montò al bastione di s. Maria per quella salita che
pochi anni fa esisteva presso la chiesetta di s. Domenica.
Quelli che si erano rivolti alla Cittadella, tentarono a
colpi di scure di atterrarne la cancellata di ferro; ma
furono ributtati dalla mitraglia. Gli altri, che aveano
attaccato il bastione di s. Maria e che aveano speranza
d'impadronirsene, perchè il sapevano occupato dalla
guardia nazionale, trovarono con loro sorpresa le bocche
di alcuni obici, che eseguirono subito una violenta sca-
rica sopra di loro a pochi passi di distanza. Presi così
tra due fuochi in uno spazio sommamente ristretto, nè
avendo a propria difesa se non i fucili, a salvare la
vita furono costretti a retrocedere per dove erano ve-
nuti. Si chiusero nella loro caserma, donde continuarono
le fucilate, alle quali rispondeva il cannone della Cit-
tadella. E il giuoco sarebbe finito colla distruzione dei
Quartieroni e dei soldati croati, se il generale in capo
non fosse stato richiamato a più miti consigli. Si decise
di scendere a trattative coi ribelli, ed offrire loro l'im-
punità, purché essi e quelli del Forte uscissero tosto
dalla piazza disarmati ed in silenzio.
Ad intendersi coi ribelli, fu mandato prima il cit-
tadino Daniele Addobbati, il quale ritornò indietro senza
aver nulla conchiuso. Si presentò poscia l'ufficiale su-
periore cav. Napió, capitano dei dalmati. Ma avendo
costui parlato troppo liberamente, fu senz' altro fatto a
brani da quella inferocita soldatesca. Sopraggiunti poi altri
messaggi, finalmente si potè stabilire che al mattino
seguente sarebbero usciti tutti dalla città con armi e ba-
gagli sotto il comando dei loro ufficiali. A garantire
poi la traquillità per quella notte, la caserma fu cir-
condata da cannoni e da soldati. Indi all'albeggiare del
tre decembre uscì tranquillamente le guarnigione croata,
e si portò al campo austro-inglese.
Il pericolo corso in quella notte dai zaratini certo
fu grande; ed anche oggigiorno v'hanno dei vecchi, che
ricordano con raccapriccio la notte elei due decembre
1813.
Siccome sino dal principio dell' assedio erano state
intercettate delle lettere compromettenti ad alcuni uffi-
ciali croati, di cui già abbiamo avuto occasione eli par-
lare, così si credette che quella ribellione fosse avvenuta
di comune concerto tra loro e ci' accordo col campo ne-
mico. Si vuole ancora che 1' ammutinamento avesse
dovuto succedere contemporaneamente nel Forte ed ai
Quartieroni verso la mezzanotte e che uno sparo di fu-
cile avesse dovuto esserne il segnale. Fortunatamente
una rissa tra soldati, impegnata verso le sette di sei*a,
ed una fucilata sparata nel bollore della lotta, fecero
sì che i croati del Forte si ribellassero prima dell'ora
convenuta, e che fossero sedati prima che si ammuti-
nassero quelli dei Quartieroni, Costoro poi, se si fossero
meglio diretti avrebbero potuto tenere in iscacco la poca
truppa francese ed italiana, attirare dalla propria parte
i marinai ed alcuni cittadini malcontenti e bloccare nella
Cittadella il generale francese. Infatti se non si fossero
dati alla fuga alla prima scarica degli obici del bastione
s. Maria, avrebbero senz' altro sbaragliato la guardia
nazionale, che probabilmente sarebbe stata sacrificata.
Giacché i nostri, volendo ricaricare i pezzi, s'accorsero
che i due cannonieri francesi, i quali tenevano le chiavi
delle munizioni, erano fuggiti, credendo che i cittadini
fossero d'accordo con i croati. Per cui se questi ai primi
tiri non si fossero ritirati, la guardia nazionale avrebbe
dovuto lottare con essi a corpo a corpo, oppure cedere
il suo posto e salvarsi.
(Continua). Y. ^RUNELLI.
Janko Crnojević.
(Dal serbo).
I.
Sorge Ivano dei Serbi inclito sire,
Sorge, e sen va pel vasto mar portando
Seco immensi tesori. Ei vuol per Janko,
Pel benamato suo tenero Janko,
Chieder a sposa del superbo Doge
Di Venezia la figlia. Ivan la chiede,
Ma in secchi accenti gliela niega il sire
Della Laguna — Non smarissi a tanto
Il magnanimo re, ma tra i latini
Doni e danaro profondendo ognora,
Stette tre soli, e così fè ch'alfine
Piegossi il Doge e si scambiar le anella.
Era il mattin che la veloce prora
Al terreno natio volger lo slavo
Prence doveva. All'agii nave il Doge
L'accompagna con esso i suoi due figli,
E cento altri signor. Qui fu che Ivano
Un gran fallo commise, e benché accorto,
Dalla gioia accecato e dall' orgoglio
In questi usciva sconsigliati accenti ;
Di Venezia signore a me diletto
Amico m'odi; io qua ritorno in breve.
Ti dò fede, farò con un eletto
Corteo di nozze, non minor lo giuro,
Benché addurne potrei certo volendo
Altre più molte, non minor lo giuro,
Di mille lancie, il fior di Serbia. E quando
Il pelago varcato, a questo lido
Approderemo, a noi tu mille incontro
Invia Latini. In mezzo a tutti, bello
Di stupenda beltà splender vedrai
Janko mio figlio ed or genero tuo.
Udì il Doge tai detti, i suoi due figli
I signori l'udirò: al colmo il Doge
Del contento sorrise, e delle sue
Braccia cingendo il venerando capo
Del serbo re, baciandolo più volte,
A te grazie, sciamò, grazie per questa
Grata novella. E s'egli è tale, Ivano,
Quale il paterno tuo labro lo dice,
Ben più caro 1' avrò che la pupilla
Degli occhi miei. Ma se fra mille e mille
II più bello non fia, rieder a questa
Una nave pavesata a festa, su cui sventola per
la prima volta la bandiera commerciale montenegrina,
s'è staccata dalla rada d'Antivari: essa porta nel suo
grembo le glorie della nazione. Là da prua, su d'un
rialto improvvisato, ritto, maestoso, il maschio fronte
sorriso da un lampo di orgoglio sta il principe Niccolò;
il braccio destro proteso, stringe fra le dita l'anello
nuziale. Gli fanno corona: a destra il robusto Vukotié,
padre alla bella Milena, la quale, a sinistra, posando
accarezzevole una mano sulle spalle del principino ere-
ditario, sembra mangiarselo cogli occhi da cui trabocca
l'amore di madre e di sposa. Di dietro 1' eroico stato
maggiore: Petrović, Plamenac, Vrbica, Paulović, Zirnu-
nić e Sočica. Altre figure s'aggruppano nel centro e
a poppa: ne' vari atteggiamenti, sia che, fiso l'occhio in
quella striscia di mare cui loro è dato per la prima
volta poter chiamar loro, aspirino con voluttà l'acre
salsedine che profuma l'aria ai primi albori; sia che,
agitando la nazionale beretta, acclamino al principe o
al popolo, vi leggi sempre la gioia, la commozione,
l'entusiasmo. E il popolo, torno torno la spiaggia de-
lineata a 1110' d'arco, s'accalca, acclama e saluta collo
sparo de' moschetti. Là a destra, sullo spianato d'un
erto colle, sta un pope il quale, protese le braccia sul
popolo sottostante, a lui benedice ed al sacro rito; a
sinistra una leggiadra mammina china verso il suo figliuo-
letto — un amore di fanciullo dal crin biondo e ric-
eiutello, in leggiera camiciuola — gli accenna alla nave.
Quantunque ei ci volga il dorso, 1' atto per cui solleva
la sua testina ci dice come penda dalle labbra materne
e come cerchi figgersi in mente e il nome di quegli
eroi e il significato di quella festa. Loro dappresso
un' avvenente figlia della nera montagna sostiene del
braccio il vecchio padre dalla candida barba fluente,
che facendo puntello all' altro d'un nodoso bastone,
quasi con passo da giovane si spinge in avanti per
poter finalmente vederlo com'è fatto questo mare. Di
dietro un'altra madre acclamando solleva sulle brac- 1
eia robuste un suo nudo bambinello e più dietro ancora j
ritta, dura hi faccia d' un portabandiera a cavallo, quasi i,
accenno all'esercito. 1
Lo so, non è da questo arido sminuzzamento che jj
il lettore potrà formarsi un adeguato giudizio del valore j|
dell'artista; egli è nel suo complesso che il quadro va jj
abbracciato ; ed il colpo d'occhio ne è invero seducente, ji
L'idea dominante nel gruppo principale della nave, j;
lumeggiata chiaramente, aquista maggior risalto dalla !
idealità che si disviluppa dal gruppo secondario. Quelle i;
madri coi loro bimbi, l'avvenire del giovane stato, la
nuova generazione di forti : quel vecchio curvo, cadente,
ricordo ancora d' un' età passata ma grande, ma gloriosa
ancor essa, si armonizzano, si reintegrano col presente j
che s'incarna, là nel giovine principe e ne' suoi soldati. j
Ora il ^quadro non è che in carboncino e non j
ancora riportato alla sua vera grandezza: una tela oltre
a due metri larga ed un tre metri lunga ; però non ci
è dato poter giudicare dell' impressione che ne risulterà
dall'armonica disposizione delle tinte ad olio, quando
quella folla di popolo nel suo pittoresco costume nazio-
nale spiccherà nettamente dallo sfondo, cinto di erte e I
brulle montagne lievemente rosate dalla luce nunzia j;
del sole che sorge e dal limpido verde-azzurro della j'
tranquilla marina. Ciò che per altro possiamo affermare
sin d'ora si è che il colorito locale è colto caldo, vero ;
ti par respirare la vergine vita di quella vigorosa po •
polazione; tu hai i suoi tipi che non si confondono così
facilmente con quelli degli altri slavi; tu hai le sue più
illustri personalità ritratte nella loro fisonomia, ogni
nonnulla del costume riprodotto con diligenza, con
amore. L'artista, che tale è il signor Smirich, ci dà a
vedere come ei si sia messo all'opera con un concetto
chiaro e preciso del lavoro ; come, istudiatolo con pa-
zienza, nulla abbia trascurato nè spese, nè fatiche per
riuscire. E noi nutriamo speranza che questo quadro
incontrerà anche il favore degl'intendenti per cui, inco-
raggiato, il nome del nostro compatriota possa un giorno
figurare fuori di questa cerchia così angusta, là dove
l'arte della pittura è un culto.
Nel Programma di quest'anno del locale i. r. Gin-
nasio superiore il prof. Brunelli pubblica l'opera fino
ad ora inedita: Philipp i De Diversis De Quarti già nit>
Lucensis, Artium Doctoris Eximie et Oratoris --- Situs
aedificiorum, politiae et laudabilium consuetudinum
inclytae civitatis liagusij ad ipsius senatum descriptio
— codice cartaceo, legato in pergamena che si attrova
nella biblioteca della stesso Ginnasio. Per ora egli non ci
dà che la prefazione e la parte l.a e vi fa precedere
come introduzione alcune notizie biografiche su Filippo
De Diversis De Quartigiani, ed altre sulla forma e con-
tenuto del libro, corredando il tutto di copiose ed as-
sennate annotazioni necessarie a delucidare l'autore o
a correggerlo specialmente in fatto di cronologia. L'a-
more col quale il Brunelli coltiva la patria istoria ci ò arra
ch'egli vorrà continuare su questa via di render tratto
tratto di pubblica ragione un qualche nostro autore o
altri che trattò di noi.
Anche nel Programma dell'I. R. Ginnasio supe-
riore di Capodistria il prof. Stefano Petri.- pubblica
una sua erudita dissertazione „La Dalmazia nella prima
metà del XIV secoloperiodo non poco intricato come
quello che tratta delle vicendevoli pretese e lotte tra
Ungheresi, Veneziani e Bribiresi, ma clic l'autore è
riuscito a rappresentarci con lucidezza di vedute neila
loro relazione di cause ed effetti.
Prevenuti, non da buona volontà ma da circostanze
di tempo, ei ò tolto il piacere di pubblicare quanto dai
signori P. Mazzoleni, G. d.r Zuliani e V. prof. Miago-
stovich fu scritto in onore del loro concittadino R. prof,
de Visiani. Discorso, Sonetti ed Epigrafi, raccolti in
fascicoli, ci furono gentilmente inviati, e vi ammiriamo
l'eleganza del dettato, la nobiltà e robustezza di pen-
siero vivificato da un caldo soffio d'amor di patria, dal
grido del cuore offeso per tanta jattura, cui rnttempra
un giusto orgoglio della gloria di lui,
Coli'andare del tempo, cangiate essendosi le idee
del costume civile e religioso e non essendo per con-
seguenza le antiche finzioni volgari più totalmente ad-
datte al popolo nostro, bisognò inventare di nuove o
modificare ed addattare al nuovo gusto le antiche e da
ciò ne devenne un nuovo genere di poesia, pieno di
fantasie, in parte sconosciute agli antichi e nel quale
si legano i costumi e le idee della religione cristiana
colle finzioni poetiche delle religioni pagane, le quali
finzioni, mentre ritengono dall' antico quanto fu loro
possibile, si mostrano pure nella più gran parte diverse.
Egli è ben naturale, che allo sviluppo di tale
poesia, giovasse non poco in Italia lo studio della greca
e della latina favella, ambe le quali specialmente nei
secoli XI, XII e XIII furono oltre ogni dire curate;
ned è a stupirsi se in tutti i lavori di quell' epoche, come
forse anco nelle posteriori, noi ne veggiamo le più vi
sibili impronte in felici imitazioni, profondamente stu-
diate: in traduzioni, oltre ogni dire bene riuscite; in
plagi, eccellentemente appropriati. E Dante stesso forse
non tentò di incominciare il suo divino poema in lingua
latina? E poscia quando lo dettò in quel volgare, che
per lui divenne lingua sovrana, non disse egli forse di
Virgilio: Inf. C. I. vv. 82 — 87:
0 degli altri poeti onore e lume,
Vagliami il lungo studio, e 1 grande amore,
Che m" han fatto cercar lo tuo volume.
Tu se" lo mio maestro e lo mio autore :
Tu se1 solo colui, da cu1 io tolsi
Lo bello stile, che m'ha fatto onore.
Se sulle origini dell'epica poesia in Italia ci vor-
remo fermare, noi dovremo confermare essere dessa d'o-
rigine straniera e perchè l'argomento principale, attorno
il quale essa s'aggira, si attiene alla credenza religiosa,
cosi questa poesia fin da bel principio fu affatto popolare.
Il medio evo ebbe la sua epopea vera oltremodo
e nazionale. Egli è nei suoi primordii che la poesia,
quantunque rozza e primitiva, si accende di fuoco no-
vello e vivissimo per ispontaneità di sentimenti, per pe-
regrinità d'immagini, per naturalezza d'espressione ed
è perciò che l'epopea del medio evo al suo principio
fu, quel'è ben a ragione chiamata, produttrice di una
numerosa serie di poemi, rifulgenti di ogni naturale
bellezza.
Erano istorie di racconti meravigliosi, che i poeti
componevano ed inventavano per diletto de' Principi
che generosi li favorivano e del popolo che meravigliato
li ascoltava con entusiasmo. In essi talora, dirò anzi
quasi sempre, si rivela l'impronta de' canti popolari
antichi, con i quali il popolo celebrava le sue vittorie
prima contro i barbari e poi contro gl'infedeli.
Già nei tempi antichissimi di tale letterario svi-
luppo, vennero tali poesie raunate da qualche nobile
ingegno, con qualche abbellimento ed -aggiunta.
Tali raccolte se pure non hanno il carattere della
verità storica, hanno bensì quello di aver dato un orlo
artistico, una veste poetica, una forma originale a quei
lavori primitivi e nazionali.
Non erano soltanto i letterati od i menestelli che
coi parti della loro svegliata fantasia a tale sviluppo
letterario s'adoperassero, ma benanco i cavalieri ed i
baroni i più nobili dell'epoca e per intelligenza e per
fama e per censo, ed anzi Re stessi non isdegnarono
d'occuparsene, sostituendo all'acciaro, domatore dei po-
poli, lo stilo, vincitore delle anime.
Fra gli altri documenti antichissimi, che varreb-
bero a convalidare l'asserto, ne abbiamo una prova
convincente in Sigiberto il quale nel 795 cosi scriveva
di Carlomagno: „Carolus Rea; non solum patria lingua,
„sed etiam peregrinis linguis eruditus, barbara et anti-
,.quissima carmina, quibus veterum Regimi bella et actus
„canebantur, scripsit et memoriae mandavit."
Siccome poi tali avvenimenti venivano per lo più
esposti colle lingue volgari, le quali, essendo tutte dia-
letti nati dalla lingua romana, chiamavansi in Francia,
in Provenza ed in Ispagna „Lingue Romanzec'osi
gl'Italiani, o trasportandole dalla Provenza, o creando
essi medesimi simili narrazioni, le dissero „Romanzi"
Tutti questi lavori che chiamati appunto perciò
volgarmente „Romanzi di Cavalleria", esercitavano le
penne e l'ingegno degli uomini allora i più eruditi, non
sono senza qualche fondamento di verità, come non lo
sono neppure le istorie favolose della pagana mitologia ;
essi formano anzi la base di un'epopea fantastica ed in-
ventiva.
Se ne occuparono in Inghilterra Tommaso Warton;
in Francia il Ginguené, il quale con finissima critica e
con rette sentenze, trattò a lungo dell' epopea roman-
zesca in generale e dei „Reali di Francia" in partico-
lare; in Italia oltre al Gìraldì ed al Pigna, ne parlò
più diffusamente di ogni altro il Quadrio, nella sua
opera, cui ebbi da bel principio ad accennare.
Égli divide questi lavori romanzeschi in tre classi.
La prima, cui egli fa coetanea all'origine de'Brettoni,
tiene per suo corifeo il re Arturo e per suoi grandi
campioni Lancilotto del Lago, i due Tristani, il re Me-
liadus ed altri che formano gli eroi della famosa „Ta-
vola Rotonda"; nella seconda classe, la quale 'ha per
fondamento l'origine dei Gaulesi, vissero celebri un
Amadigi, un Palmerin d'Oliva, un Tirante il Bianco;
la classe terza è formata dalla così detta: „Storia di
Carlomagno e de' suoi dodici Paladini", la quale più
ancora delle altre due fu copiosa di cavalieri erranti,
e quelli che precedettero il nascimento di Carlomagno
come: Fiovo, Fioravante, Rizieri, Buovo d'Antona e
poi Carlo istesso, diedero materia al sì ben noto libro
„I Reali di Francia".
Quantunque questa distinzione siasi abbastanza
sottile, pure non mi sembra tanto chiara, ove dessa si
consideri dal lato istorico. In tale riguardo sembrami
assai più chiaro il Settembrini nelle sue „Lezioni di
Letteratura Italiana" stabilimento tipografico Ghio 1869-
70-72.
Ecco quant' egli ne dice nel suo volume I. a pa-
gina 327:
„Questa immensa poesia, che nei primi tempi era
„forse più poetica in prosa che in versi, narra i fatti
„del feudalismo, trasformandoli stranamente come fa il
„popolo, inventandone anche moltissimi ma sempre move
„da. fatti che hanno un fondamento di verità storica.
possono contenere 1080 spettatori; nell'anfiteatro a 4
gradinate a poltrona v'ha posto per altri 500, mentre
900 possono starsene comodamente ne' cinque ordini
della galleria. Sono 3680 spettatori i quali, e qui sta
il buono, possono vedere o l'intero palcoscenico od
almeno quattro quinti dello stesso.
Il palcoscenico, il più grande dei teatri esistenti,
con una superficie libera di 800 m., alto in media 6.50
dal suolo sottostante, si può smontare nello spazio dì
un'ora. Sotto la platea si misurano metri 3.30 e vi
agiscono i caloriferi ed i ventilatori. U altezza dal suolo
naturale alla cima del lucernario è inferiore di soli 5
m, a quella dell'arco della Galleria Vittorio Emanuele
di Milano (30 m.)
L'orchestra è disposta a cinque piani inclinati che
s'inoltrano in discesa per tutta la profondità del pro-
scenio, dentro una specie di mezza conca (paraboloide
elittico) la quale non permette ai suonatori di vedere
nè d'esser visti, salvo il maestro, che domina su tutti
da uno scanno alto 1.50 m,
E veramente imponente sarà l'illuminazione: 1700
fiammelle di gas a globi traslucidi, il fumo delle quali
mediante conduttori speciali verrà immediatamente tra-
sportato fuori della sala.
Non meno fenomenale il confort: sale per l'elet-
tricità, per le prove d'orchestra, per toilettes d'ambo i
sessi, per concerti e balli; per caffè e restaurant, otto
locali che misurano ben 1200 m. • ecc; 12 sono le
scale per accedere ai vari locali e ben 40 le porte d'u-
scita dall'edificio.
* *
Il Preludio d'Ancona nel suo n.° 17 s'occupa
della traduzione italiana delle Liriche di Alessandro
Pet ufi fatta dal prof. P. E. Bolla e quantunque vi trovi
nella forma loro italiana delle forti disuguaglianze ha
per essa parole sincere di elogio.
Ecco il sommario dello stesso n.° del succitato
periodico :
Catullo e Lesbia Frammento (Gaetano Trezza).
— Lucrezia Borgia - Musica di Donizzetti - Poesia
(G. M. Labronio). — Proposta di un ordinamento me-
todico delle pubbliche Biblioteche del Regno (France-
sco Corazzini). — A Dafne - Poesia (Edoardo Barbero).
— La famiglia di Dante - Note storiche (G. L. Passerini).
— Inverno - Poesia (Enrico Bianchi). — Questioni
Dantesche (G. G. Vaccheri e C. Bertacchij. — Per
compleanno - Poesia (Tommaso Zuccheri-Tosio). —-
La scoltura e la pittura all'Esposizione nazionale del
1880 (Salvatore Concato). —- Bibliografia : P. E. Bolla
— Liriche di Alessandro Peto fi (R. R.) — Cenni biblio-
grafici. — Giornali. — Pubblicazione.
mmmm*
Un grazioso numero
Col primo ti vo' dire:
L'altro non è degli uomini
Facili troppo all'ire:
Come al terror al giubilo
Il tutto s'accompagna...
Vuoi più? Tra i luoghi cercane
Che il maggior fonte bagna.
PICCOLA POSTA.
Alla spett. Direzione del periodico L'Avvenire, di Spa-
lato, che con assidua benevolenza e patriottico impegno rac-
comanda in ogni suo numero il nostro periodico, rendiamo i
più cordiali sentiti ringraziamenti.
Sig. A. d.r R., Spalato. — Abbiamo ricevuto. Grazie.
Sig. A. D., Spalato. — Come vedete, vi abbiamo sod-
disfatto : non dimenticateci.
Sig. G. C., Lesina. — Cureremo la errata-corrige.
Signorina E. G., Trieste. — Ci siamo fatti un dovere di
corrispondere tosto al di lei desiderio.
Qnor. Direzione dell' Alba, Trieste. — Fu fatto.
Onor. Soc. D., Graz. - Vi abbiamo spedito cartolina
postale.
Sig. R. G., Vienna. — Ricevuto.
Possiamo assicurare i nostri signori abbonati, che recla-
mano non di rado per smarrimenti di copie del periodico, che
la spedizione viene fatta da noi regolarmente.
Invitiamo ancora una volta i nostri abbonati morosi a
mettersi in corrente coir Amministrazione.
Barrata-Corrige.
A pagina 107 del N.° 13, colonna I.a, nota, linea 2.a invece
di adunanze leggasi adunanza ; a linea 7.a invece di delle materie,
leggasi della materia ; a linea 17.a invece di transazioni leggasi
transizioni-, a linea ai.a invece di scorparso leggasi scomparso ;
a pag. 107. colonna Il.a linea 2.a dopo le parole più tardi ag-
giungasi nel 1819 ; a linea 6.a invece di molto profondamente
leggasi molto e profondamente; a linea 9.a invece di e queste leg-
gasi e che queste', a linea 11.a invece di della materia leggasi
della materia raggiante; a linea 24.a invece di lì leggasi le; a
linea 34.a invece di muoversi leggasi muoversi mai; a linea 35.a
dopo pompiamo leggasi l'aria o; a linea 42.a omettansi le pa-
role tanto più lunghi diventano i passaggi intermedi; a linea 52.a
invece di esperimentati leggasi esperimentali ; a linea 59.a dopo
passaggi leggasi intermedi ; a linea 60.a invece di nu leggasi un;
a pagina 108.a colonna La linea I.a invece di sia leggasi sta; a
linea 4 a invece di era leggasi sia; a linea 46.a invece di molte
più leggi leggasi molte leggi; a lìnea 55.a invece di spinto cosi,
oltre leggasi spinto così oltre.
Tipografìa di Giovanni Woditzka.
vece per la stessa via a comporre poemi originali. —
Con quale lingua però ? I loro dialetti erano allora rozzi
quanto mai e per di più privi di modelli nazionali in
tale un genere di poesia, nel mentre che, se essi vol-
gevano lo sguardo alla Francia, ne avevano a dovizia
e trovavano bella che pronta T orditura della tela e la
forma poetica. Non è quindi punto da stupirsi se questi
Italiani stessero ad ascoltare, presi da meraviglia, le
poesie dei Francesi, leggermente modificate, e si sen-
tissero mossi a scrivere epopee in lingua francese, tanto
più in quanto che i loro dialetti molto si avvicinavano
alla lingua d'oil. E la Marciana, come pure le biblio-
teche di Modena e di Torino, conservano queste prime
poesie e rammentano i nomi di Nicolò di Padova, che
con,pose un' epopea di ben ventimila versi, intorno alle
gesta dei paladini di Carlomagno; di Nicoletta da To-
rino; di Carolo da Bologna infine, che compose un
poema intitolato „Attila", a sottacere di molti altri, eli
loro meno importanti.
Dalla metà adunque del XIII a tutto il XIV se-
colo, noi troviamo epopee francesi scritte da autori ita-
liani ed è questa l'epoca, come più sopra ebbi ad ac-
cennare, in cui tal genere di poesia entra di fatto in
Italia, in modo da mescolarsi e quasi incorporarsi alla
nostra nazionale letteratura. Gli epici di questo stadio
sono finalmente italiani. Fu allora appena che in Italia
sorsero e si riconobbero ,,I Reali di Francia", tradotti
dall' originale francese.
Nel secolo XIV queste poesie francesi divengono
romanzi italiani in prosa. Nella prima metà di questo
secolo, tali romanzi in prosa divengono poemi popolari
dei quali alcuni più rozzi e comuni, altri invece un
po' più elevati e forbiti. — Nella seconda metà poi di
questo secolo, i detti poemi popolari vengono elevati
al grado di poesia artistica dal Pulci e dal Boiardo;
da quest' ultimo, trattate le gesta dei Paladini sul serio,
si viene al Tasso e dal primo, che già sorride sardo-
nicamente, s'ascende al Fortiguerra, il quale coi suo
„Ricciardetto", novello Don Chisciotte italiano, dà il
colpo di grazia all'epica poesia, e da questo al Berni ed
all' Ariosto il quale, Ercole novello, pose le colonne del-
l'epopea, oltre alle quali genio alcuno potrà giammai
avventurarsi.
Come dunque successivamente ebbi cura d; esporre
fin qui, i fatti storici contemporanei diedero argomento
alle cantilene primitive. Dall' epica dell' VIII e del IX
secolo, le gesta di Carlomagno vengono esposte genui-
namente, senza aggiunta di sorta; nei secoli XI, XII
e XIII vediamo la poesia epica italiana, rafforzata dallo
studio indefesso delle lingue classiche latina e greca,
"prendere novello indirizzo, informato alla scuola di quei
sublimi poeti dell'antichità; alla tradizione orale e let-
terale s'aggiunge quindi la forma novella, al fatto nudo e
reale viene quinci intarsiata, a guisa di mosaico, la pro-
pria invenzione che finalmente, nel secolo XIV, raggiun-
ge poi il suo apice, rivestendo di nuove ed originali forme
poetiche i romanzi cavallereschi e le storiche eroiche
narrazioni che, quali fatti primitivi ed originali, formano
gli elementi che costituiscono il poema in Italia.
A questi fatti primitivi si associano vicende sto-
riche posteriori che dal popolo vengono identificate colle
anteriori.
L'idea di Carlomagno aveva fatto generale im-
pressione, ma quando più tardi a questo valente guer-
riero e saldo difensore del Cristianesimo tennero dietro
i re fanulloni, sopraffatti dalla prepotenza feudale, la
debolezza de' tralignati nepoti fu confusa allora colla
valentia del capostipite. Carlovingi e Carlomagno di-
vennero una sola persona, per cui nelle cantilene dei
vassalli, mentre da un lato ci si dipinge Carlomagno
come un eroe, dall'altro ci si presenta come un vecchio
barbogio, maltrattato dai feudatari e deriso.
Tale doppia idea, per quanto siasi essa disparata
ed antistorica, è pure tanto vera e reale che prese piede
e s'incarnò in Italia perfino nell'espressioni, che pur
tuttora ci vennero conservate. — E diffatti „fare quanto
Carlo in Francia", vale condurre a fine una impresa
difficile e laboriosa ; nel mentre che il modo avverbiale
„alla carlona", significa spensieratamente, trascurata-
mente e deriva dalla suesposta seconda idea di Carlo-
magno che, per derisione, in quei romanzi veniva chia-
mato „il re Carlone".
Questo elemento storico è l'unico che si ritrovi
nella prima serie de' canti francesi e nei primi loro poemi.
(Continua.)
(Al maestro Cav. Francesco de Suppé.)
Wonnevolle kunde neu belebend
Bringen diese Zeilen siiss erhebend.
ilwccaecii». Zeli e Genée.
Boccaccio - Lambertuccio - Leonetto e Isabella -
i fragor de le spade - la dolce chitarella -
le preghiere sonore siili' organo di chiesa -
le campane festose che suonano a distesa -
gli studenti impazzati - Scalza tutto felice -
i guai di Peronella o i lai di Beatrice -
del fatuo Lambertuccio le smanie fattucchiere -
il crepitìo del rogo - i lazzi del barbiere...
tutta questa folata di sogni e di armonie -
questa gazzarra folle di canti e melodie
sono Tue!.. La festosa marmaglia del Trecento
s'accalca per le strade : comprese di sgomento
le mogliere civette fuggon da i lor mariti
e i drudi nelle case gavazzano agguerriti:
i lordi paltonieri questuando con pena
incessanti ripetono la lunga cantilena -
si dà buon tempo il 'principe vagheggiando le belle •
i popolani battono V uomo da le novelle
quindi - a calmar del principe l'erotica mania -
sovra un Boccaccio apocrifo picchian la sinfonia...
Arzilla o grave - lugubre o festiva - descrive
pettinatura alta, incipriata, due nei sulle guancie. Non
so come, guardandola, mi sovvenne il motivo della
gavotte di Luigi XIII.
Passa un'elegante contadinella francese; passa una
bionda Eussalka dell' Ucrania : essa fa ij giro della sala
chiusa in una pelliccia preziosissima, poi scopre il suo
vetitito nazionale bianco, tutto ricamato bizzarramente
a fiori ; in testa un diadema azzurro scintillante di gem-
me, e le treccie annodate sulle spalle da nastri bianchi,
rossi ed azzurri. Due contadine dei Castelli di Spalato
che, a fissarle, c'è da fabbricare dei castelli.... per aria!
Una giardiniera ed una cuoca elegantissime. Una Rota-
kopfen dai lineamenti fini e delicati, abito di raso verde
ed una tocca di velluto rosso in testa.... eppoi cento
' altre che mi passavano dinanzi rapide e radianti come
visioni, ma che la mente non ha potuto afferrare e che
ora non posso enumerare perchè mi cascano le braccia
dalla stanchezza ed il capo dal sonno.
Fra gli uomini alcuni vestivano costumi ricchi ed
originalissimi ; e' era un bel tipo di Czikos — domatore
di cavalli, un brillante gentiluomo fiorentino del secolo
XV, un Trenitz elegantissimo, un 'perjanik montenegrino
nella sua ricca e pittoresca divisa di parata. — Una
compagnia di estudiantes, nel costume di Figaro, colla
leggendaria chitarra ed il cucchiaio sul cappello, asse-
diano le dame e ballano con un fuoco tutto meridionale.
Occhio signorine ! dice un proverbio :
A los estudiantes, nina
compara con las sardinas
saladitas con escamas
poca carne, y niucha egpina.
Ma chi ci bada ai vieti adagi?... la musica suona le
prime battute d'un altro ballo, tutte le coppie si ribrez-
zano, ringarzulliscono e danno allegramente ne' giri e
ne' rabeschi. Io che vo' famoso per le vertigini chiudo
gli occhi.... cosi....
(Qui seguono alcune parole indecifrabili.)
P. S. — A questo punto mi desto e m'avveggo
d'aver chiusi gli occhi per davvero; sono le nove del
mattino, il sole brilla nella mia stanzetta ed io sono
al mio tavolo ancora in giubba e cravatta bianca. Ho
schiacciato un sonnellino di quattro ore, perchè dove-
vano essere le tre e mezzo quando, ritornato dal ballo,
mi posi a scriverti questi pochi versi. Chiudo per fare
in tempo alla posta.
Addio e veglimi bene.
ji;Ai\pENio,
COSE NOSTRE.
Mentre Parigi copre di fiori l'autore delle Foglie
d^ autunno, dei Miserahili e àeW Emani sollevando il
suo ottantesimo anniversario ad un avvenimento nazio-
nale, Vienna festeggia il sessantesimo primo del nostro
compatriota maestro-compositore Francesco de Suppè.
I trionfi della Fatìnitza e del Boccaccio fecero dell'il-
lustre spalatino il piìi applaudito compositore di ope-
rette, un rivale fortunato che il re dei valzer, malgrado-
l'invenzione melodica forse superiore, deve temere. Ed
invero, la musica che un giorno l'Offenbach ed ora il
Lecocq solo rappresenta al di là dei Vosgi, al di qua
d'essi trova in Suppè il suo più geniale rappresentante.
Il Suppè ha assunto per suo motto le parole del-
l' irresistibile marcia della Fatinitza :
Yorwàrls mit frischem Blut
Lieb' ist delti Panier.
e Woriodrts! gli gridiamo in oggi noi pure, facendo
caldi voti a che ancora per lunga serie d'anni ci sia
dato festeggiarne il giubileo come d'una vera gloria
nazionale.
L'onorevole Federico Seismith-Doda con gentile
pensiero c'invia: L'abolizione del corso forzoso
- discorso pronunziato alla Camera nella tornata del
16 febbraio 1881, estratto dal rendiconto ufficiale. E un
opuscolo ben grosso di 80 pagine in 8.®, il quale ci
dimostra quanto versato si sia il nostro compatriota
nelle scienze economiche e come non poche delle pre-
visioni da lui affermate come ministro — e forse con
troppa partigianeria attaccate — ora si avverino così
da esser riconosciute giuste sin da suoi avversari.
NOTIZIE e SPIGOLATURE.
Il poema Evangelina, del grande poeta americano
Longfellov, ha dato argomento al maestro Sozzi Luigi
per un' opera in musica.
Il Preludio nel suo 3 ha il seguente sommario:
Roma e il cristianesimo (Cesare Albicini). — In
un ospizio marino. - In viaggio. - Poesie (Naborre Cam-
panini). — Ancora di G. Giusti e del Prof. E. Pan-
zacchi (Filippo Bizzi). — Nella Certosa di Bologna. -
Poesia (Mario Rinaldini). — Patuit Dea (Arturo Vec-
chini). — Bibliografia: Cav. Prof. Pietro Riccardi. -
Biblioteca Matematica Italiana dalla origine della stampa
ai primi anni del secolo XIX (Raffaele Filippucci). —
Notizie.
PICCOLA POSTA.
Onorevoli signori Giovanni Franich, Vergora^.,
Antonio Antunovioh, Lussin piccolo e Bpett. So-
cietà del Casino, s. Pietro della Brazza: ci dovete, a
lutto marzo 1881, Timporto di 4 semestri d'abbonamento
al periodico.
Preghiamo gentilmente le spettabili Direzioni dei periodici
che ci hanno concesso il cambio a non dimenticarci nell'invio.
Tipografia di Giovanni Wodit^ska.
cittadinanza onoraria. Intanto al Carltheater è stata ap-
plaudita un'altra sua operetta: Il Guascone, su libretto
dei signori Walzet e Genée.
L'egregio nostro concittadino F. Seismit-Doda ci
invia un suo breve discorso, pronunziato per fatti per-
sonali nella discussione alla Camera dei deputati pel
concorso governativo alle opere edilizie di Roma.
NOTIZIE e SPIGOLATURE.
Uno dei duci della grande spedizione polare austro-
ungarica del 1872-74, Tassiano Carlo Weiprecht, autore
delle Metamorfosi del ghiaccio polare, è morto di questi
giorni a Michelstadt, sua patria.
*
* *
Ed è morto a Roma l'avvocato R. Sacchetti, di
Montecbiaro d'Asti, autore di Candaule, Tenda e Ca-
stello nonché d'altri romanzi e lavori letterari prege-
volissimi.
•a-
« a-
Fra breve Londra festeggierà splendidamente il
primo centenario di Giorgio Stephenson, l'inventore della
locomotiva, e Madrid il secondo del poeta Calderon
de la Barca. * % *
La Società geografica in Vienna invita il pubblico
ad una soscrizione di 50,000 fior., allo scopo d'una
spedizione africana sotto la guida del D.r Holub.
»
La „Biblioteca dei viaggi", mediante la solerzia
dell'editore Holder, di Vienna, va di giorno in giorno
arricchendosi d'opere pregevolissime le quali, tanto pel
loro valore intx'inseco quanto per quello tipografico,
meriterebbero fossero maggiormente conosciute. Ai libri
di Payer sulla spedizione polare austro-ungarica, di
Mario sulle provincie egiziane equatoriali e sul Kor-
dofan, di Dethier sul Bosforo e Costantinopoli, accolti
dal mondo letterario-scientifico con un vero entusiasmo,
si susseguirono : „Intorno alla terra", viaggio di cir-
cumnavigazione della corvetta Federico", di Lehnert;
„Sett'anni nell'Africa del sud", di//oZw6 e ultimamente:
„Nel lontano oriente — Viaggi del conte Bela Széchenyi
nelle Indie, nel Giappone, nella China, nel Tibet e Birma,
di Kreitner."' Ecco una larga messe di guadagni per
i nostri traduttori.
•H-» *
I vezzi della piccola Ristori continuano a destare
la vis comica dei commediografi : ecco il Salvestri che
scrisse per essa una nuova commedia: Le due gemelle.
Intanto il Barbieri, abbandonando il genere fan-
tastico, si dà alla storia e ne trae un nuovo dramma:
Emanuele Filiberto; e mentre il Beccari fa rappresen-
tare con successo il suo Pietro Aretino, il Cavallotti
s'affatica intorno al suo Sant'Ambrogio o gli Ariani,
sul quale, speriamo, non sarà per influire punto il colpa
di spada non è guari toccatogli.
Ricordiamo ancora : La contessa Gisella di Torelli,
Altri usi di G. T. Cimino e Tentazioni di L. Muratori.
L'editore Vigo, di Livorno, pubblicò per cura del
Carducci : L'Epistolario del Guerrazzi dal 1827 al 1853.
Interessati, annunciamo una nuova pubblicazione
della ditta milanese Giacomo Agnelli: Glorie Italiane.
Quadretti storici colla narrazione a tergo desunta dalle
opere di Altavilla, Berlan, Cantù, Lambruschini, Parata,
Parravicini, Sac<^i, Taverna, Thouar, Tommaseo ecc.,
per destare l'emulazione nella gioventù. Incisioni bel-
lissime su cartoncino, in cromolitografia, a otto colori,
della misura de' ritratti fotografici. Ciascuna incisione,
per saggio: cent. 20.
I nomi degli autori da cui le biografie saranno
desunte, nomi appartenenti ai più insigni educatori del
popolo italiano, ci sono arra dell'importanza di questa
pubblicazione utilissima sotto il duplice aspetto edu-
cativo ed istruttivo.
VIntermezzo, rassegna settimanale di lettere ed arti,
diretta da Domenico Milelli, ripiglia le sue pubblica-
zioni in Napoli.
* n.
Il Preludio d'Ancona nel suo N.® 4 ha il seguente
sommario:
Del verismo (Olindo Guerrini). — In alto. - Poesia
(Enrico Panzacchi). — L'epistolario di F. D. Guerrazzi
dal 1827 al 1853 (Rodolfo Renier). — La mimica della
donna, la mimica nazionale e la mimica delle profes-
sioni (Paolo Mantegazza). — Frammenti greci di So-
focle, di Alceo, di Airone (Guido Mazzoni). — Il paese
dove si nasce. - Dal mio album (Caterina Pigorini-Beri).
— Lucia. - Da A. de Musset (Arturo Vecchini). —
L'imitazione di Giacomo Leopardi (Licurgo Pieretti).
— Bibliografia: A. Rubbiani. - Il tipo di Cristo (Ales-
sandro Luzio). — Cenni bibliografici. — Notizie.
PICCOLA POSTA.
Onorevoli signori Giovanni Frauich, Vergoraz,
Antonio Antunovich, Lussln piccolo, Teresa Ro-
han vedova Perlinl, Knin, e Spett. Società del
Casino, S. Pietro della Brazza: ci dovete, a tutto mariO
1881, l'importo di 4 semestri d'abbon.imento al periodico.
Tipografia di Giovanni Woditzka.
Gli è perciò che, senza voler muovere difficoltà
su tutte quelle costruzioni anche superflue, non neces-
sarie, che oggi si volessero eseguire ad imitazione del-
l'antico, laddove queste non servissero a compromet-
tere in alcuna parte l'esistenza di quei monumenti che
le benefiche superiori intenzioni tendono a conservare
all'ammirazione dei posteri; io però debbo formalmente
protestare, siccome protesto, e nel carattere di rappre-
sentante vescovile, ed in nome della scienza e della
patria, contro qualunque alterazione o lesione si volesse
praticare sullo stato attuale del nostro tempio, tanto
esternamente, quanto interiKimente, uniformandomi al
riputato parere della rispettabile Sezione tecnica di
Vienna, anche per quanto concerne i tre altari ed il
pulpito,'sommamente interessanti per la storia dell'arte
nazionale, che ci presenta in essi altrettanti bei saggi
di stile gotico-bizantino, che per nulla deturpano l'a-
spetto interno del tempio, che anzi servono ad esso di
interessante ornamento. Perciocché la Cappella di S.
Doimo, nel luogo in cui già nel XII secolo erasi eretto
un altare col sepolcro del santo, fu fabbricata con ornati
di sculture nell' anno 1427 dal Maestro Donino da Mi-
lano, a spese dell' arcivescovo Francesco Malipieri. La
Cappella di S. Anastasio venne fabbricata ed abbellita
con sculture nell' a, 1448 dal celebre architetto e scul-
tore Giorgio Mattei (figlio) di Sebenico, il quale, oltre
il materiale, ne riceveva a compenso 306 zecchini d' oro,
somma a quelF epoca di molto rilievo ; e fu quello stesso
nostro Mattei eh' ebbe a costruire la Cappella di S. Rai-
nerio (ch'era situata nell'attuale Ospitale militare), il
Duomo di Sehenico, la rinomata Loggia di Ancona e
parecchi altri edifizi di pregio. Il Mattei pertanto ap-
partiene ai più rinomati artisti della nazione dalmata;
e quindi il chiar. mio amico sig. Kukuljevich, presi-
dente della Società degli Slavi meridionali, residente in
Zagabria, e conservatore dei monumenti antichi per la
Croazia, con sua lettera 9 maggio a. c. su questo ar-
gomento scrivevami : „Non solo sarebbe peccato, ma
un barbarismo, se a spese del classicismo romano si
volesse distruggere l'opera di un artista nazionale, di
cui la Dalmazia può andar superba con ragione; e ciò
nel secolo XIX, in cui s'incomincia nuovamente ad
apprezzare in alto grado le opere del medio evo; e
questo solamente onde ridurre un edifizio dedicato al
culto cristiano nella primitiva sua forma pagana. Po-
trebbesi ridurne la parte esterna, antica e classica, alla
meglio possibile, togliendovi soltanto il superfluo, ma
devesi tenere in venerazione ed onore l'interno; spet-
tante al medio evo, per rapporto all'arte sommamente
pregevole che i nostri antenati vi hanno impiegato (e
non senza ragione), può dirsi quasi con tutte le forze
loro fisiche e morali. Quale impressione poi potrebbe
esercitare sulla mente cristiana l'interno del tempio di
Spalato, qualora non vi fossero appunto quegli oggetti
venerandi che vi ha collocato il devoto cristianesimo del
medio evo? Chiunque nel tempio di Spalato ricerchi il
classicismo, ne Io ritrova ben tosto, per così dire intatto,
e quand' anche fornito di poca immaginazione, vi tro-
verebbe innanzi a sè l'interno come se fosse al tempo
di Diocleziano, senza che perciò sia necessario privare
la chiesa stessa del suo pregevole ornamento spettante
al medio evo."
„Questa è la mia opinione", soggiunge il sig. Ku-
kuljevich, io sarei sbalordito se la commissione a
ciò relativa, consistente di patrioti dalmati, fosse di
altro parere." Ed io, appunto perchè di opinione affatto
uniforme a quella del presidente Kukuljevich, che pochi
mesi addietro fu a visitare cogli occhi propri queste
antichità, riporto il parere di quell' erudito conservatore
delle antichità per la Croazia, onde i rispettabili mem-
bri di questa commissione, non meno che le Autorità
superiori a cui sarà per essere subordinato questo mio
scritto, ne facciano il calcolo che troveranno del caso,
ad evitare possibilmente Io scandalo, che possa dirsi,
che i Inmi della Croazia giungano a rischiarare le in-
telligenze della Dalmazia....
Io propongo pertanto, che nei ristauri del tempio
si debba limitarsi puramente a quelle operazioni le quali
fossero riconosciute necessarie alla conservazione di
quanto sussiste di antico, senza alterare per nulla il
carattere originario evidente, tanto dell'opera romana,
quanto di quelle accessorie de' tempi di mezzo, tenute
in pregio per la storia dell'arte. Ciò sta precisamente
nello spirito delle Superiori intenzioni e delle saggie
vedute della Sezione tecnica di Vienna. E quindi io
domando, che la presente mia ragionata protesta sia
assoggettata al giudizio del locale c. r. sig. ingegnere
circolare, non meno che a quello del chiar. ingegnere
luogotenenziale, sig. Luchini, i quali dietro le già fatte
ispezioni locali, e nella provetta loro intelligenza, si tro-
vano al caso di poter giudicare sull'argomento meglio
forse di ogni altro; e finalmente sia rassegnato questo
mio parere alla decisione della Direzione delle fabbri-
che in Zara e della sprttabile Sezione tecnica di Vienna,
onde sull'argomento emerga un retto giudizio definitivo,
che sia per tranquillare i giusti timori della chiesa,
della scienza e della patria.
D.R F. LANZA.
MELAI^ONIE.
Nella mia cella ho un teschio e una mandòla,
soli compagni all' orfana mia vita,
l'affannoso pensier l'uno consola
d'una lontana calma indefinita;
melodiosa l'altra una parola
dona alla santa dal mio cor gradita,
e i bruni versi d'un'antica fola
quando il di muor a ricantar m'invita.
E allor che nella notte il raggio bianco
della luna sorride alla mia cella
e pensoso io reclino il capo stanco;
un dolce mormorar lieve risuona:
al teschio la mandòla dice : parla
e alla mandòla il teschio dice: suona.
p-r EOLI.
Lo colse allora la notizia che la fanciulla da lui
amata era passata a nozze. Grande fu il dolore che
ne provò, ma finalmente in lui vinse l'energia del ca-
rattere; ond'è che affettando la più stoica indifferenza^
si affrettò di accettare la mano, fino allora respinta, di
una giovinetta greca, di lui innamoratissima, l'attuale
sua moglie Margherita, donna quanto mai rispettabile
che sposò nel novembre del 1840. Da essa ebbe sette
creature che tutte gli morirono, eccetto la bella e dolce
Palissana, sposata al più valente pittore serbo, Stefano
Todorovié, e pittrice anch'essa.
Digiuno fino allora d'idee slave, le attinse nella
capitale dell' Oriente, e tutto si dedicò ai rispettivi studi
di geografia, istoria, etnografia, mitologia e letteratura.
Dapprima fervente slavo nel senso unitario, venne poi
modificando le sue opinioni nel senso federativo, e finì
col farsi deciso campione del jugoslavismo colla nazio-
nalità serba per base.
Fin dall'età di sedici anni aveva cominciato a
scrivere poesie italiane. Compose canzoni amorose e
satiriche, quattro drammi : Il terremoto di Ragusa, Fin-
gallo, Dohroslavo, Il Moscovita e due canti d'un poema
epico : La jpresa di Cartagine. Iniziato solamente al
teatro italiano e francese, scoperse allora nella biblio-
teca del collegio la traduzione dei drammi di Shake-
speare, e quando li ebbe letti gettò alle fiamme i suoi
unitamente ai poemi epici, non risparmiando che le
canzoni amorose.
Questo tratto, rarissimo nella storia letteraria, svela
d'un colpo tutto l'uomo: punto vanagloria, amore per
il perfetto, forza di volontà e risolutezza; tutto ciò al-
l'età di 22 anni! — Fece voto di non scrivere drammi
per sette anni interi, ma di prepararvisi studiando pro-
fondamente il grande tragico inglese e meditando sulle
buone critiche che gli verrebbero tra le mani. A questa
risoluzione, all' esperienza personale eh' ebbe già dalla
prima gioventù dei dolori umani, al suo spirito di os-
servazione e d'analisi non meno che alla natura sensi-
bile e calda si deve attribuire l'intima conoscenza del
cuore umano che apparisce ne' suoi drammi, e la mae-
stria di tratteggiarne gli affetti e le passioni.
Spirito irrequieto, anelando nuovi climi, maggiore
operosità e potente distrazione, egli abbandonò la pro-
fessura e colla dote della moglie comperò una proprietà
nelle vicinanze di Brussa. Ivi attese alla coltura dei
bachi da seta ed allo studio, visitò buona parte del-
l'Asia Minore, apprese un po' di turco, e fattosi venire
dalla patria l'unica sorella Francesca, la concedeva in
isposa a Faustino Padrelli, uno dei più valenti avvocati
di Costantinopoli.
Senonchè il tedio Io coglieva ben presto anche a
Brussa, al che contribuiva non solo il clima malsano e
la tristezza perenne dello spirito, ma anche il senti-
mento di nazionalità slava destatosi in lui colla forza
d' una vera passione. Venduta la proprietà con iscapito,
tornò a Costantinopoli, e dopo pochi mesi si metteva
in viaggio per Belgrado, dove faceva venire da Brussa
anche il suo minor fratello Giorgio, per mandarlo dopo
due anni a fare gli studi politecnici a Vienna. Più tardi
chiamava pure i vecchi genitori, che circondati da cure
amorose vi passarono felice la vecchiaia.
Avendo già tradotto dall'italiano in serbo le sue
canzoni, a Belgrado ne scriveva delle nuove che spi-
ravano il più puro patriottismo, e fattosi subito cono-
scere mercè queste ed altre produzioni letterarie, ve-
niva ricercato dalle primarie case della capitale serba.
Un anno dopo (1845) il principe Alessandro Karagjor-
gevic gli affidava l'educazione delle sue due figlie.
Volendo il sig. Ban che di quell' insegnamento
profittasse l'intera nazione, incominciò nel 1847 a pub-
blicare in fascicoli le materie insegnate, aggiungendovi,
per renderne più attraente ed istruttiva la lettura, scelte
novelle, vite di donne illustri, brevi precetti di morale
cristiana, di sociale civiltà, di economia domestica e
dell'educazione dei figli, cose tutte nuove e necessa-
rissime per la Serbia. Questo lavoro egli lo intitolava :
n Educatore femminile, dedicandolo al bel sesso degli
slavi meridionali. In quell'anno ne uscirono tre fasci-
coli, e quando aveva già preparato il quarto per la
stampa gli avvenimenti scoppiati in tutta l'Europa sul
principio del 1848 troncarono la continuazione di questa
utile opera per imprimere alla carriera del nostro dal-
mata una nuova direzione.
Già iniziato nella politica alla Corte del principe,
egli si era attirato l'attenzione del celebre ministro di
allora, Elia Garasanin, e del senatore Kničanin, dippoi
generale.
I Magiari insorgendo nel 1848 facevano man bassa
su tutte le altre nazionalità dell'Ungheria ed impicca-
vano alcuni patriotti serbi, rei soltanto d'aver difeso
la propi'ia. Il grido di dolore e di sdegno mandato dal
Banato echeggiò nelle foreste della Serbia, il di cui
governo pensò alla difesa della nazionalità anche oltre
i confini del principato. Una lega fra Serbi e Croati
fu progettata, e il nostro Ban incaricato di negoziarla.
A tal uopo egli si recò presso il patriarca di Karlovac,
Eajačić, indi a Neusatz, ove dettò un proclama con cui
i serbi d'Ungheria venivano eccitati a reclamare i loro
antichi privilegi autonomi in quel regno, a istituire
comitati amministrativi, con uno centrale, e a sostenere
colle armi le loro pretese non meno che il trono im-
periale minacciato. Da lì percorrendo in tutta la sua
lunghezza il confine militare, ove dovunque sostava
arringava il popolo, giunse ad Agram (Zagabria) per
intendersi col bano Jelačić. Infine, traversato il Velebit,
stampato a Zara un altro proclama che raccomandava
ai Dalmati di fare causa comune coi Croati-Serbi, stam-
pato pure a Ragusa un inno nazionale serbo-raguseo,
andava a finire a Cetinje la sua missione, la quale ebbe
un pieno successo. Poco dopo il patriarca ortodosso di
Karlovac si recava in Agram per installarvi il bano
cattolico di Croazia, cosa non mai prima veduta; e
quando il patriarca ebbe spiegato il vessillo dell'insur-
rezione, il bano invadeva coli' armata confinaria 1' Un-
gheria, mentre il Kničanin con più migliaja di serbi
entrava nel Banato. Il vladika del Montenero doveva
tenersi in riserva per altri fini.
Mentre ferveva la guerra jugoslava-magiara ed
era in sussulto l'Europa intera, il gabinetto di Belgrado
pensò essere favorevole il momento per una solleva-
zione generale degli slavi della Turchia. Il sig. Ban,
incaricato anche di questa missione, recossi di nuovo
nel 1849 in Dalmazia colla famiglia, e lasciatala a
Ragusa, si avviò a Cetinje. Qui furono concertate, fra