paese tutto, sarebbe incalcolabile. Chè se il sesso Ragusa soltanto noi possiamo dire d'aver perle-
più forte ignora in generale assai di quanto do-
vrebbe sapere della patria, 1' altro pur troppo non
apprese tampoco l'importanza di questa parola,
conoscendo ognuno come la mancanza d'istituti
femminili, degni di questo nome, sia causa per
cui r educazione intellettuale e morale della donna
sia fra noi negletta in sommo grado, ed influi-
sca perniciosamente su quella della presente ge-
nerazione. La quale ove non succhi col latte
materno l'amor di patria, non si cimenterà giam-
mai a sostenere per essa forti sagrifizi, nè a
rendersi famosa per gesta generose, ma schiava
e impaui'ita idolatrerà la forza. Sarebbe quindi
fortunato auspicio del nostro civile risorgimento,
se la donna, troppo rinchiusa fra noi entro le
pareti domestiche, e troppo soddisfatta di fami-
liari virtù, ne uscisse per destarsi alla coscienza
della sua vera missione., la quale, consistendo
nella maternità, non potrà dirsi compiuta, se non
quando mirerà a fare de' propri figli onesti, cri-
stiani e coraggiosi cittadini. La storia c'insegna
che per altra guisa non s'effettua il rinnovamento
morale d'un popolo, il quale poggierà tanto più
alto, quanto più la donna alle virtù domestiche
unirà, entro i limili voluti dalla sua indole e dal
suo compito familiare, il pregio delle civili.
Ma dov'è l'uomo che potrebbe a Zara as-
sumersi tosto questo arduo incarico, ed aprire in
questo inverno stesso un corso di lezioni di pa-
tria storia? Noi sappiamo che questo sarebbe il
massimo ostacolo alla immediata fondazione della
cattedra di cui discorriamo, se T egregio che
concepiva il fecondo pensiero della biblioteca
patria non fosse lì per toglierci da questo non
lieve imbarazzo. Il D.r Pullich vorrà perdonare
a chi già lo riveriva maestro, ed ora s'onora
della sua amicizia, s' egli si permette d'additarlo
come il più atto ad istituire cotesta colta citta-
dinanza a' maschi insegnamenti della storia patria.
Il tempo è breve, e le difficoltà gravi per dare
pncipio, al più tardi, coli' anno nuovo a questa
bella impresa: ma F uomo alla cui energia riu-
sciva far di cotesto ginnasio, col concorso di
valenti professori, un istituto modello, e che a
»oštra memoria insegnava allo stesso tempo con
dottrina, erudizione e facondia la scienza della
••eligione, la filosofia, la storia universale e le
^'cienze naturali, è capace ad assumerla. E que-
^^^ varietà appunto di cognizioni, e specialmente
discipline storiche di cui ha dato publico
l'^^gio colla parola degli scritti, lo porrebbero
grado d'insegnare la nostra storia con am-
piezza di vedute, come forse non sarebbe dato
alcuno de'nostri concittadini. V'ha di più:
®?i'egio figlio di quella gentile città ov' ebbe i
e le cui glorie letterarie e civili l'hanno
J^sa per ogni dove famosa, egli potrebbe a suo
raccontarne le gesta; perocché se mercè
cipato alla splendida vita municipale delle repu-
bliche italiane dell'evo medio, non v'ha dalma-
ta che non debba vergognarsi d'ignorarne la storia,
per apprendervi lezioni di quell'operosità intel-
lettuale e cittadina, di cui non rimane quasi traccia
fra noi. Ed è per questo, che dovunque sorgesse
una cattedra di storia patria, noi vorremmo che
il professore alternasse l'insegnamento della sto-
ria della Dalmazia propriamente detta con quel-
la di Ragusa. 11 che gioverebbe d'altro lato ad
avvicinare moralmente fra loro le diverse fra-
zioni d'uno stesso popolo, che si tengono di-
scoste, perchè non si conoscono e non s'ap-
prezzano, a dissipare le oltrate gelosie munici-
pali, a stringere in fratellevole legame le for-
ze di ciascheduna, per conseguire la meta co-
mune del progredimento nazionale e civile. Anche
Spalato avrebbe r uomo capace a sostenere l'ar-
duo ed onorevole incarico nel professore Pan-
crazi. Versatissimo nella storia universale, egli,
comunque non sia natio di questo paese, potreb-
be aquistarsi un titolo alla riconoscenza de' dal-
mati coir insegnarne ad essi la storia, e trove-
rebbe soddisfazione a quella nobile ambizione, la
quale s'è rettamente indirizzata, è una delle molle
più salutari ed efficaci dell' umana attività, nel
vedersi circondato da tutta la classe colta di
questa città, che accorrerebbe a sentire la sua
dotta ed eloquente parola,
Ci siamo riservati per ultimo a discorrere
di Ragusa, che sola, si può dire, ha una storia
propria, splendida quanto quella delle minori il-
lustri città autonome della Grecia e d'Italia. La
sua ultima pagina fu chiusa or sarà mezzo se-
colo: i sette suggelli vi furono apposti, e la ve-
dovata città aspetta 1' uomo che li rompa, e fac-
cia sentire forte e frequente agli orecchi de' suoi
figli la Doce antica de' padri.
Muta sì lunga etade. (Leopardi)
Il sig. Messi ci aveva fatto sperare d'udiria
da lungo tempo colla pubhcazione del suo di-
scorso storico: ma gli anni si seguono, e con
essi vanno svanendo le nostre più belle lusinghe
di vedere alzato un monumento all' immortale
città. E ciò ne duole tanto più, a pensare che
la verità intorno alle sue origini, alle vicende
letterarie e civili, al luttuoso suo fine sarebbe
uscita così intera, cosi simpatica, così spassionata
dalla penna d'un uomo, la cui aurea indole e
r eletto ingegno, e la specchiala onestà fanno
contrasto con una volontà affranta, o quasi esinanita
dalla tristezza de'tempi, e dal mal voler della fortuna.
Se non che, poi ch'egli non sa risolversi
a vincere quella titubanza, che priva il suo paese
di un lavoro che dobbiamo ritenere fruttuoso e
pregevole, perchè egli non lo farebbe di publica
ragione mediante la parola? perchè non si sfor-
zerebbe di ravvivare le memorie del passato d'una
ad assentire a cose che debbon ag-gravare la no-
stra aninia e la vostra chiesa. Colla presente vi
autorizziamo di consecrare uno qualunque, che
per unanimità di suffragi sia trovato degno, men
che Massimo, intorno a cui ci furon riferite gra-
vissime querele. Prevalse il partito, e Blassimo
venne riconosciuto e consecrato.
Gregorio, che colla potenza della parola a-
veva conquisa la superbia de'patriarchi orientali,
che senza difiìcoltà aveva assoggettate al suo
braccio le chiese dell' occidente, molto meno po-
teva abbandonare all'arbitrio di cieche passioni
una sede illustre, che fino dalla sua origine sem-
pre a quelle della penìsola aggregata, non da
altri doveva riconoscere la sua dipendenza che
dal Primate di Roma. Colpì quindi d'interdetto
Massimo e chi ne prese parte alla consecrazione.
Mandò severi ammonimenti ai cleri di varie città,
ai nobili, a'personaggi di merito, ai publici fùn-
zionari dell'impero, senza dissimulare i loro de-
litti commessi collo immischiarsi in affari appar-
tenenti unicamente alla chiesa, inerenti unicamente
al diritto suo. Consigliò dapprima il neo conse-
crato di cessare dall' esercizio pastorale, e col
titolo di figlio, non di fratello, frase comune che
dal capo della chiesa si dà ai vescovi legittima-
mente eletti, r esorta di adattarsi frattanto alla
vita privata^) di visitare Roma per purgarsi delle
colpe che in suo disfavore gli eran state ripor^
late, e massime di quella, che col disdoro della
cattedra metropolitica e collo scandolo di tutta
la provincia, si aveva l'impronta dello scisma.
Non diffidasse della bontà sua: verrebbe qui non
ad incontrare un severo giudizio del passato, ma
a sentire la voce del perdono.
La vigilanza della corte romana, e i rim-
proveri di coscienza, convinta dei propri eccessi,
impaurirono Massimo; sì che ricorse a sotterfugi
per sottrarsi alla vista del sommo gerarca. Tentò
ciò dapprima coli' appoggio dell' imperatore Mau-
ri?iio, che si teneva per suo patrocinatore, e dei
sommi dignitarii dello stalo; ma rimandate le
importune supplicazioni, si rivolse alle potenti
famiglie di sua patria, col mezzo delle quali eb-
be esauditi i suoi voti. Ciò non di meno il pon-
tefice volle se ne andasse presso Mariniano ar-
civescovo di Ravenna, dove innanzi all' ara di
sant' Appolinare, alia presenza di Cartono notaio
d^lla chiesa romana, e dell' esarca Callinico, con-
fessando pubblicamente sue colpe, veniva assolto
e reintegrato ne' diritti e privilegi goduti dai suoi
antecessori. Massimo non potè dimenticare le
cortesie ricevute dai personaggi ai quali fu rac-
comandato da Gregorio ; e ritornato a Salona,
gì'inviò una lettera piena di sante emozioni, in
cui si ravvisa tutt' altro uomo, benigno, sobrio,
prudente, cambiato in tutti i suoi abiti.
Tolti i dissapori del sacerdozio, e riamicato
il secolo colla chiesa, Gregorio, per rannodare
maggiormente gli animi e disporli ad opere pro-
ficue, non ommise di visitare cogli scritti i più
pregevoli personaggi della provincia, dall'ope^
rosità e buona armonia de'quali sapeva dipen-
dere la prosperità civile e religiosa. A Sabiniano,
vescovo di Žara, che fu men tardo degli altri
ad accettare i suoi consigli nella sospensione di
Massimo, esprime la sua gratitudine e promette
di assisterlo e aiutarlo in alcuni negozi eccle-
siastici, che il portatore di una sua lettera do-
vea avergli raccomandato a voce. I privilegi che
dai suoi predecessori erano stati concessi a de-
coro della chiesa iadrense e dei suoi prelati, dice,
gli riconfermerebbe tosto che ne fossero indicati.
Intanto, si desse cura di rintracciarne i docu-
menti e di rimetterli quanto prima a Roma. Per
questo probabilmente e pei futuri interessi dei
zaratini mostrava grandissimo desiderio di vedere
Marcello Scolastico, di entrambi amico, uomo di
molta riputazione, il quale parteggiava pure una
volta per Massimo, ed era uno dei più caldi in-
tercessori per la sua riammissione alla cattedra
salonitana.
A compimento delle relazioni nostre colla
santa Sede in una delle piìi fortunate epoche per
il cristianesimo, dobbiamo pure rammentare le
grandi cure e sollecitudini di san Gregorio nel
proteggere e regolare 1' amministrazione del pa-
trimonio ecclesiastico della Dalmazia. Come nei
più delicati affari della chiesa, così in quest'im-
portantissimo ufficio si servì della vigilanza di
persone sperimentate per rettitudine di coscienza:
dal che avveniva che, osservandovisi uno spirito
di carità e di giustizia nel tutelare le pie inten-
zioni dei donatori, A^enissero animati i fedeli a
rispettare ed accrescere il deposito della pietà
nazionale. Non sospetti infondati, ma le frodi sco-
perte, le frodi di qualunque grado elleno fosseroi
trovavano pronta giustizia; sicché vedemmo più
volte sgridati, scambiati, rimossi i collettori, die
non appagavano le sue premure. A Malco, ve-
scovo deimitano, che ne abusò, sostituì Antonio
suddiacono: a questi raccomandò vivamente, com-
mettesse frattanto quell' ufficio a due dignitf'i''|
del clero di Salona, si rassicurasse dei frutti di
queir anno, rendesse conto dei defraudati, e quan-
to prima, senza sentire altre scuse, 1' obbligas^
di portarsi a Roma. Chi è a conoscenza delie i
provvide cure di Gregorio a sostegno degl'in"''
genti, chi ricorda i cotidiani conviti pei pellegr"!''i
gli ordinari sovvenimenti per le numerose
glie cadute in miseria, pegl' infermi; chi cons'-j
dera come fosse solito di porgere ai fan^®"
colle proprie mani una porzione della sua mens^'
e privarsi egli stesso più volte del necessario
limento; come, udita la morte di uno per la ®
me, si astenesse per tre dì dal celebrare il sa»
impertanto nel primo corso ginnasiale, dov'è as-
sai ovvio ed elementare ogn' insegnamento, ca-
pacissimi, dico, di subitamente e bene intendere
la lingua d'istruzione, e di apparare senza ve-
runa difficoltà le lezioni delle prescritte materie.
Aggiungerò poi, che colle popolari illiriche
si porterebbe per converso un gran giovamento
agi' italianati; perchè dovendo essi, secondo gli
ordini superiori, apprendere ne' ginnasii la lingua
nazionale, farebbonsi acconci, in grazia delle a-
quistate cognizioni, d'imprendere issofatto nella
prima classe lo studio delle sue eleganze e delle
proprietà di stile, e quindi il risparmiato tempo
usare singolarmente in cose che abbellano lo spi-
rito, 0 ricercano occupazione di mente più assi-
dua per la scuola cotidiana.
Inoltre colle elementari in lingua illirica si
rimuoverebbe da molti popolani F improvida vo-
glia di frequentare a ogni costo i ginnasii, donde
all' ultimo son forzati di escire impotenti a spen-
dere 0 ad imparare; consumando dappresso gli
sciaurati giorni, perchè vergognosi od abborrenti
le paterne manovali fatiche, in ozio vituperevole,
0, nel miglior caso, trascinandoli mogi fra le
meandriche stucchevolezze di un umile scrittoio^
con danno rilevantissimo dell' agricoltura, prima
fonte della nazionale ricchezza, della navigazione,
delle arti, dei mestieri, dell' industria, del com-
mercio, tanto da noi negletti ! per chi dovrebbe
naturalmente applicarvisi.
Così del pari non risultarebbe danno alcuno
pei figli degli artieri, e gli altri di eguale con-
dizione, che dall' elementari volessero passare
nelle scuole tecniche e reali come si addiman-
dano. Perocché coi bastanti elementi della lingua
italiana che apprenderebbero e con qualche poco
di paziente diligenza potrebbon farsi più che suf-
ficientemente atti àd imparare ed udire le coti-
diane lezioni.
(Continua)
Stefano Paviovicli-Iiucicli.
Sul ]bii§og^iio d'lina leg^g-e
agraria.
(Continuazione e fine del n. 18).
Ma sento già gridarmi la croce addosso per
pronunciate bestemmie legali, forse anche per u-
topie, e sembrami udire il cozzo delle divergenti
opinioni ed il sussulto destatosi; con buona pace
però d'ognuno, mi sia permesso di chiedere a
coloro che trattano cause coloniche: quante e
quante di queste non vengono trattate contro il
loro intimo convincimento, e contro anche la
loro coscienza? Ma fattisi usbergo della ]e-„
la quale non sempre può provvedere a tuttrfe
bisogna, rafforzati dalle futili consuetudini e dai
morti statuti, e più di tutto da' sofismi legali, ciie
l'ingegno umano sa rinvenire, trovano su di ciò
qualche base, e devono operare contro lor vo-
lontà.
Contitmando ad esternare il mio parere, di-
rò: che qualora stabilito fosse l'indennizzo e la
durata del contratto colonico, e fissate le nonne
regolatrici, ed i casi in cui il colono per man-
canze commesse potrebb' essere espulso, nonché
il divieto di poter alienare le azioni laboratorie
ad estranei, quanti vantaggi mai da ciò non si
potrebbero ottenere ? 11 colono presterebbe la di
lui opera con più interesse e diligenza, perchè
maggiore ne sarebbe il di lui vantaggio; i tanti
abusi introdottisi poco a poco scemerebbero per
timore di perdere F aquisito diritto, e la voce del
proprietario, almeno di quelli che sono intelligenti,
sarebbe ben più ascoltata, onde poter introdurre
que' miglioramenti tanto necessari in una provin-
cia, che in materia agraria può dirsi ancor nel-
F infanzia.
A sostegno poi di questa legge, contempo-
ranea dovrebbe sorgere quella che garantisca i
Gianni campestri, pe' quali ben a lungo vennero
accennate le sussistenti piaghe nel precitato ar-
ticolo del n. 13.
Ve n' ha una che a ciò provvede, ma in-
sufficiente al certo ella è. A mio credere, iia
semplice cambiamento potrebbe, almeno pel mo-
mento, gran utile recare. Pronunciata la senten-
za, che spesso alle calende greche viene rimes-
sa, il risarcimento del danno, nel caso in cui gii
autori sono ignoti, viene ripartito fra gF indivi-
dui di quel villaggio ove fu commesso, e que-
sto poi si verifica dopo lo scorrere di molti anni,
e spesso di lustri e lustri. Da ciò ne consegue,
che sebbene la legge sia in sé severa, nessun
effetto consegue per la lentezza dell' esecuzione.
Ma se invece, commesso il danno e constatalo
come d'uso, la stessa commissione, coli'inter-
vento del capovilla, ne facesse immediatamente
la ripartizione, e si esigesse entro quella stessa
giornata il pagamento, da depositarsi però presso
F autorità inquirente fino alla proiezione della
sentenza; non solo ben più efficace si rendereb-
be la legge, ma, certo ne sono, che nella mag-
gior parte dei casi, si verrebbero a conoscere
gli autori, quasi sempre noti a' villici, e li de-
nuncierebbero per non pagare la tangente lor"
assegnata, prestando inoltre più che valida opera
per iscuoprire le tracce ed il corpo del delitto
commessovi, ciò che spesso avverrebbe pi*»'"''
delF esecuzione. Ognuno che conosce F indole del
nostro terrazzano sa quanto efficace sia la pronta
ed immediata punizione d' un delitto.
dei Nachich, Sinobad, Matutinovich, Draganich,
Vidovich, Mircòvicli, Grisogono, e cento altri co-
lonnelli, serdari, vice-serdari ed arainbasè, tutti
di provato valore nelle lotte o coi nemici del
confine o coi malviventi, nelle quali da prodi o
perirono, o restarono feriti, od incolumi vittoriosi
rimasero, e per le quali poi mostrarono, ed al-
cuni ancora mostrano fregiato il petto della me-
daglia del valore o del merito civico.
Essendo stata la Dalmazia nella sua posi-
zione eccezionale colta dall' istituzione dell' i, r.
gendarmeria, colla contemporanea soppressione
della propria gendarmeria nazionale; indispensa-
bilmente eccezionale e diverso da quello delle
altre provincie dell' impero doveva essere 1' ef-
fetto 0 il risultato della medesina nuova istitu-
zione. In fatti, nelle altre provincie, dove do-
veva comparire e comparve come una nuova
provvidenza d' ordine publico, la nuova institu-
zione doveva indispensabilmente risultare anche
utilissima. Ma in Dalmazia, dove pel fatto ed in
sostanza non fu cosa nuova, e non fu che un
rimpiazzamento della gendarmeria nazionale, l'ef-
fetto, 0 per dir meglio l'impressione di tale rim-
piazzamento fu varia, e fu questa. I tristi di o-
pere e d'inclinazioni, che in nessun popolo mai
mancano, e che sono pronti sempre a moltipli-
carsi, della soppressione della forza territoriale
si sono compiaciuti, perchè hanno compreso che
la gendarmeria, non essendo più nazionale, ces-
sava d' essere una potenza, un' interesse, un' o-
nore, ed un freno nazionale ; perchè, compren-
dendo e sapendo che la nuova gendarmeria non
conosceva nè le persone, nè le abitudini, nè i
costumi, nè il terreno, nè la lingua della nazio-
ne, che veniva a tenere e contenere nei limiti
legali, ravvisarono e si fidarono che in tal guisa
restava loro libero il modo a tutte le possibili
illegalità. I tristi dunque esultarono. I buoni poi
e pacifici abitanti (che certamente sono tutte le
popolazioni in generale di qualunque nazione),
per la soppressione della gendarmeria nazionale,
la forza territoriale, si dolsero appunto, perchè
travedevano pur troppo ! soprastanti gli effetti
delle ragioni che formavano la gioia dei tristi;
si dolsero per la morte così subitanea d'un cor-
po già tanto celebre ed utile, ed attaccato alla
storia nazionale.
Nè meno diversa, quantunque scossa da al-
tre idee, fu V impressione nella parte colta e pos-
sidente, e nelle varie magistrature della Dalma-
zia. La generalità di tali persone e dei magi-
strali, ben calcolando che la forza territoriale co-
nosceva il paese, "il paese d'ogni giorno, la ca^
"sa, la vita intima, gli uomini infine; ben co-
^noscèndo che aveva comune la lingua con la
^nazione, e che la lingua è già per sè sola e
"per sé medesima una patria come il paese, e
"separa le nazioni ben meglio che non facciano
"i fiumi e le montagne^, la generalità di tali
persone e dei magistrati, diciamo, vedeva sì con
compiacenza l'istituzione dell' i. r. gendarmeria,
ma con vero interesse patrio e zelo di buon
governo desiderava nel tempo stesso conservata
e regolata la forza territoriale.
Soltanto alcune persone, e mai ne mancano
di quelle che non distinguono molto bene le
cose, e soltanto alcuni magistrati, per lo più fo-
rastieri, quindi ignari della Dalmazia e delle cose
sue, e per ciò compatibili, si mostrarono con-
tenti della soppressione della forza territoriale,
neir idea, come andavan dicendo, che finiranno
i di lei abusi, e che la potenza dell' i. r. gen-
darmeria ridurrà ad ordine inalterato, a quiete
beata il paese.
Vogliamo pur concedere loro che una tale u-
topia fosse in fatti con piena buona fede nel
loro convincimento, ma non possiamo per altro
nè sorpassare, nè menar loro buona la taccia di
abusi riferiti al corpo della forza territoriale. Do-
mandiamo quindi a tutti quelli, che in tal guisa
pensavano, domandiamo pure a tutti gli altri, che
in tal guisa ancora pensassero, che ci dicano,
in grazia, di quali abusi, intendono parlare, cioè
se d' abusi propriamente colposi, e malignamente
dannosi, ovvero d' abusi e meglio sarebbero detti
difetti, che si trovano sempre immedesimati in
ogni opera umana, imperocché niente sulla terra
è perfetto ?
Quanto sia agli abusi della prima specie,
delittuosi, lasciato dall'osservare che prima di
quello esistesse il nostro globo terraqueo dei
colpevoli se ne troTarono perfino in cielo in
quegli angeli i quali poi furono precipitati nel-
l'abisso, e che dei colpevoli sempre, fino a' giorni
nostri, se ne trovano in tutte le classi sociali
dalle più sublimi alle più infime, mandiamo gli
accusatori della forza territoriale alle confutazioni
della storia, e troveranno che in tutta la lun-
ghissima secolare esistenza di tale corpo, quanto
fu esso valoroso ed utile, tanto fu in onestà com-
mendevole, ed onorato spirò; e se nel medesimo
vi fu qualche abuso, ripetiamo meglio difetto, al-
tramente non poteva essere, comecché appunto
umana istituzione; laonde il plaudire alla sua di-
struzione, piuttostochè desiderare la sua conser-
vazione al prezzo delle cure opportune e ne-
cessarie a menomare i suoi difetti, ci sembra in
verità che sappia dell'irragionevole.
Noi non sappiamo se, prima che segu^ la
soppressione della forza territoriale, sia o non
sia stato consultato suU' opportunità di una tale
misura, nè se con acconce indagini si si met-
tesse nella posizione di esternare un' adequata
parere; ma ben conosciamo che il governo, e
;sia ciò a giusta sua lode, onde sad^isfar^' ^Ue
Camera di commercio in Zara.
Gli imbcirazz'i gravi e continui derivanti al ceto
commerciale dalla mancanza d'argento per
soddisfare i diritti doganali, indussero la Ca-
mera di commercio in Zara ad una mozione
verso l'eccelso i. r. Ministero delle finanze,
il cui tenore, gentilmente comunicatoci, noi
publichiamo, affinchè, qualunque siane per es-
sere il risultato (che non mancheremo a suo
tempo di far conoscere') consti la buona no-
lontà palesata dalla Camera stessa nel pro-
vocare una facilitazione, reclamata da tante
lagnanze.
Guidata dalla coscienza che si tratti d'un
bisogno reale, e generalmente sentilo, ed inve-
stita di mansione cosi onorevole qual'è quella
di promuovere dall'alto quelle misure che sono
ritenute necessarie ed utili per il commercio, la
rapportante non può conservarsi indifferente in
presenza di un ordine di cose, sopra il quale ha
inutilmente richiamata 1' nttenzione delle autorità
provinciali.
Allorquando venne qui pubiicata la dispo-
sizione che ordinava il pagamento dei dazi in
moneta effettiva, essa per uno zelo male inteso
di organi inferiori si presentò circondata da u-
n'aureola di mistero, e questo fu uno dei prin-
cipali motivi per cui venne accolta da' commer-
cianti con un certo sentimento di sconforto, di
cui la camera si fece interprete in apposita ri-
mostranza diretta all' eccelso Ministero.
Consci però che i legittimi bisogni dello Stato
debbono stare al di sopra di quelli dei privali,
appena fu conosciuta la legalità di quest' atto, la
camera e i suoi rappresentati s'aquietarono, at-
tendendosi d' altronde che questa misura non
dovesse riuscire in seguito troppo pesante, men-
tre si sperava che sarebbe in breve cessata
quella crisi monetaria, che è a un tempo stesso
causa ed effetto di inconvenienti gravissimi.
La quistione del pagamento dei dazi in
moneta effettiva si risolve adunque in ultima a-
nalisi in quella, di sapere con quali mezzi si
possa arrivare al tanto desideralo pareggio tra
questa e la valuta di banca che circola presso
di no-", accompagnala talvolta da qualche pezzo
di rame coniato.
La saggezza dell'eccelso Ministero,ed i be-
nefici effetti di quelle nuove istituzioni, che fu-
rono non ha guari proclamate, ed a cui neces-
sariamente terranno dietro altre di non minore
importanza, conduranno un giorno alla soluzione
di questo problema. La camera non può arri-
schiarsi di far udire la sua povera voce sopra
tale argomento, che quantunque direltamenle ri-
guardi i suoi rappresentati, pure I9 trascinerebbe
fuori del campo delle sue attribuzioni ; e si li-
miterà per tanto a rilevare gli effetti di questo
<)rdine di cose in relazione alla sopra richiamala
disposizione, affine di provocare un rimedio, che
serva a toglierli od a renderli meno pesanti.
In corrispondenza alla legge organica u-
nisce a tal fine l'estratto del protocollo di se-
duta 5 settembre p. p., nel quale all'atto che
veniva deliberato di innalzare analogo rapporto
ad esso eccelso Ministero furono accennati gli
argomenti che a tale oggetto si riferiscono.
Fu manifestato anzitutto il desiderio, che
venga ristabilito il pagamento dei dazi in carta
monetata senza alcun corrispettivo.
Se la rapportante dovesse insistere unica-
mente sopra questo voto, si potrebbe crederla
sfiduciala nell' avvenire. Bla siccome essa spera
che venga un' altra volta ristabilito l'equilibrio
tra la moneta effettiva e la valuta di banca, e
siccome è certa che quo.sto oggetto forma una
delle principali cure di esso eccelso Ministero,
cosi neir adempiere al conferitole mandato, essa
osa sperare d'altronde in un rimedio radicale,
il quale, fatta sparire l'attuale crisi monetaria,
renda insensibile una disposizione presentemente
tanto gravosa, e conduca a risultati ancor più
vantaggiosi.
È meritevole di riguardo sotto questo rap-
porto, che la concessione del pagamento dei dazi
in carta porterebbe certamente un sollievo, ed
una diminuzione nell' aggio della valuta, special-
mente se fosse estesa a tutto l'Impero, ma non
presenterebbe tulli quei vantaggi, che si risen-
tirebbero come per incanto in tutto il commer-
cio, da un reale pareggio.
Le conseguenze economiche di questo va-
gheggiato ordine di cose sono incontestabili, per
cui la rapportante, abbandonando ogni ulteriore
considerazione in tale riguardo, ritornerà all' og-
getto principale del suo rapporto.
Quantunque non si possa diro che la Dal-
mazia sia troppo aggravala in materia daziaria
in confronto agli altri paesi dell' Impero dopo
' allivazione della nuova tariffa, non di meno
e contribuzioni che aggravano questa pro-
vincia stanno nel loro complesso in una pro-
jorzione, che è forse superiore alle sue forzo
tanto per la entità dell' imporlo, quanto anche
)erchò alcuno fonti di ricchezza nazionale 0 per
un motivo 0 per 1' altro sono affatto trnscurate.
Questa idea g<;neraIo sopra lo slato dello
imposte in Dalmazia potrebbe esser messa in
chiara luce ed esser ferace di conseguenze im-
3orlanlissime. Se non che la camera stabilì que-
sto principio unicamenle come fonte di una illa-
zione, che si riferisce al suo assunto, quella cioè
3er cui un'aumento d' imposta in qualsivoglia
ramo portar deve per conseguenza uno squili-
Cattalinich, St. della Dalm. II, 143). Egli è per
ciò che dello stesso Cresimiro, primo re dei croati,
si legge in qualche diploma rex Croalomm et
Balmatiarum, quasi se il titolo de' croati usato
fosse per le genti e quello delle Dalmazia pel
paese. Il pontefice Alessandro II, scrivendo al
detto re, non dice già regi Croatim^ ma bensì
Dalmaiiarum, ed il Lucio, che lo riferisce, sog-
giugne : more curice romance solito et antiquo...
quo nomine Dalmatiarum, Croatia quoque com-
prehendebatur, et prmter hanc etiam, Servia (lib.
IL cap. XI). Il suggello pure che usava Cresi-
miro, era un re sedente in trono colle parole
intorno: Sigillum regis Cresimeri Dalmatice. Il
mare medesimo, che riceve il nome dalle sue
rive, detto prima illirico, indi adriatico, lo si disse
per ultimo dalmatico, nè mai altrimenti. Di que-
ste prove però non voglion i dalmati farsi pun-
tello a vane pretese, che aprirebbero la via ad
infinite ed inutili discussioni^, ben sapendo eglino
che le storiche ricordanze ponno bensì ora con-
tribuire a vieppiù stringere, per giovamento re-
ciproco, le buone relazioni di vicinato e d'ami-
cizia tra le genti di eguale nazionalità, ma ser-
vire non devono a pretesto di soperchianti pre-
minenze, con violazione di queir integrità terri-
toriale dall' autorità dei secoli avvalorata. — Le
pretese d' un popolo d'ingoiarsi un altro pel solo
motivo d' aver avuto, in lontani tempi, su qualche
parte del di lui suolo quàlche possesso, non può
che parer molto strana, dopo le mille vicissitu-
dini a cui soggiaquero in tale frammezzo e stati
e popoli e dinastìe; e ben gravi sarebbero gli
sconvolgimenti, per la Dalmazia non solo, ma
per tutti benanco i più vasti regni ed imperi, se
richiamar sì volessero agli antichi confini, e se
tutti gli avuti dominatori sorger potessero a far
valere su d' essi le proprie ragioni.
. Ma tiriamo inanzi con gli opponenti nostri,
che a quanto disser finora trovan qualcosa d'ag-
giungere, dicendo: Aggiungi a tutto questo il
diritto unico valevole, cioè, che come allora, così
oggigiorno la Dalmazia per lingua e sangue è croata
perchè oggidì ancora si parla in essa la lingua
nazionale croata. — Da quanto fu dimostrato,
panni evidente che 1 croati nè per popolazione,
nè per signoria, nè per nome preponderassero
mai iieir attuale Dalmazia in guisa, da renderla
una cosa medesima colla Croazia. Molto meno
poi si potrebbe ciò dire oggi, dopo le tante vi-
cissitudini a cui fu la misera patria nostra sog-
getta. E di vero, basta leggere la parte etno-
grafica della Dalmazia descritta dal prof. ab. Car-
rara (fac. 121), per iscorgere la varietà delle
razze viventi sul dalmate suolo. "Determinare l'o-
rigine delle genti nostre (così egli) è tema di
lunghe e severe meditazioni, e, più che non sem-
malagevole. D' ogni popolo, d' ogni stata
dominazione trovo notevoli reliquie. Colonie irre-
che, famiglie romane, germogli di Bisanzio. Su-
gli scogli di Zara i crociati abbandonarono dei
malati francesi; ghibellini esiliali vennero a Zara
ed a Spalato; famiglie di gentiluomini ungheresi
e bossinesi stabilirono il libero comune di Fo-
glizza; cacciali di Spagna trapiantaronsi a Spa-
lato ed a Ragusa; molti veneti e lombardi ca-
larono alle coste e su l'isole. Neil' avvicenda-
mento delle dominazioni franca, croata, bossiiiese.
ungherese, genovese, napolitana, veneta, francese,
tedesca, quante origini forestiere, quante novelle
famiglie I La Dalmazia, per la sua posiziono Io-
grafica, fu mai sempre possedimento ambito e
conteso, barriera contro le furie irrompenti dal-
l' oriente e dal settentrione, salvaguarilia ai pro-
gressi della civilizzazione italiana, porto di sa-.
Iute alle vittime de' politici travolgimenli d' Eu-
ropa. Da ciò v' hanno tuttora fra noi, slavi, i-
taliani, francesi, spagnuoli, ungheresi, bossinesi.
erzegovesi, albanesi, zingani, tedeschi, e svizzeri.
Ciò nulla di meno si possono distinguere le raz-
ze principali tuttora notevoli, e sono : la slava,
l'italiana, la spagnuola e l'albanese,,.
Queste due ultime però non essendo che
tenui frazioni composte d'ebrei esiliali dalla pa-
tria nel dechino del secolo XV, e d'albanesi ri-
coverati presso Zara nei primordii del XVIII,
rimangono, quali due elementi principali, la sla-
va e r italiana. Nella seconda il Carrara mede-
simo riconosce a buon diritto la parte più colta
del regno, ma nell' altra la più numerosa, sic-
come quella che monta a più di 340,000 per-
sone. E soggiugne: "Due epoche storiche, de-
terminate, ricordano le emigrazioni slave nel ter-
ritorio dalmatico. La prima, del VII secolo, è di
que' belo-crobati, detti da Costantino Porfiroge-
nito croati e dall' Helmoldo po-labi che mossero
dalle rive dell'Elba. La seconda tocca appena al
secolo XIV, e si riferisce a quelle genti di Ra-
scia, che dovettero calare in Dalmazia per la
prepotenza de' conti di Bribir e d' Ostrovizza, e
de' Palisna priori di Vrana: dessi abitano in oggi
le parti interne del regno. I morlacchi, che così
s'addomandano questi ultimi senza distinzione di
religione, formano la massima parte de' nostri
slavi,,. — Ecco dunque, come abbiam altrove
notato, non essere i croati nò i soli nè i più
che in Dalmazia portassero 1' elemento slavo : a
ben riflettere anzi, lo migrazioni suddette non
altro in Dalmazia recarono che il nome slavo,
mentre lo slavo elemento v' esisteva già sotto
appellazione difl'erente, se vero è che come i pri-
mitivi abitanti della Dalmazia marittima furono di
origine greca, così quelli della Dalmazia medi-
terranea e della Giapidia furono della stessa o-
rigine scitica, parlarono la lingua od ebbero il
carattere nazionale de' popoli, che col nome di
ad ora seguito: il greco dover servirsi del gre-
co, del latino il Ialino; chè-, uè noi siam greci
nè latini, sibbene fratelli slavi; e d'attenersi in
quella vece al nuovo e più salutare elFato: am-
bidue gli alfabeti son miei e tuoi. Quando noi
avrem fatto ciò; quando avrem distinto la lettera
dal domma; quando lo spirito della religiosa di-
scordia sarà scomparso senza lasciar traccia di
sè; quando non sarà più possibile accorgersi da
quale e per qual relig-ione venne dettato il tal
libro, allora, a malgrado di tutte le discrepanze
in fatto di lingua, il fratello slavone non vorrà
star a lungo in forse di congiungersi strettamente
con noi Non appena tutti e due gli alfabeti
avran gittate ben addentro le radici nella nazio-
ne, presentatasene la congiuntura od il caso, fia
^lieve sbrattarsene d'uno. L'incarnar quanto pri-
ma un tal disegno, l'unico che sia atto a to-
glier di mezzo codesto dualismo tra il latino ed
il greco alfabeto, dipenderà molto da noi
Prima nostra cura pertanto esser dovrebbe non
solo d'introdurre in tutte le nostre scuole la
' lingua nazionale, ma ancora di far apprendere
ai nostri fanciulli nelle scuole popolari tutti e
! due gli alfabeti, e d' addimesticarli colla lettura
e colla scrittura dei caratteri latini e serbi...,,.
Senza voler giudicare se lo spediente pro-
posto dal eh. corrispondente sia o no alto a con-
durre al fme, da lui non meno che da ogni sa-
vio patriotto vivamente bramato, non puossi non
tributargli i dovuti encomi per il peso che egli
sa attribuire a ciascuno di quegli elementi, senza
i quali riuscirebbe impossibile lo svolgimento
della slavo-meridionale letteratura e della sua
civiltà. Di che restammo vie meglio persuasi al
vedere coni' esso nelle seguenti linee raccomandi
pure lo studio non solo del ceko, del polacco
e del russo, ma ancor del glagolito, in cui ab-
biamo le più antiche scritture, ed a cui s' attiene
la più vetusta nazionale illirico-serba letteratura.
Ecco pertanto uno slavo colto ed imparziale
quant' altri mai, che non crede punto necessario
dichiararsi in favore dell'un alfabeto piuttosto che
d' un altro, perchè alla fin fine un solo riesca a
trionfare; laddove secondo taluni (serventisi qual-
che volta di tali organi che meno il dovrebbe-
ro), appena stimerebbesi slavo imparziale e colto
chi non vivesse nella dolce speranza di veder
quando che sia un tal privilegio al solo serbico
riservato !
Io sono ben lungi dal solo supporre che
r coloro, i quali idoleggiano una tale speranza co-
vino ingenerosi ed egoistici intendimenti; con-
fesso anzi di buon grado che 1' ortografia, quale
ora è generalmente fra noi in uso, in spezieltà
^ per quello che riguarda l'accentuazione, reclama
non poche modificazioni. Ma credo senz' altro
d'essere dalia parte dei più, coli' attenermi piut-
tosto air uso fino ad ora seguilo, non altro dai
tempo aspettando, salvo che una legge raigione-
vole, costante ed universale per rispetto aj^li ac-
centi, legge per altro di cui difettano anco i
Serbi. Sarebbe certamente somma ingiustizia ed
ingratitudine il misconoscere i grandi servigi che
ha resi alla letteratura slavo-meridionale quelle-
roica e generosa schiatta consanguinea, la cui
storia sta profondamente scolpita in ogni cuor
slavo, ed i cui canti, de' quali noi dalmati siamo
i coeredi, sono, dice il Tommaseo, una mera-
viglia e di lingua e di stde e di numero e di
poesia, i soli epici che vicuno in Europa, lodati
dal Mickievich ') siccome quelli che fra tutti i
canti de' popoli slavi rammentano i poemi ca~
valereschi e fanno Serbia simile a Catalogna;
canti ammarati e taluno tradotto dal Goethe^
tradotti in inglese dal Bovring (ed ora anche in
francese), noti all' Italia, preziosi a quanti in
Europa sentono la poesia vera. (Vedi Diziona-
rio Estetico, lettera k).
Non dovrebbe però bastare ad onore della
Serbia il veder adottate da tutta quanta la Sla-
via del mezzodì quella lingua e quel dialetto che.
dessa ha comuni colla Dalmazia ? Quanto al suo
alfabeto, ogni slavo istruito si farà un dovere di
renderselo famigliare, non solo per quelle me-
desime ragioni, per le quali gli corre V obbligo
di apparare il glagolito e gli altri slavi idiomi e
dialetti, ma anche per poter intendere quegli scrit-
tori che credessero carità patria il tenersi al ser-
bo, caschi il mondo, come all'unica tavola di
salvezza strettamente avvinghiati. Che poi tale
alfabeto abbia ad essere universalmente adottato,
10 non ci veggo nè necessità, nè giustizia, nè
convenienza.
Non necessità, giacché se 1' uso dell'alfa-
beto latino non ha incagliato il progresso delle
lingue e delle letterature delle altre nazioni ben
più innanzi a noi in civiltà, non c' è motivo a
temere che un tale uso possa recare in ciò dan-
no alla lingua e letteratura nostre. Ila forse Tal-
ffibeto serbico suscitato fra noi i Gondola, i Pai-
motta, i Giorgi, i Vitalich, i Kacich, e cent'altri:
ovvero è stalo lui che ha dato il primo e più
potente impulso a quel movimento che in prò
delle patrie lettere da oltre ad un decennio si
manifesta così vivo ed operoso in Zagabria?
Non giustizia, la quale anzi vuole che, do-
vendosi ridurre ad un solo i vari alfabeti, di tal
primato abbia a godere quel solo che, essendo
11 più semplice ed il più facile, sia in uso ap-
'} Ad ogni collo dalmato dcv' essere conosciuta
la versione italiana che il eh. sig. Pozza ha
dato in luce nel marzo del c. a. del discorso
che il Mickievich leggeva nel collegio francese
in Parigi sui canti popolari illirici.
e
Lo spirito del secolo domanda pace e liberlà.
Principi e uomini di stato ravvisando nei moti
di Europa più presto un pericolo al principio di
autorità, che un grave bisogno sociale, hanno
cercato di ripararvi coi mezzi che stavano in ar-
monia con questo loro modo di vedere; ma questi
mezzi invece partorirono effetto contrario, e le
prove ne sono quelle eruzioni vulcaniche, che
sotto il nome di rivoluzione fanno scuotere e
tremare il suolo europeo.
Ora sta nelle menti di una maggioranza as-
soluta, che r Europa non potrà mai conseguire
la libertà e la pace fino a tanto che non sarà
riconosciuto e garantito il diritto delle naziona-
lità, ora serve, divise e infrante.
Dio svelerà F avvenire. Ma non può tutta-
via negarsi che il mezzo proposto si presenta,
almeno a priori, come il più bello, il migliore,
e forse V unico a raggiungere la meta.
Potrà dirsi altrettanto ravvisando la questione
dal lato pratico ?
Ohimè ! jili è sempre 1' applicazione pratica
il lato più difficile dei progetti giganteschi.
Tuttavia, non apparendo una tale idea di
una realizzazione affatto impossibile, potrebbe ar-
rivare il momento che fosse ridotta ad effetto.
Ma siccome per intanto de'conflitti sarebbero i-
nevitabili, poiché spesso dovrebbero trovarsi di
fronte sentimenti contro sentimenti, e diritti con-
tro diritti, si domanda dietro quali regole si do-
vrà applicare il principio nazionale?— La coscienza
dell'intiera umanità vi da la risposta: Il movi-
mento nazionale dei popoli deve fin dal princi-
pio associarsi alla giustizia, e procedere unito con
lei sempre., fino che il mondo abbia raggiunto il
suo scopo finale, la libertà e la pace.
E difatti, ha la providenza così disposto,
che in tutti i fatti degli uomini o delle nazioni,
siano pure splendidi e sublimi gli scopi che si
vogliono raggiungere, se non vi si riscontra in-
nestato il principio della giustizia, quei fatti sono
condannati da Dio sempre, e dalla coscienza u-
mana quando si sveglia dai suoi spessi assopi-
menti.
Troppo ha l'Europa sofferto pel dispotismo
delle idee assolute, comecché promettitrici di fe-
licità incantevoli.
Quando l'intolleranza accendeva i roghi per
meglio diffondere la fede di Gristo:^^fi^vi un
esempio di rehgione senza giustizia.
Quando i convenzionali del 93, non potend
soggiogare le opinioni, vi facevano in nome della
liberlà troncare le teste: eccovi un esempio della
libertà senza giustizia.
Quando i socialisti del 48 vollero inaugu-^
rare sopra monti di cadaveri i loro sogni insen-
sati per ricondurre 1' Europa alla barbarie primi-
tiva, vi davano l'esempio di una distribuzione
della ricchezza senza giustizia.
Vorrassi ora rinnovare queste orribili espe-
rienze a prò del principio nazionale, separandolo
da quello della giustizia?
Nessuno vorrebbe sopravvivere a tanta ca-
lamità.
Ora analizziamo qualcuno^dei conflitti possibili.
Gli è un fatto che la nazionalità non è
cosa che sia per sé assoluta ed immutabile. Es-
sa, come tutte le umane cose, può nascere, cre-
scere, morire e trasformarsi in altra.
C è bisogno d' esempi ?
La sovrapposizione di tanti popoli, per la
quale ora i vinti assumevano il linguaggio, la re-
ligione ed i costumi del vincitore, ora questo
quello dei vinti, ci esonera di provarlo. Noi sap-
piamo che vi furono nazioni, delle quali non vi
ha oggi vestigio; altre, e grandi, non esistono
più che jiei loro monumenti immortali; mentre
veggiamo ancora sulla faccia dell' Europa nazioni
originarie compatte, nazioni originarie disperse,
nazioni miste, nazioni trasformate, nazioni invia
di trasformazione.
Chiameremo nazioni miste quelle, che nate
da diversa stirpe, si trovano aggregate sopra lo
stesso territorio o sopra il confine di diverso
territorio, parlando ciascuno reciprocamente la
lingua dell' altro.
Trasformate quelle, che per forza di tempo
0 di eventi superiori, hanno perduto l'idioma o-
riginario, creandone un nuovo.
E finalmente in via di trasformazione quelle,
che non intieramente trasformate, pure in una
gran parte delle medesime s'insinuò l'idioma di
una nazione straniera, per influenza di dominio
secolare, di civiltà splendida, di costumi aniabih,
di simpatia, di riconoscenza, divenendo per tal
modo il linguaggio delle città, dei tribunali, del
commercio, dell' istruzione, della letteratura, del-
l' intiero vivere civile.
Non intendesi con questo di fare delle ca-
tegorie scientifiche sullo stato delle nazioni, ma
si desidera soltanto d' essere intesi.
Ora, tutte queste nazioni, sieno esse attual-
mente provincia, regno o impero, il fatto da pren-
dersi in considerazione si é che sono persone
morali, dotate di ragione e di volontà, che han-
no diritti inalienabili, e che sono padrone del pro-
prio destino.
Da ciò ne consegue inoltre, ch'esse hanno
(^diritto ad esistere come a loro meglio piace, co-
me l'interesse o il sentimento glielo suggerisce,!
e quindi ancl^è continuare ad esistere come e-
sistono, ed a rimanere quello che sono.
Ed in una votazione popolare può il raor-
laeco della Dalmazia essere ammesso ad un voto
deliberativo?
Può votare per la nazione chi non ne co-
nosce, nè la storia, nè la posizione, né gli in-
teressi ?
Può votare chi non conosce altro che il
proprio campicello e la propria capanna, non sa
scrivere nè leggere, e non ha spirilo ned inte-
resse nazionale?
Ed essendo ora la Dalmazia passiva al go-
verno, se deliberato venisse dover essa bastare
a se stessa^ prenderà parte la Croazia all' au-
mento delle sue spese?
Quale sarà la lingua del foro, e dell' istru-
zione in Dalmazia?
Sarà la croata, appena compresa in Dalma-
zia; 0 la dalmata, cattivo dialetto; o la boema,
non compresa nella Slavia meridionale; o la ser-r
bica, 0 la polacca?
E tutta la gioventù presente educata nella
lingua italiana, perchè lo stato la ha educata in
quella, perchè dovrà cominciar con altra lingua,
onde guadagnarsi un pane?
E quanti sono che in Dalmazia conoscano
a fondo questa qualsiasi lingua che si vorrà sta-
bilire?
Non son forse pochi nel ceto civile, e nes-
suno nel popolo?
Se il dalmata adunque potrà parlare, scri-
vere, e pensare, in qual lingua dovrà farlo?
(Da Spalalo) T.
Indirizzo al conte Borelli.
La congregazione municipale di Spalato nella
sua tornata del 6 corrente ha deliberato ad u-
nanimi mti di spedire al signor conte Francesco
BofelU il seguente indirizzo :
N. 39.
Iliustiissi'ino Signor Conte !
La Congregazione municipale di Spalato nel-
r accompagnare a Vossignoria Illustrissima due
esemplari della relazione fatta al proprio Consi-
glio riunito nel dì 23 decembre 1860 non può
a meno di manifestare i sensi della più viva ri-
conoscenza e dell'alta stima ond'essa è com-
La relazionef a cui qui s' accenna^ e bella pro-
ta di queW energico e dignitoso linguaggio
con cui le piìi delle Comuni dalmatiche^ al-
V ombra dei propri legali diritti, s'alzarono a
propugnar le ragioni di questa provincia in
momento assai grave, facendo mostra d' una
franchezza e d'una fermezza tanto piti com-
mendevoli^ quanto men solite ad essere ordi-
nariamente vedute.
Red.
presa verso Vossignoria pel franco, intelligente
e dignitoso contegno tenuto nel Consiglio raf-
forzato dell' Impero, e particolarmente nella tor-
nata 26 settembre 1860.
Fino a che Dalmazia potrà gloriarsi di tali
patrocinatori, se pur .sgraziatamente non fossero
molli, la causa del diritto e della giustizia non
sarà, speriamo, perduta. Che se ciò non fosse,
avremo almeno salvato il più dignitoso de' sen-
timenti d' un popolo, la dignità civile.
Voglia, sig. Conte, accogliere di buon grado
i sentimenti nostri, ed avere la certezza che in
qual si fosse incontro la scrivente non saprebbe
scegliere persona che meglio di Vossignoria sa-
pesse farsi interprete de' suoi pensieri, o più de-
gnamente potesse rappresentarla.
Il Podestà
D.r BAJAMONTi
Assessori
degli Alberti
D.r Jllich
D.r Giovannizio.
ISiogralia.
Della vita c delle gesta di Giovanni Alberto Duimio.
Un uomo veramente grande spesso bastò ad
illustrare una intera nazione, non che la città o
famiglia, dalia quale sortì i natali. Molti uomini
di prima sfera, celebri non meno nella politica
che nelle scienze e nelle lettere, ha prodotto
Cattare; ma il solo che ora imprendo a lodare,
è sufficiente a vendicarci della ingiustizia di co-
loro, che vorrebbero porci tra i popoli meno in-
civiliti, e ad ispirare nel tempo medesimo stima
e veneraziane a coloro, che nelle loro memorie
non ci obbliarono. Mi duole però, che le glorie
dei nostri maggiori non si sottrassero dall' oscu-
rità e dall' obblivione per opera di tanti degni
nipoti, che in ogni tempo abbellirono questa città;
e per ciò i nomi grandi e reverendi dei secoli
trascorsi si sanno da pochi, ed i frutti più si^
gnificanti di loro vita sono appena noti agli stessi
letterati di professione, ed a qualche erudito a-
matore delle patrie istorie di que' remoti tempi.
Poiché dunque gli onori resi agli illustri estinti
giovano mirabilmente ad incoraggiamento dei vi-
venti e dei posteri per seguirne l'esempio, ri-
svegliamo r emulazione negli animi di queste cre-
scenti speranze della patria nostra, con gli e-
sempi degli uomini illustri del nostro paese.
Giovanni Alberto naque in Cattare sul prin-
cipio del 1500 dalla famiglia Duimio, o Duimia,
che portava anche 1'altro cognome di GUricich.
Volle provvidenza, che la sua famiglia fosse nè
ricca, nè povera, nè nobile, nè vile, e però re-
spirasse quella beata mediocrità, che non teme
dinanzi l'altare della santa, e ciò per disposi-
zione d'un benemerito testatore, il dei". Luca Gar-
lessich; con die alia pompa sopradescritlà s' ag-
giung-e un benefizio ed un sollievo alla condi-
zione del povero.
Il ... .
Camera di commercio in Zara.
In seguito alla rimostranza di quesla ca-
mera di commereio riportata nel nostro num. 1,
r eccelso Ministero delle finanze dispose verso
i dipendenti uffici daziari ohe i coupons del pre-
stito nazionale dell' anno 1854, la cui scadenza
non sorpassa un anno, siano accettali come ar-
gento nel pagamento dei dazi.
Istoria <leir isÉmo dì ISiiez.
Non vi ha forse in tutta fumana istoria
un' opera tante volte fatta e distrutta quante lo
fu il canale di Suez. E fa d' uopo rimontare ai
primi albori delle tradizioni per discoprirne le
antichissime tracce. I greci ne davano il vanto
a Sesostri (1535 anni av. G. G.), gli Arabi al
primo dei Faraoni ( 300 a. av. G. C.). Uno dei più
autorevoli egiltologhi moderni, sir Gardner Wil-
kinson, sta pel gran Ramesse, Ma l'ingegner Ta-
labot preferisce il testo di Erodoto, secondo il
quale gli antichi Egizii attribuivano i primi lavori
per la canalizzazione del Nilo a Necao, figlio
di Psammetico, quello stesso che ordinò il pe-
riplo dell'Africa ai Fenici navigatori. Secondo
il padre degli storici, 1' opera incominciata da
quel principe venne compiuta da Dario, figlio
d'Istaspe (510 anni av. T èra volgare). Quel
canale metteva il Mediterraneo in comunicazione
col Mar Rosso per mezzo dell' aque del Nilo, da
cui derivava un poco a monte di Rubaste, ed
avea una lunghezza di quattro giornate di na-
vigazione, ed una larghezza capace di due tri-
remi di fronte.
Ma il canale dei Faraoni scomparve sotto
alle sabbie, alle cui invasioni la poco provvida
civiltà d'allora non avea saputo opporre suffi-
cienti ripari. Tolomeo Filadelfo lo riaprì e lo
ampliò, secondo afferma positivamente Strabene,
circa 260 anni av. G. C. Se non che f opera
dei Lagidi fu anch' essa inghiottita dalle mobili
dune. Roma, che conquistando inciviliva, raccolse
il nobile pensiero che sembrano essersi trasmessi
in retaggio lutti gli occupatori dell' Egitto. Tra-
jano, 0 pili probabilmente Adriano, fece aprire un
nuovo canale che staccavasi dal Nilo presso la
Rabilonia Egizia (il Cairo), per andarsi a riunire
ai vestigi dell' antico, vicino a Farbetis (Belbeis},
120 0 130 anni av. G. C.
Tutti questi canali però non faceano che
mettere in comunicazione il Nilo col Mar Rosso;
e dalla parte del Mediterraneo lasciavano sussi-
stere come sola via navigabile il fiume, sottopo-
nendo quindi le relazioni ed i trasporti a tulle
le irregolarità che risultano dalf alzarsi ed ab-
bassarsi periodico delle aque del Nilo. Nessuno
ancora avea saputo concepire il pensiero di a-
prire una via diretta fra i due mari. Primo a
formarne il disegno fu Amru, il generale spedito
dal Califo Omar alla conquista delf Egitto, ed al
quale una tradizione, che tutto fa credere erro-
nea, attribuiva f incendio della biblioteca di A-
lessnndria. Ma il vicario del i'rofela si oppose
air ardito consiglio, per tema di aprire ai cri-
stiani f ingresso dell'Arabia, e di compromettere
le città sante della Mecca e di Medina. Ed Amru
dovette limitarsi a rifare 1' antico canale di de-
rivazione (625 o più probabilmente 639 deU'èra
volgare).
1/ opera degli Arabi, al par di quella dei
predecessori, soggiaque all'irruzione delle sabbie;
e nella notte del Medio-Evo nessuno pensò cer-
tamente a rinnovarla.
Il primo che, fra'moderni, manifestasse l'i-
dea di ristabilire una comunicazione tra i due
mari, fu il più gran filosofo del secolo XV^If, e
la mente più uni\ersale che sia da Aristotele in
poi comparsa sulla terra, Guglielmo Leibniz, che
dalle più sottili astrattezze della niotalisica e del
calcolo sapea discendere alle più pratiche appli-
cazioni della politica e del commercio. Egli scrisse
a Luigi XIV una lettera, nella quale caldamente
10 invitava a riaprire il canale di Suez. Ma quel
monarca preferì la dubbia gloria di continue e
per lo più ingiustissime guerre, a quella di ar-
recare alf umanità un verace e durevole bene-
fizio. Per colai guisa il consijrlio del pensatore
alemanno cadde in oblio lino ai tempi di Napo-
leone il grande; il quale, vinti i Mamelucchi ai
piedi delle Piramidi e soggiogato l'Egitto, ordi-
nò che s'intraprendessero gli studi della cana-
lizzazione. Uomini dotti, appartenenli alla spedi-
zione, si diedero ni lavori geodetici; e quando
11 generale abbandonò di soppiatto le sponde e-
gizie per venire in Francia a far buon viso alla
consolare fortuna, lasciò a Kleher f incarico di
mandare ad esecuzione il gigantesco progetto.
Ma il pugnalo di Suleiman troncò poco dopo la
vita al rivale di Desaix, e un nuovo mezzo se-
colo ritardò il compimento delfulile impresa.
Quindici anni or sono, un francese di chiaro
nome, il sig. Eiifantiii, formò una società collo
scopo di compiere coi più perfezionati metodi
della moderna scienza dell'ingegnere gli studi,
onde proporre al mondo un progetto che mo-
strasse ad un tempo futilità e la possibilità del-
l'impresa. La società fu divisa in tre squadre;