci-
viltà nostra, sono ed il nome, e la storia, e l'au-
tonomia, e, sotto qualche aspetto, la postura e
r indole stessa degli abitanti della Dalmazia. Chiun-
que per tanto si accinga a tratteggiare il natu-
rale destino della patria nostra, deve aver ne-
I cessariamente di mira tutti cotesti fattori. Laonde
I il caldeggiare gl'interessi d'un solo di essi, an-
che con danno d'uno 0 di più altri, non sarà
^ certo un caldeggiare gl'interessi dalmati.
Or non son tali appunto, quelli che vor-
rebbero de'dotti itali volumi fare un ecatombe
alla Vila Slava, e in grazia a questa, bandir vil-
lanescamente da'nostri lidi quelle itale muse, che
pur usarono ed usano tuttavia sì gentilmente sor-
ridere ai dalmatici ingegni? Non son tali, coloro
che novelli Caroliniani, pretendono, a vantaggio
degl' italo-dalmati, eternamente negare ai slavo-
dalmati quell'unica via che lor rimane per giun-
gere al libero e naturale svolgimento delle loro
forze sì morali che materiali?
Ma qui nuove obbiezioni e dall'una e dal-
l' altra parte. — La nostra cultura e civiltà, di-
cono gli uni, non potrà piantarsi nè crescere se
non sulle rovine della cultura e civiltà italiane.
Lasciando agli slavo-dalmati, soggiungono gli al-
tri, libero il movimento nel senso della loro na-
zionalità, la è finita per noi: i nostri cappelli do-
vranno inchinarsi ai berrettoni croati ed esser
fatti saltar in aria dai loro stivali. — Ciance!
Pattovisca la Dalmazia, (non da ancella ma da
pari) colla Croazia e Slavonia una confedera-
z4one^ lega^ unione^ (non mai confusione) chè
voglia chiamarsi, la quale le garantisca la con-
servazione della sua autonomia, del suo nome
storico, della sua cultura italiana, di tutti in som-
ma que' privilegi che dalla singolare sua posi-
zione e da altre circostanze sono necessariamente
voluti, nè v' avrà più che temere. Chi pretendesse
di più, sarebbe slmo^ sarebbe italiano quanto vo-
lete, ma dalmata, viva Dio! non mai. Ad ogni
modo per questa guisa, o ch'io m'inganni, senza
perdere nè punto nè poco de' beni che posse-
diamo, farem aquigto d' altri che da sè soli con-
seguir non potremmo, ed agevoleremo d' assai
r effettuazione di quelle speranze che ora appe-
na c'è dato di poter esprimere.
(Da Obbrovazzo')
All'Onorando Signor Marcantonio Yidovich
in Zara.
Io per fama, la conosco e 1' amo^ Conosco
di persona ed amo altresì il signor Vito Morpurgo.
La preghiera che a questi publicamenle, non è
guari, diressi, fu a me dettata dall' affetto sincero
che a lui, non men che a Lei, Signore onorando,
professo. Io sarò lieto se quella preghiera mìa
saprò bene accolta ed esaudita, e se saprò ezian-
dio eh' abbia Ella perdonato di cuore. Riconoscente
pei sentimenti da Lei manifestatimi e per le belle
versioni che Le piacque offerirmi, prolFerendomi
a' comandi suoi e augurandole da Dio ogni bene
ho l'onore di dirmele
Sign^ 5 Marzo
Suo (lev: Anionio IIamia.iaovlcli.
j§. l^uzzoììcìi.
Società filarmonica di Zara.
Trattenimento musicale del 3 corr.
Ogni qualvolta ci accade di dover parlare
della nostra società filarmonica, lo facciamo sem-
pre col massimo piacere, sì perchè i successi
della medesima ci strappan dal labbro parole d'e-
logio, sì perchè la simpatia eh' essa continua a
godere, ci fa sicuri della buona accoglienza a
questi brevi cenni.
Fino da qualche tempo addietro era stata
preparata un' accademia che avrebbe fatto epoca
negli annali delle società di dilettanti; si trattava
nientemeno che dell' esecuzione tutta intiera del-
l' opera Ernani^ e tutto era bello che pronto,
quando soppraggiunto un qualche impedimento
da parte d'uno dei dilettanti, dovettero supplirvi
r ultima volta nel modo enunciato; e così egual-
mente anche questa, ma con un lusso e scelta
di pezzi d' accontentare i più schivi.
11 sig. Giuseppe D.r Nagy ed il maestro An-
tonio Ravasio aprirono il trattenimento colf Ou-
verture dell'opera La stella del Nord del M."
Mayerber, ridotta a pianoforte per quattro mani
da C. Klage. I nomi dei due valenti oramai tanto
noti ci dispensano dal farne nuovi elogi.
Dalla sig.a Barberina Rossi-Lana colla sua
bella e robusta voce di contralto, e dal coro dei
dilettanti ed allievi dell' istituto venne eseguito,
col solito della loro bravura, il coro de' zingari
^^Vedi le fresche notturne spoglie,, la canzone
^^Stride la vampa„ ed il coro ^^Mesta è la tua
canzon,, nell'opera il Tromtore del Verdi.
E la società deve essere ben grata alla signo-
ra Rossi-Lana, la quale ad onta che una af-
flizione materna la tenesse angustiata, pure non
volle mancare all'impegno assuntosi.