Numero 7 Conto corrente con ia posta.
ŠHSS
O. JV. I. O. J[V. I.
Concorso Ginnastico Adriatico
i—3 Oitigmo 101^3
Intersezionale maschile e femminile
sotto l'alto patronate di S A. R. il Principe Ereditario UMBERTO Dl SAVOIA
BOLLETTINO UFFICIALE
T ®
Orario Generale de
Ore 7-10
Ore 10-11
Ore 11-12
Gara artistica junior
„ atletica dinamica junior
Gara artistica senior
„ atletica dinamica senior
Gara atletica statica junior
« „ „ senior
(Gare di campionato)
Lancio disco
„ giavellotto
I Gorsa piana m. 100
Ore U.—
Ore 15.
Ore 16.—
Ore 17.—
Ore 17.30
Ore 18 —
e 6are
Staffetta m. 1600
Sollevamento pesi
Salto coH'asta
Salto in alto da fermo.
Gorsa piana m. 1500
Getto della palla di ferro
Gorsa piana m. 400
Salto in alto con rincorsa
Gorsa piana m. 800
Staffetta 100 X 4
^aLlbato mLO.tt:ij:xaL
(Gara Nazionale di Squadra)
SOGIETA
Marte
ed
elementari
Salto Getti Arrampicata Corsa
Ore Ore Ore Ore Ore
1. Soc. Ginn. A. Angiulli - Bari ....... 6.30 6.40 6.50 7.- 7.10
2. Soc. Ginnn. Sportiva Giudecca - Venezia . . . 6.40 6.50 7. . 7.10 7.20
6.50 7.— 7.10 7.20 7.30
7. 7.\0 7.20 7.30 7.40
7.10 7.20 7.30 7.40 7.50
6. Unione Ginn. Goriziana - Gorizia . . . . . . 7.20 7.30 7.43 7.50 8.-
sono contraporre il Preradovié, il Teinski, il
Vraz e molti altri e più di tutto la loro e-
popea nazionale che solo può sopportare il
confronto del poema omerico e nibelungo.
Questo mondo epico in cui si specchia la
lisonomia morale della nazione slava, che
porta nel suo seno la storia della sua vita
interiore, delle sue glorie, delle sue sven-
ture, che ci dà la rappresentazione estetica
della secolare idea dell'indipendenza nazio-
nale, ancora non ebbe la fortuna di tirare a
sè l'attenzione degli uomini di lettere.
Oggi il sig. Giacomo Chiudina ci dà una
versione poetica italiana di eccellenti poesie
felice collo spettacolo delle miserie o delle false gran-
dezze di età già remote? Perchè anche il medico,
onde tener sani i sani, e guarire i malati, ha bisogno
di studiare il nostro organismo nella sua corruzione,
nel suo disfacimento; oppure nei suoi primi momenti
di formazione etc perchè insomma, solo dopo
aver studiato le letterature dell'antico oriente, si è
in caso di apprezzare a dovere la poesia dei Greci e
dei Latini; e solo dopo aver studiato la poesia ro-
manza, potrà con scienza e coscienza giudicar della
poesia classica del moderno rinascimentoj,. Ecco per-
chè lo studio dei trovatori romanzi non sciupa gl'in-
telletti. K necessario ancora, perchè i primi monu-
menti delle lingue neolatine a cui spetta l'italiana
appartengono alla Spagna ed alla Provenza, per-
chè nella lingua d'oc poetarono moltissimi poeti ita-
liani de! secolo XII.: Folchetto di Genova, Calvi,
Princisvalle, Boria, e del secolo XIIL : Brunetto La-
tino, peri hè .'^penio el gai saber, "rimase un'eco della
Provenza che ripetè le sole canzoni amorose, e que-
st'eco fu raccolta da un italiano, che poi fu il gran
poeta dell'amore,, (Settembrini Stor. ital.. Voi. I. X
pag. 59), perchè la prima poesia italiana fu simile
alla proveuzale, (ib op cit) perchè una delle epoche
di coltura della Sicilia era stata la normanna, ed in
essa eran vivi i canti dei trovatori, perchè leggasi
in proposito ciò che scrive il Desanctis nella sua Sto-
ria della Lett. ital. (Voi. I. pag. 11 e 12}. Ne ciò
che scrivono il Canello, il Settembrini, il Desanctis, per
non nominare che i giganti della critica, ci autorizza
a classificare i canti provenzali tutti come secrezioni
fa tiche o sdolcinate svenevoleztse. Le serventesi, e
quella del Figueras che si può legger nel Settembrini
modificano quest'ultimo giudizio.
Ecco ciò che ci pareva necessario dover chiarire
non condividendo punto il giudizio che classifica il
Gessner quale un poetuncolo del nord, chiudiamo.
(iV. d. Direzione').
slave; versione questa a cui egli consacrò
lunghi e lunghi anni di studi coscienziosi ed
onesti. Di questa sua raccolta di componi-
menti poetici, è già uscito il primo volume
a Firenze coi tipi di M. Cellini, e contiene
molti canti popolari, ed alcune scelte poesie
del Njeguš, der Preradovié e del Sundečić.
Le traduzioni del sig. Chiudina ci sembrano
perfettamente riuscite; poiché innanzi tutto
più che una versione materiale e fedele del-
le pai'ole, noi ci troviamo la geniale ripro-
duzione dei concetti, dei pensieri, dell' into-
natura, del colorito originale; e poi perchè
il metro, la parte integrale, generalmente è
rispettato, meno in alcuni lati nei quali il
genio pecuhare della poesia italiana richie-
deva delle leggiere modificazioni. Così il
verso decasillabo originale della poesia po-
polare è sostituito dall' endecasillabo, che
meglio si attaglia ad argomenti gravi.
Le migliori fra le sue traduzioni ci sem-
brano il "San Giorgio,, e quelle del "Gor-
chi Vjenac,, nelle quali il sig. Chiudina seppe
con profondo sentimento d'arte rendere il
carattere, l'armonia, il pensiero, e i linea-
menti dell'originale.
Non minori sono i pregi della traduzione
delle liriche del Preradovié, che però sono
molto lontane pel loro contenuto, pel loro
valore intrinseco, ed anche per la loro forma,
dal poter rivaleggiare colla perfezione arti-
stica dell' epica niegusciana. Il "Dalmata,,
una fra le migliori poesie del Preradovié, è
assai bene tradotta dal sig. Chiudina, che
molto saggiamente cambiò la strofa di dieci
ottonari a rime baciate dell'originale col-
r ottava di dodecasillabi puramente a rime
baciate, togliendo così quel soverchio del-
l' elemento musicale che ne sarebbe venuto
ove ci avesse dati ottonari rimati, che in
italiano per la li)ro troppa armonia riescono
insopportabili.
E qui crediamo prezzo dell'opera di ri-
portare una stanza dell' originale accanto
alla corrispondente della traduzione per for-
marci dal confronto immediato dell'una col-
LA PALESTRA
PROPRIETARIO, EDITORE E DIRETTORE RESPONSABILE
GAETANO BILAGHER
Anno 1. — N.« 10. PUBBLICAZIONE BIMENSILE Zara, 15. Agosto 1878.
Aleardo Aleardi
isn Italia le fila delia vecchia generazione
vanno di giorno in giorno assotigliandosi ; i
campioni di quella epopea nazionale che si
svolse assidua dal 20 al 60 nei campi del
pensiero e delle battaglie, o discesero nel
sepolcro o col grido degli antichi gladiatori
alla novella età si tirano indietro. Altri nomi
subentrano e con essi altre idee e così eterno
si rinnova il circolo della storia, il circolo
delle nazioni. Manzoni, Capponi e Tomma-
seo; Mazzini^ Settembrini|e Guerrazzi ripo-
sano sotterra; pochi illustri rimangono an-
cora a frenare la foga irrompente dei venienti
che invasati da libertà ed indipendenza per-
fino neir arte li riguardano come storia pas-
sata e come tale vi passano sopra non badando
a chi schiacciano o rinnegano.
E un ultima voce di questo passato da
poco si spense: Aleardo Aleardi è morto
anch' egli, pianto dalla sua Verona, ricordato
dair Italia. Lo sapeva ei pure che i canti
suoi avrebbero la vita di un fiore nato con
entro il 6aco, lavoro caduco senza speran-
za di durata^ e dubitava gli tocchereb-
be a un di presso la sorte di quel Fra
Felice che estasiato nel canto dell' uccellino
color celeste cent' anni segui ad udirlo e di
ritorno al convento dopo un siffatto svago
nessuno il riconobbe, ma nel suo orgoglio
W essere italiano, assuntosi il canto come si
assume un debito (Due pagine autobiografiche
— Pref. air ediz. Barbèra 1875) sperava una
critica meno acerba, uomini di cuore in giu-
dicarlo. E la nuova generazione, cacciatasi
neir arena col viso dell' arme, rispose a que-
sta sua speranza colle Fame Usurpate di
Vittorio Imbriani, col Lucifero di Mario
Rapisardi.
Giù dalla fronte quella foglia d' alloro, tu
r hai rubata: non sei poeta! è il giudizio di
chi il Trezza in un momento di giusto sde-
gno designava: omuncoli petulanti. (Studi
Critici. A. Aleardi p. 195).
Eppure r Aleardi in oggi trascinato nella
polvere, un giorno fu posto suU' altare : il
vecchio senatore pagò amaramente i gaudi
trionfali del giovine studente di Padova; i
suoi critici si ricordarono forse come il col-
legiale di S, Anastasia, inetto ad ogni stu-
dio, meschino d'intelletto, era stato sopran-
nominato la talpa e si diedero a scovare
col lanternino alla mano se sotto l'armonia
affascinante de' suoi canti non simulasse per
caso i caratteri del suo omonimo. Dissero
di averli trovati ; e allora il sentimento della
natura „in nessun altro come in lui si largo
' ^ ^ ti
LA PALESTRA
PROPEIETARIO, EDITORE E DIRETTORE RESPONSABILE
GAETANO BILAGHER
Anno 1. — N." 11. PUBELICASIONE BIMENSILE Zara, 1.« Settembre 1878.
Aleardo Aleardi.
(Cont. e fine v. n.ro 10.)
IL' arte per l'arte aveva fatto ornai il
suo tempo; la parola come pm-a parola non
era niente se di sotto al suono non sapeva
farti balzare l'immagine, l'idea, la forma
come direbbero oggigiorno. Ma di tutto que-
sto movimento che aveva donato all' Italia
il Manzoni, il Berchet, il Giusti e tanti al
tri, allora non risuonava che una debole eco.
Dopo il 30 Manzoni non iscrive più cosa
grande ; il Grossi attende ai protocolli ; l'Aze-
glio più che scrivere, opera da diplomatico j
Leopardi era morto ; di Giovila Scalvini chi
ne avrebbe saputo alcunché se posteriormente
il Tommaseo non ne pubblicava gli scritti ?
Gioberti era esule nel Belgio, Gabrielle Ros-
setti in Inghilterra. Il paese era umiliato, il
pensiero nazionale pauroso si rincantucciava
ne' segreti del cuore o ne' convegni di casa
Vieusseux a Firenze o in quelli di Giusep-
pina Guacci Nobile a Napoli. E questa eco
r Aleardi raccolse, ma non riuscì a ricostruirla
in tutta la sua primitiva armonica interezza ;
non ne ebbe che un immagine imperfetta,
Ei stesso dice di averne capito ben poco; e
in quel movimento non vide altro che un
contrasto tra Cristo ed Apollo o Pallade
Minerva, e tra il sole d'Italia e le nebbie
della Scandinavia ed i sabati delle maliarde.
Egli stesso suona a morto alle reminiscenze
d'Olimpo: le Driadi son sepolte. Diana non
guida più la biga di madreperla, la convalle
non risuona più dei baci furtivi, del latrato
dei veltri immortali o delle risa plebee dei
Fauni; Galatea precipitò nel fondo dell' o-
ceano e con lei dormono l'eterno sonno le
Driadi obliate. (Canto: Prime Storie). Ed
aveva ragione perchè in noi ben altro Iddio
favella. Ma qual doveva essere questo Dio?
L' Aleardi lo dice : Dio, la natura la patria,
il campanile, e la casa materna, le loro glo-
rie, i loro dolori e le loro speranze. Sì adun-
que la virtù, la realtà, ma trasformate in
poesia, trasfigurate ed idealizzate. E per rag-
giungere tutto ciò ei credette gli bastasse il
sentimento senza punto badarci se di vsotto
ai sentimento si ricostruiva ciò olio è, il fan-
tasma, r immagine, la vita. Altrimentì il suono
musicale se pure ci rende melanconici non
ci porge alcuna idea. E questa vita, questo
reale mancò all' Aleardi o sì. gettò in un mondo
fantastico, dietro al quale si c<
tllmoute. L'immaginasion
vani ed egli rimaJK
malgrado 1' espcrion;;,^
;<;riasracRto
ru uca
arno inu-
ia gio-
raaciullo
Š 0 delle
'"'I/i
E commedie latine di Plauto e Terenzio
rappresentava Pomponio Leto nelle corti de'
prelati e dei principi. Allorché Paolo III
papa, neir occasione degli sponsali di Cosimo
recossi a Ferrara, i figli del duca Ercole II
recitarono in latino l'Adelfi di Terenzio (Mu-
ratori. Anti est: tom. 2. p. 368).
Ciò per altro non poteva soddisfare che
ai dotti; chi voleva l'applauso del popolo
usava il volgare, e sorse una farraggine di
commedie modellate sui due commediografi
latini in versi e in prosa con maggiore o
minor libertà, a seconda dell'ingegno. Fra
questi drammatici abbiamo degli eccellenti
come l'Ariosto, il Macchiavelli, il Bibiena,
il Grazzini, l'Aretino, il Cecchi, il Gelli ed
il BrunO; de' mediocri come il Firenzuola,
il Varchi, il Caro, il Salviati, il Tressino ed
Ercole Bentivoglio, nonché altri moltissimi
inferiori di assai. Addio semplicità della Rap-
presentazione, la quale seppur dura tuttavia
non è che sbiadita reminiscenza o roba da
zazzeroni, come dice il Cecchi. Cessa quindi
quel periodo di sviluppo spontaneo ed inco-
mincia un altro d'imitazione più o meno ser-
vile die ci condurrà fino al Goldoni, il primo
ad offrirci la commedia nazionale.
Se nuli'altro ci attraesse in queste com-
medie che r ordito, la tela, il canevaccio co-
me vuoisi chiamarlo, l'importanza del teatro
italiano nel XV e XVI secolo sarebbe ben
poca cosa. Incominciando coli'Ariosto e ter-
minando col Cecchi, il più ferace dì tutti,
quello non è che latino. Essi stessi non si
fanno scrupolo il dircelo ne' prologhi. Lo
vediamo in quelli della Cassarla e dei Sup-
positi dell' Ariosto. Nel prologo dei Supposìtì^
che è in prosa, „vi contessa l'autore avei-e
in questo e Plauto e Terenzio seguitato per-
chè non solo nelli costumi, ma negli argo-
menti ancora delle favole vuole essere degli
antichi e celebrati poeti a tutta sua possanza
imitatore, e nelle sue volgari i modi e pro-
cessi de' latini scrittori schifar non vuole.
Come io vi dico dallo Eunuco di Terenzio
e dalli Captivi di Plauto ha parte dello ar-
gomento delli suoi Suppositi trasunto." E il
Cecchi nel prologo degli Sciamiti dice di
rappresentare
lina Commedia nuova alla qnale Plauto
Ha dato non so che ....
alludendo alla Mostellaria dove nella scena
La dell'atto II.o havvi la stessa burla della
finta compera di una casa. E nel Martello
ricorda 1' Asinaria dello stesso, seppure
Rimbustato a suo dosso e su compostavi
Aggiungendo e levando come consiglio
Gli è parso.
In quello della Maiana si riporta alla favola
composta dal greco Meiiandro V uom che se
stesso tribola e variata alla sua volta da
Terenzio. E lo stesso valga per la Moglie,
pei Dissimili come pure, per le Pellegrine,
e quantunque apertamente noi dica, pei Ri-
vali, pel Diamante, pel Donzello ed altre.
Non v' ha dubbio, il canevaccio è latino, ma
sotto la vesta terenziana o plautina si tro-
vano fatti, accaduti agli autori stessi o di
cui essi 0 gli spettatori furon parte. Certo,
se r argomento dei Suppositi non è che una
imitazione dell'^JM/IUCO di Terenzio e dei
Captivi di Plauto, il fatto accadde ai tempi
dell'Ariosto, com'ei ce lo afferma nel pro-
logo. Ed il Cecchi dice apertamente nel Dia-
mante aver egli fatto una commedia:
Nuova, a requisizion di certi nobili
Amici suoi, sopra un caso occorso qui
In Firenze non è gran tempo.
E nel prologo delle Pellegrine ci avverte
come sia una commedia:
Doppia di
Argumento e di casi assai piacevoli
Avvenuti anco in parte e l'Autore
Ve ne fa fede, che si trovò in causa
Altrettanto negli Straccioni del Caro, quando
rivolto agli spettatori dichiarava che essi
devono aver conosciuto gli straccioni, quei
fratelli Sciotti e con quei palandroni lun-
ghi, lavorati di toppe sopra toppe e ri-
camati di refe riccio sopra riccio, zazzerati
unti e bisunti, che andavano per Roma sem-
pre insieme, ch'erano d'una medesima stampa.
e di sacrifizio 5 è nel fuoco die si purificano
i metalli, come è in quello delle traversie e
delle abnegazioni che si purificano gli animi.
Si faccia un po' il confronto del soffio di
questa poesia che ci giunge pura dalle stragi
del 1848 con quella che ci tramanda l'aria
vizza del hucloir o la putredine e il lezzo
del realismo sensuale e galeotto !
Udiamo alcuni brani:
E un'altra eli'era,
Greca, eJ avea le chiome bionde, e gli occhi
Grandi e cilestri, e li volgea per uso.
Come chi stanco delle cose umane
Cerca scordarsi della terra, al Cielo,
Sul suo labbro l'italica favella
Wolto dolce suonava, e abbencliè lieta
La sua parola m'invogliava al pianto,
fo la vidi una volta, e s'è svanita
Come un pensiero.
Come è soave, semplice e toccante questo
genere di endecasillabi!
Proseguiamo con un brano d'una sua bal-
lata in cui un' onda di affetto ci trasporta
mal nostro grado :
Bella dal sen di neve.
Bella dal crin dorato,
Ridi al poeta — breve
Ora concede il fato
Alle rosate imagini
Ai palpiti del cor.
Il gelo del dolore
Presto rapisce all'anima
La forza dell'amore,
Qual ne' suoi gorghi rapidi
L'onda travolge il fior.
Come spande d'intorno un olezzo di sem-
plicità e di pura poesia!
Uditelo neir Ultimo Canto :
Come l'astro morente arde e balena
Ferve l'anima mia ringiovanita
Nel bacio della morte, e in ogni vena
Freme la vita.
E già il mio spirto questa stane'argilla
Lascia, qual fiamma tizzo incenerito,
Già si confonde la vital scintilla
All'infinito.
(La fine al prossimo iV.o}.
LA COMMEDIA ITALIANA
nel XV e XVI secolo.
(Contin. v. 13.)
^otto la scorza latina c'è adunque una
parte della vita italiana, rappresentata non
dal lato politico, ma dallato morale; già di
polìtica non vi poteva esser pai'ola perchè
r Italia politica, l'Italia nazione non esisteva
che nella mente del Jlacchiavelli. La morte
di Lorenzo de Medici trasse seco nel sepol-
cro quell'apparente unità che giovava a ren-
derla rispettata, se non temuta. Allora l'Ita-
lia, centro dell'equilibrio europeo, diviene
l'agone di due potenze rivali: la catolicis-
sima Spagna e la cristianissima Francia vi
riversano a torme fanti e cavalli, la dilace-
rano, la denudano. Milano, Napoli, Palermo
sono rette da viceré spagnuoli ,• Firenze, dal
Baglioni tradita, cade sui campi di Gavi-
nana; agonizzano Genova e Lucca, fog-
giate a repubbliche ; la Venezia sola ricorda
lo spirito e le glorie della lega lombarda e
del sangue ottomano va rosso il mare; To-
rino e Chambéry tirano innanzi pencolando
fra Spagna e Francia ed impotenti conati di
centralizzazione ; Roma, realizzata alla lettera
la donazione di Carlomagno, si limita allo
spirituale.
Alla politica nessuno ci pensava; tutt'a
pili gli animi, stretti dalle presenti mise-
rie, ricorrevano al passato per bearsi di una
vita fiorente che non era italiana^ ma ro-
mana; e la commedia essa pure di questa
scioperatezza politica si risente; i letterati
hanno bisogno della protezione dei principi;
i quali se ne servono a tramandar ai posteri
la loro memoria. E se di vita politica non
vi può esser parola, ma solamente privata,
individuale, la Commedia che questa ti svolge
non la potrai dire nazionale come quella
degli Spagnuoli, come quella degl'Inglesi.
Il teatro spagnuolo ed il teatro inglese
specialmente, perchè nell' Inghilterra vita ci-
M
i kmagina, benigno lettore, ci'averti dinanzi
un uomo, che ha già varcato il colmo di
sua vita e che, volte le spalle alla culla,
discende lentamente il pendio degli anni^ e
travede già in fondo all'orizzonte un gar-
buglio di teschi, di croci e di cipressi. Un
po' di nevischio qua e colà gli apparisce sui
capelli e delle rughe gli fanno già i crocic-
chi in sulla fronte; pure a quest'autunno
dell'esterno s'oppone ancora, se non la pri-
mavera, la state almeno dell' animo, il quale
— cosa meravigliosa! — ha saputo mante-
nere il calore del sentimento attraverso le
brume di questa nostra società calcolatrice,
in cui il soffio dello spirito è affogato dalla
realtà della materia.
E qui, umanissimo lettore^ non arricciare
il naso, nè torcere il viso per tema di sen-
tirti cantare uno squarcio di morale ; quella
tirata di sopra riguarda me solo e deve ca-
pacitarti com' io, ringhioso verso i miei con-
temporanei, ho voluto dimenticare le noie
del presente rimuginando tra la polvere del
passato. E, a dirti il vero, in sulle prime
ho scosso la polvere dal dosso altrui; ma,
avendo scoperto che a forti antenati or son
succeduti nipoti sbilenchi, quasi rimesiticci
malandati di pianta rigogliosa, ho smesso
quello studio, per timore di ridere in taccia
a que' poveri mingherlini. E perciò mi sono
ritirato nella mia chiocciola; ho passeggiato
in lungo e in largo il mal connesso musaico
delle mie quattro stanzacce, ho ammirato il
sole e la luna attraverso i colonnini delle
mie finestre a sesto acuto, ed ho udito il
vento fischiare per gli abbaini del solaio.
Ed ho pensato ... a che? .. .
Ne' momenti più melanconici posava lo
sguardo sui quadri de' miei antenati ; e spesso,
dopo un lungo errare tra zimarre e parru-
che, tra lance e scudi, conveniva meco stesso
che que' vecchi imbacuccati valeano cento
doppi più di noi, azzimati e profumati, coi
nostri abiti a coda di rondine! Dunque, i
nipoti sdiliquiti non stavano solo di casa al-
trove, ma anche sotto la travatura veneranda
di casa mić\?! A questa conclusione io mi
facea piccin piccino; chinava gli sguardi,
perchè mi parea che quelle incipriate par-
ruche dondolassero il capo ironicamente, e
di sotto a que' ispidi mustacchi scappasse,
trattenuto a stento, uno stridulo riso. C era
sopra tutto un vecchietto, senza un pelo sul
volto, con poche ciocche bianchicce alle tem
pie, con abito nero e calzoni neri fino al
ginocchio, che mi dava proprio sui nervi.
Portava all' occhiello il segno della Legion
d'Onore, una grossa canna col pomo d'avo-
rio fra le mani, ed un eterno sorriso sulle
labbra ; parea 1' avesse contro di me, e
tante volte chinai macchinalmente il capo,
quasi per evitare il mazzapicchio della sua
formidabile canna. Era mio nonno!...
E chi non ha avuto un nonno ? mi do-
manderanno i cento lettori della Palestra.
Adagino, cari signori, il nonno ce l'abbiamo
avuto tutti; ma un uomo come quello, che
accennava sempre a picchiai'e e non picchiava
mai, e per sopramercato cavaliere, soldato di
Napoleone, guardia nazionale e membro della
Congregazione municipale, senza contare le
Accademie di cui era socio, e le Società di
cui era membro, era di que'pezzi grossi, in-
torno a cui giovava soffermarsi: tanto più
in quanto che egli ci farà le spese di que-
ste „Memorie" che vedono ora la luce per
opei'a di me, suo indegno nipote.
Mio nonno, veneziano d'origine, discen-
deva da famiglia, i cui membri aveano co-
perto delle cospicue cariche a Zara ed in
provincia. I suoi maggiori erano stati ricchi ;
ma nel secolo passato lo splendore della sua
famiglia avea incominciato ad offuscarsi. Al-
lora r aristocrazia veneta, dopo aver cam-
biato la Morea per il territorio d'Imoschi
(che essi spiritosamente diceano aver mutato
un regno 'per una mosca), si era data ai pia-
ceri, e profondea a giumelle i zecchini, per
tenere in piede sette teatri e pagare la Ro-
manina e il Metastasio, il Goldoni e il lepi-
sono la vera ricchezza. Ella è una parete
semicircolare di erte rupi che va restrin-
gendosi sino a formare un'angusta caverna
dove nella roccia sono scavati ben cinquanta
serbatoi così disposti che il colmo riversa la
sovrabbondanza delle sue aque nel sottostante.
E la quantità d'aqua che potrebbero conte-
nere non è mica una bazzecola: si contano
circa 2'500.000 emeri, ma la deficienza delle
pioggie fa sì che il contenuto non basti e si
debba ricorrere agli apparati di distillazione,
così che per un emero di aqua di cisterna si
pagano 15 soldi e ben 45 per uno di aqua
distillata ; non è a dirsi però se i bagni non
siano un lusso.
Nulla di più pittoresco della popolazione
di Aden: quella truppa di gente armata di
sottili bastoni e dal colorito giallo-scuro della
pelle sono Somali ; gli uomini vanno le spalle
e i lombi coperti da un semplice pezzo di
cotonina bianca, la testa nuda dove i capelli
biondo-rossi avviticchiati in una infinità di
piccole treccie, a preservarli dagli insetti si
vedono sparsi di polvere calcare; le donne,
seppure maomettane, vanno a viso scoperto,
solo il capo avvolto in un pannolino, al collo
gioielli d'ambra, alle braccia anella e nastri
d'argento che non di rado ricingono i ma-
leoli ed anche le narici. Sono Negri, ma
guardati dal chiamarli con questo nome; essi
Io odiano come quello che è portato dai Galla,
loro più temuti nemici. Essi vengono qui
dalle coste del continente che vi sta dirim-
petto per trafficare in bestiame, penne di
struzzo, denti di elefante e lavori in paglia.
Quegli individui postati qua e là sulla
strada sono dei policemen, d'ordinario In-
diani, ecco poi Chinesi e Malesi e Arabi ed
Inglesi che in numero di circa 2000 formano
la guarnigione della piazza o sono commer-
cianti. Del resto la ricchezza è concentrata
nelle mani dei Parsi che esercitano gli affari
dei nostri banchieri.
Ma donde provengono queste voci guttu-
rali? Sono gli Ebrei, che esercitano il com-
mercio delle penne di struzzo : li puoi rico-
noscere al tipo nazionale che sta loro impresso
sulla faccia, sebbene non vestano il solito
caftan. Bada però a non comperar nulla se
prima non l'hai considerata da ogni parte,
chè altrimenti t'hanno di sicuro corbellato:
invece di una bella penna bianca di struzzo
— che anche qui non l'hai a meno di 6 a
7 fiorini — ne avrai una falsa, colorata al
latte di calce.
Entriamo in un caffè : v' è rappresentazione
d'opera: Una specie di cantore o declama-
tore, che non sai bene che sia, accompa-
gnato dai colpi di una gran cassa o dagli
stridori dei piatti turchi e da alcuni violini
molto primitivi, ti rappresentano delle tra-
dizioni eroiche. Dagli applausi che tratto
tratto scoppiano fragorosi da una folla di
uditori, vedi ch'ei sono soddisfatti; in noi
però, confessiamolo, l'impressione è ben di-
versa; in quel locale semioscuro, tra quelle
faccie negre negre ed il gridìo che non ci
lascia udir le stesse nostre parole, ne abbiamo
ben presto tanto da fuggir all' aperto per
ricoverarci in seno aliì Helgoland che già,
accesi i fuochi, manda dal camino colonne
di fumo nerastro mescolate a faville. Il tonfo
dell'elica si fa udir ben presto; si passa il
capo Guardafui e l'isola Socotora accolti in
nostro passaggio, possiamo dirlo, da una fitta
pioggia di pesci-volanti che ci cadono in
coperta e si cacciano perfino dentro le nostre
cabine.
Ma quella lì è l'isola di Pemba : lo dice
chiaro la lussureggiante vegetazione, e questa
l'isoletta di Tumbat ; Zanzibar non può esser
distante, Zanzibar una volta degli Arabi,
poscia colonia portoghese, da ultimo dipen-
denza dell' Imano di Maskat, ora stato dipen-
dente da un proprio Sultano della dinastia
di Maskat.
(Continua).
fo.
—-~>y\AA/VVVVXAAAAzvvw--
ANNO III. ZARA, 5 MAGGIO 1880. N.° 2-3.
PALESTRA
PERIODICO DI LETTERE, SCIENZE ED ARTI.
CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE.
Per Zara fior. 4 : —
„ la Monarchia . . „ 4:50
„ l'estero . . . lire 12; —
Un numero separato s. 25. — Pagamenti
anticipati. — Associazioni non disdette un
mese prima s'intendono rinnovate.
Esce due volte al mese.
jS. PERRAF^l- CuFILLI
bibliotecario della comunale
"Paravia,,
DIRETTORE.
AVVERTENZE.
Domande di associazione, importi di denaro
da spedirsi all' Amministrazione | lettere,
manoscritti alla Direzione. — Manoscritti
anche non pubblicati non si restituiscono.
— Delle opere donate alla Direzione verrà
fatto cenno speciale.
SOMMARIO. — Storia del blocco di Zara ecc. (V. BRUNELLI). —
Stojano Janković - Poemetto serbo (G. NIKOLIĆ). — I Rivali -
Novella (ELDA GIANELII). — Dal „Libro dei sogni" - Poesia
(M. SABIĆ). — Del realismo in arte (L. BENEVENIA). — La
nutrizione (C. R.) — Ricordi - Due sonetti (L. BENEVENIA).
— Sport (-Ć.) — Cose nostre. — Notizie e spigolature. —
Indovinello. — Piccola posta. — Errata-Corrige.
STORIA DEL BLOCCO DI ZARA
sostenuto nell'anno 1813 dal venticinque ottobre all'otto
decembre. • • • *.:?
(Continuazione).
-nasprito il generale austriaco da questo ingiusto e
superbo procedere, accelerò i suoi movimenti contro
<| la piazza. Erano le otto di sera del quattro novem-
) bre, quando s'intese improvvisamente rombare il
cannone e per le strade un rullio di tamburi, che bat-
tevano l'allarme. Il tempo era oscuro e pioviginoso —
la città tutta immersa nelle tenebre, giacché il muni-
cipio d'allora non provvedeva alla pubblica illumina-
zione. Pure al fioco lume di poche lanterne, che furono
esposte dalle case più ragguardevoli, soldati e cittadini
corrono tutti alle armi. Le truppe regolari e la guardia
nazionale montano ai bastioni, le compagnie di sicu-
rezza si dividono in pattuglie, a mantenere l'ordine in-
terno. Si temeva un attacco in piena regola, giacché la
fregata inglese il giorno innanzi era passata a sinistra
della nostra città, e secondo quello che si andava vo-
ciferando, aveva sbarcato della grossa artiglieria a borgo
Erizzo (Albanesi), con cui battere i nostri forti anche
da levante e da mezzogiorno, e rendere possibili gli
approcci dalla parte di terraferma.
La cosa però non era tanto seria,, quanto da prin-
cipio si credeva. Una mano di gente ardita erasi avan-
zata col favor delle tenebre sotto alle mura del Forte
dalla parte del porto, per cogliere a colpi di fucile
qualche sentinella e sorprendere, se fosse stato possi-
bile, il corpo avanzato del rivellino. Alle fucilate fu
risposto dalla fortezza cogli obici; e gli assalitori pre-
sero tosto la fuga verso il borgo testé nominato, dove
la piazza seguitò a dirigere i suoi colpi tutta la notte
e tutto il giorno seguente, per rovinare le case, che al
nemico avrebbero potuto servire di rifugio. Nel servi-
gio delle nostre batterie si distinsero in quell' occasione
i croati, i quali per mancanza d'artiglieri già da qualche
mese erano stati ammaestrati nel maneggio del can-
none. Per cui il generale francese, in prova del suo
gradimento, fece loro distribuire doppia razione di viveri.
All' albeggiare poi del giorno cinque fu osservato il
brigantino dirigersi verso maestro, e si sospettò che
fosse andato a sollecitare dei rinforzi.
Le scariche dei nostri forti contro borgo Erizzo
continuarono per tutta la notte del cinque, il giorno sei
ed il sette novembre. Pareva che ivi gì' inglesi eriges-
sero dei fortini e volessero piantare i loro cannoni. Ma
ad onta dei colpi della città i lavori sempre progredi-
vano, specialmente di notte. Per cui il generale fran-
cese voleva con una notturna sortita ottenere qualche
vantaggio sopra i nemici. Ma Gibert, capo del batta-
glione italiano, s'oppose a tale disegno, facendo osser-
vare che i suoi soldati erano per una buona metà mal-
contenti, e che quindi non potevano essere occupati in
simile impresa senza timore di perderli o in un modo
o nell'altro. Ciò fece svanire l'idea di uscire ostilmente.
Nessuna novità ci fu fino alla sera dei sette. Im-
perversava furioso un temporale, quando verso le ore
nove molte scariche di rnoschetteria palesarono che al-
quanti nemici si erano nuovamente appiattati sotto le mura
del Forte e del rivellino ed appresso gli orti del pa-
lazzino Marsilio. Al bagliore dei lampi si credette
scorgere qualche barcaccia inglese, che cercava di prender
terra sotto alla Spianata. Vari colpi di cannone furono
diretti verso la Cittadella; ma le palle la sorpassarono
ed andarono a cadere in città. Una di quelle, caduta
alle Pile, poco mancò non cogliesse il podestà, il quale
capolavori di Rembrandt e la scrupolosa esattezza del
Ve'asquez ne' suoi Beoni, del Murillo nel suo Tignoso;
che m'importa di ciò quando ne' loro quadri seppero
infondere tanto sentimento, tanta vita? quando cioè il
principale non è vinto dall'accessorio, quando la scru-
polosità, le minuziaggini vi stanno là non come cosa
morta ma giovevole all'intonazione del tutto?
E ciò che si riscontra nell'arte della pittura, ciò
che quivi è lodevole, ammirabile, non lo sarà egual-
mente per l'arte della scoltura? Egli è vero che qui
l'antichità nulla ci offre perchè i monumenti dell'antica
Grecia non conobbero che la divinità, il semidio o l'e-
roe e quei monumenti s'imposero prepotenti sull'inge-
gno degli artisti posteriori ma v'ha pure qualcosa che
ci dimostra come il sentimento artistico del popolo greco
non ribellavasi punto a chi disdegnando gli argomenti
fidiaci si dava a scolpire soggetti più dimessi ed umili.
E la tradizione, che l'opera a noi non pervenne, sa
raccontarci di Milone, statuario del temjDO di Pericle,
autore di una Vacca che allatta il vitello; nè quel tour
de force di naturalismo, nè la volgarità del soggetto
impedirono che quel suo gruppo si considerasse come
un capolavoro ed ei n' andasse celebrato quale famo-
sissimo artista. E ciò che un' età meno progredita della
nostra concedeva al genio greco il tempo nostro mos-
so, da un purismo esagerato, nega all' ingegno ita-
liano e fulmina d'anatema il povero Cecioni che osa
scolpire nel marmo gli ultimi spasimi del suicida, in-
ferocisce contro l'estetica del D'Orsi nei Parasiti, del
Ferrari nel Jacopo Ortis e dà un attestato d'impotenza
al Magni per I primi passi, al Tabacchi per la Ma-
schera e la Tuf olino, per ciò solo che l'opera del loro
scalpello tradisce un' impressione diretta dal vero ripro-
dotto minutamente. Credo io pure che una leziosa ri-
cercatezza sia sulla tela, sia sul marmo non è la sola
parola usata dalla pittnra e dalla scultura, ma perchè,
se ciò malgrado l'artista è riuscito a dar risalto alla
espressione della faccia, alle pose delle figure, non gli
si menerà per buono quel suo dilettarsi delle difficoltà?
Se nell'opera sua l'artista non avrà saputo che accu-
mularvene al solo scopo di dimostrarci averle sapute
superare non badando al rimanente, allora si condan-
niamolo pure. Condanniamo pure col Settembrini quel
Corradini, veneziano, che scolpendo la sua Pudicizia
riuscì a coprirla tutta d'un vele dello stesso marino in
guisa che di sotto si distinguesse le nude fattezze della
figura, ma non seppe nella faccia infondervi quella sua
propria serenità di forme ; e quel Francesco Quirolo,
genovese, che a rappresentare la statua del Disinganno,
non badando punto all'espressione di sentimento non
si studiò che di riprodurre con scrupolosa realtà un
sacco tessuto a rete di corde annodate entro al quale
quella figura d'uomo si trovava inviluppata.
Ed ora se guardiamo all'odierno movimento del-
l'arte del disegno in Italia, io non viso scorgere quella
decadenza tanto lamentata. È vero, nel quadro non
abbiamo le istoriate epopee del pennello di Raffaello,
nè abbiamo nella statuaria i colossi michelangioleschi,
ma a chi non misura l'arte dai metri della tela o dal
masso del marmo, dal numero delle figure effigiate o
scolpite non isfuggirà certo che l'arte non vi manca.
L'arte c'è come nei gruppi del Beliazzi, nelle carica-
ture del Cencetti e del Barbella così nelle statuette
del Costa e negli scherzi del Focardi.
Che la moderna scuola statuina colle sue ricer-
catezze, nella stessa guisa che il pennello troppo raf-
finato, possano traviare gl'ingegni, la diligenza dive-
nendo ammanierata affettazione; che il liscio del Ber-
gonzoli negli Amori degli angeli come l'eleganza del
De Nittis nella Parigina e del Favretto ne\V Erbaiuolo
segnino il punto oltre il quale s'apre l'abisso, noi nego,
ma è appunto del vero artista rasentarlo e 'non oltre-
passarlo. Si distingua quanto vuoisi un'arte piccola ed
un'arte grande ma purché la forma ne sia rispettata,
purché l'effetto si svolga dalle giuste proporzioni, dalla
magia della linea, l'arte o piccola o grande sarà sempre
arte. Arte nelle figurine del Fortuny come ne' quadri
del Geróme, arte nel Teseo di Canova siccome nelle
sue Grazie. Potremo noi, in virtù eli questa distinzione,
condannare il Tantardini che scolpisce il Ribrezzo del-
l' acqua e ci dà poi quella grazia di bimbo che si porta
in grembo il cagnolino cui s'è rotta la gamba o il
Vela del Napoleone morente che ritragge nel marmo
un fanciulletto che porta un piccolo gatto ferito ? Chi
negherà valore d'arte ai busti di costume di Federico
Villa perchè non sono o l'Audace del Strazza o T Ar-
chitettura del Monteverde? Il quadretto e la statuina
non sono altro che il sonetto o la canzone nell' arte
della parola e fu grande artista Dante nella Commedia
come il Petrarca nel Canzoniere.
Torniamo a ripeterlo, è la democrazia nell'arte
che prende il sopravvento, ma è sempre arte, solamente
sotto le antiche formule convenzionali si muove più
libera. Quando un'arte rovina, non v'ha dubbio, a sal-
varla non v'ha altro rimedio che ricondurla alla sua
vera origine, la realtà. Forse ci sarà dell'esagerazione,
forse lo studio d'imitazione della natura sarà soverchio,
ma ìnegiio così, essa almeno ha un valore, quello di
essere riflesso della vita. Certo che se in Italia il rea-
lismo non potesse vantare che quadretti e statuine non
avrebbe di che gloriarsi, ma i nomi dell'Amen loia, del
Gallori, del D'Orsi, dall'odierna Mostra nazionale di
belle arti in Torino celebrati, ci dicono che la scoltura
ha già chi potrà seguitare le luminose traccie segnate
dall' Ienner di Monteverde. Ricordiamoci che la pittura
ha trovato nel Morelli la più alta espressione dell'arte
nuova; e dire che egli è grande in soggetti così tanto
sfruttati, come i biblici, in quei soggetti che vantano
nientemeno che i Raffaello e i Michelangelo. Siamo grati
al realismo il quale ha saputo inspirare alle concezioni
dell'artista il sentimento della vita, la vita di questo
secolo dove la scienza ha tanto progredito; a quel rea-
lismo che distruggendo gli antichi mezzucci idealizzati
dall' arte antica ha pur saputo far scaturire il senti-
mento divino dal puro umano idealizzato; a quel reali-
smo che ha donato all'arte italiana: Le tentazioni di
S. Antonio.
L. f">ENE VENIA.