missa e ripresero il largo sulle loro navi
(13 giugno).
Ad onta di tutti questi insuccessi di fronte
alle armi francesi ed italiane, i Russi non
aveano smesso l'idea-di conquistare un punto
qualunque sul continente. Per cui si dires-
sero verso il Primorie di Macarsca, dove
aveano già delle intelligenze cogli abitanti di
Podgora e Drasnize. Ma una colonna di circa
3000 francesi, comandati dal generale Del-
zons, li teneva d'occhio dall'alto dei monti,
onde così avere il vantaggio della posizione
e non essere esposto al fuoco delle navi
nemiche. Ai 16 giugno mille Russi circa
sbarcarono presso Podgora ed insieme ad
alcune centinaia di villici s'avanzarono in
una piccola pianura presso Staza, dove sta-
vano schierati i Francesi. Il combattimento
incominciò con alcune fucilate, e presto fu
deciso con un attacco alla baionetta dell'11.o
reg., per il quale e Russi e villici fuggirono
rapidamente verso il mare, dove sotto la
protezione delle artiglierie della flotta ritor-
narono a bordo dei loro legni. In questa
fazione i Russi perdettero circa 200 uomini
e 30 prigionieri ; i villici ebbero delle per-
dite maggiori ed anche quelle dei Francesi
non furono indifferenti, annoverando essi tra
i morti due ufficiali dell'11.o reg.
Anche in quest' occasione la punizione con-
tro i ribelli fu terribile. I due villaggi in-
sorti furono prima saccheggiati e poi dati
alle fiamme ! E tutte le persone sospette che
erano cadute in mano dei soldati furono
mandate a Spalato, per essere giudicate da
un tribunale militare. Ma di ciò in seguito.
Mentre tali fatti succededano in Dalmazia,
era già stato firmato tra Napoleone e l'im-
peratore Alessandro un armistizio, che fini
poi colla pace di Tilsit (8 luglio), per la
quale le Bocche di Cattaro doveano essere
rimesse in mano dei Francesi. Delle feste
grandiose furono fatte in tutta la provincia
in occasione di questa pace! Dirò solo di
quelle, di cui fui testimonio a Zara. L' 11
luglio, quando giunse la notizia della pace,
si suonarono le campane a festa e si spara-
rono i cannoni. Alla sera nel teatro illumi-
nato a giorno si lessero i trattati e fu tenuto
un discorso allusivo alla circostanza. Il giorno
15 agosto, in cui cade l'onomastico dell'im-
peratore, s'incominciarono le feste con una
messa di parata, si continuarono con un
sontuoso banchetto alla Provveditoria e si
chiusero alla sera con una rappresentazione
di gala al teatro, in cui si diede lo spetta-
colo: Alessandro vincitore delle Indie, ter-
minando coli'apparizione di un tempio della
Gloria. Nel giorno susseguente di domenica,
una sterminata quantità di popolo, raccolto
in Spianata, vide elevarsi al cielo un pallone
areostatico che portava un altro tempio della
Gloria. Venuta la sera si accesero dei ma-
gnifici fuochi artificiali, a cui si degnò assi-
stere anche la luna in tutto lo splendore dei
suoi raggi. Rientrato il popolo in città, la
trovò tutta illuminata, ed in Piazza dei Si-
gnori ammirò un' alta guglia adorna degli
stemmi imperiali e di figure allusive colla
iscrizione :
ALL'INCOMPARABILE SUO SOVRANO
NAPOLEONE IL GRANDE
PIO FELICE AUGUSTO
ITALIC. EGIZ. AUSTR. PRUSS.
AUTOR DI PACE
LA FEDELISSIMA RICONOSCENTE
CITTÀ DI ZARA.
Ai 12 d'agosto 1807 il generale Lauriston
era entrato alle Bocche di Cattaro ed i Russi
n'erano sortiti. Cosi tutta la provincia fu
unita ai regno d'Italia.
Fine delia prima parte.
tezza d'arte non lo abbiano condotto, ren-
dendo care agli ocelli dei lettori quelle fi-
gure, ad un lato opposto del cammino pre-
fissosi.
Il Carducci stesso desidera che il Guer-
rini „si allarghi fuor del genere voluttuario",
perchè riconosce che questo è il suo scoglio.
E in questo scoglio incapparono la mag-
gior parte dei numerosi seguaci di lui: essi
non presero che questo lato cattivo della poe-
sia del Guerrini, e fecero sinonimi realismo
ed oscenità, proclamarono la libertà e since-
cerità dell' arte, e la loro libertà e sincerità
si può chiamare impudenza. Se il Guerrini
trascese, egli non è uomo peraltro da im-
mergersi nel fango, come fecero i suoi se-
guaci. Questa, io credo, è la sua opinione:
tutto dev' essere oggetto dell' arte ; ella è il-
limitata ed universale, e se la bruttura si
presenta a'suoi occhi, essa non deve rifug-
girne, ma toccarla e trattarla, non però in
modo da uscirne insozzata. — E vero che
talvolta qualche pillachera dì fango viene ad
imbrattarne le vesti, ma chi dirà per ciò che
ella si diletti del fango, che non abbia nes-
sun altro scopo che il fango?
Invece, moltissimi fra gl' imitatori del
Guerrini mi fanno l'effetto di quei fanciulli
che vogliono parer grandi, e che perciò fu-
mano tutto il giorno, bestemmiano, dicono
parole sconcie, si atteggiano ad uomini seri,
parlano con nessun rispetto di qualunque cosa
più rispettabile, ed hanno sempre sulle lab-
bra un sorriso sardonico.
{Continua).
TìLoutatwò.
(Dal vero.)
n briaco s'affaccia all' osteria :
Compare, senti, sporgimi il boccale,
Già quel minchione che conducon via
Più non ne trinca ; è ver sor caporale ?
E il crocchio di donnette a un crocevia:
Per un soldato là, vedi che gale;
Noi, due moccoli e un cristo... — Per la via
Intanto passa lento il funerale.
Oh povero soldato, al tuo passaggio
Non odo una parola di compianto,
Solo il ghigno, lo scherno e la burletta;
E nessun pensa che al natio villaggio.
Mentre tu scendi freddo in camposanto,
C è una povera madre che t'aspetta.
Gennaio 18T9.
f.
MEMORIE D'ILLUSTRI E BENEMERITI
DALMATI.
Patriae
Scribere jussit amor.
Ovidio.
Andrea Patassich da Cattare e Bonino
de Bonini da Ragusa, furon due de' primi che
abbiano esercitata l'arte della stampa in Italia.
Andrea, della cui famiglia il Farlati ac-
cenna un Canonico, Giovanni Patassich Vi-
E veramente doloroso che in questo secolo, nel
quale in materia di notizie storiche e statistiche ed in
ogni genere di scienze positive si fecero passi gigan-
teschi, è doloroso il vedere si di sovente sorgere scrit-
tori che, digiuni delle cognizioni le più elementari,
fanno strazio della povera Dalmazia, dando alle stam-
pe lavori, stupendi per madornali errori, false pre-
venzioni e strabalate e di spesso miserabili descrizioni.
Dopo l'opera del sig. Carlo Yriarte „La Dalmazia"
naliim. Gli statuti dei Comuni dalmati hanno
assai poco di slavo, e per giustificare il titolo
si doveva incominciare almeno con qualche
statuto di Croazia, se pur ce ne sono.
h'Archivio Storico Marchigiano esce in
fascicoli trimestrali di circa 200 pagine e
costa all'anno negli Stati dell'Unione postale
lire 18.
Sua Altezza Imperiale il Serenissimo arci-
duca principe ereditario Rodolfo d'Absburgo-
Lorena pubblicò recentemente un'opera dal
titolo: Vier Wochen an der Donau. È un
lavoro lodatissimo il quale, oltre che dimo-
strare l'ardente passione del principe per
le scienze naturali, tradisce nell' illustre autore
una profondità di studio ed un gusto arti-
stico veramente ammirabili. Peccato che un
sì bel lavoro, per il quale la critica di Ger-
mania in ispecialità si ebbe parole e giudizi
oltre ogni dire lusinghieri, sia destinato a
rimanere entro l'angusta cerchia della vita
delle corti e tolga al mondo letterario tutto
il poterne gustare le sorprendenti bellezze
artistiche delle quali va adorno.
lia fausta ricorrenza delle nozze d'argento
dell' augustissima coppia imperiale diede oc-
casione al nostro infaticabile Arcidiacono
Carlo Federico Cav. Bianchì di pubblicare
un suo opuscolo: Vicende storiche di Zara
e sua spontanea dedizione alV Imperatore
Francesco 1. Zara tip. G. Woditzka 1879.
Nel delineare a brevi tratti la storia di questa
città dalla sua dipendenza dai Romani fino
ai giorni nostri, l'autore ha avuto di mira
quest'idea fondamentale: che cioè essa come
tutta la Dalmazia „ebbe ad avere coi Ve-
neziani gl'identici legami avuti anticamente
coi Romani come socia, deditizia ed alleata
senza alcuna idea di sudditanza" e che „Zara
ha sempre esercitato, in fatto di governo,
una efficacissima influenza sopra tutte le città
della Dalmazia" sin dal momento dell'ecci-
dio di Salona dal quale, a suo credere, essa
sarebbe divenuta la capitale dell' intera Dal-
mazia. Ciò che contraddistingue questo lavo-
retto si è una imparzialità quasi scrupolosa
per cui quand'anche ei trovi di lodare il
governo dei Veneziani e di scusarlo se tra-
scurante, non manca di alzare la voce con-
tro quella politica sospettosa che voleva pri-
var Zara delle antiche comunali franchigie
che la facevan libera sotto l'altrui protezione
e la trascurava economicamente perchè non
fosse d'incentivo a desideri di esteri potentati.
Questo libretto di 30 pagine è nn buon
libro che si può leggere con profitto e perchè
privo d'ogni ostentata erudizione si trova!
alla portata di tutti, anche di quelli che di
simili studi storici punto si dilettano.
Deh ! cara rivolgimi
Il primo pietoso
E tutto amoroso
Il core giocondo
A te sul secondo
Ardente, instancabile
Sen viene d' amor.
Non vale lo studio,
Non vale l'ingegno,
Non vale alcun segno,
Non vale V intero
Non vale il pensiero
Se legger si voglia
Di donna nel cor.
fatto loro e quelli che di tali studi si dilet-
tano e quelli che non leggono che per rifarsi
la bocca con qualcosa di appetitoso o per
passar mattana.
BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ ADRIATICA DI SCIENZE
NATURALI IN TRIESTE.
Abbiamo sottocchi i N.i 1 e 2 Voi. IV
del Bollettino della Società Adriatica di
Scienze naturali in Trieste; essi sono una
novella prova dell' attività di questa assso-
ciazione che da cinque anni onora altamente
la città di Trieste, a nessuna seconda per
coltura ed intelligenza. Il nome dell'istitu-
zione già ne indica chiaro lo scopo: tener
desto, per quanto le è possibile colle sue
forze materiali e scientifiche, il culto delle
scienze naturali prendendo per base la disa-
mina di tutto ciò che nella propria patria a
quelle si riferisce. Idea questa eminentemente
pratica e che sin dal secolo XV attivata fu
ferace di utili scoperte, perchè appunto le
flore locali sono come le monografie in altre
discipline scientifiche : piccoli ruscelli con-
correnti a formare corsi d'aqua regali e
maestasi. Non si creda però che il campo
d'esplorazione si limiti a Trieste e a' suoi
contorni^ no, esso abbraccia una più vasta
zona : il Litorale tutto in prima linea^ le flore
e tutto che può giovare a schiarimento o si
trova in uno stretto nesso scientifico con que-
ste, se anche d'altre terre, in secondo luogo :
geografia fisica, geologia, geognosia^ mete-
reologia, paleontologia, paletnologia, chimica
ed altre ancora. Donde si può vedere il ricco
e svariato materiale di questi Bollettini e
la profonda erudizione con cui è maneggiato.
Se il contenuto può interessare chiunque
s'occupa de' progressi della scienza in uno
de' suoi rami qualunque, tanto più questi
due numeri che hanno cose le quali ci ri-
guardano assai da vicino, o anzi meglio, che
sono nostre. Il D.r Biasoletto di Trieste, il
cui padre a noi Dalmati deve esser caro per-
chè sin dal 1846 ricordato dal nostro Carrara
nella Dalmazia descritta come une di quegli
illustri che erborizzarono sulle coste dalma-
tiche, c'intrattiene Sulla provenienza della
Pelargosite, un prodotto naturale dell'isola
omonima, sulla base di alcuni esemplari ri-
portati dai signori Michele Stossich e Carlo
D.r de Marchesetti da una loro perlustra-
zione. Erano dei frammenti di roccia marina
grigia, semicristallina, sparsa sulla superficie
di un deposito più molle di color brunastro
intersecato qua e là da linee più oscure.
Egli corregge l'ingegnosa teoria di ques'ul-
timo approvata da alcuni dotti italiani per
cui la Pelargosite sarebbe un prodotto vul-
canico dovuto alla parziale fusione della roc-
cia, dimostrando con ricerche sulla natura
chimica di questo prodotto, le quali egli con
chiarezza ci espone, come la Pelargosite non
sia prodotto minerale, ma bensì 'provenire da
ammassi di alghe e di frammenti vegetali
che V onda accumuli) sulla roccia^ i quali de-
positi col tempo subirono poi quella meta-
morfosi che ora si presenta... e appartenere
a quelle formazioni carbonifere che trovami
tuttora in gran copia al Nord della Scozia
e delV America e che provengono dai gigan-
teschi Sargassi svelti dalle correnti degli
oceani.
Ancor più interessante è per noi II Velebit,
lavoro del signor Adolfo Stossich, professore
presso la civica scuola reale in Trieste, già
conosciuto per le sue escursioni in Dalmazia.
Ci racconta egli di una fatta unitamente al
D.r Karl, del Museo nazionale di Pest, sulla
catena dei monti del Velebit, ultima meta
il Sveto Berdo, punto più saliente (5568').
L'esposizione abbastanza brillante del gio-
vane professore che all'occasione sa entu-
siasmarsi davanti l'armonico spettacolo della
natura nella sua piena bellezza e libero svi-
luppo adoperando i colori più vivi della sua
tavolozza, ci dimostra come lo scienziato non
abbia per nulla inaridito quella natura di
poeta quale, or fanno quindici anni, ci si era
militare, la giudicatura, il monopolio dei sali
e tabacchi e dei piccoli diritti di dogana;
tutto il resto stava in mano dei singoli co-
muni. Imposte dirette non si pagavano; sol-
tanto dai fondi di nuovo e nuovissimo acqui-
sto, ch'erano stati distribuiti gratis alle fa-
miglie morlacche di terraferma, il governo
percepiva la decima in natura ed una lieve
tassa di depascimento, da cui però erano
dispensate molte ville e tutte le proprietà
feudali. Insomma, a far vedere di un tratto
le rendite e le spese che Venezia avea in
Dalmazia, dirò che nel 1792 l'attivo fu dì
ducati 149,125 e le spese ducati 280,287:21.
Non regge adunque l'accusa che Venezia
impinguasse sè stessa a spese della Dalma-
zia senza pensare all' erezione di pubbliche
scuole. La Dalmazia le era passiva e Ve-
nezia, a norma degli statuti municipali e dei
patti giurati, non era tenuta all'istruzione
pubblica. I municipi erano obbligati a pen-
sare air educazione dei propri cittadini ; ed
infatti molte memorie dalmate ci hanno la-
sciato il ricordo di varie scuole popolari ed
anche superiori, erette a spese dei comuni,
oppure aperte nei conventi dalla generosità
dei vari ordini religiosi.
In terzo luogo, come ho accennato di so-
pra, a giudicare in tale argomento, non bi-
sogna scordare il divario che corre tra i
tempi nostri e gli andati. In Europa fino al
secolo 18.0 l'istruzione pubblica non era un
affare di stato, specialmente per ciò che si
riferisce alle scuole popolari ed ai ginnasi;
i governi tutt'al più pensavano al manteni-
mento decoroso di alcune università, e circa
il resto lasciavano ogni cura ai comuni ed
agli ordini religiosi. Così abbiamo veduto in
Austria appena ai tempi di Maria Teresa
brigarsi il governo per la istruzione pub-
blica. Solo dopo la Riforma incominciarono
a fiorire in Boemia e Moravia dei ginnasi
protestanti modellati sul sistema di Melan-
tone. Indi venuta la reazione col dilatarsi
dell'ordine dei Gesuiti, caddero quasi tutte
queste scuole mezzane in mano di questi ul-
timi, senza che mai lo stato si fosse curato
della loro organizzazione. Nel secolo 18.o
ai Gesuiti fecero concorrenza nei ginnasi i
Benedettini ed i Piaristi. Per quello poi che
spetta alle scuole popolari, rimasero queste
a discrezione degli ecclesiastici e delle co-
muni fino al 1760, in cui fu istituita la prima
cesarea commissione di studi. Appena ai 2
gennaio 1771 fu aperta in Vienna la prima
scuola normale a spese del governo. Alcuni
dati statistici dell'anno 1770 ci fanno cono-
scere che tra 100 fanciulli tra i 5 e 13 anni
a Vienna solo 24 andavano a scuola, nel-
l'arciducato 16, in Slesia 4.
Se tale adunque era la condizione del-
l'istruzione pubblica in uno stato potente e
ricco come l'Austria, non inceppato nelle sue
azioni da statuti comunali, forte contro ai
nemici esterni e tendente ognora a prospe-
rità maggiore per gl'impulsi vigorosi avuti
da Maria Teresa e Giuseppe II, potrà la
repubblica di Venezia essere accusata di o-
scurantismo, di barbarie e di tirannide per
non aver pensato all' istruzione pubblica in
Dalmazia? I Dalmati di ciò non l'hanno mai
accusata, giacche essi coi loro fondi comu-
nali si seppero procurare sempre le scuole
popolari, talvolta anche le superiori, mentre
gli ordini religiosi pensavano all'istruzione
media, dalla quale poi si passava all'uni-
versità. E il governo^ a facilitare ai Dalmati
r acquisto della laurea^ li dispensava dal fare
atto di presenza all'università. E quelli poi
che non volevano rimanersene in Italia, po-
tevano divenire giurisperiti e medici dietro
un certificato di capacità rilasciato da due
legali 0 da due medici approvati.
Alla caduta della repubblica, oltre alle scuo-
le comunali, esistevano in provincia tre isti-
tuti superiori col titolo di Seminari. Quello di
Spalato, destinato particolarmente all' educa-
zione del clero latino, era stato eretto nel 1700
dall'arcivescovo Stefano Cosmi e dotato di
benefici ecclesiastici e di legati particolari.
Questo istituto manteneva a sue spese dieci
alunni ecclesiastici ed accoglieva verso un
discretissimo pagamento dei convitati laici
ed ecclesiastici, potendo i suoi locali darri-
fiume placido come il Guadalete della tua
valle, un cielo terso senza la minima mac-
chia, un fiore senza tinte calde ne sfumature
vivaci, come i gigli che a te piacciono tanto
e che sono una delle mie antipatie. Ti pro-
nostico intanto che non brillerai di certo fra
le Eloise ne fra le Armide.
Ho un repertorio di inezie graziose, di
novità della moda, che potrebbero rendere
interessantissima la mia lettera, ma temendo
che tu per una formalità prematura non le
legga, fo punto. Una sola cosa ti dirò, è la
novità che oggi occupa Cadice, non si tratta
ne della ferrovia, nè del porto franco, si
tratta dell'arrivo di mio cugino Felice de
Vea, che dopo aver viaggiato per tanto tem-
po, viene a raccogliere la pingue eredità di
suo padre. È un giovane garbato e compi-
tissimo^ e ciò che più piace in lui si è che
i viaggi dandogli una buona dose di cogni-
zioni e di pratica del mondo nulla gli tolsero
della semplice cortesia spagnuola. Quanto ti
dico non è l'espressione dell'affetto che gli
porto, è la voce di tutti. Lo portano in palma
di mano, dovunque si sente parlare di lui,
di Felice de Vea. Gli predissi che vedremo
fra breve il suo ritratto sui ventagli più in
voga e sulle scatole de' zolfanelli, il che è
il non plus ultra della popolarità.
Mia sorella Teresa che ha, come sai, una
disgraziata facilità ad incocciarsi, se l'ha
presa con Primitiva che ancora non le ha
scritto.
Te lo dico perchè ripari al malfatto man-
dandole una lettera che sarà come una lista
di taffetà inglese sopra questa ferita. Addio!
Parlami della casa in cui abiti, di ciò che
fate, se hai strette nuove relazioni e se tua
madre ha con chi giuocare il suo terziglio;
vorrei di no per vedervi ritornare più presto.
(Continua).
LUISA.
f-
i,
(MEDIEVALE,)
Io canterei T amor, T albe d'amianto
E le languide sere di Provenza,
Dei tuoi grandi occhi il voluttuoso incanto,
Del tuo bacio purissimo l'essenza.
Sulla mandòla, mia delizia e vanto.
Cercherei la più flebile cadenza;
Vi evocherei nell' amoroso canto,
Bionde memorie dell' adolescenza.
Allor verresti al gotico verone,
0 flessuosa, pallida Iolanda
Raggio di luna nella notte chéta.
E sorridendo alla glauca canzone,
Che freme e piange nella voce blanda,
Mi gireresti ansiosa una moneta.
Da Scialato.
5eofi.
(Continuazione).
Piano generale della pubblica istruzione nella
Dalmazia. 1 il Provveditore generale della Dalmazia,
Conosciuto il bisogno e sentito il desiderio
della provincia di vedere sotto gli auspici
del benefico Sovrano e dell'amatissimo Vice-
Re un piano generale di pubblica istruzione
in Dalmazia, che comprenda la gioventù di
ogni sesso e condizione;
Considerando la mancanza quasi totale in
Dalmazia di giovani iniziati nelle scienze e
professioni indispensabili, e capaci d'aiutare
piccole grotte quasi di figura conica, sono
distanti 160 piedi fra loro, senza valutare
la misura di un lago esistente nella parte
sinistra, che per quanto io ho potuto scan-
dagliare, si estende 90 piedi in lungo e 12
in largo. L'acqua in tempo di estate nella
sua massima profondità è alta un uomo, e
di inverno, per quanto si dice, cresce fino a
quattro e probabilmente sormontando la
sponda allagherà tutto quest' esteso pavi-
mento. Quest' acqua bevuta in sul luogo non
solo a me, ma anche ad altri sembrò avere
una piccola vena di subacido, ed è così
fredda, che non si regge a berne il terzo
sorso continuato. Un cane assetato gettatosi
dentro dopo il secondo sorso ne uscì gridan-
do e corse al sole; e quell' uomo che, per
darmene a bere, e per empirne un vaso,
dovette a piedi scalzi discendere dove 1' ac-
qua era più bassa, dopo tre quarti d'ora di
cammino ancora si lamentava di sentire una
freddissima sensazione alle gambe. La ca-
gione di una tale freddezza è senza dubbio
la profondità di questa voraggine, che presso
a poco dev' essere dentro alla montcXgna a
livello di quella sorgente, che a pie' dell'i-
stesso monte verso la pianura canalitana è
celebre in Pridvorje sotto il nome di Tur-
bina. ììo inteso a dire, che chi fra gli odierni
canaliti la ta da medico suole talvolta darla
a bevere agli attaccati da quelle febbri per-
niciose, che dando all' origine dei nervi tol-
gono i sentimenti
In questa stessa grotta vi è una bellissi-
ma vasca di mediocre grtindezza, che pare
di alabastro e che si direbbe essere opera
dell' arte ; tanto essa è ben formata dagli
stillicidi, che la tengono continuamente ripie-
na d'acqua. Essa è detta dai villani la vasca
della Ninfa.
Tale è ancora ai nostri giorni questa me-
ravigliosa grotta, in cui e i tempi antichi e
i moderni trovarono da pascere la fantasia
degli uomini. Ed ora vengo a S. Ilarione, e
credo che non farò cosa discara al lettore,
pubblicando questa patria leggenda, ora che
buona parte della critica letteraria rivolge
le sue ricerche alle produzioni popolari,
diseppellendo ogni giorno da qualche can-
tuccio dimenticato delle tante biblioteche o
un mistero, o una leggenda, o un romanzo.
Tanto più che i cultori di questa parte non
ignobile della letteratura troveranno un anello
di questa lunga catena anche su queste estre-
me rive, dove fiorì in vari tempi il buon gusto
e la poesia italiana.
Nelle Vite de' Santi Padri, dì cui primo
il Manni ci procurò un' accurata edizione,
leggesi la Vita di sani' Ilarione, riprodotta
poi in altre collezioni, ed ultimamente da
I. Del Lungo nelle Leggende del secolo XIV,
Firenze, Barbera, 1863, voi. 1. pag. 157 e
seguenti. Al capo 8. di questa Vita si legge,
come Barione, essendo fuggito ad Epidauro,
uccise un dragone e reprimette V impeto del
mare e poi fuggi in Cipri. Questa leggenda,
che contiene la narrazione di un fatto av-
venuto in Epidauro di Dalmazia, rimase tra
noi e sì sviluppò più largamente a Ragusa,
figlia legittima della distrutta Epidauro, Gli
annalisti di quella città ne tennero conto
ed in forma popolarissima ce la tramandò
Nicolò de Ragnina, i cui annali arrivano
fino air anno 1552. Essendo però le scritture
di questo illustre raguseo ancora inedite,
come la massima parte delle opere d' altri
pregiati scrittori, che illustrarono l'Atene
della Dalmazia, è naturale che finora non
potesse istituirsi un raffronto tra la leggenda
di Ragusa e quella pubblicata nelle collezioni
italiane.
11 manoscritto, di cui mi sono servito, ap-
partiene alla biblioteca ginnasiale di Zara,
ed è tutt' al più del secolo passato. Ma tut-
tavia ha qualche pregio, giacché nel 1859
fu collazionato con un altro manoscritto più
antico, allora proprietà del R, D, LucaPaulo-
vich di Ragusa, per opera di G. D. Pullich,
emerito direttore del nostro ginnasio, e del
prof. Casali. Ho preferito il racconto della leg-
genda, esteso dal Ragnina, in confronto di
parecchie altre redazioni, che si trovano in
altre opere manoscritte della medesima biblio-
teca perchè, come ho accennato più sopra, mi
LA PALESTRA
EDITORE E DIEETTORE RESPONSABILE
S. FERRARI-CUPILLI
Anno II. — N.» 9. PUBBLICAZIONE BIMENSILE Zara, 1.« Agosto 1879.
La leggenda di S.
a Ragusa.
(Cont. e fine v. N.® prec.)
anno di Cristo 789 venne uno
dragone de mirabile grandezza,
chiamato hoas, perocché questi
tali dragoni sono sì dì statura grandi, che
ingiottiscono li bovi della parte di levan-
te.'^) Lo quale entrò nella spelonca di Epi-
dauro,, dove fu la città vecchia, facendo per
tutto assai danni, devorando bestiami, putti 5
e omeni trovando, li ingiottiva per tutta quella
centrata, dove li paesani non potendo lar
Forma del dialetto veneto, parlato tuttora su
quasi tutta la costiera della Dalmazia.
Era in quelle contrade un dragone di mirabile
magnitudine, lo quale era chiamato boas, perciocché
questi tali dragoni sono si grandi che sogliono in-
ghiottire li buoi. I. Bel liungo. — Si quidem
draco mirae magnitudinis, quos gentili sermone hoas
vocant, ab eo quod tam grandes sint, ut boves glu-
tire soleant, omnem late vastabat provinciam, et non
solum arnienta et pecudes, sed agricolas quoque et
pastores tractos ad se vi spiritus absorbebat. Hie-
ronym. 39.
altro rimedio dello dragone, volevano ahban
donar la terra. ') Quale stette in quella spe-
lonca più de 13 anni.
L'anno de Cristo 802 venne uno eremita
delle parti de Sicilia, lo quale aveva nome
Ilarione, con dua delli suoi compagni, quali
avevano nome Gugiano ed Esichio, nati nella
città de Palestina in levante. Lo quale giunse
in prima alla fiumera in Breno ed ivi fece
una casetta piccola di masiera, dove pote-
vano abitare, la quale coperse con la fra-
scata. Quale vedendo li omeni, quelli che
erano restati nelli castelli Spilan e Gradaz,
esser fatta la casetta, supposero^) che do-
veano essere li pescatori. Ed essendo andati
Lo quale guastava tutta la contrada, mangiando
lo bestiame e gli uomini vivi inghiottendo. I. D. li.
— Quello che segue manca nella leggenda italiana e
nell'originale latino.
Masiera voce del dialetto, in luogo di maceria^
nel significato di muro di sassi senza calce. Il voca-
bolo esiste tutt'oggi nello stesso significato, ed anche
nel senso di mucchio di pietre estratte dallo svegro
delle campagne, oppure esistenti in un campo di na-
tura grottoso. Avvertiamo qui una volta tanto che tutto
questo tratto del Ragnina offre di quando in quando
delle forme dialettali e molti arcaismi tanto nelle voci,
quanto nelle costruzioni sintattiche. Di più dalla egua-
glianza di alcune frasi e voci, che ricorrono nella
leggenda italiana, non sarebbe avventata la supposi-
zione, ch'egli avesse avuto sott'occhio la medesima
leggenda.
Voce aggiunta per intelligenza del testo.
Per cui concludendo si può dire con l'au-
tore: Nell'interesse principalmente di tutta
la monarchia, nell'interesse della Dalmazia
come pure delle due provincie da noi occu-
pate ed amministrate, è necessario effettuare
al più presto possibile la congiunzione fer-
roviaria della Dalmazia coi retropaesi Bosnia
ed Erzegovina che le servono di naturale
completamento, però nel presupposto — cosa
la quale del resto si ha intenzione di fare
— che tutte e tre le provincie vengano am-
messe neir unione doganale della monarchia
austro-ungarica e cessi il loro isolamento
politico-doganale innaturale, senza scopo e
dannoso al generale.
L'Abolizione del macinato
è il titolo dì un opuscoletto gentilmente fa-
voritoci dall' onorevole deputato al Parlamento
italiano Federico Seismit-Doda. Esso contie-
ne un suo discorso pronunciato nella tornata
del 29 giugno 1879 nella discussione intorno
alle modificazioni recate dal Senato alla legge
per r abolizione del macinato. Il nostro illu-
stre concittadino ci si mostra ancor qui facile
dicitore, dal concetto chiaro, dalla parala ro-
busta, ricco di argomentazioni provenienti
appunto da radicati convincimenti dovuti a
molto pensare, a lungo studio.
Del gentile ricordo i piìi sentiti ringra-
ziamenti.
Nuovo Metodo pratico e facile per imparare la
lingua croata, compilato per cura di Vincem&o
Tomsich, docente delle scuole popolari, dietro il
sistema di F. Ahn. Voi. I. Fiume, tip. F, Kar-
letzki. 1879.
Diciamolo francamente, l'autore ha fatto
un'opera veramente lodevole sotto ogni rap-
porto. Col solo aver seguito il metodo del Dr.
Ahn egli ci persuade di avere una chiarissima
idea del come si debba studiare una lingua
e quello che è più istudiarla con facilità e
profitto. L'importanza del metodo del Dr.
Ahn non v'ha chi possa negarla e compi-
lando un metodo a seconda di Ahn l'autore
può dire di aver rimpiuto una lacuna. E
tanto più vi è riuscito perchè veramente „il
presente libro si distingue per chiarezza e
precisione nell'esposizione delle regole, per
la ricchezza dei dialoghi e pezzi di lettura."
Ecco così finalmente offerta anche alla
nostra gioventù studiosa l'occasione di poter
apprendere la lingua slava nella stessa ma-
niera come da un libro elementare di eser-
cizi apprende il latino ed il greco, e non sarà
quindi rimessa sin dal momento in cui bal-
betta le prime nozioni grammaticali ai diffi-
cilissimi Veber e ai non meno difficili Smi-
ciklas.
Ed è perciò che questo libro noi lo
raccomandiamo caldamante ai docenti la lin-
gua slava: vedano se non fosse necessario
il servirsene quanto prima anche nelle classi
interiori delle nostre scuole medie.
Soluzione della Sciarada precedente:
Piede-stallo.
PICCOLA POSTA.
R. G. Qui. — Mandate e si vedrà. Grazie.
C. N. Arhe. — Segue lettera.
G. F. Spalato. — Se sapeste le difficoltà che
dobbiamo vincere ; in ogni caso si farà il possibile.
Sig. M. L. Venezia. — Di poesie ne abbiamo
una catasta ma, come vedete, vi abbiamo soddi-
sfatto; continueremo a pubblicarne anche in se-
guito, non però tutte.
Sig. G. V. Venezia. — Lo stesso diciamo a
voi pure. La seconda non pubblicheremo. Spedite
qualchecosa d"* altro.
al pubblico erario, e metà restava a loro
profitto. Un decennio bastava ad un finan-
ziere per guadagnare un milione!
In questo modo il depauperamento della
nazione era inevitabile non solo, ma anche
la moralità pubblica andava estinguendosi.
Gli appaltatori in certi casi prodigavano l'oro,
che niente loro costava, e tanto piii volen-
tieri, in quanto la professione stessa era il
mezzo di moltiplicarlo. Ad assicurarsi il lievo
dell' impresa, incominciavano col guadagnarsi
i ministri dei magistrati, o donando loro
delle somme rilevanti, oppure associandoli a
caratti di utilità. Così operando, impedivano
che i lamenti del popolo potessero giungere
fino til senato, giacche il primo organo del-
l'accusa, cioè il ministero, era comperato.
Laonde in ogni questione criminale il finan-
ziere risultava sempre innocente, e in ogni
questione di diritto era pur egli sempre il
creditore in confronto del suddito spogliato.
Nè un tale flagello esisteva solo a Vene-
zia: l'Inghilterra, l'Olanda, la Prussia, il
ducato di Milano, quello di Parma sentirono
la piaga dei finanzieri. Ma nei primi tre stati
già da molto tempo gli appalti dei pubblici
dazi furono aboliti, esigendosi le contribu-
zioni per conto della nazione. Nel 1770 i
finanzieri furono cacciati da Milano ed otto
anni dopo da Parma. La Francia invece, che
ha mantenuto un tale sistema, a che punto
venne colle sue finanze ? L'abbiamo veduto
e perciò non occorre dirlo. E si che Riche-
lieu nel suo testamento politico avea detto:
È assolutamente necessario di porre un ri-
medio alle irregolarità dei finanzieri, altri-
menti essi cagioneranno la caduta del reame !
Se un tale sistema di esazione destava il
malcontento nelle provincie di Terraferma,
quanta non dovrà essere stata la miseria
dallo stesso causata in Dalmazia e nel Le-
vante, che ancor più lungi si trovavano dal
sindacato del governo? Le irregolarità quivi
furono così grandi che, ad onta dell'oro degli
appaltatori, i lamenti arrivarono fino a Ve-
nezia. E queste irregolarità eransi estese
enormemente da quando la repubblica ab-
bandonò il saggio costume di mandare di
tempo in tempo dei sindaci inquisitori, ad
esaminare sopra luogo l'amministrazione delle
Provincie. Gli ultimi sindaci inquisitori, no-
minati per la Dalmazia, funsero il loro uf-
ficio nel 1674; ma poi, a motivo forse delle
continue guerre coi Turchi, il governo non
ebbe piìi agio a pensare a tale magistrato.
Ne profittarono allora i rettori, permetten-
dosi ogni maniera di abusi, arbitri, venalità,
monopoli, cattiva amministrazione della giu-
stizia, tanto che molti sudditi della repub-
blica disperati spatriavano, quali recandosi
in Austria e quali in Turchìa.
Le cose, durante la prima metà del sec.
18." erano giunte a tal punto, che da ogni
parte si reclamavano pronti ed energici ri-
medi. Il primo a gridare in senato contro
tanto disordine fu il cav. Memmo. Altri imi-
tarono il suo esempio, specialmente Marco
Foscarini, il cui antenato Giacomo, in qualità
di provveditore generale, avea speso in Dal -
mazia del proprio 30,000 ducati, per miglio-
rarne le condizioni. L'argomento fu tosto
trattato tra i 8avi del Collegio. Le proposte
erano varie: volevano alcuni che si nomi-
nassero i sindaci inquisitori e fossero subito
mandati in provincia ; altri che fosse affidata
la cosa ad un magistrato urbano, il quale
ricevesse le notizie dalla provincia e poi le
riferisse in senato : altri finalmente, acciò la
faccenda andasse per le lunghe e non avesse
effetto, che se ne desse l'incarico ai soliti
magistrati. Fu scelta una via di mezzo, e
nominati degV inquisitori residenti a Venezia,
che raccogliessero tutte le possibili informa-
zioni, e togliessero intanto ai rettori di pro-
vincia l'autorità sugli appalti delle decime
e dell'erbatico. Ma ben presto si conobbe
che così non si sarebbe approdato ad alcun
risultato, per cui fu fatta la proposta, di man-
dare sindaci inquisitori nei paesi stessi (6
sett. 1747).
Ma per le mene del partito avversario
questa proposta rimase inespedita per tre
mesi continui, finche essendo in decembre il
Foscarini nuovamente savio di settimana ed