LA PALESTRA
EDITOEE E DIRETTORE RESPONSABILE
S. FERRARI-CUPILU
Anno II. — 12. PUBBLICAZIONE BIMENSILE Zara, 15 Settembre 1879.
in Zara.
(Cont. V. precedente).
V. Sanmicìieli.
I Wel 1470 i Zaratinì ricercavano al Senato
di proseguire la fortificazione della città, e
sopratutto „d'infortir lo canton de san Marco
(cittadella) cum lo torrion". Nel 1472 asse-
gnati venivano cinquecento ducati prò ab-
solutione barbacani et turrionis. Ma il mag-
gior fervore della Repubblica per le costru-
zioni militari fu nel seguente secolo XVI, in
cui gli avanzamenti dell'ottomana potenza
consigliarono il Senato a moltiplicar premure
ond' agguerrire le finitime piazze del Levante
e della Dalmazia, valendosi all'uopo di Mi-
chele Sanmicheli, ingegnere e architetto clas-
sico. Il meglio perciò anche delle fortifi-
'3 Da una ducale del 1525 si rilevano le continue
istanze dei zaratini perchè sia provisto „sine aliqua
dimora munire et fortificar Zara con quelli gagliardi
bastioni e cavalieri li dove ricerca il bisogno della
città, considerata temporum qualitate" e il senato ri-
spondeva d' avere già spedito Malatesta Baglione per
bene considerare e disegnar l'occorrente e d' aver pure
inviato buona somma di denari, promettendo che pre-
cazioni di Zara è opera di quel secolo, ed
una buona parte ne fu eretta colla scorta di
quel celeberrimo, che si condusse qui a tal
effetto, e che dovendosi poi altrove portar
per le bisogne pubbliche, ne lasciò l'esecu-
zione a Giangirolamo suo nipote, architetto
pur esso eccellente. Fra le altre cose, venne
allora demolita l'antica porta della città, eh' e-
sisteva, come abbiam detto, sull 'attuale campo
dei cinque pozzi, ed allargata la cinta delle
mui^a, l'altra magnifica porta fu costruita
(1543), nella quale pure l'artefice volle con-
servare il trino ingresso che come dicemmo
è probabile aver avuto la porta antica. Di-
strutta questa anche le torri inutili nel nuovo
sistema fortificatorio, vennero demolite, per
sostituirvi đi que' bastioni che sul modello
appunto delle torri pentagone, vuoisi che
fossero dal Sanmicheli inventati. Nel mede-
simo tempo si pretende che abbia esso im-
maginato anche la grande nostra cisterna,
detta dei cinque pozzi, dalle cinque apper-
ture che servono peli'estrazione dell'acqua.
Il vero è però, che tali pozzi vennero co-
strtiiti da Alvise Grimani il quale fu prov-
veditor generale in Dalmazia negli anni 1573-
74, e che il Sanmichieli era già morto fino
sto farebbe dar principio all' opera e manderebbe a
sorvegliarle „uno sufficiente ingenier". L'ingegnere fu
il veronese Michele Sanmicheli uomo di classica va-
lentia in questo genere.
prietà feudali; i quali enti posteriormente,
cioè sotto il governo francese e sotto il
secondo austriaco, vi furono pure compresi.
Tale decima in natura teneva il luogo di una
imposta prediale in contanti sopra terreni,
che air atto della cessione erano stati distri-
buiti gratis dal veneto governo alle famiglie
morlacche.
Tale imposizione non era per sè gravosa;
ma il modo della riscossione la rendeva insop-
portabile e dava pretesto ad un'infinità di abu-
si, che ridondavano tutti a vantaggio dei ma-
gistrati e degli appaltatori, e a danno dei
contribuenti. Il veneto governo non usava
amministrarla per contro proprio ; ma, come
era costume, la dava in appalto a privati
anche per vari anni consecutivi. L'appalta-
tore (ahhoccaclor) era per solito qualche do-
vizioso veneto patrizio, non essendoci in pro-
vincia dalmati tanto ricchi, da sobbarcarsi
ad un' impresa, in cui il solo governo in
termine medio percepiva fior. 100,000 al-
l'anno. Avveniva però che Vahhoccador ve-
neto subaffittasse ad altri dalmati alcune parti
di questa decima; il che per molte famiglie
della Dalmazia fu l'unica sorgente di vera
ricchezza. E chiaro che il contadino dipen-
deva dall'indole più o meno interessata o
liberale dell'appaltatore, dei subconduttori e
degli agenti in genere. Ma quando si rifletta,
che l'appaltatore si assicurava l'aggiudica-
zione dell'impresa regalando dì provveditore
generale qualche centinaio di zecchini, che
sui subconduttori egli cercava di guadagnare
e che gli agenti non erano fior di galantuo-
mini : sarà naturale il supporre che le spese
di tutto questo mercimonio andavano a ca-
rico del povero villano. Difatti bisognava che
l'appaltatore ed i subconduttori ci approfit-
tassero, prima per poter avere un utile sul
capitale arrischiato, da consegnarsi al governo,
e poi per pagare tutta la quantità di gente,
impiegata nella descrizione dei seminati e nella
stima dei raccolti. Va da se poi che tutti
') Verso la fine del 1809 la Dalmazia, staccata da!
regno A' Italia, entrò nel nesso delle provincia illiriche,
governate da un maresciallo francese.
costoro, che senza alcun controllo da parte
del governo erano giudici in causa propria,
cercassero d'ingannare il contadino e nella
stima e nelle misure, esigessero con pegnore
ed anche colla forza territoriale i loro con-
tingenti, ed. avessero sempre ragione nel loro
operato.
Sotto la prima dominazione austriaca
r esazione di questa imposta in natura ri-
mase immutata in principio, cangiò soltanto
rispetto al modo, perchè il governo incomin-
ciò a riscuoterla per conto proprio. Un puh-
blico descrittore dovea, mietuta e ridotta la
messe in granice (fascio di tredici covoni di
grano), levare la decima di tutta la massa. Tal
decima dovea essere condotta all'aia del su-
basse, (capovilla), talvolta distante due o tre
miglia, a spese del contribuente. Misurato il
grano battuto e presane nota, il coltivatore
se lo dovea riportare a casa, per poi tra-
durlo a tempo debito, sempre a spese proprie,
nei pubblici magazzini, posti nelle città li-
torane, e perciò lontani dalla sua villa fino
a un giorno e mezzo di cammino. Questo
nuovo sistema, oltre gl'inconvenienti del pri-
mo, portava seco perdita di tempo, lentezza
e difficoltà nei trasporti, danni emergenti e
lucri cessanti per i contadini, che doveano
condurre le loro decime alle città. Inoltre,
non potendo essi battere i loi-o grani, finche
non fosse battuta la decima sull' aia del su-
basse, avveniva che il loro raccolto patisse,
stando esposto ad ogni evenienza di buon o
cattivo tempo, che fosse. Di più l'infedeltà
dei misuratori nei pubblici magazzini era
divenuta proverbiale. Supponendo che il con-
tingente decimale di Tizio avesse importato
quaranta misure di grano, egli p. e. ne ca-
ricava sui suoi cavalli quarantasei, per po-
tere col soprapiù, che contava di vendere in
città, supplire alle spese di viaggio ed acqui-
starsi gli oggetti di prima necessità. Cosa
gli avveniva ? Ei vedeva attonito tutte le sue
quarantasei misure venire ingoiate dall'infe-
dele misura del magazzino pubblico ! Questa
ladroneria giungeva talvolta al segno, che
malgrado la giunta alla decima il villano
naria celebrità presso il popolo. Il quale
rozzo ed avido, com'è sempre, del maravi-
glioso, non è a dire di quanto di quelle
frasche si dilettasse, e quale trovasse in loro
ampio campo da esercitare la sua immagi-
nazione. Da qui nacque, fra le altre cose,
che il nome di questi eroi straordinari ap-
plicato venisse anche a qualche straordinario
monumento ; onde troviamo 1' anfiteatro di
Pola nominato casa d' Orlando, ed Orlando
troviamo pure appellate certe goffe statue di
guerrieri, com' è una tuttora esistente in
Ragusa. Che se ciò avveniva d'alcuni oggetti,
soltanto per una altrui capricciosa allusione,
molto pili avvenire dovea laddove i romanzi
stessi porgevano qualche appicco. Nessuno, a
cagion d'esempio, naviga per Durazzo, senza
che i marinai gli additino una vecchia torre
che dicesi di Guerin Meschino-^ ma siccome
la città di Durazzo negli stravaganti fasti
di quell'eroe ha molta parte, così nulla di
più naturale il trovare ivi anche un edifizio
del di lui nome segnato. Consimile è il caso
nostro. Nei Reali, parlavasi d'una torre, ed
una torre in Zara esisteva, la quale, dopo
cangiato il sistema delle fortificazioni, rima-
sta era là sola sola, come un arnese fuor d'uso
ed un oggetto di curiosità più che altro.
La Sinella dei Reali, dove questa torre sor-
geva, era nella Schiavonia, e tutti già sanno che
dagl'Italiani Schiavonia la Dalmazia e Schia-
voni i Dalmati s'appellassero. Era essa inoltre,
come la nostra, città sul mare, città murata, e
nel parlare di essa frammischiate si vedevano
la Croazia, l'Ungheria, la Bossina Ragusa,
r Adriatico e la Dalmazia stessa, nomi tutti che
hanno con Zara tante geografico-storiche pa-
rentele. Qual maraviglia quindi che taluno,
sapendo quante vicende agitarono i vari paesi,
e quali cangiamenti subirono anche nei nomi,
senza investigar d'avvantaggio, abbia potuto
pensare che ivi di Zara si favellasse, eh' ella
realmente si chiamasse una volta Sinella, e
che la sua fosse quella torre medesima in
cui fu Buovo rinchiuso ? E com' egli pensato,
così altri l'avrà ripetuto, altri scritto, e da
una bocca nell'altra, da una all'altra gene-
razione sarà passato nel modo solito di tutte
le favole popolari. — Ma dalla region delle
favole alle triste realità della vita il botto
richiamaci d' una campana... Porgiamo ad
essa l'orecchio.
IX. La campana.
Rimasta in piedi, come vedemmo, nello
smantellamento delle altre, la torre nostra,
i veneti governanti si presero cura della sua
conservazione, e giacché s'era resa inservi-
bile agli usi fortificatori, si pensarono di farla
servire a qualche altra cosa. Fu essa dunque,
al dir d' una cronaca, nel 1684 da Lorenzo
Donato provveditor generale ristaurata, il sot-
terraneo suo destinato per carcere di malfat-
tori ed il culmine per dar segni d'allegrezza
0 di tristezza alla città; al qual effetto, le-
vata la sua primitiva copertura di legnami
e di tegole, vi fu alzata una cupola, entro
cui venne posta una gran campana, pel ma-
nuale suono delle ore diurne e notturne, e
per dare avviso al popolo in caso di qualche
repentino bisogno. Questa campana fu riget-
tata Tanno 1692 e con rito ecclesiastico be-
nedetta dall'arcivescovo Vittorio Friuli. In
tal modo per lungo tempo servì la torre da
orologio pubblico a benefizio della città, che
altro allora non ne aveva, fuori di quello
posto nel 1555 dall'arcivescovo Muzio Calini
sopra la chiesa di santa Barbara, per comodo
specialmente della cattedrale vicina.
X. Il vaticinio.
Non ai soli astronomi è dato di metter
gli occhi neir avvenire. Dei poeti eziandio
egli è privilegio, i quali per ciò portano
anche il nome di vati. Parecchi esempì la
storia letteraria ce n' offre, ma notabile, fra
gli altri, è quel terzetto che volgea l'Ala-
manni a Venezia :
Se non cangi pensìer. l'un secol solo
Non conterà sopra il millesim' anno,
Tua libertà, che va fuggendo a volo.
si svolge entro alle pareti domestiche, sulla
piazza ed in chiesa, una impressione meno
sfumata. Ma questo non è che un saggio, il
che ci ripromette fra breve degli ulteriori
bozzetti da parte del signor Casati, tanto più
che già a quest'ora altre scene non meno
interessanti videro la luce nel succitato pe-
riodico; il pubblico non può far loro il viso
dell' arme, ed il signor Casati va incoraggiato
a continuare.
XI presente e il passato di Bosnia« Eì^rze-
grovina e Albania, terre della Bialniazia
romana — Studi di Donato Fabianich dei Minori
Osservanti — Zara Vitaliani e Jankovié, 1879 —
un voL in 16» di pag. 288.
Il padre Donato Fabianich, uno dei pochi
francescani della nostra provincia che porti
lustro al proprio Ordine colla sua attività
letteraria, non ha deposto ancora la penna,
nè ha abbandonato i suoi studi prediletti.
Dopo la pubblicazione di vari volumi, coi
quali illustrò la storia della nostra patria, le
opere d'arte che l'adornano e le memorie
di questa francescana provincia, ha voluto
regalarci il presente volume, nel quale a
larghi tratti espone la storia politica e reli-
giosa delle terre teste annesse all'Austria
per il trattato di Berlino.
11 suo scritto si divide in tre parti: epoca
slava — epoca maomettana — i frati minori
nelle terre slave. Mentre le due ultime parti
meritano lode per la loro esattezza storica
e per le notizie peregrine che ci offrono, non
possiamo dire lo stesso della prima parte,
la quale è sbagliata nel concetto e nel suo
sviluppo.
Non comprendiamo come si ,"possa chia-
mare epoca slava quella che tratta della
Dalmazia prima dei harhari^ del dominio dei
Goti e della discesa degli Avari. Noi cre-
diamo che quest' errore derivi dall' avere iden-
tificato, come facevano i nostri antichi, gli
Illirì cogli Slavi; infatti a pag. 15 troviamo
citato un passo di Scimno Ohio, per conva-
lidare il nome di pii, giusti ed ospitali, che
r autore vuol dare agli Slavi. Non occorre
qui dimostrare l'erroneità di quest' opinione,
della quale si ebbe già occasione di scrivere
altra volta in questo stesso periodico.
Una storia impossibile è poi quella del
dominio dei Goti in Dalmazia, quale ce la
dà r autore nei capitoli : regno di Ostroillo
e caduta della dinastia d^ Ostroillo. Quan-
tunque non vengano ivi citate le fonti, pure
dal contenuto possiamo arguire che l'autore
deve aver attinto o direttamente oppure in-
direttamente ai due nostri vecchi cronacisti :
Presbyteri Dìocleatis Regmm Slavorum
e Marci Maruli Regnum Dalmatiae et
Croatiae gesta. Quanta fede si possa prestare
a questi due scrittori, ce l'ha dimostrato già
il Lucio, che ne ha fatto la critica. E poi
come si fa, parlando dei Goti, a basarsi su
cronache informi e zeppe di errori, e tra-
scurare le fonti principali, quali sono Pro-
copio e Jornandes? Ma di ciò abbiamo di-
scorso altra volta, e per non tornare a cose
fritte e rifritte, rimandiamo l'autore alla
prima annata di questo periodico.
Se questa prima parte fosse stata assolta
coir aiuto di opere critiche recenti e con
vedute nuove, si assicuri l'egregio autore
eh' egli avrebbe fatto un buon libro.
Punge r un., T altro resta, e il tutlo mio,
Or va passando e con lui passo anch'io.
però anche questi versi:
de l'infìVmniata terra
di Masaniello, tu m' adombri i tersi
orizzonti, le baie, la prgfnsa
armonia de la luce e dei colori . . .
ci sembrano un'esagerazione, poetica perdo-
nabile però sempre nel Fichert cui Trieste
fu quasi una seconda patria. ')
Andiamo avanti:
Invero i' arte ti sorride appena
0 simpatica terra
Non so che cosa ne diranno in proposito i
signori Triestini: avesse detto sorridea, ma
anche allora ci sarebbe stato da discorrerci
sopra.
E già che il Fichert aveva toccato dei
due morti poeti Gazzoletti e Dall'Ongaro,
perchè lasciare il vivente Giuseppe Revere
che, quantunque d'origine istriana^ fece parlare
di sè il Camerini che lo disse maestro di
stile--) e più indietro: Bisogna esser nato
sul mare a poter comprende?'i'- e partecipare
il lirismo di Revere: — ma non cito Raf-
faello Barbiera ed altri che parlarono di
lai, citerò solo — e a proposito dell' arte detta
bambina — un Sogliani pure vivente, il Rota, i
Petrovich, nella melodrammatica, senza par-
lare degli scultori o dei pittori che pure illu-
strano r adriatica Napoli col loro nome.
E poi dove sono: Somma, Capparozzo, Ta-
gliapietra, Luzzatto, Kohen ed altri?..
Passiamo alla parte terza del I canto.
Il Barbiera nel suo lavoro snl Fichert cita, e ben
a proposito, i seguenti versi dell'autore, versi che io
qui trascrivo:
Dalmazia,
Terra di forti poveri, cui Dio
Dopo l'itale pompe e il greco riso.
Quasi a riposo d' un' intensa idea,
Creò seconda sull' istesso mare,
Al sol, neir aere istesso.
E. Camerini — Profili letterari pag. 354 —
Barbera. 1870,
Nuove impressioni letterarie Torino, 1879.
") Vedi Lib. e Lavoro N. 17-18 di quest'annata.
Ersilia narra a Pellegrina, madre di Al-
berto, la lieta nuova che il figlio suo, e ri-
spettivamente sposo di Ersilia, è vivo : lo ha
appreso testé da un reduce ferito: Ersilia è
orfana ed un crudo tutore la persegue: già
i tutori 0 amano le pupille come Don Bartolo
o le perseguitano come... il vecchio tutore
del canto di Fichert che, oltre d'esser :
secondo
padre
piti che padre esser vorrebbe.
Però l'assidua sorveglianza dell'arco teuto-
nico ebbe uno strappo, ed Ersilia trapunge
di notte un astuccio a ricamo, pensando al
suo Alberto. La madre invece di notte :
sciupa gii occhi per lui
ed ha messo in serbo un ginizzolo modesto
da inviare al figlio:
onde la scabra
camicia del soldato non offenda
di quel viscere ... le intatte carni
Delicati sentimenti e peregrini : le due donne
si baciano amorevolmente ed Ersilia parte,
(il vecchio dormiva forse) lasciando sola la
buona madre.
E tutta una pagina felice di versi af-
fettuosi.
Pellegrina è trambasciata da brutti ricordi:
Sposa ad un siciliano :
a r aitar del suo san Giusto
ella scambiò una tenera promessa
le fu giocoforza vederlo partire pella guerra
che Italia ed Austria dilaniò al tempo in cui
Garibaldi capitanava i mille di Marsala: il
consorte soccombette ed ella:
Vesti a bruno
ed acquetò degli orfani i vagiti.
poi spogliata, da perfidi tranelli, del censo
avito, perdè, poco dopo, due figliuoletti.
LA PALESTRA
EDITOKE E DIRETTORE RESPONSABILE
S. FERRARI-CUPILLI
Anno IL — N.« 18. PUBBLICAZIONE BIMENSILE Zara, 15 Dicembre 1879.
(Cont. vedi N.« 13).
a perchè, domanderà giustamente
^ILtaluno, i vari governi che si succe-
dettero in Dalmazia, conservarono
questo sistema d'imposta, causa di
inceppamento all'amministrazione pubblica,
sommamente dannoso all'economia dei con-
tribuenti e per molti riguardi ingiusto? C'è
eguaglianza d'imposizione, quando si obbli-
gano i contadini a portare essi la decima al
litorale, così che ai vicini ciò riesce appena
un lieve incomodo ed ai lontani sproporzio-
natamente più dannoso alla domestica eco-
nomia ? Si paga realmente il decimo, quando
si pensa che questo decimo è quello del pro-
dotto lordo, che ha seco non solo la semente,
ma il valore ancora di tante anticipazioni si
di lavori che di cose in una pjovincia ove
scarseggia ed è carissima la mano d'opera,
ove si semina molto e si raccoglie poco per
difetto d'intelligenza? Questo decimo, così
calcolato, non diventa forse il cinquanta per
cento del prodotto netto?
Vari furono gli ostacoli, che si opposero
all'attivazione di una prediale in contanti.
Prima di tutto mancava sempre il catasto
— ne alcun governo si sentiva così salda-
mente radicato in questa provincia, da sob-
barcarsi a tale gigantesca impresa di nume-
rare i terreni e classificarli. In secondo luogo
non essendovi traccia di commercio e d'in-
dustria nella maggior parte delle ville con-
tinentali, ne veniva di conseguenza che vi
dovesse pur mancare ogni specie di moneta.
Per cui, ammesso anche che un governo aves-
se cangiata la decima in natura in imposte
a contanti, il contadino sarebbe stato pur sem-
pre costretto a caricare il suo grano sopra
i suoi animali, venire al litorale, venderlo,
e poi colla somma ricavata soddisfare all'im-
posta. Ecco adunque che il contadino per-
deva sempre il suo tempo, e per di più do-
vea stare a discrezione di pochi monopolisti,
i quali avrebbergli forse comperato per una
metà 0 per due terzi di meno quella quan-
tità di grano, eon cui egli avrebbe potuto
soddisfare al pubblico erario.
L'unico progetto, atto ad animare l'agri-
coltura, accrescere la popolazione, risvegliare
il commercio e l'industria, e convertire la
sterilita provincia in un piccolo florido regno
fu quello di Vincenzo Dandolo, uno dei pochi
uomini benemeriti, di cui con riconoscenza
ancor si ricordano i dalmati. Propose egli
l'abolizione per trent'anni di ogni decima
e di ogni sorta di prediale. Peccato che an-