furono poscia pienamente riconfermati nel patto
di lega 13 aprile 1716, che precesse la pace
di Passarevitz. (Continm')
Prof. Ab. S. lijubich.
Camera dì commercio in Zara.
Anche alla nostra camera di commercio ed
industria venne demandato da S. E. il sig. Mi-
nistro delle finanze l'incarico d'estèrnarsi sul-
r oggetto gravissimo di ritornare la deprezzata
valuta di banca al suo pieno valore nominale,
proponendo tutti que' mezzi eh' essa credesse po-
ttìr condurre al tanto desiderato fine.
L'importanza dell'argomento ci obbliga a
^blicare in tutta l'integrità loro le conclusioni
adottale ad unanimità dalla camera stessa nella
seduta del 28 gennaro passato p., formulate nel
^«guente rapporto:
Eccellenza I
Nel liiom^nto che la generale aspettativi è
diretta all' inaugurazione d' un nuovo ordine di
cose, il quale appaghi le giuste brame dei po-
poli, e stabilisca tra goveno e governati quel
kgame che può essere solo generato da una
conveniente ripartizione del potere, con rispetto
all' individualità di ogni singolo paese, in tale
flìomento la circolare diretta da V. E. alla ca-
mera di commercio in data 28 decembre p. p.
fu considerata come pegno di un avvenire mi-
g'hore.
La questione su cui la camera è chiamata
ad esternare il proprio parere è tale però, che
(Juanlunque trovar debba la sua pratica soluzione
negli organi più elevati della publica ammini-
strazione, merita non di meno di essere esami-
nata e discussa dalla rappresentanza commerciale
non solo, ma da tutta intera una rappresentanza
nazionale, essendo questione così complessa che
racchiude in sè i più vitali interessi.
Ristabilire il pareggio tra la valuta di banca
e la moneta ejfetlim è problema che non può
èssere studiato isolatamente, perocché quando,
come la più semplice e più naturale delle solu-
zioni, si rispondesse: sia messa la banca in condi-
zione di esaurire ,i pagamenti in effettivo, non si
farebbe che creare una nuova questione, quella
cioè di sapere con quali mezzi si possa giun-
gere a tale risultato. Epperò, ad esternare un
coscienzioso parere, la camera dovrà entrare in
fin campo più vasto, e dovrà usare tutta quella
franchezza che è richiesta dalla natura del sog-
getto.
I rapporti tra la banca nazionale e lo sta-
to, sono, a dir Vero, troppe complicali, perchè
si possa tracciarli in dettaglio, ed essi sonò
d' altronde troppo conosciuti dall' amministrazione
finanziaria dello stato, perchè siavi bisogno di
farlo. Gioverà nondimeno 1' osservare, come
questo istituto di credito funzioni assai mise-
ramente negf interessi del nazionale commercio
pel troppo inlimo legame che allo stato lo av-
vince, e come quantunque le sue operazioni si
limitino quasi unicamente ad essere il sovven-
tore dello stato, gli azionari incassino dei vistosi
dividendi.^ I valori da questi rappresentati sono
certamente un guadagno: ma quale guadagno?
Non sarebbe esso per avventura corrisposto dai
popoli, senza che questi ne fruiscano alcun van-
taggio ? non sarebbe esso un' aggravio illegittimo]
dal momento che da nuli' altro proviene che dal
sovvenire lo stato in silenzio ? non sarebbe esso
dannoso, rappresentando il risultato dell' applica-
zione d'un facile rimedio, che dispensa dall' e-
saminare i veri bisogni e le vere risorse dello
stato? non sarebbe esso esagerato in relazione
ai servigi che la banca rende al commercio,
mentre d' altronde il monopolio che esercita im-
pedisce che altri istituti ad imprese li comple-
tino?
Comunque possano andar sciolti tali quesiti,
certo è che la banca nazionale ha assorbito buona
parte dei beni demaniali, alcuni dei quali sono
patrimonio intangibile della nazione; certo è che
a suo favore è stata devoluta una parte del
prezzo delle strade ferrate del sud, di cui lo
stato dovette espropriarsi con problematico van-
taggio; certo è che, in onta alle facili risorse
trovate con questi mezzi, le finanze dello stato
andarono peggiorando oltre il limite reso ne-
cessario in causa di spese straordinarie; certo è
infine che lo stato dovette attualmente ricorrere
ad un prestito di 30 milioni da estinguersi colle
rendite degli anni avvenire, per i quali è già
preparato un deficit sicuro.
I sacrifizi fatti fino ad ora condussero ad un
momento di tregua: al 1." marzo 1858 la ban-
ca riprese i pagamenti in effettivo, ed i suoi vi-
glietti erano ricevuti nel loro pieno valore no-
minale; ma questo stato di cose ebbe breve du-
rata. Si rientrò un' altra volta nell' anormale, e
si giunse al punto che in oggi questa valuta
soffre un tale ribasso, che nella stessa crisi po-
litica dell' anno 1859 non si è osservato giammai.
E tale ribasso è più vivamente sentito dal mo-
mento che lo stato stesso è persuaso che la
banca venga meno a sè stessa, non riconoscendo
sotto un certo rapporto le note di banca per
quello che rappresentano, coli' esigere i paga-
menti di alcune contribuzioni in moneta effettiva.
Era questo un' universale lamento, a cui questa
camera fece eco non ha guari, per raccogliere
lo sconforto di una repulsa; sebbene il suo voto
N. 6. Zara-Sabalo 9 Febbraro 1861. Anno II.
LA VOCE DAIMATIGA
GIORNÀIE EGONOMICO-LETTERARIO.
Il Giornale si publica ogni Sabato. — Il prezzo d' associazione per Zara è di fior. 5 sol. 40 V. A.; pel resto
della Dalmazia e fuori, di fior. 6 V. A. — I pagamenti potranno farsi per V annata intera, ed anche per semestre, anti-
cipatamente, e dovranno da fuori di Zara essere inviati franchi per la posta, coir indicazione del nome, cognome, e domicilio
deir associato. — L'ìtlere, lil)ri, articoli, devono affrancarsi. — I reclami si maiiduno con lettera aperta, senza alTranca-
KÌone. — Iti Zara le associazioni si ricevono anche al negozio librario del sig. Pie/ro Abelich. — Un numero separato vale s. 15.
SOMMARIO — Può la Dalmazia unirsi alla Croazia ?
— I dirilli storici dell' Ungheria sulla Dalmazia (con-
tinnazioìie e (inej. — Camera di commercio e d' indu-
stria di Spalato. — Indirizzo al conte Borelli. — Di-
chiarazione. — Annunzio bibliografico.
Può la Dalmazia unirsi
alla Croazia?
Ogni individuo, ogni popolo, ogni nazione
ha in sè una forza che tende a sviluppare, per
perfezionare il proprio essere, ed indirizzarlo al
grandioso fine stabilito nell' ordine provvidenziale.
Da questa forza intrinseca alla natura dell'uomo
costituito in società, ne deriva il sacrosanto di-
ritto d' autonomia, il quale in certi tempi si può
soltanto conservare, ed in altri più felici puossi
esercitarlo. La Dalmazia, terra piccola, e più pic-
cola ancora per popolazione, racchiude in sè nul-
latneno molti elementi per essere autonoma, ed
ora ne ha la coscienza di possederli; imperocché
molti de' suoi illustri concittadini in questi mo-
menti d'anelito generale, ne dimostrarono tale
verità con iscritti pieni di calore e sentimento pa-
triottico, opponendosi all' unione sua colla Croazia.
La Dalmazia colla diramazione del Velebit e
del Dinara è divisa naturalmente dalla Croazia
e dalle altre meridionali provincie slave; dall' I-
talia da breve tragitto di mare ; all' oriente, se
le venissero restituiti i suoi aniichi confini, pro-
hmgherebbe il suo capo, e tra questo e 1' occi-
dente formerebbe uno scalo naturale. GÌ' inte-
ressi agricoli e pastorecci, i costumi e la coltura,
sono differenti da quelli de' nostri confinari croati.
L'elemento poi che costituisce una delle glorie
dalmate, ed affatto estraneo alla Croazia, si è
la navigazione, per cui i dalmati si mostrarono
sempre mai attissimi, portando il proprio nome a
lontani lidi. In cosa dunque vi assomigliamo, o
coraggiosi croati ? Ah ! vói dite che siamo slavi,
che qui si parla Io slavo; ma capile una volta
che la lingua, sebbene il principale, non è il
solo elemento che costituisce la nazionalità, ma_
il complesso di quanto si è detto sopra. La Dal-
mazia adunque pella sua posizione geografica,
pe' suoi interessi, coltura e costumi, ha una vita
sua propria, distinta, differente da quella della
nazione croata; e da ciò ne deriva la sua au-
tonomia. Essa la vuole, perchè è tempo di vo-
lerla; ed i suoi titoli ne sono basati su leggi di
natura.
L'augustissimo Imperatore conobbe che la
varietà de' suoi popoli componenti la monarchia
austriaca esige istituzioni che si conformino al-
l' indole speciale de' medesimi, e che T incre-
mento e lo sviluppo loro salderà viemeglio l'u-
nità monarchica, per cui ci largì la patente 20
ottobre, che solennemente garantisce la nostra
autonomia.
Le aggregazioni che i croati si affaccen-
dano di fare delle provincie slave, è un errore
dimostrato dalla storia; e questa dovrebbe loro
insegnare, che popoli d' una stirpe e d' un lin-
guaggio dovettero per secoli soggiacere al go-
verno di nazioni civili, e sotto la loro influenza
prepararsi l'avvenire, svincolandosi ed erigen-
dosi a nazione (i signori croati m' intendono)
quando erano maturi a condursi e reggersi da
sè. Il semi-panslavismo che da tale unione si
scorge, favorirebbe il colosso nordico, e noi non
gli vogliamo prestare l'opera, per non entrare
a suo tempo come goccia nell'oceano. Si dirà
che ciò non fa a proposito, non trattandosi di
fornjare uno stato indipendente; ma quale che sia
l'unione intesa a Zagabria, essa presuppone po-
poli adulti, capaci a stringersi, e formare un corpo
diretto ad uno scopo comune nazionale. E cosa
sono, 0 coraggiosi croati, tutt' i popoli slavi, tran-
ne la Polonia e la Boemia? A voi là risposta.
E cosa sarebbe la Dalmazia se le riianòasse l'e-
leiriénto italiano? Lo sappiamo noi.
Non vogliamo per questo neppure esserè|
italiani, come voi furbescamente di cdnlltìùb dì
spirarono a quella cattolica civiltà, la quale ha
redento il mondo dalle passate barbarie; che sola,
checché ne dicano certi barbassori, saprà redi-
merlo dalle future; e che tenendo a tutti aperto
il materno suo seno, solo anatemizza colui che,
sia esso il più grande dei monarchi o il piìi
piccolo de'sudditi, osi calpestare gli altrui diritti.
Quand' anche però qualche città o paese
credesse, per una ipotesi, d'andar a vantaggiare
ool far spontaneamente gettito del diritto che ha
alla propria autonomia, per quelle tante ragioni
che Ti avesse o vi credesse d'avere; resta sem-
pre che il diritto è dirillo^ e che se volenti non
fu injiiria^ (ìt benissimo nolenti.
Sacra dev'essere pertanto l'autonomia, che
in virili delle stesse leggi di natura compete a
quel corpo morale che provincia s'appella: e il
volerla prostrare appiè dell' idolo vuoi dello stalo,
vuoi della nazione, sarebbe una ingiustizia, una
tirannia; tirannia ed ingiustizia spietate e vanda-
liche, se la provincia che si volesse far vittima
del più forte vantasse una storia gloriosa, e por-
tasse in sè elementi di grandezza tutta sua pro-
pria e ad altri non ugualmente accessibile.
Non è qui mio proposito di rintracciar nella
storia e nelle tradizioni nostre la base e la na-
tura dell' autonomia, che oggidì viene a noi pure
dalla sacra parola di Cesare promessa e garan-
tita; non posso però non accennar di volo, qual-
mente per autonomia dalmatica io non intenda
punto quella che (vengaci essa d'onde si voglia)
s' opponga ai dalmalici statuti, o sia incompatibile
coir indole e colle inveterate e non possibili a
sradicare, e ormai legittime, consuetudini del po-
polo dalmato.
Veniamo ora alla nazionalità. Io non vo' parlar
di coloro che la vorrebbero rilegar fra le utopie;
chè eglino stessi evidentemente mostrano di non
credersi, coli' averne quella paura che non sanno
nè tampoco dissimulare.
Ma chi la vorrebbe assorbita dall'autonomia
provinciale, sarebbe certamente poco men ingiu-
sto di colui che volesse immolar questa a quella.-
Sonvi taluni che nell'intento di sfatare quel wo«-
strùm orrendum^ ingens^ che è per loro la nazio-
nalità, si studiano di dimostrare, che fra gli ob-
bietti dell' amore, la nazione non c' entri nè punto
nè poco. Cosa strana per verità 1 eppure non po-
chi de' nostri patriolti, vengono in sostanza a co-
testa conchiusione ! E si che da noi, la Dio mer-
cé, non puossi recar in iscusa F orrore di quel mac-
chiavellismo che oltremare fa gelare il sangue
nelle vene anche a certi uomini stimati general-
mente di non problematica deferenza alla causa
della patria.
Checché però sia di ciò, veniamo all'argo-
mentazione della Civiltà Cattolica. Avendo detto
che amare vuol dire mler il bene^ ella si fa ad
interrogare: chi dovrà dal nostro amore (si parla
si sa del limitato) preferirsi in particolare? E
soggiunge: "è chiaro che la preferenza tocca a
chi ne ha maggior capacità e maggior diritto.
Poi, svolgendo per bene questi due concetti, pro-
segue: "e chi ha maggior capacità, il prossimo
od il remoto ? È più facile a me fare il bene di
un italiano, di un romano, o il bene di un ottentoto
dì un patagone ? Il diritto poi chi lo ha maggiore,
cohii che fa bene a me, o colui che neppur mi co-
nosce ? Se r avere io ricevuto un qualche bene
importa l'obbligo di retribuirlo; i domestici dai
quali tanto bene ricevo nella convivenza quoti-
diana, e i conterranei ai quali quasi quotidiana-
mente ricorro pei bisogni più triviali, hanno so-
pra di me molto maggiori diritti che tutto il re-
sto della famiglia indopelasgica o della giapetica,
da cui gli eruditi e la sacra bibbia mi fanno di-
scendere„.
Benissimo ! ma tale capacità non la pos-
siede forse ancor la nazione? Anzi lo confes-
sale voi stesso, dacché non dubitale di dichiarare
che come voi romano sentite maggior simpatia
per un romano, così voi italiano la sentile mag-
giore per un italiano che non per un ottentoto
od un patagone. E l'argomento che recate (ser-
bale le debite proporzioni) non calza forse così
bene in favore dalla patria in senso più lato,
cioè la nazione, come calza in favore della pa-
tria in senso meno lato, che è la provincia? di
quella provincia, io dico, i cui titoli all'autono-
mica personalità non dubitate d'asserir risultanti
dal complesso dell' indole nazionale ? E quanto
si disse rispetto alla capacità^ altrettanto può dirsi
con tutta ragione del diritto. Giacché, quanto mai
non contribuisce alla prosperità, alla forza, alla
gloria di singole provincie, comuni e città, il
vicendevole e simultaneo morale e materiale con-
corso d' un popolo compatto, forte e grande ?
Certo che da tutto ciò non si può arguire che
la nazione possieda in grado uguale alla na-
tia famiglia, comune o provincia, titoli alla no-
stra simpatia: ma che fra esse ci sia una stretta
parentela non è chi noi vegga; e se differenza
ci corre, ella assomiglia a quella che intercede
fra il primo ed il secondogenito.
Infatti; l'identità di stirpe, di lingua, di re-
ligione, d'indole, di costumanze; la promiscuità
di sangui, d'interessi, di gioie e patimenti, di
gloria e di sventura; la somiglianza dei climi, la
postura e configurazione geografica, 1' analogia di
struttura e di portamento; il promiscuo vantaggio
che risulta dal concorso nazionale di mille am-
minicoli e di svariatissimi impulsi; le mill' altre
congeneri proprietà, che lungo sarebbe l'anno-
verare, legano fra loro d'un vincolo indissolubile
non solo le molteplici comunità d'una provincia,
ma ben anco le varie provinole d' una nazione.
non è così vile e così smemorata d' apostatare
alla propria nazionalità, ma sostiene di non ap-
partenere per nessun diritto alla Croazia, né
croata vuol diventare; e se anche la sorte vo-
lesse .porla a questa prova, se le sue ragioni non
la difendessero abbastanza; essa chinerà la fronte
al volere del più potente, ma giammai s'avrà
unito a Croazia di propria volontà.
Svolgendo il primo quesito, 1' autore seguita a dire : Ogni popolo ha una sua famiglia^ la na-zione; quindi un popolo non può appartenere a due nazioni, quindi si domanda sono i dalmati slam 0 italiani? Domanda intempestiva e per
nulla coerente a quanto segue: La Dalmazia non può smembrarsi dalla sua patria coniane la
Slavia. Se la è così, perchè si domanda se la
Dalmazia è slava o italiana? Di ciò che si sa,
di ciò che tutti sanno, non occorre far questio-
ne. Avesse l'autore domandalo : se la Dalmazia
è croata o slava? sì poteva rispondergli; ma qui
invece egli intavolò una questione svolta da lui
stesso con un controsenso.
Provasi poi a dimostrare il molino per cui non fu coltivato il sentimento nazionale, e la lingua materna dalle classi piti alte della Dal-mazia; la dice per ciò ignorante; ma sostiene
che tuttavia essa non appartiene ad altra nazio-
nalità. È vero; ma ciò mostra che il campo di
coltura nazionale, di cui egli intende parlare, era
fino allora arido ed infecondo, e che per ciò
Dalmazia seguendo il suo impulso naturale per
desio di progredire, non si fece dimentica della
sua nazione, ma per apprendere a coltivare il
sentimento nazionale proprio e la propria lingua,
di cui appena si gettarono le basi, studiò da na-
zione già formata; nel che mi si accorderà aver
essa fatto otiima scelta ; dunque non è nè fu a-
gnorante la Dalmazia, ma perspicace e previ-
dente. È chiaro però che Dalmazia è slava per
nazionalità, e che io dovrà essere quando gli
slavi saranno una nazione; ma per intanto essa
a tutta ragione può esigere di rimanere Dalma-
zia, e può opporsi d' essere incorporata alla
Croazia, sua sorella sì, ma non sua madre.
Domandare il sacrifizio della nazionalità alla
libertà, è, a mio credere, domandare l'impossibi-
le. Se si potesse esigere sacrifizio di nazionalità,
a che varrebbe questa libertà, la quale essendo
tendenza degl' individui ragionevoli, deve esserlo
pure delle nazioni. iVon so in che senso T auto-
re voglia parlare; ma se inferisce alla naziona-
lità dei dalmati, se ci vuole croati e non slavi
per nazione, domanda V impossibile non solo, ma
viene in campo con un assurdo.
Dopo la domanda del sacrifizio di naziona-
lità alla libertà dice : intenzione della classe privilegiata^ l'accidia degli animi impedisce alla nazionalità di svilupparsi. Perchè porre in cam-
po il bisogno di sacrifizio di nazionalità, e fare tanto facile una disorganizzazione nazionale; per-chè insistere su d'un punto tanto contrario al buon senso, quando prima non definisce di che nazione sia questa Dalmazia? Offende la classe privilegiata, avvilisce il popolo, e lo fa senza scopo.
Dice che V unione alla Crozia si presenla al di d'oggi come guarentigia contro gli esterni ed interni pericoli. Non mi pare che la sarebbe cosa troppo onorevole per noi l'unirci per tale ra-gione alla Croazia; non dirò il perchè, ma ri-manderò invece 1' autore alio scritto dell' illustre Tommasèo.
Che questa unione non porti di necessità l'annientamento della coltura italiana in Dalma-zia, siamo d' accordo, e anzi mi si dovrà con-cedere che questa coltura dovrà rimanere fino a che la Sia via potrà offrire una sua propria — non parlo della Croazia; da essa non l'atten-diamo— e fino che la Slavia sia in caso di dare una coltura sua, ci vorrà del tempo, nè questo di-pende da essa, ma dalle circostanze in cui ver-sa. Se noi dovessimo intanto, per attendere que-sta nuova coltura, perdere quel poco di bene che ne diede F Italia, noi dovremmo rifare la strada fatta; e i tempi non ritornano, ma s' a-vanzano sulla via del progresso.
Asserisce che un popolo non indietreggia unendosi ad altro popolo meno collo; dunque i croati sono, a sua detta, meno colli di noi; e poco dopo chiama pregiudizio il dire i croati in coltura essere a noi inferiori., e dice : Essi al-tinsero alle fonti della germanica, noi alla la-tina. Buone tutte e due queste colture; ma una è tedesca, T'altra latina, nessuna slava; dunque ambedue straniere, e non nazionali; e noi uniti a Croazia non faremmo altro che cangiare la nostra coltura italiana in tedesca, cambio non tanto difficile, ma senza scopo.
Parlando degli avvantaggi della Dalmazia quando questa a Croazia fosse unita, dice: Ben lungi dal coalizzarsi., la Dalmazia ove si desti dal letargo coli' animo rigoglioso di vita novel-la, aquisterà grave supremazia sui croati stessi e forse anche su altri slavi del sud; e qui porta a conferma un brano di Tommaseo. Sorte che r illustre esule col suo appello ai dalmati fece ben conoscere come ei pensa, e che, eccitato da un segreto presentimento, scrisse quanto lo può giustificare nel primo punto dell'opera sua. La-sciando a parte le illustrazioni, è qui che io lo voleva, qui T attendeva ansioso. Nominando gli altri slavi del sud, ei si confessa, e mostra qual sia il principio per cui ei batte. Ma se vuole che c' intendiamo, si levi la maschera, parli chiaro, e allora io me gli stringerò dappresso, e con-corderò seco lui che uniti agli slavi Dalmaaia
legislatore stesso che ha rappezzato questa leg-
ge elettorale, e non saranno sempre quei che
i primi spezzeranno il pane della scienza a'nostri
figli, a'nostri nepoti, fra i quali vi sarà forse
qualche futuro raifazzonatore di leggi elettorali? E
non si comprende poi come i maestri elemen-
tari della classe undecima non possano votare,
mentre impiegati di cancefleria eh' appartengono
alla dodicesima ne hanno il diritto. Forse che
chi aveva fatto questo espurgo come di materia
infetta, non avrà pensato alla natura degli alFari
d'un maestro elementare.
Poveri maestri, non godete 1' arrosto, e non
vi si accorda neppur il fumo. Ma sperate, spe-
rate, chè benché non abbiate votato nè per gli
elettori eletti, nè per i deputati, yi sarà forse
fra questi qualche anima nobile ed umana che
si ricorderà di voi, parlerà a prò vostro, addi-
terà a' vostri dolori, alle vostre soflerenze, infine
forse condurrà quel primo consesso di dalmati
deputati a restituirvi ciò che vi si appartiene, e
che una lupina ingordigia sta divorando a vostro
danno. Perseverate nel nobile sacrifizio, che gior-
nalmente offrite a Dio, alla società, che saprà
giudicarvi meglio in ciò che non lo fa qualche
uomo senza cuore; perseverate poiché virtù
premio è a sé stessa.
Tommaso Farg-osi»
Brevi eonsìderasioiii
intorno agli scrini del conte Giov. Kregllanovìch.
For wanl of modesly is wanl of sense.
Pope.
I.
II conte Giovanni Kreglianovich naque a
Castelvecchio presso Traù, e attese agli studi in
Italia, ricevendo dalla frivola educazione del tempo
queir umore prosontuoso e burliero, che presto
esalò in una commediola schernitrice. Chi avea
insultato alla republica di Venezia caduta per
tradimento, e alla forte, devota e nobile lealtà
dei Dalmati, pronti soli in Italia a difendere l'I-
talia e il diritto contro la feroce ragione della
spada; chi non seppe resistere alla tentazione di
calpestar la sventura, non reca meraviglia se ab-
bia adulato la propìzia fortuna. Laonde in conte
Kreglianovich inneggiò allo splendido astro di
Napoleone; e delle grazie imperiali e vicereali
si compiaque, vagheggiando in esse l'immorta-
lità della sua fama, con esse miseramente sva-
nita; ma i nuovi idoli sdegnarono il facile o-
raaggio di questo adoratore della vittoria, e il
lasciarono disilluso in agonia di quella pace, che
il mondo non gli avrebbe potuto dare né rapire,
quando ei l'avesse cercata neirintimo segreto
dell'aaima sua.
IL
Dalla condotta e dalle opere del conte Kre-
glianovich molti pregiudizi aquistarono autorità e
vigore. Noi però ci riserviamo la cura di notare
il suo ufficio di storico, cominciando l'esame
delle Memorie dal punto, in cui esordisce gher-
mito all' esempio dei ralenti maestri deW anti-
chità, che noti dubitarono di mescere le divine
alle umane cose^ per rendere più auguste le o-
rigini delle nazioni (voi. I, p. 143}, tanto da
credere il caso di Fetonte (L 14), e 1' esistenza
personale di Ogige e di Deucalione (L 13}, e
degli Argonauti : miti invece e gli uni e gli altri
delle prime civili imprese. Quindi trapassa il
cielo dei simboli, e raggiunta 1'epoca delle tra-
dizioni positive, chiama antichi padri del mondo
rigenerato^ e uomini primigeni gli Sciti (I, 3) ;
e avverte che quando gli Sciti disputarono a-
gli Egizi V antichità nazionale, ne allegassero in
prova r altezza del loro paese^ poiché, a sua
mente, al primo decrescere delle aque^ prime
dovevano emergere V eccelse vette deW alpestre
Scizia inferiore, ed essere per ciò abitate molto
prima deW Egitto (ivi} '}. Qui c'è errore gravis-
simo e di criterio, e di fatto. Di criterio, perchè
i secondi abitatori della terra sarebbero usciti
dal suolo elevalo a guisa di funghi; il che quanto
poco onore faccia alla razza umana non v' ha
alcuno che possa seriamente dubitare. Di fatto,
perchè la storia rivelata e la profana accertano
discese dai primi noachidi tre grandi schiatte,
suddivise in genti particolari, tra le quali figu-
rano gli Sciti derivati òaW audace schiatta di
Giapeto, che dopo 1' antica .dispersione risalì ad
abitare nei tabernacoli fraterni^
E come fa gli Sciti aborigeni, autoctoni, e
primi padri delle nazioni, così sopra le altre con-
ferisce alla loro lingua il primato, e la dignità
di lingua divina, universale... madre dei lin-
guaggi conosciuti (I, 78, 83, seg.}; e in ispe-
ci e del greco (I, 79}, del latino (I, 80}, e del
tedesco (I, 80 e 81} Vi trova affinità col
sanscrito (I, 91, 92 e nota Lma}, colf ebraico
(I, 93}, col zendo (ivi}, col congolese (I, 159},
'} Giustino. /. H, 3. — Ammiano XXII, 34.
Mela. /. //, i.
Genesi. IX. — Bochart. Geograph. sacr.pars
prior. — Rosenmuller. Scholia in Genes. hip-
sia 1788.—• Creuzer. Simbolica. —Brotonne.
Histoire de la filìation et de la migration des
peuples. Paris 1837. — Gòrres. Die Wiilker-
tavel des Pentateuch: die Japhetiden nnd ihr
auszug aus Armeuien. Ratisbona 1845.
Di questi visionari ce n' era un buon dato.
Il Perron neW Antiquité de la nation et de la
langue des Celtes., Paris 1704., arroga il pri-
stro encomiava in uno scienziato non meno il-
lustre. Una celeste, della quale il timore santo
di Dio è la radice, la nonna e la ricompensa ;
sapienza nemica dell'orgoglio, e fedel compagna
dell' umiltà; sapienza di cui la mente del cristia-.
no forma il soggetto delle sue meditazioni, e
che secondo il ritratto tracciatone dall'apostolo
s. Giacomo, ha per ornamento il pudore, per
distintivo la pace, per difesa la docilità, e che
dopo avere santificato sè stessa, diffondesi al di
fuori coi trasporti della carità, ed edifica collo
spettacolo di sue virtù. L'altra mondana, che lo
stesso apostolo chiama terrena, perchè non mai
leva lo sguardo verso dei cieli; animalesca, per-
che tende a lusingare le passioni umane; profa-
na, perchè cogli arditi suoi vaneggiamenti alza
l'orgoglioso capo contra Dio medesimo, cui non
conosce che per disputargli 1' omaggio della ra-
gione, e contrastargli empiamente la gloria, e
che per ciò è coperta d' obbrobrio e riprovata
da lui che disse per bocca dell'apostolo : perda/w
sapienfiam sapientum^ et prudentiam prudenium
reprobabo.
Malagevole parrà certamente il conciliare in
una sola persona queste due specie di sapienza, che
tra loro si escludono e combattono. Ma non è
così; non pochi esempi abbiamo di ehi con le
pratiche della pietà e giustizia santificò la glo-
ria del sapere, e meritò bene della scienza del
mondo senza offendere, nè contristare la sapien-
za celeste; e il nostro Wrachien ce ne somministra
un luminoso argomento; poiché egli con la su-
blimità dell'ingegno, con la profondità della dot-
trina, con l'acutezza delle investigazioni riempir
seppe il mondo di ammirazione, e procacciarsi
insieme merito in cielo. Tale bellissimo esempio
offri egli per tutto il lungo corso di sua gloriosa
vita fino all'ultimo punto di morte, la quale av-
venne in Venezia nel 1786 in età di 90 anni ').
In tale doloroso incontro il celeberrimo ab. Giu-
seppe Marinovich scrisse una beila elegia, o-
ve si dà il vero carattere del Wrachien. Ei fu
seppellito nella chiesa di s. Maria Formosa, e v'ha
sul di lui sepolcro una lunga epigrafe.
(Đ« Cattavo}
Mr. A. ».
Appendim\ Memorie spettanti ad alcuni uo-
mini illustri di Cattaro. Francesco Grìselini
nelle Memorie spettanti alla vita di fr. Paolo
Sarpi-iio5cA«>«', Letteratura veneta, ed altri,
Giuseppe Marinovich naque in Perasto mia
patria e fu distinto poeta latino^ eloquente o-
ratore^ profondo filosofo e teologo^ morto in
Roma il dì 12 seltembre 1802 in qualità di
teologo penitenziere maggiore e censore del-
l' accademia di religione cattolica.
Questione d' economia non solo^ ma vitale per
un popolo costituzionalmente governato.
Altre quistioni d'economia nazionale oltre a
quella accennata nel foglio 16 marzo a. c. della
Voce Dalmatica., e che per l'interesse della no-
stra vita costituzionale dovranno essere agitate
0 sciolte dalla Dieta dalmata, sarebbero del co-
me ristringere al reale bisogno quello sciame
d'impiegati che sciupano le migliori risorse della
nostra provincia. Cosa vi pare, a cagione d' e-
sempio, dell'istituzione degli uffizi d'imposte per
ogni distretto pretorile ? Mansioni, le quali prima
che questi uffici avessero vita, le fungeva una
persona sola, eh* era il percettore. Qual differen-
za ? ora in sua vece vi sono tre impiegati con
un praticante, e con uno o due inservienti. La-
scio a chi più dotto di me calcolare le spese e-
normi che deve sostenere la nostra povera pro-
vincia per queste istituzioni. Eppure la cosa an-
dava bene allora. Le complicatissime leggi ed
ordinanze, decreti e rescritti in materia d'ammi-
nistrazione di questi uffici, pare che abbiano per
iscopo di cagionare alla nostra popolazione sem-
pre maggiori aggravi.
Io non capisco quanto di logica e di con-
venienza abbia quella misura di sovvenire a' di-
versi uffici d'imposta mediante rilevanti invii di
denaro con uno degli impiegati dall' uno all'altro
di cotesti uffici. Per esempio, l'ufficio steurale
di Dernis incassa diverse migliaia di fiorini, e
siccome l'amministrazione superiore non l'abilita
di tenere in cassa più d'un tanto, cosi la som-
ma che eccede il normale deposito, sia di dieci
0 venti 0 più fiorini, deve depositarla alla cassa
dell'ufficio steurale di Sebenico, il quale, credo,
fa lo stesso verso la cassa dì Zara, e 1' impie-
gato che l'accompagna si busca l'egregia com-
missione di 20 à 24 fiorini, somma talvolta mag-
giore a quella depositata. Questa operazione av-
viene almeno due o tre volte al mese, da Der-
nis a Sebenico, e altrettante volte viceversa, e
così da Dernis a Knin ecc. Apparisce quindi
chiaramente che le sole commissioni per spedi-
zioni di denaro soltanto da Dernis a Sebenico e
viceversa costano un migliaio e mezzo dì fiorini,
e se la cosa va similmente fra gli altri distretti
in provincia, ben si vede qual enorme dispendio
noi dobbiamo sostenere per causa di una tale
amministrazione.
Le commissioni dunque, approsimativamente
calcolate, fruttano agli impiegati d'imposta in
Dalmazia un trentamila fiorini annui ; egregia
somma, che se utilizzata fosse per iscopo di pu-
blica utilità, quanto maggior lustro e decoro ne
verrebbe alla provincia? Come vedete, io non
parlo degli emolumenti che godono gì' impiegati
presente Esso è tale programma di professione
di fede politica, che onora il deputato stesso,
corrisponde e soddisfa ai desideri dei di lui man-
danti, e dà prova indubbia dei suo nobile in-
tendimento, e di quella temperata moderazione
che rifugge da qualsiasi partito e da ogni opi-
nione preconcetta, attenendosi unicamente al di-
ritto ed alla giustizia.
Questa provincia generosa e fedele, non in-
degna di far parte del consorzio degli altri po-
poli colti; che spontaneamente dedicossi all' au-
gusta casa d'Austria sotto solenne promessa di
mantenerne l'autonomia ed i propri statuti, che
seppe e volle con sagrifizi, abnegazione e fermo
proposito mantenersi tranquilla e devota a Ce-
sare in mezzo a tutti gli sconvolgimenti, e la
di cui marina non è fra le ultime gemme della
sua corona; questa provincia, dissi, non sarà no
conculcata nei di lei diritli sacrosanti, non sarà
avvilita e degradata al cospetto delle altre pro-
vince civilizzate nella sua dignità nazionale; non
sarà, direi quasi, reietta come un figlio scono-
scente e prodigo, od un servo infedele, ed ab-
bandonata ad un inaudito e pressoché forzoso
rapimento.
Essa deve ritenere, che le sarà garante
l'immancabile promessa d'un Sire, che col suo
venerato diploma 20 ottobre contenente le lar-
gite libertà, ci dichiarò eguali tutti, ed in piena
facoltà di conservare la propria autonomia, o far
parte di altra provincia dell'impero.
In conseguenza di che la pretesa di Croa-
zia lede il prelodato Sovrano diploma, e vi si
oppone; lede il diritto accordato anche a Dalma-
zia col medesimo, il quale al secondo punto sta-
bilisce come legge fondamentale irrevocabile^ che
tutte le questioni relative ad interessi comuni^
sieno riservate al consiglio dell' impero^ comune
a tutti i paesi della Corona, Questo Sovrano di-
ploma adunque sarà nullo per la sola Dalmazia ?
Ci appelliamo al Monarca!
Ai modi poi improvvidi e poco gentili con
sui s'intende di rapirci, quasi fossimo schiavi a-
bietti, o merce d' altrui spettanza, contraporre-
mo, quale lezione di civiltà sociale, nonch' altro,
le forme cortesi della nobile nazione ungarica,
colle quali ci ha di recente invitati a sè, e le
magnanime parole ultimamente dirette dal dotto
publicista Francesco Deak a quei di Croazia in
identico argomento; col di più, che i rapporti e
i diritti che ha Ungheria verso Croazia, questa
'3 U indirizzo di cui si tratta, pervenutoci da
altra parte,, fu da noi già itiserilo nel pre-
cedente numero. Siamo anzi interessati d'una
piccola emenda in una delle ultime sue parole,,
dovendosi leggere gravità invece che purità
dell' incarico.
Red.
non li ebbe, nè può pretenderli da noi: ed una
unione, ripetendo parte delle parole del publici-
sta stesso, formata dall' odio, non sarebbe nè per
noi, nè per essa di buon augurio.
Che se taluno intende dar taccia ai Dalmati
di aspirazioni sospette, e vorrebbe renderli in-
visi, unicamente pel proprio tornaconto; mente
maligno alla verità, li insulta, e mostra di non
conoscere nè la loro lealtà, nè la loro storia.
Coi ciechi poi, coi mal prevenuti, con chi
parla e vuol persuadere senza cognizione di cau-
sa, con quelli, a dir breve, che pretendono di a-
ver consultati gli oracoli sibillini sulle beatitudini"
del futuro, non è da spendere inutili parole, con-
fessando di non possedere il loro dono profetico.
Senonchè, Dalmazia confida, e a tutto
diritto, nella giustizia, nella sapienza, nella sacra
parola del suo Imperante; nel valore puranco
confida dei di lei esimi Deputati, eletti perchè
trattino della sua sorte futura. Che se questa ri-
tener si dovesse già decisa, ed essi obbligati a
stabilirne soltanto le condizioni; si ricercherebbe,
quale valore in tal caso potrebbe avere il rela-
tivo mandato, e quale legalità gli operati dei
mandatari? — Ma Dalmazia, si ripete, in essi
pure confida, e ad essi affida l'onor suo prin-
cipalmente, secura che, come vorranno trarre
partito dei sapienti consigli testé loro diretti dal
nostro illustre Tommasèo, sapranno del pari di-
mostrare ad evidenza quale sia la sana, la vera
maggioranza dei desideri d'una provincia, che
sarebbe d'altronde meritevole di migliore com-
penso.
Boi della Brazza,, 4 aprile.
Devotiss: Ossequio:
n.T IVicoIò IviilicU
per sè, ed a nome degli
Eleltori deir isola.
lettera aperta
all'onorerole si^. Or, l^antini
Torrette,
Onorevole Signore!
Accetto di buon grado 1' espressione de' sen-
timenti ch'Ella si compiaque di manifestarmi me-
diante il sig. G. 0.
Chiunque mi conosce non può altrimenti in-
terpretare il mio astenimento dalla votazione.
Le superstizioni e la mania di croatizzare
non sono men lungi da me di quello sieno da
qualunque onesto dalmata, che sinceramente cal-
deggi la santa causa della sua vera nazionalità.
Sono con tutta stima
Novegradi,, 6 aprile.
di Lei Obb: ed Umilis: servitore
!i. Bnzzolich.
una commissione per stabilire gli emolumenti della
giunta, il compenso ai deputali per spese di viag-
gio ed altro, dopo di che si passò alla nomina
dei membri pella camera dei deputati di Vienna;
ed a maggioranza di voti risultarono eletti il D.r
Luigf/X^penna di Spalato, il sig. cav. Vincenzo
degli Alberti di Spalato, dopo che il D.r Radmilli
pregò d'essere sollevalo ; il D.r Simeose Bujas
avv. in Zara, il D.r Gio. Bat. Machiedo di Lesina
ed il Stefano Gliubissa di Budua, dopo chF"~si--accesià l'onda della barbarie, e rimase tor-
i sig. Trìpcovich e Jercovich rinunziarono; la
seduta venne levata alle 8 p.
STORIA PATRIA.
Frammento estratto dal Sommario Slorico, che fa
parte degli Sludi critici sulle condizioni politiche e
civili della Dalmazia del sig. Coriolam de Ceri-
neo-Lucio, (v. n. 3 di quest' anno^.
§. 21.
In quest'epoca (1433) termina la vicenda
dei contrasti, die lasciarono finalmente la Dal-
mazia sotto il più antico, legittimo e vantaggioso
dominio della Republica veneta. E quindi da que-
st' epoca, che bisogna risalire la china del tempo,
e osservare da un' altezza serena 1' intima vita
del popolo neir incostanza delle fortune, onde
scoprire il vario e successivo rapporto dei po-
teri transitori e contingenti con gli ordini essen-
ziali, massimi e perpetui della nazione signoreg-
giata.
Se la storia nostra non fosse caduta nelle
mani di ciurmadori devoti al culto braminico della
forza., per cui la memoria d' una società scom-
parisce sotto il prestigio lusinghiero di pochi no-
mi famosi; se l'inverecondo richiamo alle anti-
che ingiustizie tra le rovine dei tempi non a-
vesse suscitate le nuove cupidigie, che invadono
r incerto avvenire; se nel campo delle ricerche
leali una fungaglia parassita non costipasse il ger-
me dei severi e onesti intendimenti, i Dalmati
non dovrebbero tuttora ingegnarsi a provare d'es-
sere stali, come sono, un popolo aborigeno, au-
tonomo e civile, permanente da oltre venti se-
coli sul territorio medesimo, dove i primis padri
fecondarono col sangue i destini, che una estra-
nea gelosia contende alle ultime generazioni.
Reliquie pelasgiche, tribù celle, colonie gre-
che eransi composte insieme sotto la dinastia di
Bardile fino a Genzio, quantunque ogni popolo
ritenesse le*proprie coosuetudini e una distinta
maniera di libero governo (§§ 1—5). La prima
conquista romana, col reintegrare V indipendenza,
favorì r incremento degli ordini costitutivi; la se-
conda, restringendo 1' arbitrio pohtico, infuse col
mezzo delle colonie, delle istituzioni, delle fran-
chigie municipali la. latina civiltà nei costumi dei
popoli illirici, già predisposti all'omogeneo assi-
milamento dalle tradizioni dell' origine comune,
superstiti ancora nelle memorie. di quel tempo,
e negli sviluppi ulteriori dell' indole nazionale (§ 6).
Allorché gli Slavi invasero queste contrade,
occuparono soltanto le regioni mediterranee. Là
bida e stagnantePìlrefttn^uir estese marine tro-
vava rifugio sicuro F anticìK^ente romana con
le sacre reliquie de' suoi istituti, e della
sua inviolata libertà nativa. Quivi si mantenne
l'uso continuo della lingua latina, non solo nella
dettatura delle leggi e degli alti publici, ma an-
che nel colloquio domestico, d' onde pel ricorso
frequentissimo di parole volgari naque la mo-
derna favella che non più italiana, che dalma-
tina può dirsi Anche l'interno organamento
Lucio. Mem. Pref. e l. 1, c. 9, pag. 10.—
• Inoltre al l. IV, c. 2, pag. 192: "Che la Un-
"gua dalmatina sia stata anticamente V istessa
"che la romana., o latina., nella predetta opera
"de Regno Dalmati® et Croatiae è stalo suf-
"ficientemente provato (l. VI c. II: Lingua ro-
"mana sive latina Dalmalas usos usque ad
"annum 1200 Willielmus Tirius testatur /. 2,
"c. 17, idem ex scripturis constai, in quibus
"saepe Dalmalje nomine Latinorum a Sclavis
"sive Croalis distinguuntur). E a pag. 195:
^^ Continuò dunque in Dalmatia T uso della lin-
"gua latina più, e meno buona secondo V in-
"telligenza di chi scriveva., non solo nelle scrit-
Hure publiche., ma anco nelle lettere famigliari,^
— Indi a pag. 196: "Ma che fosse anco in
"uso altra lingua latina corrotta o volgare ne
"fanno testimonianza varie parole fraposte
"nelle sopra registrate memorie [in un docu-
"niento del 908 fra le altre: nouam, liorto,
"terre, comparaui, pecora, panno de sirico,
"coppa de argento, sella, inuestito, una lena
"caprina, una butte de vino, uno causilo, coo-
"pertorio de ledo. In altro del 986: conglo-
"bati, solatium, carlula ecc. In una lettera
"privata del 1318: graciosas, pannis, statione,
"plezium, appacatorem, ecc. hora uelV una., et
"hora neW altra lingua., particolarmente dei
"nomi propri: il che meglio si certifica con le
"parole inserte nelli statuti di Traii; ma anco
"delle altre città dell' aulica Dalmatia; e per-
"chè comunemente vien creduto, che la lingua
"italiana sia stala introdotta in Dalmatia da
'^Venetiani con la lunghezza del dominio loro.,
"per ciò tralasciati per brevità li statuti d'Os-
"saro., Veglia et Arbc., pigliarò solamente gli
"esempi] dalle città della riuiera di terra
giungersi. Diversità inconciliabile d'interessi, di-
sparità d'indole nel popolo, differenza enorme di
coltura e di civiltà, contrarietà di religioni, man-
canza diuturna di ogni sorta di reciproche relazioni,
renderebbero in esso sempre, e piìi che mai in
avvenire, difficilissimo ogni accordo spontaneo
ogni naturale armonia, e impossibile infine la
unione durevole che non fosse mantenuta, come
ora è^ dalla forza.
Ragione poi suprema della difficoltà di creare
un nuovo stato potente e prospero, che attui e
realizzi quei sogni di pubblica felicità e di sociale
avanzamento che sono l'ultima meta e Io scopo
supremo d'ogni nostro operare, è la rozzezza
primitiva, la ignoranza, la barbarie della più gran
parte del popolo che abita quelle regioni. La
storia ci offre ad ogni pagina esempi continui
della necessità di una progredita civiltà a con-
seguire grandi intenti, ci offre continui esempi di
preparazione lunga ed assidua, perchè i popoli
possano conquistare la nazionale indipendenza.
Nè basta che i nobili principii, e i generosi sen-
timenti e il senno politico sieno nelle menti e
negli animi dei primi ordini sociali, in quelle
più 0 meno numerose classi colle che stanno a
capo della società, o meno in quegli eletti indi-
vidui che, con isforzi singolari, si sono forniti di
istruzione e coltura eccellenti; è necessario che
siffatti principii e sentimenti sieno discesi, e si-
gnoreggino gli animi del popolo degli ultimi
ordini sociali, che sieno diffusi nelle masse, e
che perciò precedentemente sia stato impartita
ad esso la necessaria istruzione e siano fornite
di quella coltura senza la quale non sarebbero
mai state capaci di comprenderli. Senza di ciò
il popolo non potrebbe essere in mano di chi ha
l'indirizzo supremo, che uno strumento imperfetto
ed incerto, pronto ad abbandonarlo ad ogni lu-
singa che fosse per venirgli d' altra parte, facile
a spezzarsi e rivolgersegli contro quando avesse
ad animarlo ispirazione contraria. L'Italia ci o fi re
un esempio troppo chiaro e prossimo di questo
fatto e una incontrastabile prova di questa verità.
Paese maestro di civiltà per ben due volte al-
l'Europa, pure di quanti sforzi non ebbe mestieri
prima di raggiungere il supremo intento della
nazionale indipendenza ? Quanti secoli di operosità
assidua, di lotte, di sofi'erenze, prima di conse-
guire il suo scopo?
Da tuttociò, non intenda io menomamente
dedurre che le speranze degli Slavi abbiano ad
essere durevolmente illusorie, che essi non pos-
sano mai pervenire alla meta agognata, che gli
ostacoli annoverati sieno insuperabili, e gli sforzi
per vincerli non sieno degni di lode anzi di
ammirazione; ma dico che a riuscire è mestieri
di sagrifici lunghi e penosi, è mestieri di tempo
più lungo che per avventura non paia, non di
pochi anni, ma forse di secoli: dico che non
v' ha nessuna ragione che la Dalmazia nostra, pel
trionfo di questo principio, abbia a farsi incontrò
a' disordini inevitabili, che, per vagheggiare un
sogno così lontano, abbia ad attirare sopra di sè
tutti i mali che dalla dissoluzione dello stato pre-
sente ne verrebbero per apparecchiare un beno
incerto e remoto, di cui nessuno potrebbe preve-
dere chi avrà in fine a fruire, imporre a chi sa
quante generazioni sagrifici importabili. Dico che
nessun dovere di fraterno aiuto può a ciò co-
stringerla; dacché nel piccolo soccorso dei po-
veri Dalmati, avrebbero gli Slavi un tributo di
sangue fraterno non utile alla loro causa, o che
almeno non avrebbe decisiva influenza sul con-
seguimento degli alti intenti a che aspirano, e la
cui mancanza non potrebbe fare a questi il me-
nomo impedimento. Che se poi si considera la
Dalmazia in sè medesima e riguardo al popolo
da cui è abitata ; io non veggo, esaminando co-
scienziosamente e giudicando spassionatamente, che
il principio della nazionalità debba trovare tra
noi applicazione, nè che l'unione alla. Croazia e
alle Provincie slave sia il modo unico di farlo pre-
valere. Dicesi che la grande maggi<)ranza della
popolazione dalmata è di razza slava, d'indole
e costumi slavi e parla lingua slava. La maggio-
ranza numerica sì ; ma in quale società mai il
supremo indirizzo sociale, il maneggio della cosa
pubblica, la educazione e istruzione popolare è
affidata al maggior numero? Nessuno credo in
questa Dieta professa principii più democratici dei
miei; nessuno ha in maggiore disprezzo quella
ridicola preminenza che dà la società ai natali
ed al sangue, per la sola ragione del sangue e
dei natali, a individui ne' quali le doti dell' animo
e della mente non sono egualmente eccellenti ;
ma nessuno pure che stimi di più l'aristocrazia
dell'ingegno dirò così e del cuore, che non ri-
conosca che il sapere è la coltura sono suprema-
mente necessarie a chi sta a capo della società.
Ora, le doti dell'animo e dell'ingegno, non dirò
naturali ma acquistate, la coltura cioè, il sapere
la civiltà non sono nella parte slava del popolo
dalmate, ma sono nella italiana, sia tale per
sangue ed origine, sia per educazione. E questa
una verità evidentissima, alla quale non è pos-
sibile ragionevole contrasto. Qualunque slavo
dalmata, che abbia, sia in passato, sia recente-
mente abbandonata la marra, e tutti credo F ab-
biano fatto, fu necessitalo a fornirsi di lingua e
coltura italiana; a educare l'animo e il pensiero
italianamente ; qualunque slavo, nessuno eccettuato.
Non questo perchè la stirpe italiana, o i reggitori
italiani, glielo abbiano imposto; non perchè in
paese ci abitassero italiani; ma perchè la lingua
e la letteratura slava per sè medesime non a-
vrebbero bastato a dargli la benché menoma