le altre. Non vogliamo credere che 1' egregio au-
tore, preoccupato da quella massima dell' evan-
gelo che i primi saranno gli ultimi, abbia vo-
luto cominciare caritatevolmente a metterla in o-
pera, per quanto in lui stava, con tale omissione;
e ciò nel mentre stesso eh' egli facevasi a ri-
marcare altrui certe profezie singolari (v. fac.
72). Vogliamo invece ritenere che l'omissione
sia derivata da una semplice dimenticanza, ed
abbiamo quindi trovato necessario questo sem-
plice promemoria, per debito di giustizia verso
la città nostra, la quale non punto vaga di splen-
dori fi,ttiz4^ può talvolta forse aver trascurato di
far conoscere al publico quant' operava, ma non
può tollerare eh' altri, per certe esagerate sim-
patie personali e locali, dineghi ad essa il qua-
lunque merito avuto nell' adoprarsi pegì' interessi
comuni, al pari d' ogni altra.
11 Mniiteiie^rei
La guerra che ferve nell' Erzegovina, le
pugne che insanguinano le strette e le gole dei
selvag'gi suoi gioghi, ebbero nascita in quel bel-
licoso paese che fu un tempo baloardo e terrore
della barbarie ottomana, il Montenegro. V ini-
ziativa eh' esso ebbe in quelle parziali tenzoni il
cui cozzo, sulle elettriche ali, va risuonando in
ogni canto d'Europa, ci consigliano a porgere
compediate e ristrette alcune nozioni su questa
tribù, che per idomita fierezza, per sete di bat-
taglie, per frugalità e temperanza di vita, per
robustezza e bellezza di forme è, piìi che rara,
quasi unica in questo fascio vetusto di ringhiose
nazioni.
Che i figli della Cernagora abbiano l'incu-
rabile istinto di distruggere sempre e dovunque
ci viene chiaramente provato dalle rovine sor-
genti, o per essere più esatti cadenti nei din-
torni della città di Ragusa, trofei delia invasione
montenegrina perpetrata nel 1806 non per fa-
vore, ma in favor della Russia; nei rottami delle
torri e dei castelli scardinati e crollati a metà, che
colpiscono r ammirato viatore nelle vicinanze di
Perastro e di Dobrota; nelle memorie paurose degli
abitanti di Scutari.
Nè questa mania di folgorare sì spesso le
guerresche saette, si può dire infievolita, coll'an-
dare degli anni, in quelle tempre verginalmente
tracotanti e gagliarde; giacché, tranne i più co-
spicui 0 per grado o per nascita, tutti i monte-
negrini sono costretti a svestire le armi quando
s| portano a Cattaro per le loro bisogna. Questa
precauzione che, senza dubbio, è per essi una
pillola amara a inghiottirsi, non è, alla fine, un
impedimento alle loro interessate compa^rse; sen^
dochè il mercato, al quale essi intervengono per
smerciar bagatelle di bassissimo prezzo, non è
già situato nella cerchia urbanica, ma^ come di-
rebbe un latino, extra-mcenia.
Queste ed altre misure di fatto che si pren-
dono contro di essi, dimostrano ad evidenza che
r aria pura de' loro inaccessibili picchi, li ha resi ,
più belligeri e fieri del resto della gran famiglia i
dei Serbi, alla quale essi pure appartengono. Le
loro tradizioni storiche comuni agli altri popoli
slavi, i poemi di Marco Kraljewidsch, di Stefano
Duschan, le leggende di s. Sava, le ballate e-
roiche della battaglia di Amselfeld note e can-
tate tanto sulle erte del Montenegro quanto sulle
Alpi Dinariche, sulle rive della Drinna, della Sava,
della Morava, ci fanno testimonianza eh' essi sono,
non solo rampolli del serbico ceppo, ma che
anche, in passato, facevano parte del grande re-
gno di Illiria.
Se il costume de' montenegrini è stringato
e severo, se il loro abito nazionale consuona
colle aspre linee delle loro sterili roccie, non
per questo si può dire eh' essi abborrano il lusso.
11 loro lusso consiste nella ricchezza e nella
smagliante preziosità delle armi; in fucili dal cal-
cio incrostato di madreperla, d'argento e di gem-
me di elevato valore; in sciabole damascate, in-
tagliate a rabeschi e plasmate sull' elsa, di oro;
in pugnali a finissima lama, con manico istoriato,
verniciato, intarsiato a ritagli. Però di tutto que-
sto ferrigno ornamento mai non avviene che fac-
ciano uso a commetter bassezze, vigliaccherie,
fellonie; contro una forza pari o più forte riso-
lutamente combattono; di faccia ad una più de-
bole non solo ringuainan la spada, pongono ad
armacollo il moschetto, ma convertono l'ira in
ogni maniera di gentilezze e di elFettuose pre-
mure. E a questo inconcusso principio a cui so-
no informati quei forti, che devon le donne, e
chi è presso di loro, sicurezza e rispetto dovunque.
Non è già da credersi che le compagne dei
montenegrini si addattino, come le nostre signore,
a vivere innocue ed inermi; la loro cintura [pò-
jasj ornata di agate di color rosso-scuro, incas-
settate in cornicette d'argento dorato, sono pure
guernite di pendagli d' acciaio a cui stanno at-
taccati e stocchi e stiletti che certo, all' occa-
sione, vengono facilmente sfoderati e branditi. —
Ma la riverenza pel sesso gentile o, se meglio
vi garba, la simpatica tenerezza per la sua de-
bolezza, pel suo languido e delicato atteggiarsi,
ha fatto, per così dire, supporre eh' esse siano
veramente innoffensive e innocenti; ha fatto chiu-
dere uno, 0 se volete, i due occhi sulle piccoh
mende che quelle raontagnuole han ricevuto d.<
madre natura.
mazia ha fatto sul campo della libertà e ugua-
glianza civile dalla fine del passato secolo in
poi Le operazioni che sono qui saviamente
accennate, ognun vede che dovrebbero prece-
dere r unione politica de' due popoli; e che così
richiede il buon senso e vuole la necessità delle
cose.
Come si fa a introdurre a poco a poco le
istituzioni politiche della Croazia, e assoggettar-
Yisi a un tratto? Come si fa a ricevere istitu-
zioni antiquate non più conformi all' indole dei
tempi, e riceverle per questa ragione che la
Dalmazia deve da esse aspettare giovanezza e
bellezza novella ?
Domandasi se non sarebbe il meglio lasciare
che Croazia, co^ medicamenti che crede più va-
levoli, purghi sè stessa di quegli elementi, prima
di prenderli in corpo noi, per il gusto di poi
purgarcene agiatamente con essa.
Domandasi se la libertà e uguaglianza civile,
che è il primo fondamento d'ogni franchigia po-
litica, e senza cui le franchigie politiche sono
privilegi tiranni e iniquità consacrate, se la li-
bertà e r uguaglianza civile, essendo già ai Dal-
mati assicurata a qualche modo meglio che ai
Croati, i Dalmati, che da parecchi loro compa-
trioti ci si figurano come Iloti, non siano per
ora a condizione men trista, e se debbano pre-
cipitosamente scambiare la causa del sociale be-
nessere coir effetto, e le basi dell' edifizio coi
cornicioni.
Domandasi se cotesta impresa dell' assicu-
rare ài Croati la libertà e T uguaglianza civile,
-e del pareggiare V indole di due popoli tanto di-
versi, sia cosà da spacciarsene con qualche decreto
d'una Dieta, o col regalo ai Dalmati d'un Vice-
bano.
Dice r egregio autore che 1' ordinamento
de* Comitati, una cioè delle parti essenziali dello
Statuto croatico, la Dalmazia non lo dovrebbe
senza variazioni accettare qui cade subito
di rispondere: Se variazioni ci ha a essere in
cosa di tanta importanza; se il materiale aggua-
^lianiento delle istituzioni non è quello che forma
l'unità de'popoli vera; permettete dunque che
altre Varietà meno essenziali rimangano per ora;
che i due popoli, concordi negl' intendimenti e
disposti a sempre meglio concordare, deliberino
in due distinte Diete. Questo consegue dalle pre-
messe: giacché la varietà nella costituzione dei
Comitati porta necessariamente varietà nelle Diete
provinciali; e quindi nella generale altresì.
^Un Yice-bano (propone l'autore) e una
sezione del Consiglio banale siederebbe in Dal-
mazia, per tutto quel tempo di transizione, du-
'3 Paff. 66,
Pag, 55,
rante il quale s' opererebbe 1' unione de'tre regni
mediante la comunanza d'istituzioni politiche
lo non dirò che cotesta Vicebanalità colloche-
rebbe la Dalmazia in una condizione interiore; e
che il suo frammento delia Tavola banale croata,
la quale Tavola banale croata non è ancora fer-
mato con che chiodi sarà commessa alia Tavola
magiara, nè qual posto terranno le due Tavole
nella gran barca del Regno austriaco, la quale
anch' essa sta dentro all' alira maggiore barca
dell' Impero; che cotesto frammento non è sicuro
che ci salvi dalle imminenti procelle, e in caso
di naufragio si lasci all'errare amicamente, anzi-
ché venirci coli' onde a percuotere il petto.
Dirò solamente che, al modo ideato, l'unione ,
rimarrebbe da farsi tuttavia, giacché transizione
non è unione; e ancora meno di quel meschino
statu quo, che alla povera Dalmazia è rinfacciato^
come se lo avesse fatto lei, o lo amasse tene-
ramente.
Dirò che, al modo ideato, la Dalmazia, per-
dendo qualcosa (e anco i Croati dicono che
qualcosa la ci perderebbe}, non ci guadagna nulla
di slabile, nulla di determinato nè anche; ch'ella
avrebbe per ora i danni e i risichi dell' aggiun-
zione, con sola la speranza della possibilità dei
vantaggi.
'^Starà sempre in potere de' Dalmati di sti-
pulare r autonomia nazionale e amministrativa
del Triregno, come condizione sine qua non Mh
loro unione alla Croazia "^J,,. Qui pare che tutte ;
le condizioni essenziali alla validità del contratto
debbano essere note e stabilite prima ancora di
stringerlo. E parrebbe giusto; e la parola condì"
zioni note qui suona tremenda. E quando 1' au-
tore lamenta ne' popoli F inconsapemlezm dei
propri diritti lo riconosce anch' egli, assen-
nato com'è. Se non che in questo caso avreb-
besi fino l'inconsapevolezza delle proprie spe-
ranze: tanto incerte sono le idee di quel che il
trino regno^ non dico, sarà, ma, deve essere;
incerte negli stessi Croati: chè, quanto alla mag- |
giore e, secondo me, miglior parte del popolo
dalmata, egli è confessato inconsapevole d' ogni
cosa.
Ma che s' ha egli a intendere per aidonomid.
nazionale? Se la Dalmazia è nazione da sè, na- (
zione autonoma, il Vice-bano e quel pezzo di '
Tavola come c' entra ?
E la condizione sine qua non, come gua"
rentirla, cioè come intenderla ? giacché condì- '
zione abbandonala all' altrui volere o alla balìa .
de' casi, condizione non è. Se F autonomia, non j
dico la nazionale, ma Famministrativa, in quel lem^
') Pag. 69.
Pag. 62.
Pag. 73.
matori tutti vestiti in bianco ed uniformi, porta-
vano al cappello di paglia un gran nastro azzur-
ro con sopra in lettere d' oro W. Dalmazia^ ed
il vessillo azzurro colle tre teste di leone sven-
tolava su le lor prore. Scambiati in mare i pri-
mi saluti, il vapore entrò in porto fiancheggiato
da tutte queste barche, fra gli evviva di mille e
mille bocche, fra gli spari continui dei petardi e
mortaletti, e fra i musicali concerti. Sofferma-
tosi in mezzo al porto, gli scalè si accostarono,
e pregati di discendere i signori Petrovich e Ba-
jamonti, presero posto in quello dei Deputati e
si diressero verso la riva presso l'ufficio di sa-
nità. Il Municipio che aveva preceduto di qual-
che momento, si trovò allo scalo che era co-
perto fino al mare da tappeti, e presentò a que-
sti benemeriti personaggi gli ossequi della città.
Un drappello di giovani cittadini e capi
d' arte complimentarono, dopo ciò, tanto i signori
Presidente e Vice-presidente, quanto gli altri
Deputati, a cui onore la festa era dedicata, e
presentarono agli stessi una copia elegantemente
stampata dell'epigrafe che riportiamo. La comi-
tiva quindi, preceduta dalla banda militare, dai
giovani che spargevano di fiori la via, e dai ma-
rinari degli scalè con bandiere, fece l'ingresso
in città, seguita e fiancheggiata da tale una cal-
ca di popolo, che a stento potevasi aprire il
passo, mentre da tutte le finestre piovevano fiori,
e F aria assordavano i continui \'m ai fresidenie
cav. Petrovich, al Vice-presidente D.r Bajamonti,
ai Dentinole Deputati della nostra Dieta^ alla
Dalmazia., alla sua autonomia^ al suo nome., alla
"^sua gloria, ai difensori della patria., ai protet-
tori del popolo dalmato.
Quel gentile pensiero della Direzione degli
asili di carità che aveva fatto porgere un fe-
lice augurio da quell' anime innocenti ai loro
protettori nell' atto della partenza, fece che lo
stesso candore li accogliesse sulle soglie della
città, ove in doppia fila schierati i bambini d'am-
bo gli asili, portando su d' un piccolo gonfalone
in auree lettere scritta 1' espressione dei lor sen-
timenti, gettavano fiori e le tenere loro vocine
scioglievano a un Viva toccante.
Giunti sotto r abitazione del Presidente, Ei
ringraziando commosso per questa popolare o-
vazione, tolse comiato. La comitiva riprendendo
lo stesso ordine, procedette pella contrada del
duomo e per quella del castello fino all' abita-
zione in cui prese stanza pel momento il D.r
Bajamonti. La musica militare eseguì nel cortile
alcuni pezzi, mentre una folla di popolo occupa-
va tutta la contrada e l'aggiacente piazza del
duomo. Alle 6 del dopopranzo l'intero Consiglio
municipale si portò a visitare il Cav. Petrovich
ed il D.r Bajamonti, che ripetevano le assicura-
zioni delia loro gratitudine pelle tante dimostra-
zioni che li toccava sino al fondo dell'anima.La
sera la città s'illuminò spontaneamente, in qual-
che luogo anche con analoghi trasparenti, e fino a
tarda ora le contrade furono zeppe di gente, e
percorse da numerose ed allegre brigate, che
portando lumi e bandiere, ripetevano i Viva e
cantavano alcune strofe di cui avevano improv-
visato le parole e la musica. Al D.r Bajamonti,
che collo stesso vapore proseguiva pella diletta
sua Spalato, il nostro popolo volle fino all'ulti-
mo momento testificare la sua ammirazione ed
affetto; ond' è che saputosi dover egli sulla mez-
zanotte prender l'imbarco, venne atteso sotto la
casa da una folla di gente con bandiere e lumi,
ed accompagnato da questa e da parecchi amici
fin sul vapore, fra i Viva continui a lui ed alla
nobil sua patria, colla quale ormai strinse la nostra
i vincoli del più perfetto ed imperituro accordo,
malgrado alle tante arti, con cui pur troppo si
tenta da qualche tempo d'eccitar la discordia tra
i varii figli della medesima terra. Alle 4 del
mattino di quest' oggi, quando il vapore salpava
dal porto, Ei venne pur salutato dallo sparo dei
mortaletti.
Giova avvertire, che quanto abbiamo nar-
rato, e, come è nostro metodo costante ed inal-
terabile, colla verità la più scrupolosa, avvenne
non già per istigazione dei signori, non per ini-
ziativa del Municipio, nè per premura d'altra au-
torità qualsiasi, ma per moto spontaneo ed a
tutta opera del popolo di Zara, che del xMunicipio
e delle altre autorità, onorate come conviensi e
rispettate, non si valse fuorché pei voluti as-
sensi, e per le necessarie disposizioni di metodo.
Sia dunque onore e lode a questo popolo,
che riverisce ed ama nei ventinove rappresen-
tanti della nazior.e i propri difensori e protettori,
e che in modo così splendido addimostrò, non già
la gioia peli' ottenuta salvezza, ma solo la sua
gratitudine verso chi procurò d'ottenergliela; o-
nore a tutti, ma in ispecial modo poi a quelli
che interpretando il sentimento generale della
città, diressero tanto bene, con tant' ordine, tran-
quillità ed armonia, tale festa nazionale.
Che se vi fossero ancora degl'illusi i qu^lj
volessero predicare qui e scrivere sulle beatitudini
di cerie da lor vagheggiate unioni, ripeteremo ad essi
pella centesima volta che è fiato gittato, poiché di
tali gioie, fossero anche di paradiso, non se ne
vuol sapere nè punto nè poco, ed oltre alle tante
altre, per averne una prova novella, li riman-
deremo alle dimostrazioni di ieri, credendo poter
concludere col poeta
E questa fia suggel che ogni nomo sganni.
L'epigrafe sopraccennata è la seguente:
fornì all' uopo del necessario mandato ? Niente di
tutto questo, e quindi conclusione indubitata, che
la domanda de'signori Croati fu capricciosa ed
illegale.,Trattandosi d' un' aggregazione d' uomini,
di persone a persone, i signori di Croazia prima
di presentarsi colla loro dimanda all' Imperatore,
che se non dovuto, avrebbe potuto assecondarla
suir istante, si sono essi persuasi che questi wo-
mini^ queste persone della Dalmazia acconsenti-
rebbero all' unione ? Neppur tentarono di cono-
scerlo. La domanda fu dunque non pure capric-
ciosa e illegale, ma illiberalissima, ma contraria
ad ogni diritto, ma conculcatrice d' ogni principio
d'umanità e di giustizia. E con tali auspicii i
Dalmati dovevano muover incontro volonterosi
air unione ? La storia ne li avrebbe giudicati ben
severamente. — L'Imperatore dispone, che al-
cuni uomini di fiducia, scelti cioè dal governo,
debbano dalla Dalmazia recarsi a Zagabria per
trattarvi della domandata agg-regazione, e notisi,
che e la domanda de' signori di Croazia e la di-
sposizione Sovrana or ora accennata non ave-
vano luogo che dopo il diploma del 20 ottobre,
dopo cioè che anche alla I)almazia erano state
accordate le stesse costituzionali franchigie, che
alle altre provincie dell' Impero.
Un consiglio da voi, o giovani liberali, che
neir unione ai libéralissimi Croati credete di ve-
dere il solo mezzo di salvezza alla nostra po-
vera patria. Si doveva ubbidire, si doveva man-
dare Deputali a Zagabria, e Deputati nominali
dal governo ? L'onore della vostra nazione vi
sta troppo a cuore, per dubitare della vostra ri-
sposta. ''No — unanimi mi rispondete — no,
"che della patria nostra nessuno può nè deve
^disporre, che la patria soltanto: questo lo ab-
^'biamo appreso ne' nostri studi, questo lo sen-
"tiamo più fortemente ancora nell anima nostra.
"Essa sola, la Dalmazia, disponga liberamente di
'^^sè, e Io faccia a mezzo de' suoi legali rappre-
"sentanti, della sua Dieta,,. — Ebbene? Cos'al-
tro fece, a quale altro scopo ebbe ad adoprarsi
il Dalmata, che non sentiva per l'unione? A far
che il voto della nazione non fosse altrimenti e-
spresso in proposito, che col mezzo legale della
sua Dieta. Ma quali e quante lotte per ottenerlo?
Quali e quante malevolenze per contrastarglielo?
Come alterata la purità della sua intenzione, co-
me frantesa la legalità dell'opere sue? Le pa-
gine del Fozor stanno là a farcene una fede
malaugurata, e pur troppo di quelle pagine sono
più imputabili i Dalmati (mi si permetta che sotto
il nome di Dalmazia io comprenda tutta quella
parte di territorio, che oggidì con tal nome geo-
graficamente s'appella), che non gli stessi Croati.
I — Non avendo ancora una rappresentanza le-
gittima, le varie comuni della Provincia elessero
de' Deputati dal loro seno, e inviaronli a Vienna,
perchè vi domandassero, non si abbia a decidere
di noi senza di noi, non si abbiano a sentire le
volontà nostre, che legalmente sollanto. Fu fatta
ragione alla sacrosanta giustizia della nostra do-
manda, fu convocata per la prima volta, e dopo
tante inutili aspirazioni, la dalmata Dieta, fu ri-
conosciuto e messo in atto il più nobile de' no-
stri diritti, quello di pa-tecipare al potere sovra-
no; e potreste mai crederlo od immaginarlo? La
minoranza annessionista de' nostri Dalmati se ne
dolse, i liberali fratelli Croati proruppero in gri-
da e bestemmie; il suicidio di questa terra in-
felice avrebbe solo appagato gli strani lor voti.
Se a tutto ciò fosse d'uopo di qualche commento,
l'onestà del nostro lettore ne resterebbe oltrag-
giata.
Si prosegua dunque nel troppo doloroso
racconto. Alla Dieta provinciale siedevano 29
Deputati che dissentivano dall' unione, e 14 an-
nessionisti, ridotti a 13, perchè ad uno fra di
essi venne ritirato il certificato di elezione, rila-
sciatogli evidentemente per semplice errore. —
Così non evitarono quel numero nefasto, che
stando a un pregiudizio volgare, avrebbe potuto
autorizzare taluno a ritenere, che anche fra quei
13 vi fosse il suo Giuda. Veggasi ora qual uso
sanno essi fare, i 29 della maggioranza, dell'as-
soluto potere, che loro venne a conferire la pa-
tria, non essendo punto controverso che il dog-
ma politico della sovranità del popolo viene in
ultimo a risolversi nel voto della maggioranza
de' suoi Deputati. Imputati, e certo falsamente, di
conculcare l'elemento nazionale slavo, mettono
unanimi a base delle loro deliberazioni il prin-
cipio, che nella Dieta si possa parlare egual-
mente e l'italiano e lo slavo, e che la publica-
zione delle relative discussioni seguir debba in
tutti e due gì' idiomi. Facendo seguito a tale di-
sposizione, in una delle successive tornate fra le
poche incombenze che affidano preferentemente
alla Giunta, havvi pur quella di adoprarsi con
ogni cura possibile, onde sia dato il maggior in-
cremento air istruzione del popolo. Questi primi
passi accennano indubbiamente alla rettitudine delle
loro intenzioni, all' amore, loro mal contrastato,
per la nazionalità slava, a quell' uguaglianza di
diritti, che se può e deve essere mantenuta, e quan-
to all'istruzione soltanto anche cresciuta, non ha
bisogno in Dalmazia, come in altre partì pur
troppo, d' essere creata, dappoiché fra di noi già
da 8 secoli non è vietato al rustico nè di pos-
sedere, nè d' essere proprietario di fondi, gli
altri suoi diritti civili vanno al pari di quelli di
ogni altro, ed, ora che siamo chiamati anche al-
l'esercizio dei diritti politici, nessuna distinzione
viene a ricordarci, come altrove, gli odiati rima-
sugli del sistema feudale. Ma taluno ci grida, e
perchè fin ad ora questo vostro popolo lo la-
li' amnistia.
Per quanto innamorati o sedotti dalle bea-
titudini e promesse dei nostri fratelli d' oltre mon-
te (dei Croati ben inteso, non già dei Montene-
grini), per quanto riconoscenti alle loro amorose
aspirazioni, sono però tali le stranezze, i vani-
loqui^ le rodomontate di alcuni di quei messeri,
che ballano la ridda sulla scena politica di Za-
gabria, che, se il fanatismo non ne accieca, dob-
biamo pur troppo confessare, che molti tra essi
si trovino in uno stato morboso, ormai cronico,
e tale da poter compromettere 1' avvenire della
loro patria. Non illudiamoci, il così detto loro
parlamento ci presenta F idea di un naviglio, che
diretto da ciurma poco disciplinata, viaggia senza
nocchiero, senza bussola, fra molti scogli sopra
il mare tempestoso della rivoluzione, e noi lo
vediamo ora portato da una brezzolina di pan-
slavismo, quando cullato dal flusso della Jugo-
slavia, quando dal riflusso del maggiarismo, e
sempre in direzione incerta, sempre lontano da
uh porto tranquillo. Quelli che hanno l'invidiabil
pazienza di leggere i dettagli delle loro sedute,
dovranno far eco alle nostre asserzioni, a con-
ferma delle quali, basterebbe per avventura Fe-
stratto delle sedute del 16 e 22 maggio p. p.
nelle quali si trattò di un' amnistia pei detenuti
politici di Dalmazia. Amnistia per Yragolov et
cowsor/es fu 1'ordine del giorno —• amnistia pei
martiri di Ragusavecchia fu F antifona che ripe-
tevano i corifei della Camera amnistia essi so-
spiravano dal cuore — amnistia trasudavano dai
pori —• amnistia, chi il crederebbe? ripetevano
in coro i corvi e le cornacchie, che pochi giorni
prima invocavano lo stato di assedio e pieni po-
teri per punire F apostasia di Fiume. Noi non
seguiremo nelle loro declamazioni gli oratori, che
di quel povero parlamento stavano per fare una
nuova edizione della torre di Babele; ci basterà
soltanto osservare, che taluni di essi volevano
chiedere codesta amnistia per telegrafo, taluni
per indirizzo, chi sognava una risoluzione ma
(adi, chi il già troppo da essi ripetuto e ormai
ridicolo ritornello di una deputazione per Vienna.
Ne ciò bastava, chè il deputato Prica domandò
la distruzione delF inquisizione; il deputato Zuzel
invece la continuazione della procedura con in-
tervento di due 0 tre membri della conferenza
banale, e finalmente, dulcis in fundo, il deputalo
Kvaternik prese una proroga di tre giorni, in capo
ai quali si riservava una proposizione che sa-
rebbe (sic) di onore e di decoro alla Camera.
Secondo il buon Kvaternik pare che nel triduo
di aspettativa la Camera fosse condannata ad es-
sere a digiuno di onore e di decoro. Malgrado
la prosa di coleste esagerazioni, accogliemmo
con cuore vivamente commosso la nuova splen-
dida prova deli' interesse che hanno per noi i
generosi noslri fratelli, e ci trovammo, come per
incanto, risanati dalle sinistre prevenzioni che il
celebre via facli della conferenza banale, le re-
quisitorie del Poz'or^ e i cinque anni di galera
decretati ai 300,000 dahnati non annessionisti
avevano destato tra noi. E viva Diu ! non pos-
siamo non ammirare F abnegazione dei pietosi
difensori del Vragolov e compagni, che persal-
Vcare quei martiri non rincularono in faccia ai
più forti ostacoli, anche a rischio di capitombo-
lare nel ridicolo. Ma generosità vuole ricono-
sceihza, e noi pure dobbiamo rimandare in Croa-
zia questa sacra parola amnistia^ ed intuonarla
en revanche^ non già per la ditta Vragolov, per
cui già pensa e provvede il parlamento croato,
sebbene pei croati contadini di Ozal, pei quali
non solo non sospirano i messeri di Zagabria,
ma anzi domandano punizione e vendetta. Noi
non li chiameremo martiri codesti contadini, per
non usurpare un epiteto che il deputato conte
Jaiikovich ha consacrato con profitto alia causa
Vragolov, non ne faremo tampoco F apologia,
chè anzi li riteniamo rei e, se si vuole, rei di
attentato fratricidio e paricidio. Ci lusinghiamo
però che essi possano meritare pietà e la chie-
diamo. Ma prima al fatto che pesa sul loro capo.
Nel giorno 19 maggio, era la domenica delle
Pentecoste, la società filarmonica di Carlstadt si
portava in massa al castello di Ozal, non sap-
piamo se per puro diporto o per prender parte
ad una dimostrazione politica. Le carrozze erano
ornate di bandiere croate, idest nazionali, ed
in vestito nazionale, perfino nelF augusto palu-
damento dei Serezani, erano alcuni della nume-
rosa e festevol brigata. Si trattava di bere, di
cantare, di suonare; ma i contadini di Ozal, seb-
bene croati, poco amanti, per quanto pare, della
musica e delle canzoni, del paludamento, delle
bandiere nazionali, organizzarono tosto un'acco-
glienza poco ospitale e poco amorosa verso ai
mal capitati suonatori e fratelli. Nò il cwis cro-
balus surn^ nò la comendatizia del vestito, nè il
titolo di accademici, valsero a salvare gli inno-
centi campioni di Carlstadt, sulle cui povere
spalle, e in altri siti, i contadini di Ozal, senza
capo-orchestra, senza prove, improvvisarono con
prepotenza banale, e forse in reminiscenza del
via facli, una sinfonia in do fortissimo ed unis-
sono di calci, di schiaffi, di busse, per modo
che i pifferi salvarono a stento, e non senza san-
gue, colla fuga la vita. Non c' è che dire, in
Ozal fu proprio rinnovato il caso dei pifferi di
montagna che, iti per suonare, furono suonati.
Nè al furore degli insani contadini bastava quella
sinfonia, che, oh! scandalo, inveirono contro il
paludamento dei Serezani e- copriamoci per or-
pòste, come dice Cicerone, non, sine aliquo di-
cino mimine^ credendo che fossero un insormon-
tabile intoppo alla gallica sete di castrare le no-
stre terminazioni sonore. Che Alpi di Egitto!
Quando Annibale era giunto, tanti secoli addie-
tro a passarle con un'armata di grosso calibro^
Jo potea far tanto più, nel secolo XIX, uno
stuolo di viaggiatori e di escursionisti venuti ap-
positamente per questa grande bisogna.
Fatto sta che pigliando fra le mani oggidì
un libro qualunque scritto in francese che citi
qua e là qualche autore italiano, si è certi di
veder quest' ultimo mutilato, travolto. Fortuna che
Dante non io hanno toccato ! Del resto sì tratti
di illosofi, di storici, di statisti, di poeti o che
altro, non v' ha dubbio che pochi s' han salvato
air eccidio. L' altro dì leggendo un articolo in
no so che giornale, su non so quali scoperte,
vidi quel povero Cristoforo Colombo e quel non
tanto povero, ma sempre illustre, Americo Ve-
spucci contrafalti in Ckrislophe Colomb e in A-
meric Vespuce, Uno che non sa, direbbe alla
prima che son due francesi in pienissima regola.
Vedete che, alla fine, questo trattare non è troppo
galante.
Finché si tratta di versi, transeat ; anche
noi talvolta dobbiamo italianizzare qualche co-
gnome oitre-Alpe^ svestirlo di uno o due paia
di consonanti, appiccicargli alla coda una buona
vocale, dargli insomma una tinta paesana. Per
conseguenza a nessuno passeria per la mente di
dare la quadra a Boileau per aver scrino quel
verso adulatorio e puerile: un Auguste aisèment
peut faire des Virgiles, stantechè nessuno avreb-
be preteso lo statu quo negli appellativi dei due
grandi italiani.
E qui giudichiamo opportuno di avvanzare la
seguente domanda: se noi penisolani volessimo,
come in tante altre cose, imitare questo andazzo
dei publicisti di Francia, non sorgerebbero essi
in massa a protestare contro la lesione della
proprietà nazionale ? E se noi invece di scriver
Boileau, Corneille, Bacine, Voltaire, Chateaubriand
e via discorrendo, scrivessimo Bevilaqua, Cor-
nillo. Bacino, Voltairo, Castelbriando non na-
scerebbero dei qui prò quo^ degli equivoci a
danno delia gloria letteraria della patria di que-
sti ? E se dunque tale condotta si stima ad essi
dannosa, in forza di qual preteso diritto dovremo
subirla ed assorbirla noi altri?
V ha molti che riguardando superficialmente
la cosa, non ci annettono nessuna entità. Farem-
mo lo stesso anche noi, se non ci trovassimo
qualche tendenza, qualche intenzion meno onesta.
Potrebbe darsi, fra le altre, che da qui ad un
secolo al più, adducendo la forma e la compo-
sizione d'un nome, si venisse ad inferire che chi
Io portò sia nato al di là anziché al di qua del-
l' alpina catena. Il sospetto non è tanto balordo,
dappoiché vari esempi lo puntellano a modo.
Uno fra i tanti. Chi non sa che Lagrangia,
quel fisico e matematico illustre da paragonarsi
agli antesignani di tali discipline esatte e severe,
ha veduto la luce in questo nostro stivale ? Eb-
bene, i cultori delle medesime scienze domiciliati
a Parigi, vogliosi di farselo loro, cominciarono
a chiamarlo La Grange colla massima bonomia,
colla più gran buona fede. Dai oggi, dai domani,
a forza di udire quella cadenza insolita a noi,
si venne a conchiudere ch'egli fosse veramente
francese di nascita, e se ne fece la cessione
senza dir verbo o frapporre protesta.
Buon Dio ! neppure una protesta, mentre le
proteste sono tanto a buon mercato oggidì! E
vero che l'Italia non ha certo bisogno di uomini
celebri, che anzi ne ha tanti da farla tenere a
chiunque; ma è ella savia misura il darne uno a
questo, uno a quello? Dico che se andiamo di
questo passo, i casi diverranno più frequenti é
più gravi; né mi darei meraviglia se, in capo a
un centinaio d'anni, s'impancassero a dire che
Cristoforo Colombo naque o a Marsiglia o a
Lione. Sorte che Pomponio Mela fu il primo a
presagire l'esistenza di un mondo ignorato! Un
tantino di riconoscenza verrebbe giustamente an-
che a lui.
Questi che ho accennali sono inconvenienti
non tanto leggieri; nonostante, magari terminas-
sero qui. Altro che terminar qui! Sentite anche
questa. Noi abbiamo vari nomi che rappresentano
cose e, qualchevolta, più cose. Per esempio:
(vo' a balzi, ma non importa uno zero) Cento-
fanti, Volta, Beccaria, e una lunga fila di altri.
Immaginate che, seguendo il solito vezzo di tra-
durre a ogni costo, se n!3 faccia la trasposi-
zione nell'altra lingua alia lettera. Il primo si
muterebbe in Centfantassins, l'altro in Voute, il
terzo in Boucherie, Sfiderei qualunque erudito in
scoprirli se gli si presentassero sotto queste e-
soticlie spoglie.
La è un'utopia, si dirà: beato chilo crede
da senno. E poi, ammesso pure che fosse, le
utopie non son più quelle dei tempi passali: una
volta si consideravano quali sogni, assurdità, pa-
radossi; adesso quali cose che si ponno, come
niente, attuare.
Petrarca, nel dialogo XXIII de lihrornin copia
ha un passo che par ìtitto a posta per la cir-
costanza attuale. Lnpetro venia antccipatamente
pel latinume citato. Dice l'elegante canonico (par-
lando di Cicerone, di Livio e di Plinio) : come
mai ritornando quassù et sua... (lacuna che
tien luogo di "nomina,,) relegentes et non pas-
sim hcBsilanles nunc aliena credenl csse^ nune
barbara ? Ha ragione, messere Francesco, mille
volte ragione. — r
&
pena nel settimo secolo, era barbaro; che le in-
vasioni dei popoli non furono mai dal mezzodì
al settentrione, ma viceversa, e che la gran fa-
niiirlia slava dev' essere oriunda dalie steppe della
Russia e della Scizia, e non dal mezzogiorno
dell' Europa, e non dall' Adriatico, ove e monu-
menti e nomi ed autorità storiche ci indicano
greca e la cultura e la lingiia. È bene, rispet-
tando r opinione di tutti, insistere sulla verilà
storica, onde illuminare tutti, e rendere vani
quei diritti immaginati. Perciò non sarebbe disutile
che la Voce dalmatica riproducesse il brano sulla
storia e disgrazie del medio evo esistente nell'o-
peraso/?m la Dal-
mazia^ che publicava da oltre mezzo secolo ad-
dietro Gianluca Garagnin, uno di quegl' illustri
Dalmati, eh' educati col metodo dei tempi veneti,
ben altrimenti sentivano delle cose patrie di certi
saccentuzzi moderni. Almeno quel tratto non sarà
una ispirazione del partito
A questo desiderio soddisferemo nel numero
successivo.
IN MEMORIA
DI
CATTERlUfA ]>A]¥DR£A
TRIESTINA
EDUCATA IN ZARA
E RAPITA ALLA TERRA
DA CRUDELE PASSIONE
IN BELGRADO
IL GIORNO 20 MAGGIO 1861
SO.^ETTO
Come su verde prato a vago fiore
La man del mietitor tronca lo stelo,
Tal su te balenò d' alto dolore
Neir aprii della vita orrendo telo.
Della polve squarciato il fragil velo.
Spiegando 1' alma i vanni a quelf Amore
Che tutto veste di letizia il cielo.
Si fe' più bella per novel candore.
Pinta il volto d' angelico sorriso
Uno sguardo rivolgi a lui d' affetto,
A lui, che t' ha da' cari tuoi diviso.
Di te dolce memoria ognor in petto
Scolpita ci starà; nel paradiso
Tu noi ricorda, o spirto benedetto.
(Comunicato~) Cili amici.
Bachicoltura.
In seguilo alla ricerca diretta dalla nostra
Camera di commercio ad alcune d'Italia, ed ac-
cennata nel n. 2 i di questo giornale, pervenne
alla stessa da Udine il riscontro seguente:
Il raccolto dei bozzoli nell'anno corrente è
certamente, quantunque non sia ancora finita la
stagione, assai più ubertoso di quello dell' anno
scorso. Esso però varia nella qualità, affluendo
alle filande di seta ed ai marcati della galletta
nostrana., che è tenuta in pregio e si paga di
più, ed affluendone dell' altra proveniente da se-
mente estera che è inferiore alla nazionale e dà
una minor rendila.
In quattro luoghi della provincia si registra-
no pubhcamente i prezzi contrattati, e si stabi-
lisce in ciascuno di essi a stagione chiusa la
metida o il prezzo adequalo. La Camera poi di
commercio forma dal complesso dei prezzi sta-
biliti in tutta la provincia la media, ossia 1' a-
dequato provinciale.
Fin' ora i prezzi più ricercati si aggirano
come segue: austriache lire 1.40, 1.71, 2.25,
2.30, 2.40, 2.00, 2.10, 2.90, 3.00, 3.15, ecc.
e ciò in argento, o in oro al corso abusivo di
piazza, e per ogni libbra grossa veneta, di cui
lib. 100 corrispondono a 47.70 kiloirrammi. —
Altre notizie iu tale argomento comunicate alla
Camera sono ostensibili a chi lo bramasse presso
la medesima.
Oculistica.
Avemmo in Zara negli ultimi giorni di giu-
gno, per secondare un amichevole invilo, il ce-
lebre medico oculista D.r Paolo Fario di Vene-
zia, ove coni' è già noto, parecchi sostiene gravi
ed onorevoli incarichi. Egli nella breve sua fer-
mata eseguì hi operazione della cataratta in un
occhio al signor tesoriere Erschen, ed alla sig.a
Yisbor, ed in ambidue gli occhi al sig. Corne-
retto, con quella perizia che è tutta propria di
lui, e che da felicissimo risultato in tutti fu co-
ronata.
Fornito il D.r Fario d' aspetto geniale ed
ispirante fiducia, adorno di tratti nobili e gentili,
desideroso e pronto ad ogni istante d'essere u-
tile col consiglio e con 1' opera all' umanità sof-
ferente, accolse con la massima cortesia quanti
a lui s'insinuarono, e recossi pure presso fami-
glie che bramavano di consultarlo, lasciando in
ogni incontro a divedere il tesoro delle apprez-
zabili sue cognizioni non solo nell' arte medica,
ma in altre scienze benanco.
L'ammirazione e la stima che destò il IXr
divise le forze, che nel disaccordo nulla di gran-
de possono generare.
Quale dunque polrebb' essere questa prima
impresa, in cui la Dalmazia farebbe prova del-
l' utilità derivabile dalle sue forze unite? Chi ben
conosce la condizione della provincia nostra, le
sue risorse, la sua posizione, il clima e la na-
tura del suolo, non dubiterà che la coltura serica
debba impegnare il dalmata di condurla ad un alto
sviluppo. Lo riconobbe il provvido governo austria-
co, che cercò di promuoverla e di incoraggiare
per ogni guisa i possidenti di questa provincia,
sostenendo spese non indifferenti il regio erario.
Le cure sue non fallirono, e si può francamente
proclamare che 1' opera ebbe felice principio, a-
vuto però riguardo alla debolezza delle forze dei
singoli, che solleciti e grandiosi risultati non pos-
sono partorire. E ben più felice ne sarebbe stato
il progresso, se lutti quelli che avrebbero non
solo potuto, ma dovuto adoprarsi all' effetto, fos-
sero stati sempre animati dal medesimo zelo. Il
fatto seguente ne fa chiarissima prova.
Chi non sa quanto il suolo di Narenta sia
producitore fecondo d' ogni specie di cereali, dì
piante, di alberi, in una parola d'ogni specie di
vegetabili? La feracità di questo suolo non la
disconosce il governo, non la ignorano lontani
capitalisti, che cercavano di devenire collo Stato
a speciali trattati, per far lavorare radicalmente
queste terre con viste di sommo utile. Ridotte a
coltura le vaste sue paludi, si raccoglierebbe
tanto grano da somministrarne in abbondanza alla
provincia tutta, la quale potrebbe far asportare
il grano che cresce nel resto del suo territorio.
Questa è dunque terra destinata da Dio ad es-
sere il granaio della Dalmazia, e la potrebbe es-
sere anche un delizioso giardino, e, ciò che pur
monta, di salubre clima, coli' estesa coltivazione
e coir asciugamento delle paludi. Tale suolo è
provato che ama e feconda a preferenza il gelso,
vedendolovisi estoller gigante in periodo molto più
breve che in qualunque sito della provincia no-
stra. In base quindi al principio di far prosperare
la Dalmazia con forze riunite, colle associazioni,
vi fu chi ancora nel 1854 pensò che il miglior
scopo a cui potesse tendere la prima associa-
zione in questa provincia, sarebbe stato quello di
propagare il gelso e di prepararvi la seta, me-
diante una Società serica della Narenta.
Comunicato il piano ad alcuni meglio stanti
di quel distretto, si dichiararono pronti a con-
corrervi coi propri capitali, ed a rappresentare
tanto in confronto di terze persone che in fac-
cia air Autorità gli interessi dell' associazione,
dopo ottenutane la concessione, finch' essa venisse
definitivamente costituita, e finché conseguito si
fosse a mezzo di azioni il fondo occorrente al-
l' impresa. I possidenti della Narenta sarebbero
stati pure disposti di radunare il capitale neces-
sario per intraprendere 1' allevamento dei filugelli,
e quasi tutti, o gratuitamente, oppure a sconto
delle proprie azioni, offerto avrebbero i gelsi di
loro proprietà.
Sennonché, a rendere grandiosa l'impresa,
convenivano capitali forti, per effettuare vaste
piantagioni di gelsi, stabilire una filanda e pro-
vedervi i relativi fondi ed edifizi, e quindi erasi
divisato d'invitare i dalmati tutti di concorrere
all'impresa; e perchè questa avesse maggiore
interesse, e trovasse un maggior numero di fau-
tori, era pure divisamente di stabilire azioni di
tenui importi fra il ceto dei possidenti, dei na-
viganti, dei commercianti, degli industrianti e per-
fino dei mediocri rustici possidenti. L* associazio-
ne avrebbe aquistato per tal modo un interesse
generale, né vi avrebbe avuto forza qualunque
opposizione o difficoltà che vi s'accampasse, co-
m' è inevitabile in tutte le nuove grandi imprese.
Tutto ciò, com' è già detto, era bello e av-
viato; il progetto, opera di un zelante patriota,
appoggiato dalla magistratura locale, ottenuto a-
veva il favore dell' Autorità superiore, che tro-
vando il suo principio fondamentale giusto e pra-
tico, compiacevasi di vederlo anche in questa
provincia più generalmente riconosciuto. Ma tut-
te le buone disposizioni ruppero allo scoglio del-
l'egoismo di qualche particolare individuo, con
danno ben rilevante di questa provincia, se il
caro prezzo si consideri a cui giunse la gaietta
in questi ultimi tempi. Le circostanze son ora
cangiate, ed altro non resta che fare presente il
bene per bassi fini perduto, e desiderare una più
decisa volontà di promuoverio e d'operarlo in
quelli tutti che a ciò sono chiamati, ponendo in
non cale le gelosie e le invidie, ed i cuori scal-
dando al santo amore di patria, specialmente in
questi momenti di vita nazionale, che fanno an-
che alla Dalmazia sperare un più felice avvenire.
CORRISPONDENZA.
Caltaro, 30 giugno.
Scrivo tuttora sotto la dolorosa impressione
d'un fatto, che offensivo alla religione cattolica,
poteva e potrebbe essere ferace delle più lut-
tuose conseguenze. La chiesa universale nel dì
esterno celebrava la solennità dei ss. Apostoli
Pietro e Paolo, e ricordava il primato di onore
e giurisdizione, che Cristo accordò a Pietro ed
in esso ai legittimi suoi successori. Si sperava
di passare il dì tranquillamente, come tutti quegli
altri ne' quali, mentre altre popolazioni ferveano
e si straziavano per partiti politici, il Bocchese
ossequente aspettava dall'alto la decisione delle