Gli è perciò che, senza voler muovere difficoltà
su tutte quelle costruzioni anche superflue, non neces-
sarie, che oggi si volessero eseguire ad imitazione del-
l'antico, laddove queste non servissero a compromet-
tere in alcuna parte l'esistenza di quei monumenti che
le benefiche superiori intenzioni tendono a conservare
all'ammirazione dei posteri; io però debbo formalmente
protestare, siccome protesto, e nel carattere di rappre-
sentante vescovile, ed in nome della scienza e della
patria, contro qualunque alterazione o lesione si volesse
praticare sullo stato attuale del nostro tempio, tanto
esternamente, quanto interiKimente, uniformandomi al
riputato parere della rispettabile Sezione tecnica di
Vienna, anche per quanto concerne i tre altari ed il
pulpito,'sommamente interessanti per la storia dell'arte
nazionale, che ci presenta in essi altrettanti bei saggi
di stile gotico-bizantino, che per nulla deturpano l'a-
spetto interno del tempio, che anzi servono ad esso di
interessante ornamento. Perciocché la Cappella di S.
Doimo, nel luogo in cui già nel XII secolo erasi eretto
un altare col sepolcro del santo, fu fabbricata con ornati
di sculture nell' anno 1427 dal Maestro Donino da Mi-
lano, a spese dell' arcivescovo Francesco Malipieri. La
Cappella di S. Anastasio venne fabbricata ed abbellita
con sculture nell' a, 1448 dal celebre architetto e scul-
tore Giorgio Mattei (figlio) di Sebenico, il quale, oltre
il materiale, ne riceveva a compenso 306 zecchini d' oro,
somma a quelF epoca di molto rilievo ; e fu quello stesso
nostro Mattei eh' ebbe a costruire la Cappella di S. Rai-
nerio (ch'era situata nell'attuale Ospitale militare), il
Duomo di Sehenico, la rinomata Loggia di Ancona e
parecchi altri edifizi di pregio. Il Mattei pertanto ap-
partiene ai più rinomati artisti della nazione dalmata;
e quindi il chiar. mio amico sig. Kukuljevich, presi-
dente della Società degli Slavi meridionali, residente in
Zagabria, e conservatore dei monumenti antichi per la
Croazia, con sua lettera 9 maggio a. c. su questo ar-
gomento scrivevami : „Non solo sarebbe peccato, ma
un barbarismo, se a spese del classicismo romano si
volesse distruggere l'opera di un artista nazionale, di
cui la Dalmazia può andar superba con ragione; e ciò
nel secolo XIX, in cui s'incomincia nuovamente ad
apprezzare in alto grado le opere del medio evo; e
questo solamente onde ridurre un edifizio dedicato al
culto cristiano nella primitiva sua forma pagana. Po-
trebbesi ridurne la parte esterna, antica e classica, alla
meglio possibile, togliendovi soltanto il superfluo, ma
devesi tenere in venerazione ed onore l'interno; spet-
tante al medio evo, per rapporto all'arte sommamente
pregevole che i nostri antenati vi hanno impiegato (e
non senza ragione), può dirsi quasi con tutte le forze
loro fisiche e morali. Quale impressione poi potrebbe
esercitare sulla mente cristiana l'interno del tempio di
Spalato, qualora non vi fossero appunto quegli oggetti
venerandi che vi ha collocato il devoto cristianesimo del
medio evo? Chiunque nel tempio di Spalato ricerchi il
classicismo, ne Io ritrova ben tosto, per così dire intatto,
e quand' anche fornito di poca immaginazione, vi tro-
verebbe innanzi a sè l'interno come se fosse al tempo
di Diocleziano, senza che perciò sia necessario privare
la chiesa stessa del suo pregevole ornamento spettante
al medio evo."
„Questa è la mia opinione", soggiunge il sig. Ku-
kuljevich, io sarei sbalordito se la commissione a
ciò relativa, consistente di patrioti dalmati, fosse di
altro parere." Ed io, appunto perchè di opinione affatto
uniforme a quella del presidente Kukuljevich, che pochi
mesi addietro fu a visitare cogli occhi propri queste
antichità, riporto il parere di quell' erudito conservatore
delle antichità per la Croazia, onde i rispettabili mem-
bri di questa commissione, non meno che le Autorità
superiori a cui sarà per essere subordinato questo mio
scritto, ne facciano il calcolo che troveranno del caso,
ad evitare possibilmente Io scandalo, che possa dirsi,
che i Inmi della Croazia giungano a rischiarare le in-
telligenze della Dalmazia....
Io propongo pertanto, che nei ristauri del tempio
si debba limitarsi puramente a quelle operazioni le quali
fossero riconosciute necessarie alla conservazione di
quanto sussiste di antico, senza alterare per nulla il
carattere originario evidente, tanto dell'opera romana,
quanto di quelle accessorie de' tempi di mezzo, tenute
in pregio per la storia dell'arte. Ciò sta precisamente
nello spirito delle Superiori intenzioni e delle saggie
vedute della Sezione tecnica di Vienna. E quindi io
domando, che la presente mia ragionata protesta sia
assoggettata al giudizio del locale c. r. sig. ingegnere
circolare, non meno che a quello del chiar. ingegnere
luogotenenziale, sig. Luchini, i quali dietro le già fatte
ispezioni locali, e nella provetta loro intelligenza, si tro-
vano al caso di poter giudicare sull'argomento meglio
forse di ogni altro; e finalmente sia rassegnato questo
mio parere alla decisione della Direzione delle fabbri-
che in Zara e della sprttabile Sezione tecnica di Vienna,
onde sull'argomento emerga un retto giudizio definitivo,
che sia per tranquillare i giusti timori della chiesa,
della scienza e della patria.
D.R F. LANZA.
MELAI^ONIE.
Nella mia cella ho un teschio e una mandòla,
soli compagni all' orfana mia vita,
l'affannoso pensier l'uno consola
d'una lontana calma indefinita;
melodiosa l'altra una parola
dona alla santa dal mio cor gradita,
e i bruni versi d'un'antica fola
quando il di muor a ricantar m'invita.
E allor che nella notte il raggio bianco
della luna sorride alla mia cella
e pensoso io reclino il capo stanco;
un dolce mormorar lieve risuona:
al teschio la mandòla dice : parla
e alla mandòla il teschio dice: suona.
p-r EOLI.
ANNO IV. ZARA, 4 GIUGNO 1881. 8-9.
LA PALESTRA
PERIODICO DI LETTERE, SCIENZE ED ARTI.
CONDIZiOKI 01 ASSOCtAZIONE.
Per Zara fior. 4 : —
„ la Monarchia . . „ 4:50
„ r estero . , . lire 12 : —
Un numero separato s. 18. — Pagamenti
anticipati. — Associazioni non disdette un
mese prima s'intendono rinnovate.
Esce due volte al mese.
Domande di associazione, importi di denaro W - 7 1
S. '^ERRARI—CuPILLI s ^^ spedirsi aW Amniinistraùone ; lettere,
J ) ^ / Sì manoscritti alla Direzione. — Manoscritti bibliotecario della comunale
"Paravia,,
DIRETTORE.
nere, <
manoscritti alla Direzione. Manoscritti s c
anche non pubblicati non si restituiscono. S l
— Delle opere donate alla Direzione verrà ^ s
fatto cenno speciale. ^ \
SOMMARIO. — Sulla vita e sulle opere di Mattia Ban, scrittore
e poeta serbo (S. PJEROTIĆ). — X maggio MDCCCLXXXI.
- Ode (L. BENEVENIA). — Passano gli ulani. - Macchietta
(G. SABALICH). — Per il 'Il centenario di Don Pedro Cal-
deron de la Barca. - Sonetto tradotto dallo spagnuolo (CAR-
DENio). — Ricordi d'Italia, di E. Castelar. - Versione dallo
spagnuolo (M.) — Un idillio. - Poesia (G. SABALICH). —
Corriere viennese (FAUST). — Janko Crnoj evie. - Poema
tradotto dal serbo (G. NIKOUĆ). — Bibliobrafia: Due nuove
teorie suir origine delle sorgenti ; Ritratti letterari, di E.
De Amicis; Il viaggio dell'arciduca Rodolfo in Oriente (L.
BENEVENIA). - Commedia di Dante Allighicri ecc., del prof.
Lubin (V. BKUNELLI). — Cose nostre. — Notizie e spigolature.
Sylia Yìta e sulle opere di Mattia Ban
scrittore e poeta serbo.
uomo di cui verrà sempre
ad onoranza lo scrivere, sin tanto
cheli culto della virtù e l'amore
alla giustizia ed alla libertà re-
gnino sulla terra,
B. K. ]!lffaineri : Vila di Edoardo
De La Barre Duparcq.
'ulla vita e sull'opere di questo dotto dalmata fu
scritto assai nelle lingue slave e straniere, ma pochi
nella stessa sua patria ne hanno contezza sufficiente,
e intera torse nessuno. Io almeno mi trovava in
questo caso quando giunsi a Belgrado, e se ora im-
prendo a scrivere su questo argomento^ ne sono debi-
tore a un letterato serbo che va raccogliendo da anni
quanto si scrive in Europa sugli uomini illustri della
Serbia, fra i quali è annoverato a ragione il sig. Ban.
Un tale aiuto, tuttoché prezioso, era pur sempre insuf-
ficiente, chè per avere una piena conoscenza delle vi-
cende del nostro compatriotta bisognerebbe frugare nel
suo archivio segreto, che contiene fra gli altri scritti
un'estesissima corrispondenza politica; ma questo san-
tuario da lui gelosamente guardato per ragioni facili
a comprendersi, resterà probabilmente impenetrabile
fino alla sua morte. Ciò che aumenta la difficoltà del
biografo si è, che i suoi scritti sparsi in tanti giornali,
opere periodiche ed opuscoletti anonimi, non furono
riuniti per presentare un complesso che offra materia
ad uno studio diligente; chè gl'istessi suoi drammi per
la beata incaria del loro autore non sono tutti stam-
pati, ma per la maggior parte conosciuti soltanto nelle
rappresentazioni teatrali che se ne fecero, e da vari
manoscritti. Malgrado tutto ciò, visto il copioso mate-
riale già raccolto, mi sono deciso a ordinarlo, corredarlo
di mie osservazioni e dare uno studio, se non completo,
almeno il più esteso e verace di quanti finora esistono
sulla vita e le opere di questo sommo uomo politico,
letterato e poeta, che la nostra Dalmazia diede al
mondo slavo.
Matteo Ban nacque a Kagusa, in decembre dei
1818 da poveri genitori, ed ivi fece gli studi ginnasiali,
filosofici e pedagogici. Le vaste cognizioni che s'acqui-
stò dippoi le deve al suo instancabile amore per lo
studio ed al contatto in cui venne con uomini chiari.
Vestito l'abito sacerdotale nel 1834, Io spogliò dopo
due anni; ricusò di entrare nell'ordine Domenicano,
servi come scrivano presso un avvocato, quindi nella
cancelleria catastale, ed infine perseguitato da un amore
quanto profondo altrettanto infelice, lasciava nel 1839
la patria per cercare l'oblio in Oriente. Fermatosi a
Costantinopoli, ivi trovava un posto di professore di
lingua e letteratura italiana al collegio greco Nalkis,
una delle Isole dei principi. Insegnando studiava il fran-
cese ed il greco, e in un altro collegio turco di quel-
r isola frequentava per diletto le lezioni di scienza mi-
litare insegnatevi da professori francesi. Ad onta di tali
occupazioni la solitudine dell'isola aggravava i suoi
mali morali, onde, finito l'anno, si trasferì a Costanti-
nopoli, dove trovava sabito due cattedre: quella di sto-
ria e geografia nel collegio francese di S. Benedetto,
e r altra di lingua e letteratura italiana in quello rino-
matissimo di Rebek, sul Bosforo.
ANNO IV. ZARA, 22 GIUGNO 1881. N.» 10.
LA PALESTRA
PERIODICO DI LETTERE, SCIENZE ED ARTI,
CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE.
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„ la Monarchia . . „ 4:50
„ r estero . . . lire 12 ; —
Un numero separato s. 18. — Pagamenti
anticipati. — Associazioni non disdette un
mese prima s'intendono rinnovate.
Esce
due volte al mese.
AVVERTENZE.
Domande di associazione, importi di denaro
da spedirsi s\V Amministraùone ; lettere,
manoscritti alla Direzione. — Manoscritti
^che non pubblicati non si restituiscono.
— Delle opere donate alla Direzione verrà
fatto cenno speciale.
SOMMARIO. — Sulla vita e sulle opere di Mattia Ban, scrittore
e poeta serbo (Simeone Pjerotić). — Lettere ambrosiane.
- I. L'esposizione musicale (A. Colautti), — L'italiano in
Dalmazia. - Studii filologici (V. Bruneui). — Ricordi d'Italia,
di E. Castelar. Versione dallo spagnuolo (M.) — Cose
nostre. — Notizie e spigolature. — Sciarada. — Piccola posta.
Sulla vita e sulle opere di Jlatiia Bau
scrittore e poeta serbo.
(Continuazione.)
^a Serbia e i Cristiani ebbero pure qualche van
^ taggio da queste cure patriottiche^ poiché a Parigi
% veniva proclamata la piena indipendenza interna
I del principato sotto la protezione dell'Europa^ e
in quanto ai progetti di riforma presentali a Costanti-
nopoli, alcuni furono realizzati negli anni susseguenti,
ma al modo solito dei Turchi, con mala fede e im-
perfettamente.
Ritornata la pace in Europa, il nostro compa-
triota riprendeva nel 1857 la cattedra francese, questa
volta all'accademia militare. Il governo serbo si era
deciso di mandarlo a Parigi in qualità d'agente poli-
tico, quando ebbe luogo la rivoluzione che rovesciava
dal trono il principe Karagjorgevié e vi conduceva il
vecchio Miloš Obrenović. Il Ban invece di andare a
Parigi, perdeva anche la cattedra di professore, toltagli
in seguito ad una denunzia del giovane partito ultra
liberale che lo accagionava di essere partigiano del
principe deposto e nemico della reintegrata dinastia
Obrenovié.
Sdegnando egualmente di scusarsi della taccia
appostagli e di brigare nnovi impieghi, egli si ritirava
nella sua villa di Banovaz, nelle vicinanze di Belgrado,
da dove seguiva la nuova piega che andavano pren-
dendo le cose nel principato.
; L'eroe ottuagenario di Takovo, Miloš, abituato alla
dittatura, non sapeva piegarsi alle forme costituzionali,
introdotte in Serbia durante il suo esilio di vent'anni,
e oltre a ciò, male consigliato da individui che volevano
scimmieggiare la grande rivoluzione francese, avanzava
per falsa via. Le sue volontà, spesso contrarie alle leggi
vigenti, erano devotamente eseguite; senza colpa nè
processo si deponevano molti abili impiegati, s'impri-
gionavano cittadini e preti, si stendevano liste di pro-
scrizione, s'istituivano in tutto il paese tribunali straor-
dinari, presso i quali bastava un'accusa non sostenuta
da alcuna prova legale per avvolgere nella sventura
singoli individui e intere famiglie. Così le carceri rigur-
gitavano d'innocenti e di rei, gli asti, le vendette per-
sonali avevano libero corso, e una costernazione gene-
rale invadeva gli spiriti. I piìi saggi prevedevano che
con ciò si andava preparando un regno burrascoso al
giovane principe Michele, ma nessuno o^ava fiatare.
Il nostro dalmata l'osò. Su quegli abusi egli scagliò
dalla sua solitudine una serie di articoli, che formarono
epoca nel giornalismo serbo per il coraggio, la forza
di argomentazione, e l'ammirabile tatto di cui erano
improntati. Il vecchio principe ne fu scosso, e in tutto
il principato si rialzarono gli sph-iti abbattuti, facendo
all'impavido e patriottico scrittore un'eco rumorosa. In
tal guisa da una parte fu dato il crollo al sedicente
partito ultraliberale, che continuò per lunghi anni a
ricordare con acrimonia nei giornali quei nefasti articoli,
e dall' altra formossi il nucleo del saggio e onesto par-
tito liberale, che da quell'epoca sino alla fine dell'anno
scorso diresse quasi senza interruzione i destini della
Serbia.
Nel 1862, regnando il principe Michele, fu creato
presso il ministero degli esteri un nuovo dipartimento
per la stampa, detto Presse-bureau, e per espresso vo-
lere del principe ne veniva affidata la direzione al Ban
coir autorizzazione di scegliersi egli stesso i propri im-
piegati. Quel posto era importantissimo, esigendo molta
abilità, esperienza e tatto per combattere efficacemente
all' interno il partito ultraliberale, avverso al nuovo or-
quello della Sava e della Drava. Occuparono gradata-
mente il Sirmio, la Pannonia e il Norico, specialmente
le pianure e le regioni a colline; e si sarebbero pro-
babilmente uniti al ramo nordico, che, girati i Carpazi,
era giunto io Boemia, se in mezzo a loro non si fos-
sero spinti i Bavari^ e più ad oriente i Magiari. I primi
arrestarono l'avanzarsi degli Slavi al nord della Drava
e tuttogiorno s'inoltrano germanizzando il territorio al
sud dì quel fiume ; i secondi, entrati quasi nel centro
del gran cerchio, formato dagli Slavi del nord e del
sud, ne impediscono il contatto. Anche ad oriente fu
interotta la continuità dei due rami dall'elemento ro-
mano della Dacia e della Mesia, che non potè essere
completamente assortito dai nuovi conquistatori.
Ma lo sviluppo delle tribù slave del sud, ed il
loro definitivo stanziamento fu ancora per qualche tempo
impedito dal dominio degli Avari. Sudditi in parte di
questa rapacissima nazione^ dovettero seguirla nelle sue
frequenti incursioni a mezzogiorno del Danubio e della
Sava sul territorio romano. Fino al 602 la storia regi-
stra contìnui saccheggi e rapine di questi popoli bar-
bari nella penìsola balcanica ; ma di loro stabile dimora
al sud del Danubio e della Sava non c'è ancora pa-
rola. Nel 602 Costantinopoli dominava liberamente dal-
l' Istria al Mar Nero, da Zara a Tomi. Appena sotto
il governo di Foca e di Eraclio gli Avari e gli Slavi
s'avanzano verso il sud, occupando verso il 630 la
Dalmazia, e verso il 657 la Mesia.
Tralasciando per ora quanto spetta all'oriente,
osserviamo ciò che avviene in Dalmazia. Fonte princi-
pale per quest' epoca sono le opere di Costantino Por-
firogenito (913 959). Dalla narrazione di quest'impera-
tore, risulta che alla venuta degli Avari, e poi dei
Croati e dei Serbi, quasi tutte le città romane della
provincia sofi'ersero più o meno per il ferro e per il
fuoco dei barbari. Bcardona, Salona^ Narona, Aequum,
Epidauro ed altre ancora furono completamente rovi-
nate: a stento si mantennero alcune città della costa e
delle isole, come Traguriim, Jadera (Diadora), Arhe,
Veda ed Opsara. La popolazione romana, che si esten
deva sino alla Sava, parte si salvò sui monti, e parte
nelle città testé nominate, ove potè resistere ai nemici,
perchè si forniva di vìveri per la via di mare. I fug-
giaschi anzi posero le basi a due nuove città: quei di
Salona, ridottisi tra i ruderi del castello imperiale di
Diocleziano, diedero origine ad Aspalatwn; e quei di
Epidauro, ricoverati sovra una rupe scoscesa, prossima
al mare, gettarono le fondamenta di Bausium. Nè alla
venuta degli Slavi in Dalmazia si estinse il latino vol-
gare, ma si ridusse ad alcuni territori littorani ed alle
isole. Ci viene ciò dimostrato prima di tutto dai nomi
di molte località, i quali o mantennero la forma latina,
o, se si mutarono, assunsero foneticamente una forma
neo-latina. Infatti, se alla venuta degli Slavi, il latino
fosse improvvisamente sparito, o i nomi latini sarebbero
anch'essi caduti, oppure, se rimasti, avrebbero assunto
quella forma, voluta dalle leggi fonetiche slave. E se
ciò non avvenne, e se anzi dal nome latino se ne ori-
ginò talvolta uno slavo secondo le leggi di questa lin-
Roessler op. cil. pag. 119, Rački op. cit. pag. 261 e
Knjiievnik I, 1, pag. 66 e seg.
gua, oppure un altro affatto nuovo ed indipendente
dall'antico latino, tutto ciò serve a dimostrarci l'esi-
stenza di due nazionalità distinte e diverse, per le quali
una stessa località fu nominata variamente. E valga il
vero: la Becla di Porfirogenito, Veda dei latini, fu per
i neo-latini prima Vegla e poi Veglia per quella stessa
legge fonetica che dal latino specidiim produsse prima
speclum e poi specchio e speglio. Ed allato a Veglia,
voce usata nelle scritture, abbiamo nel dialetto Velgia
e Vegia forme piuttosto veneziane che nostre e perciò
meno frequenti della comune Veia. Con Veglia, deri-
vata da Veda, nulla ha da fare lo slavo Krk, voce di
un dominio assai ristretto, e nota più agli eruditi, che
alle plebi. La Krepsa di Tolomeo divenne prima Kerpsa,
e poi Kersa, Cherso, e per gli slavi Cres, mantenendo
in entrambe le lingue il suo stampo classico. Lo stesso
dicasi di Apsoros, che in Porfirogenito è Òpsara, di-
venuto Ossero dial. Ossaro in italiano, e Osar in islavo.
L'Arha di Plinio e Tolomeo è già Arhe presso Costan-
tino Porfirogenito, e Arhe pure per gì' italiani ; gli slavi
poi colla trasposizione della r la dissero Bah, traspo-
sizione comunissima anche nelle lingue romanze (cfr.
Orlando fr. Boland, arnione dial. rognon, ramolaccio
lat. armoracia). Jadera (Jader) mostra nella forma me-
dioevale Diddora in Porfirogenito quella tendenza, già
notata dal Diez e propria dell' italiano, di aggiungere
alle voci latine, incomincianti per j, una d, per poi
passare dal nesso dj al nesso gi. Cosi nel basso latino
troviamo madius per majus, pediorare per pejorare (ital.
maggiore % peggiorare); e nella lingua letteraria le forme
doppie: diacere e giacere, diacinto e giacinto, e per a-
nalogia dyiaccio e giaccio (ghiaccio). Ma Diddera o
Diddora, che avrebbe dovuto produrre le forme Gia-
dera, Giadra., Giarra secondo il processo fonetico più
comune, ha seguito invece l'altro meno usitato nella
lingua scritta, più freqiiente invece nei dialetti, di so-
stituire al gi iniziale una z dolce. I Veneti dicono zorno
per giorno, za per già; e così da Diadera si fece Za-
dera, Zadra, Zarra e Zara. La forma legittima avrebbe
dovuto essere Zarra per l'assimilazione di dr in rr (erre),
forma che ricorre molte volte presso gli antichi; ma
si scrisse Zara forse badando più alla pronuncia che
all'etimologia, non facendosi udire da noi^ come in molti
altri dialetti italiani, le consonanti doppie. Gli slavi
dicono Zadar, in cui quel z iniziale rivela forse l'in-
fluenza della formazione neo-latina, giacché, per quanto
mi consta, Vj latina sarebbe rimasta tale in islavo, ed
il nesso dj sarebbe passato in gj. — Tragurium (Tetra-
guriim) rimane nel moderno italiano Traiì e meglio
nello slavo Trogir.
Al nome della moderna Spalato corrisponde, come
abbiamo veduto più sopra, in Porfirogenito Aspdlatlws,
ed in islavo Split o Spliet. Qui non è solo rimasto il
nome romano, ma vuoisi che lo stesso nome abbia un
significato; è nota infatti la comune opinione che fa
derivare quelle voci dal latino Palatium, cioè Palazzo
di Diocleziano, edificato presso Salona.
Contro la giustezza di tale etimologia si obbietto
prima dì tutto Io spostamento dell' accento, e poi la de-
0 Op. cit. voi. I, pag. 2T4.
Rad. Jiig. Akad. voi V, pag. 161 e
sarebbe prima disceso Eaiisium, che mutossi alla sua
volta in Ragusium in grazia di una g iuserta tra
le due prime vocali, a togliervi l'iato. Così dal lat.
luscinia si ebbe in ital. rosignolo — da ligusticum, rovi-
s<ico (DieK. I, pag. 203); da raitnare ragiinare,àa.[àia\.
seo ital. sego (Diez. I, 189.) La forma Lausiim e liau-
sìum la troviamo in Porfirogenito e Cedrano ; Ragusitan
nel Ravennate ed in Zonara. Indi la desinenza — slum,
seguendo i vari mutamenti delle consonanti in iato^ ha
prodotto Lausa presso il Luccari, Rausa ed il moderno
Ragusa, come dal lat. ecclesia discese in ital. chiesa j
oppure Raugia presso il Razzi, come dal lat. Perusia
ital. Perugia. Allato a queste forme, proprie del neo-
latino, nessuna relazione ha lo slavo Dubrovnik^ che
vuoisi derivato da dubrava = selva.
Un tanto circa ai nomi di quei centri, in cui, se-
condo la testimonianza del Porfirogenito, erasi mantenuto
sino ai suoi tempi l'elemento romano. Ma neppure gli
altri nomi antichi di città e di castelli, nei quali sareb-
besi fino d'allora affatto estinto il latino, scomparvero
dalla memoria dei posteri: tanto era potente l'ordine
di cose preesistito ai barbari ! Aenona, Scardona, 8aloìia,
Coriniim, Rhizanon, Butlioa, Brachia, Olynta, Issa, e
molti altri nomi geografici della Dalmazia esìstono
tuttogiorno di poco alterati, ed attestano, se non l'in-
terotta continuità del latinismo, la loro importanza al-
meno nel mondo romano.
I barbari adunque, se fecero man bassa delle
cose, non estirparono istantaneamente il latino tanto in
Dalmazia, che nelle altre ragioni della penisola balcanica,
che passavono ufficialmente sotto la denominazione d' II-
lirio. Infatti oltre ai nomi geografici, oggidì in vart
luoghi di questo vasto territorio esistono linguaggi, che
rivelano la loro origine dal latino, e che attestano
perciò l'esistenza di questa lingua in quei paesi all'e-
poca della venuta dei barbari. In ambedue le rive del
basso Danubio una numerosa popolazione parla oggi
una lingua, che per la sua grammatica e per il suo
dizionario è manifestamente derivata d»l latino. Inten-
diamo dire del rumeno, il linguaggio della Valacchia,
della Moldavia, di una gran parte del Sicbcnbtirgen, e
di quelle regioni dell'Ungheria e della Bessarabia che
al Siebenbiirgen sono adiacenti. Nò a questo solo ter-
ritorio, che corrisponderebbe quasi alla Dacia od alla
Mesia, si riduce la lingua rumena. La si trova nella
Dobrudscha; nella Bulgaria lungo il Vid, l'Iskev e
l'Ogustul; nella Serbia tra la Morava e il Danubio.
Incontransi i rumeni ancora nella bassa Albania, nella
Macedonia occidentale, sul Pindo, nelle vallate dell'A-
spropotamos, nella Tessaglia, nella Grecia lungo la
valle dello Sperchio, in Istria nella valle dell' Arsia, c
nel paese dei Cici.
Questi popoli, che adesso si dicono rumeni, dagli
scrittori del medio evo erano chiamati Blachi, Mauro,
òlachì, Vlachi e ValaccTìi, ed erano ancora più estesi
di quello che apparisca oggigiorno. Nella Macedonia e
nella Tessaglia prima della venuta dei turchi forma-
vano essi la maggioranza delia popolazione^ tanto che
quest' ultimo paese era detto dai greci .uć^KAr, MXx/lx.
Nell'Etolia e nell'Acarcania, ove al presente non esistono
Vlachi, eravi la [xt-z-p BXayta, o Valacchia piccola. Vlachi
abitavano al Mar Nero lungo golfo il di Burgas, nella Tra-
cia meridionale da Costantinopoli a Vize e sul Balkan. ')
Dalle indagini di Jireček {Die Wlachen iind Maurowla-
chen in den Denkmalern von Ragusa negli atti della
r. Acad. delle Scienze in Praga 1879) risulta ancora
che i vlachi si trovavano presso Moraca nel Montenegro
orientale, tra Prepolje e Sjenica nell'Erzegovina orien-
tale; nelle regioni di Dračevica, Canali, Trebinje,
Rudine e finalmente nel paese degli odierni Crivosciani.
Ricorrevano ancora a settentrione di Ragusa a Vrjem,
lungo la valle della Narenta, in Bosnia, in Croazia
nella Dalmazia settentrionale, al sud-est della Moravia
e nell'isola di Veglia.")
Questi popoli adunque, che chiamavano ed ancora
chiamano se stessi rumeni, erano nominati dai vicini
valacchi. Anche oggigiorno i tedeschi ed i boemi li
appellano Walach, i bulgari ed i serbi vlac/i, i russi
volohi, i polacchi ivoloch o icoloszyn, i magiari olàli.
L'etimologia di questa voce fu variamente spiegata:
Leibnitz VI, 2, 52 la derivò da wallend migrans,
Thunmanu dallo slavo vlek = trahere cioè nomade, Engel
dal nome del fiume Volga, Dòderlein Lat. Etym. 210
dai Volsci e dalla radico slava vlad = dominavi; Aen.
Sylvius da un condottiero di nome Fiacco, Bonfinio da
iSaXXw àxi'Sa, Vaillant da valUs aquae, Katančić De istro
c. Vili, § 4, da Latini. L'opinione più comune si e
che questa voce discenda dall'antico tedesco walh, col
quale vocabolo gli antichi Germani aveano da prima
indicato i Celti e poi quei popoli, che aveano occupate
le loro sedi, cioè i Celti stessi e gl'Illiri romanizzati.
Dai Germani, se ci atteniamo all'opinione di Miklosió,
il vocabolo sarebbe passato agli slavi, i quali, a seconda
della fonologia loro, lo mutarono in viali. Il vocabolo
in sul principio significò in generale le popolazioni
romane; anche ora, oltre ai romani orientali, lo stesso
vocabolo indica, con qualche lieve mutazione fonica, gli
abitanti dell'Italia. JFalsc/t in tedesco, oltre a denotare
gli abitanti romani di una parte dell'antica Rezia, si-
gnifica italiano; e italiano dicesi in boemo vlacJi, in
polacco idoch, in magiaro oldsz. Ma presso gli slavi del
sud, in mezzo ai quali, come abbiamo detto più sopra,
vivevano in gran numero questi vlachi parlanti il ru-
meno, il vocabolo andò prendendo vari significati, a se-
conda che coi processo dei tempi si andava alterando
la loro nazionalità. Ma sul principio del medio evo i
serbi intendevano per vlach i rumeni della Valacchia,
i pastori rumeni della penisola balcanica e finalmente
le città italiane della costa dalmata. Il primo signifi-
cato comparisce specialmente negli annali serbi, da cui
rjiriček cita vari esempi. Che il secondo significato sia
derivato dalla nazionalità rumena di quei pastori, lo ci
viene dimostrato dai molti nomi rumeni, che ricorrono
nei documenti di quei tempi, di cui vari si trovano
addotti dal Miklosié e dal Jiricek nelle monografie già
citate. 11 terzo significato andò perduto assai per tempo
e più non si trova dopo il 12.50.
E vero che, come osservano il Rocssler ed il Mi-
klosié, non in tutti quei territori, ove si trovavano e si
trovano oggidì i rumeni, sono essi indigeni e derivati
'3 Roessier: Dacier und liomanen, già citato.
-3 Miklošić : l'eber die ÌVandeninpen der Rumuticn in den
dalinalinischeu Alpen und den Karpaten in Denksclirift. der k. k.
Akad. Wiss. phil. hist. Classe voi. 30.
ANNO IV. ZARA, 24 FEBBRAIO 1882. N.» 20.
LA PALESTRA
PERIODICO DI LETTERE. SCIENZE ED ARTI.
CONDIZIONI 01 ASSOCIAZIONE.
Per Zara fior, 4 : —
„ la Monarchia . . „4:50
„ l'estero . . . lire 12: —
Un numero separato s. 18. -- Pagamenti
anticipati. — Associazioni non disdette un
mese prima s'intendono rinnovate.
Esce
due volte al mese.
SOMMARIO. — L' Archimandrita Niceforo Ducié. -
(G. CHIUDINA). — L'italiano in Dalmazia. - Studi
(V. BRUNELLO. — Ora di spleen. - Sonetto. (ARIELE),
Miss Lucy. - Profilo. (ENNE). — Notizie e spigolature
L'Archimandrita Ducié. — Istitutore ed educatore. — Eroismo
di Luca Vukalovié — Gli Osvetnici (i vendicatori), — Ducié con-
dottiero (voivoda). — Negoziatore politico. — Suo eroismo. — Sue
decorazioni. — Dotto, erudito ed elegante scrittore ed autore serbo,
— Critica delle sue priDcipali opere.
Il nome dell'Archimandrita Niceforo Dució è tenuto
in grande estimazione in Serbia, nel Montenero ed
altrove.
Nacque egli il 21 novembre 1832 a Lug, nel cir-
colo di Trebinje, due miglia distante da Ragusa, ed una
decina da Trebfoje nell'Erzegovina.
Figlio di ragguardevole famiglia, compì i suoi
primi studi nel rinomato monastero di Duži; ì teologici
a Belgrado, e percorse eziandio quelli di filologia, sotto
il celebre Danicié, filologo serbo.
Fornito di naturale talento e di forte volontà, i
risultati dei suoi studi dovevano essere distinti, come
infatti lo furono.
Per assecondare il desiderio di uno zio entrò
neir ordine dei Calogeri. I sacerdoti greco-orientali, nei
paesi retti dal governo ottomano — erano sempre i
grandi fattori, i quali tenevano desta la fede nella
coscienza popolare.
Educato collo studio continuo e col viaggiare,
r Archimandrita Ducié fe' ritorno in patria, tutto com-
preso dal nobile idea di donare l'incivilimento e la li-
bertà a' suoi compatrioti. A tale effetto egli fondò una
scuola popolare a Duži ; scuola de' cui progressi il dotto
viaggiatore russo Gilferding fece moltissimi elogi.
AVVERTENZE.
Domande di associazione, importi di denaro
da spedirsi sXV Amministrazione j lettere,
manoscritti alla Direzione. — Manoscritti
anche non pubblicati non si restituiscono.
— Delle opere donate alla Direzione verrà
fatto cenno speciale.
Nel 1857 le comuni di Serajevo e di Mostar ga-
reggiavano per averlo a direttore delle loro scuole, pro-
ponendogli entrambe la dignità episcopale, per la quale
esse si erano dichiarate pronte d'interessarsi a Costan-
tinopoli. Il Dučić — con rara modestia — però si as-
sunse la direzione delle scuole, rinunziando all'offerta-
gli dignità.
In quell'incontro istituì egli nel monastero Žito-
mišlje presso Mostar un piccolo corso di Teologia;
prima istituzione di tal genere, per la quale si prestò
con sommo ed affettuoso interesse, ottenendo un sussidio
di talleri trecento dalla Russia, e dalla »Serbia, gratui-
tamente, tutti i libri necessari alla religiosa istruzione.
Di que' dì viveva Luca Vukalovié, le cui gesta
eroiche vengono levate a cielo ne' canti epici, Osvetnici
(i vendicatori) di Radovan ; canti pubblicati a Zagabria
nel 1862, e, per la loro inspirazione marziale loda-
tissimi da tutti gli Slavi. — E la poesia è il vaso
d'oro, in cui, distillata con lagrime, serbasi l'umana
speranza.
Col Vukalovié, 1' Archimandrita Ducié ebbe spessi
abboccamenti, tenendo sempre viva la speranza della
liberazione del suo popolo diletto dall'abborrito giogo
turchesco. Oh, quanto amava egli la cara sua patria!
Pronto d'ingegno, ardito e temperante ad un tempo,
per ottenere codesto intento nobilissimo, scrisse, in nome
del popolo, suppliche e memoriali ai rappresentanti delle
grandi potenze, nonché articoli pregevoli assai ne'giornali.
"Dobbiam noi piangere sempre sulle sventure del
nostro paese (si sarebbe egli espresso in uno dei suoi
memoriali) o sull' avvenire di esso ? Chi dividerà con
noi questi mali, consentendo alla nostra tristezza? E
chi ci aiuterà, con noi sofferendo, a ridire i nostri do-
lori, o a scolpirli sulle pietre? Destati, Geremia, destati!
piangi nelle tue profezie le miserie che abbiamo sofferte
e che abbiamo a soffrire ! pronunzia l'avvenire dei poveri
Bosnesi ed Ercegovesi ! ^
Tommaseo — Dizionario Estetico. Firenze 1869.
cuni anche del medio prodotto decennale nonché l'in-
ventario e il possesso personale, cioè gli schiavi, a
seconda la loro età, occupazione e bravura, gli inquilini
e coloni. I dati- venivano oflferti dal possessore e con-
trollati dagli ufficid'imposte. fOj?. cii.p. 20Ì-4,
Un catasto in piena regola c' era adunque fin dai
tempi di Trajano e gli stati moderni devono a lui e
non a Diocleziano l'idea d'un equa tassazione del
possesso fondiario.
Abbiamo già precedentemente accennato come i
capitoli che trattano della religione di Roma prima del-
l'impero siano a nostro parere un fuor di luogo. Del
resto la natura stessa del tema non permetteva al-
l'autore d'intertenersi a dilungo, quindi ne doveva ri-
sultare un quadro imperfetto d'assai. Ciò per altro non
c' interesserebbe punto se al peccato di forma non si
aggiungesse quello di esser caduto non poche volte in
giudizi errorati.
Cosi il nostro autore fa consistere l'ufficio degli
Auguri oltre che nell'indagare la volontà degli Dei an-
che nel predire le sorti future di uri! impresa colV os-
servare il volo degli uccelli {Cap. II). Ora, a detta del
Mommsen, (Op. cit. p. 74) la religione romana era si-
gnoreggiata dall'idea che l'uomo non può nè deve pre-
sagire le cose future, cosa alla quale neppure gli Dei
10 avrebbero aiutato, solamente il supremo Dio di Roma,
11 padre Giove, ad ogni azione fatta dall'uomo con
libera volontà concedeva la sua approvazione o disap-
provazione. Lo stesso Marquardt (Op. cit. p. 382-5)
parlando degli Aùguri conferma che la loro scienza non
si aveva per iscopo di svelare l'avvenire ma di otte-
nere l'approvazione della divinità per una determinata
opera. Il ricordare poi il volo degli uccelli come segno
favorevole o meno non vale quale un distintivo carat-
teristico perchè fin dai tempi di Cicerone i signa ex
avihus erano andati in disuso.
E del paro non poco ostico ci riesce il confronto
cui il Nostro crede poter trovare tra le vestali romane
e quelle del cristianesimo, (Cap. II); da ciò l'idea di
quel collegio di sacerdotesse risulta dimezzato e svisato.
La vergine cristiana si ritira dal mondo entro le pareti
di un chiostro mossa da vocazione, di sua propria vo-
lontà, ma la vestale romana vi entra costretta suo mal-
grado. La Lex Papia, De Virginibus vestalibus, per te-
stimonianza di A. Gelio ordinava che il pontefice mas-
simo ad arbitrio trascelte fra il popolo 20 vergini, per
sortizione ne eleggesse una ad esser consacrata. Suo
malgrado essa doveva rinunziare alla felicità della vita
domestica ed in premio d' un servigio faticoso oltre ogni
dire e severamente controllato {Marquardt. op. cit. v.
III,p. 237) poteva uscire talvolta in carrozza — curus
arcuatus, come quello dei Flamini — ed aveva un posto
d'onore nei giuochi dei gladiatori non però a quelli
degli atleti. Ed a persuadersi quanta ben poca cosa ciò
fosse basta riandare tutta quella serie d'incombenze cui
doveva soddisfare; basta si pensi che quand'anche il
sacro fuoco di Vesta indipendentemente dalla sua sor-
veglianza, per una causa qualunque spegnevasi n' era
chiamata responsabile e punita. E se la pena capitale
era riservata soltanto all'incestuosa; pensi, come giu-
stamente accentua il Mommsen, non esser questo che un
puro caso giacché, senza dubbio, ben altri trascorsi
meno infamanti saranno stati puniti con eguale pena.
{Op. cit. V. II, p. 64). E poi aggiungasi che il sacer-
dozio della Vestale non era vita durante, ma durava
legalmente 30 anni, dopo i quali essa ritornava al mondo
e poteva anche sposarsi. {Marquardt. op. cit. v. Ili,
p. 826). Dove adunque maggiore il sacrificio?
E dobbiamo osservare ancora che non è Tarqui-
nio Prisco, il re che edificò il tempio capitolino (Cap. II) ;
n' ebbe l'idea, ma non giunse che a spianare la cima
del colle Tarpeio ; T opera fu compiuta da Tarquinio il
Superbo ed ei fu quello che lo dedicò alle tre grandi
divinità Giove, Giunone e Minerva e da questo mo-
mento quella parte fu chiamata Campidoglio. Conseguen«
temente esso non è il primo tempio, essendo che un
altro era stato fabbricato ancor prima da Servio Tullio
suir Aventino in onore della Dea Diana. Per Tarquinio
Prisco vale soltanto che sotto di lui si fa valere per
primo l'influenza ellenica, trovandosi allora le prime
statue degli Dei, come scrive il Marquardt. (Op. cit.
V. in, p. 37).
Aggiungasi poi che il culto della Dea Pessinunte,
venuto a Roma nel 204 a. c. non vi fu introdotto per
ordine dell'oracolo delfico, {Cap. XVII). si bene l'ora-
colo partì dagli stessi libri sibillini, la cui influenza
superiore a quella d'ogni altra causa fu del tutto scor-
data dal Nostro.
Invero, si fu in forza di questa che lo stato si
vide costretto di assumersi l'organizzazione dei nuovi
culti {Marquadt. op. cet. v. IH. p. 364).
Anche il culto d'Iside, introdotto a Roma dopo la
II guerra punica, non godette di templi appena al
tempo di Domiziano, come vorrebbe 1' autore^ (Cap. ZFU)
ma già nel 43 i Triumviri ne avevano costrutto uno
pel culto pubblico; anzi già al tempo di Augusto ve
ne erano non pochi pubblici che privati seppure fuori
del Pomerio. E sappiamo che Agrippa con decreto
del 21 a. c. ne li cacciò del tutto dalla città e che
più tardi Tiberio, puniti i sacerdoti rinnovò l'ordine di
loro distruzione. Prima di Vespasiano e Domiziano
anche r imperatore Ottone era stato un fervido seguace
del culto d'Iside. Sotto Domiziano egli è che questo
culto straniero spadroneggia e dall' Italia passa, oltreché
nella Germania e nei Paesi Bassi, anche nella Spagna,
Gallia, Elvezia Pannonia, Dalmazia, Dacia e nel Nerico.
In questo rapporto soltanto e non peraltro il nome di
Domiziano si commette al culto d'Iside.
Dicasi altrettanto per il culto di Baal rispetto ad
Eliogabalo : non è il matrimonio ideato da questo impe-
ratore fra il dio d'Emesa colla Dea Coelestis di Car-
tagine che ne trapiantò il culto in Roma, esso vi si
trovava già dai tempi della III guerra punica e fiorì
specialmente sotto Aureliano il quale, come dimostra
il Marquardt (Op. cit. v. Ili), ne stabilì il sacerdotiim
piihlicum coir istituzione dei ponlifecis solis.
Né possiamo non osservare come alcuni punti oscuri
della vita di Diocleziano avrebbero meritato una mag-
gior delucidazione. Uno di questi si é certamente quello
che ne riguarda l'origine. L' autore sull' autorità di Eu-
tropio (Cap. V), ammette senz'altro che i di lui geni-
tori erano stati schiavi del senatore romano Anulino e
ritiene che venuto in Italia col padre suo vi abbia ot-
tenuto la libertà, cioè fosse divenuto libertino. Ma è
lOÙ'Lli / / /
ANNO IV. ZARA, 12 MAGGIO 1882. N.« 24.
LA PALESTRA
RERIODICO DI LETTERE, SCIENZE ED ARTI.
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SOMMARIO. ~ L' italiano in Dalmazia. - (V. BRUNEHI). —
Nella sala ove i doppieri (DALMATICUS). — Novità della
scienza. - (G. FABBROVICH). — Janko Crnojević. - (G. NIKOLIĆ).
— Note Bibliografiche. - Rolla di Alfredo de Musset. - -
Gabriele d' Annunzio. - Terra Vergine. - (G. S.). — Biblio-
gFafia storica della Dalmazia diretta da G. Gelcich. — Due
tregedie di T. D. Alačević. - (Prof. L. B.). — Notizie e
spigolature, — Cose nostre. — Aforismi. - (JADERTINUS).
(Studi Jilologici.)
(Continuazione vedi n." 20).
Importante è invece V Historia Salonitanovun pon-
tìficum atque ^palantensium di Tommaso arcidiacono
spalatino, che visse dall'anno 1260 al 1268, e che
racconta la storia dì Salona e di Spalato dai primordi
fino air anno 1267. Estesa questa storia nel latino
scolastico dell'evo medio, se non offre che qualche raro
italianismo, è scevra affatto da qualsiasi vocabolo slavo.
Ci mostra però in più luoghi l'esistenza a Spalato d'una
popolazione, che non è slava, e che a questa è con-
trapposta; e la poca propensione dello scrittore per i
Croati e gli Slavi. A conferma di quanto andiamo dicendo,
offriamo qui tradotti alcuni tratti della storia suddetta.
Al tempo dell'arcivescovo Lorenzo si tenne a Spa-
lato un sinodo, in cui furono discussi e formati parecchi
capitoli; tra i quali anche il seguente, di cui cosi ra-
giona l'arcidiacono Tommaso:
„In mezzo ai quali capitoli fu fermata e stabilito
anche questo, che cioè nessuno dovesse celebrare gli
offici divini in lingua slavonica, ma solo nella latina e
nella greca; e che agli ordini sacri non potesse essere
promosso alcuno di quella lingua. E dicevasi che le
lettere gotiche (cioè slave) fossero state trovate da un
certo Metodio eretico^ che molto e falsamente avea
scritto nella medesima lingua slavonica contro la fede
cattolica; per cui narrasi che per divino volere fosse
stato colto da morte improvvisa. Promulgato questo
capitolo dal sinodo, e confermato dal pontefice, tutti i
sacerdoti degli slavi furono afflittissimi, perchè furono
chiuse tutte le loro chiese."
„Ma avvenne che fosse venuto in Croazia un
sacerdote di nome Ulfo, che portava impressa sul volto
la pietà, ma in cuore teneva nascosto il veleno del
tradimento. Andava sussurrando tra il popolo, essere
egli stato mandato dal papa; e compassionando la sua
semplicità, prometteva di dare loro un utile consiglio.
Sappiate, — andava dicendo — che il papa molto s'ad-
dolorò, quando udì esservi state chiuse le chiese ed
impediti i vostri sacerdoti dagli uffici divini. Mandategli
un'ambasciata, e vedrete che otterrete, quanto deside-
rate. — Convocatisi gli anziani, determinano di man-
dare a Roma lo stesso Ulfo con alquanti loro doni.
Partito il prete, porta ai piedi del papa i doni e .le
preghiere dei Croati; a cui egli risponde, non esser
giusto così su due piedi agire contro i capitoli - dei ler
gati apostolici : si mandino due vescovi, e con loro egli
tratterà, non potendo esaudire le preghiere di una
persona ignota. - Ma che quel maligno sacerdote, anziché
presentare questa risposta del pontefice all' arcivescovo,
al re ed ai prelati, a cui era diretta, si recò nuova-
mente tra gli slavi. Ed a loro espone, che erano state
esaudite le loro preghiere, che le chiese potevano ria-
prirsi, e libera fosse in esse la liturgia slavonica; ma
che dovevano eleggersi un vescovo, il quale insieme a
lui avrebbe dovuto portarsi a Roma con alquanti doni
per la consecrazione. Lieti gli slavi per questa novella,
eleggono a vescovo un certo Cededa, vecchio e rozzo,
e lo mandano a Roma assieme a Potepa abbate, ed al
medesimo Ulfo. Presentatisi al pontefice, questi domanda
loro chi fossero. Ed Ulfo risponde: veniamo dalla
Dalmazia; e la paternità vostra può ricordarsi, essermi
io già presentato alla benevolenza vostra; vengono poi
costoro, onde ottenere grazia per i loro connazionali.
È costui poi uomo nobilissimo tra gli slavi, e qui viene,
acciò da voi istrutto possa predicare la verità. Che
carica copre? domandò il papa. — È sacerdote slavo.
— E perchè non si rade là barba secondo il costume
della chiesa cattolica? — Qui venne per eseguire in
gli strapazzi senza nome, le dui'® vi-
gilie della trincea ; corse dalle bianche
vette, impiacQlate delle Alpi ai desolati
greppi del Carso tinto di rosso sangue
italiano; traversò animoso le sconfi-
nate regioni dell' aria su vigili stru-
menti di guerra e solcò, fidente nella
rivendicazione di Lissa, le acque à-
mare dell' Adriatico, invano contese
all' Italia; dovunque si combatteva e si
soffriva, si piangeva e si sperava, Egli
passò, incitatore con la p^ola, con
r azione e l'esempio per compiere i
destini di un' Italia più grande e più
forte,» per combattere al fianco delle
altre nazioni civili, nella lotta con|ro
la barbarie invadfente, per i più alti
ideali di libertà e di giustizia.
L'Italia vide e sa tutto questo : Zara,
memore è reverente^ con affetto di fi-
glia redenta, si unisce non indegna-
mente nel Genetliaco del Re alla festa
della Patria.
• • • aveva già vittoriosa' ^ru aveva per.
"^""resercUo austro-ungarico è annien-
Mto- e a Ka subito perdite gravissime
leir acrnita resistenza dei primi giorni
e neU'^ ^^ perduto quan-
di mater^ di ogn
sorta e presso che per mtero i suoi
maTazzini e i depositi : ha lascito f.
finL nelle nostre ^^^^^^^^^
prigionieri con interi stati maggiori e
non meno di 5000 cannoni. ^ .
^IZti di quello che u uno de, piU potenti eserdtl dei nfondo, nsalgono^
in disordine e senza che avevano disceso con orgoghosa
sicurezza. ^
Gli scorsi giorni vennero ristampati
e ampiamente diffusi a Zara questo
manifesto e questo bollettino del ge-
neralissimo Diaz, letti tra vivo Entu-
siasmo :
Ai fratelli irredenti.
Zona di guerra 3, ore 18.30,
Fratelli delt Italia nuova !
L' Esercito italiano avanza vittorioso
per liberarvi per sempre. 11 nemico in
rotta, fuggendo le vosire città fedeli e
gloriose, annuncia il nostro arrivo, la
nostra vittoria, lascia dietro a sè de-
cine di migliaia di prigionieri, centinaia
di cannoni, tutte le sue ambizioni.
Il giuramento dei nostri eroi si è
. compiuto: per forza delle armi e per
la giustizia si è avverato il vaticinio
dei nostri Martiri : la libertà è risorta
nel nome di Roma su dalle sante tombe
.dei nostri morti.
* Dopo un secolo di guerre, di spe-
, ran*e e di ansie, tutta la patria si riu-
nisce intorno al suo Re.
Fratelli!
Siate nella giòia calmi e saldi quali
foste nel lung<^ dolore, depositari in-
oorrutibili della più pura ed umana ci-
viltà che abbia mai fatto luce sul
mondo.
Del nemico vinto non dimenticate
r iniquità e le insidie, ma respingete
il tristo esempio della crudeltà e della
violenza.
- Da oggi r Esercito d'Italia è il vo-
stro Esercito. Aiutatelo a ristabilire
; r ordine pel bene di tutti, come tanti
di voi, da Cesare Battisti a Nazario
Sauro, l'hanno aiutato a raggiungere
questa vittoria. Armando Diaz.
Il bollettino che passerà alla storia.
Comando Supremo
4 novembre 1918.
La- guerra contro 1' Austria-Ungheria
che, sotto r alta guida di S. M. il Re
' — Duce supremo — 1' esercito ita-
' liano, inferiore per numero e per mezzi,
• iniziò il 24 maggio 1915 e con fede
incrollabile e tenace valore ' condusse
; ininterrotta ed asprissima per 41 mesi,
è vinta.
La gigantesca battaglia ingaggiata
il 24 dello scorso ottobre ed alla quale
prendevano parte 51 divisione italiane,
3 britanniche, 2 francesi, una czeco-
slovacca ed un reggimento americano
contro 73 divisioni austro-ungariche, è
finita.
La fulminea ardentissima avanzata
del 29.o corpo d' Armata su Trento,
sbarrando le vie della ritirata alle ar-
mate nemiche del Trentino, travolte ad
occidente dalle truppe della Settima
Armata e ad oriente ' da quelle della
Prima, Sesta e Quarta, ha determinato
ieri lo sfacelo totale del fronte avver-
sario.
Dal Brenta- al Torre l'irresistibile
slancio della Dodicesima, dell' Ottava,
della Decima Armata e delle divisioni
di cavalleria, ricaccia sempre più in-
dietro il nemico fuggente.
Nella pianura S. A. R. il Duca
d'Aosta avanza rapidamente rapida-
mente alla testa della sua invitta Terza
Armata, anelante di ritornare Sulle po-
La Cronaca ]
Ora parli la cronaca, rapida e con-
cisa.
i I giorni che precedettero 1 entrata
delle truppe liberatrici, vennero divelté
e distrutte a furia di popolo tutte le
insegne e gli stendardi dei presidi e
degli uffici austriaci. Un monumento,
che bruttava Piazza Delauranna, veniva
demolito, e la sua impalcatura data
alle fiamme. Intanto, col fervore del-
l'aspettativa, la città si andava ani-
mando straordinariamente, e alla sera
le, ampie sale del Casino accoglieyano
in fervorose adunanze centinaia di cit-
tadini. — Si costituì subito un Fascio
nazionale, il quale in un proclama ebbe
a precisare chiaramente le aspirazioni
degli Italiani della Dalmazia.
La sera, al Casino, già tutto addob-
bato con bandiere nazionali, il podestà
dott. Luigi Ziliotto illustrava con pa-
rola vibrante di patriottismo questo
proclama, quando gli giunse il tele-
gramma sulle condizioni imposte dal-
l' Italia all' Austria implorante T armi-
stizio. Neil' apprendere eh' esse com-
prendevano anche l'occupazione da
parte delle truppe italiane dei territ<5/^
assegnati all'Ftalia dal patto di Londra,
eruppero irrefrenati l'entusiasmo, il
delirio della folla adunata. S'improv-
visò un imponente corteo, che con
frenetiche acclamazioni all' Italia, al Re
e all' esercito vittorioso, con sventolio
di bandiere italiane e con fervore di
canti — e r Inno di Garibaldi, e l'Inno
di Mameli, e le nostre più care can-
zoni popolari — percorse le vie tutte
illuminate a festa dopo il lungo tene-
brore di guerra. Ed era passata la
mezzanotte. Il dott. Ziliotto improv-
visò un altro splendido discorso in
Piazza dei Signori; e nel Caffè Cen-
trale, affollato sin quasi all' alba, il
prof. Domiacussic fece, con il consen-
timento entusiastico della cittadinanza,
la glorificazione di Roberto Ghiglia-
novich, lo strenuo, mirabile tutelatore,
in Italia, del nostro diritto.
La giornata del 4 novembre s'inizia
con nuove esultanze. Il blocco ha am-
miserito, ha spogliato i nostri negozi.
Non vi si trova un metro di stoffa a
pagarlo a peso d'oro. Eppure — oh
insaziato amore d'Italia ! — ecco la
città ingemmarsi di tricolori italiani.
Ed ecco tutti gli occhielli adornarsi <ii
coccarde italiane. S'improvvisano a
centinaia, in un' esultanza che pare ed
è sovrumana, che pare ed è eroica,
Degli ardimentosi salgono persino sul-
la cuspide della torre altissima, che
presidia la basilica dei Crociati latini,
e vi infigge la bandiera d'Italia.
Prima delle 3 del pomeriggio ecco
che la torre sprigiona il suono festoso
delle sue campane. Suonano in gloria.
E' la prima nave italiana, è la prim,a
nave liberatrice che approda alla spon-
da di Zara. Arriva la torpediniera 55
della Regia Marina — comandata dal
tenente di vascello Rino Matteucci —
con i primi plotoni di truppa e col
comandante militare, capitano di cor-
vetta Felice de Boccard. La città, tri'
pudiante, si riversa tutta a riva vec-
chia. L'ora solenne, V ora sacra alla
storia, infonde in tutti un' esultanza che
non si può descrivere. Si grida, si
canta, si piange, in un' esaltazione co-
cente, e pure dolcissima. Il podestà
bacia e saluta in nome di Zara il co-
mandante. I soldati, che sbarcano, sono
pure travolti nell'abbraccio popolare c .
avidamente baciati. Poi tulli SÌ avviano:
i soldati d'Italia, che ornai sono i Sol-
dati nostri, frammisti alla folla enorme, •
che fa corteo, sahitati con sventolio di %
bandiere nel passaggio, dalle finestre
e dai poggiuoli. 11 comandante, a capo
del corteo^ col Podestà, si reca ali ex
palazzo luogotenenpale. dove funge
un provvisorio governo jiii'-oslavo. h
proclama : „in nome di S. M. il re
d'Italia, prendo possesso della città
di Zara". E fa issar sul palazzo la
bandiera della Nazione, al posto d'o-
nore. 11 comandante de Boccard sale
poi al palazzo del' Comune e ripete
al podestà la stessa proclamazione so-
lenne, mentre al poggiuolo viene is^
sato, al posto del gonfalone civico, u,
tricolore. Segue una grandiosa mani-
festazione, con bandiere e musiche e
canti e fiaccole. Tutta Zara sull' im;
brunire sfila davanti alla regia torpe-
diniera.
Alla mattina del 5 venne ovunque
diffuso ed affisso un altro proclama
del podestà ai cittadini.
Raccoltosi la mattina stessa il Con-
siglio Municipale, reintegrato per volere
di popolo, venne deliberato di tele-
grafare al primo aiutante di S. M. il
Re e di pregarlo di partecipargli ,,i
„sensi di profondo omaggio ed infi-
„nita esultanza dei nuovi redenti, or-
„gogliosi di rivivere le glorie di Roma
„e di Venezia".
Nella stessa giornata del 5, con le
stesse manifestazioni di esultanza, ven-
ne salutato r arrivo degli ufficiali e dei
marinai della regia torpediniera 68.
Griornata su tutte memorabile quella
del 7 novembre. Numerosi ufficiali
e soldati del disfatto esercito au-
striaco, tornati a Zara, si fregiano tutti
di coccarde e di fascie tricolori. Zara,
risorta, fa risorgere tutte le sue so-
cietà patriottiche: i Vigili, i Bersa-
glieri, i Ginnasti, i Canottieri. Uni-
formi e bandiere — invano annìu-
lare dal livido terrore dcH' Austria
— ritornano alla luce e alla gioia. E
si organizza, con i corpi monturati, un
altro grandioso e splendido corteo, se
si può dir corteo la riunione discipli-
nata di tutta una cittadinanza, che,
assieme ad un'eletta di signorine bianco-
vestite e recanti fiori, si avvia a riva
vecchia per 1' arrivo della regia nave
„Audace": nitido e poderoso gioiello
della nostra marina. La nave, coman-
data dal capitano di corvetta Starita,
reca un riparto di fanteria di marina
e un plotone di reali carabinieri. La
riva è gremita e sulla folla ondeggia
la cara policromia di centinaia di ban-
diere nazionali. Gli evviva all' Italia e
al Re e al regio esercito, alternate al
canto degli inni, non si interrompono
mai, sempre formidabili. Le dimostra-
zioni di affetto agli ufficiali e ai sol-
dati sono, più che entusiastiche, frene-
tiche. l liberatori sono ricoperti di fiori
e la nave diventa tutta floreale, come
nave di poesia. Il passare del gran-
dioso corteo per le due rive e in ispe-
cie per Calle Larga — eh'è l'arteria
più pulsante della città — offre uno
spettacolo meraviglioso, mai prima ve-
duto. Se ogni altra documentazione
mancasse ad affermare l'incrollabile
italianità di Zara, basterebbe questa
sola a dire che cosa sia Zara e che
cosa Zara voglia, in nome del suo
lungo e i paziente dolore, in nome della
sua maturata speranza. Due volte il
comandante Starita, all' arrivo e sul pog-
giuolo del municipio, ricordò la gran-
de vittoria d'Italia, che non ha dispe-
rato, che ha. creduto, che ha giurato
e che ha voluto questa vittoria; e,
rilevato il martirio^ di Zara, disse
r obbligo nostro di mostrarci ora di-
sciplinati e fedeli in giuramento sacro
allo statuto ed al Re. Un' ebrietà santa
invase la folla, che giurò, rinnovando
le dimostrazioni plebiscitarie.
Di questi 'giorni arrivarono torpedi-
niere, sottomarini e dragamine, con
nuove truppe, l'arrivo delle quali die-
de luogo a nuove entusiastiche dimo-
strazioni.
Oggi ~ genetliaco del
nuovo imponente cor(.-o t ->.,
nelle prime ore del mattiijo^'^^^^W
testa la uanJa Municip.iìe,
la città, sostò, fra canti Dai
sventolio 'di bandiere, 3
lazzo municipale, inneg^jian^^ to-.
liberatore. Le regie nevi hanno {.v, ^^
il gran palvese. '^'^ato
1 bravi popolani di Piazzetta M •
l'anno oggi addobbata a festa ?" '
un'allegria di tricolori, piantai ^
vecchi colonnini veneti, tricoloj f'
ch'essi. La Porta Marina, d'ond'^''
la prima volta entraron le trun ^
liane, adorna di festoni di verzl^
battezzata Porta 4 novembre,
Questa sera il Teatro Verdi ~
da quattr' anni - - viene riaperto
serata festiva data a cura del comuf
per solennizzare il genetliaco di S M
il Re Vittorio Ei^anuele HI. L'ineJ
va devoluto a vantaggio delia cucij,
popolare. ', '
Il Conte Piero Foscari, sotto se?,
tario di btato, ha mviato da Roma 1
nostro podestà, dott. Luigi ZìIìqu
queste parole: i«
„Piero Foscari, piangente di J
mozione nazionale, che soltanto i
ratini possono comprendere, mandi
suo primo abbraccio a Luigi Zilioi
sindaco di Zara".
Questo primo numero può dirsi
provvisato. 11 lettore vi troverà
cenze, lacune. Molte sono le impressio
e le notizie che oggi mancano; ma
daremo nei prossimi numeri. La
tadinanza ci assolva oggi delle
canze; e ci sorregga, con salda
sempre.
Nostro servizio telefonu
Apprendiamo che il nostro illi
concittadino Dr. Roberto Ghiglianò|
arrivato di questi giorni a Tries
già partito per Ancona, donde f i
bilmente mercoledì prossimo si r
a Zara.
— Il commendatore Antonino v
già regio console nella nostra ci,
giunto a Sebenico.
— Il Consiglio nazionale di Fii
adunatosi 1' 8 corrente a seduta
naria, dichiarò che Fiume è italiaì
basandosi sul suo diritto naturali
proclamato la sua unione all'i!
mettendo questa sua decisione set
protezione dell'America. Fiume att«
la sanzione del suo voto dal Con|
so della pace. !
ì
— Ieri, dopo mezzodì, dal
Governatore della Venezia Giuli
ammessa alla presenza del Re una
putazione di Piume invocante una
rola redertrice che sanzionasse la
decisione di unirsi all'Italia. .
la deputazione presentò al Re una
gamena con la dichiarazione ri
dante F indipendenza di Fiume e
decisa volontà di unirsi all' Italia.
Sua Maestà il Re assentì con i i
patia, visibilmente commosso, all'cjfe
sizione della deputazione. |'
. f
— L'Agenzia Havas annunzi
fronte francese che h ritirata d«
manici s'è trasformati in piena |
I Tedeschi si ritirano considerevoln •
ogni giorno. Gli Anericani soi
entrati a Sedan e mnacciano il
dei nemici. Circa 50).000 di lor
a Ovest di Sedan e contro a, J ,
avanzano rapidaments Inglesi e
cesi, sì che è dubbiose potranno é
gire all'accerchiameiio. if
1-
Direttore responsabile Gaetano Fft^n^
Editrice la Tipografia: E de Sohonf^»«'iì
itiiiiWiMa
Anno 1 - N. 2. Zara» 13 novembre 1918.
A VOCE DALMATICA Abbonamenti per ora non si ricevono. Un numero cent.^ 20. Redazione ed' Amministrazione provvisoriamente nellaTipografia . E. de SchOnfeld.
órdine del giorno del ^e
resercito e all'armata.
La gratitudine si eleva dal cuore di
te il popolo d'Italia.
S. ;M. il Re ha indirizzato all' Eser-
0 ed air armata il seguente ordine
g-iorno :
Soldati, marinai !
VIentre gli estremi lembi della Patria
asa accog^lievarìo, dopo un anno di
a2Ìo, i fratelli liberatori, su Trieste
su Trento era innalzato il tricolore
Italia. Così, in un medesimo giorno,
compiva il sogno dei nostri padri,
voto dei nostri cuori.
;1 ciclo delle guerre, iniziate dal mio
oavo, sempre contro lo stesso av-
rsario, oggi si è chiuso.
La epopea svoltasi per tre quarti di
:olo con memorabili eventi non po-
^a avere più fulgido coronamento di
Oria.
Soldati, marinai!
E.' appena un anno che una imme-
ìla avversità si abbatteva sulla Patria;
gi, a così breve distanza di tempo,
te le città di una Patria più grande
'mono nella esultanza del trionfo.
Se così prodigioso rivolgimento è
venuto, è opera vostra. Nei giorni
e più parvero minacciosi, una sola
la vostra decisione: resistere perla
vezza della Patria, fino al sacrificio,
I alla morte ! E quando la resistenza
ilinsaldata, non vi infiammò che un
tire solo : vincere, per la grandezza
'^^ilia, per la liberazione di tutti, i
oppressi, pel trionfo della giu-
zi su tutto il mondo.
Vói raccogliete oggi il vostro pre-
o. Le mille eroiche prove da voi
perate per terra, per mare e pel
[b, la disciplina osservata fino all^
ozione, il dovere compiuto fino al
iicio; tutte queste virtù di soldati
cittadini salvarono la Patria, e
0 di averla salvata, ora la glorifi-
% col trionfo.
^ Soldati, marinai !
Italia, ormai riconosciuta nella sua
ngibile unità di nazione, intende e
-ife cooperare fervidamente per assi-
li^re al mondo una pace perenne,
fidata sulla giustizia. Perchè questa
1 DÌle aspirazione si compia, bisogna
sia abbattuto quanto ancora resiste
prepotenza e di orgoglio, mentre la
"fscria di tutti i popoli liberi si avanza
: l^tibile e il nemico comune non
' a ritardarla.
intanto, o soldati e martiri, già
nedicono i martiri antichi e re-
e i commilitoni che caddero al
J^tro fianco, poiché per voi non fu
^rso invano il loro sangue, e la Pa-
pià intera vi esalta, poiché per voi fu
Raggiunta la sua meta, e il vostro Re,
icon profonda emozione di affetto, vi
esprime la parola di gratitudine che si
^leva a voi dal cuore di tutto il po-
jpolo d'Italia.
I Dal Comando Supremo, 9-11-1918.
Vittorio Emanuele.
Due proclami.
Gli scorsi giorni vennero ainpia-
inente. diffusi a Zara questi due pro-
clami, letti e commentati dalla nostra
cittadinanza con vivo entusiasmo.
Italiani della Dalmazia!
ii nemico più grande della nostra
"patria, quello che le impedì per secoli
d as^urpre a dignità di nazione, e
anche ptu tardi inceppò il suo natu-
r.' c svol^nmento ritenendo fra i suoi
artigli pam integranti di essa, é crollato.
:jOra aeU integrazione d'Italia, l'ora
grandezza d'Italia è suonata.
aJ^ . fra tutto l'alternare
' apparve la costa dalmata
^ -ap e^Tìerto essenziale d'Italia, e per
<irpu xo quel nostro grande nemico
mise in opera tutte le forze per can-
cellare da qui ogni traccia d'italianità.
Ma il mostro è caduto prima d'aver
compiuto la sua opera.
Voi ben lo sentite, Italiani della
Dalmazia. •
E lo può vedere chiunque comprenda
che cosa siano per un popolo tutti i
documenti della sua civiltà, chiunque
sappia anche attraverso la mutata fa-
vella distinguere i caratteri della na-
zione.
L' ora dunque è suonata dell' inte-
grazione della patria, è suonata 1' ora
che la patria di S. Girolamo, dei Lau-
rana, di Nicolò Tommaseo, di Antonio
Bajamonti appartenga di nuovo all' I-
talia. •
Per il cadere della tirannide, sorge
a libertà accanto a noi un altro popolo
che, soltanto per le perfide suggestioni
del comune oppressore, per oltre mez-
zo secolo aveva potuto apparire il
nostro reale nemico. Ma snebbiata ora
dal sangue, che lo stesso tiranno fece
scorrere a torrenti, la caligine della
nostra mente, anche noi Italiani della
Dalmazia facciamo voti che il popolo
slavo assurto a libera nazione, cresca
e prosperi e, in istretta solidarietà con
la nazione nostra, porti il suo valido
contributo alla civiltà del mondo.
Italiani della Dalmazia / Tendiamo
tutte le nostre forze per renderci de-
gni del grande momento, e risuonì nel
nostro animo il grido
Viva la grande Italia!
Zara, 3 novembre 1918.
Per il Fascio Nazionale
Avv. LUIGI ZILIOTTO,
Concittadini! Il sogno più bello che
ci sia stato dato di sognare, quello
che sotó ci' etmfert salili
tutto il Calvario, è diventato realtà t
Zara è congiunta alla Gran Madre.
Anzi la realtà è molto più bella del
sogno nessuno avrebbe osato sog-nare
che l'Italia dopo Caporetto sarebbe
stata più grande che Roma all' indo-
mani di Canne ; che il colpo che la
nostra Patria avrebbe avuto la forza
di vibrare sarebbe stato tale da render
fredda per sempre là grande nemica.
L'Italia è compiuta con tutte le sue
Alpi e tutti i suoi mari, e non per
virtù di diplomatici ma per la forza di
tutti i suoi figli, di quelli che per
quasi quattro anni esposero il petto
alle palle nemiche e di quelli che con
la eroica costanza crearono gli eroi.
Concittadini! Io non so invitarvi a
contenere la gioia, ma voglio ricor-
darvi quello che per quattro anni fu il
nostro martirio d"ogni ora, la con-
danna più grande che uomini dall'ani-
mo nostro potessero subire: quella di
non aver potuto in modo alcuno con-
correre alla grandezza cl^^'^a Patria.
Non vi dimenticate di questo neanche
nei giorni della gioia, ricordatevi che
da questo momento ognuno di noi ha
il dovere di fare assai più di tutti gli
altri nostri connazionali per la gran-
dezza d'Italia.
Cittadini di Zara, proponetevi d'es-
ser degni della grande ora, propcnie-
. tevi d esser degni della più grande
Italia che da oggi incomincia ad esi-
stere.
Zara, 5 novembre 1918.
Luigi ZìUotto.
costanza non mai piegata, ci giunge
oggi la parola vostra.
Con essa voi, che duraste per lunghi
e tenebrosi anni 1' atroce martirio, che
doveva ridarci la Patria conculcata, la
lingua oppressa, la civiltà combattuta,
chiudete degnamente il periodo di lot-
ta^ e di angoscia, che nel fulgore delle
arni nostre, nell' abbiettezza dell' an-
tica tirannide ieri cadde e perì.
La nuova storia, che oggi incominćia
per noi e per la Dalmazia, è la nuova
storia d' Italia : sentire accomunati
questi fatti è veramente glorioso, ve-
rai.nente lieto per noi. La loro unione •
siiitetizza in modo meraviglioso l'ita-
liiinità superba della causa nostra, la
sua suprema bellezza, la sua sublime
potenza. Essa cancella e distrugge ogni
denigrazione.
"Noi, che allontanati da voi dalla
dóra necessità degli eventi, seguimmo
e jaccompagnammo 1' opera vostra dalle
t^ncee e dalle organizzazioni civili,
elle con la parola e con l' esempio la
caldeggiammo e la diffondemmo, che
con la volontà piegata ad ogni evento
diirammo la triste angoscia delle ansie
e delle trepidazioni, noi vi salutiamo
c^n la fede antica per i nuovi destini.
,La civiltà italiana, che nella nostra
terra non muta il suo secolare carat-
te^re se muta talvolta la lingua della
sua espressione, accoglie con lieto a-
nfmo il sorgere della libertà del popolo
vicino e sì accinge' a collaborare con
éiso tra le gioie e i dolori nelle fe-
conde lotte del pacifico progresso.
: Fratelli, nel nome dei nostri grandi,
da Diocleziano a Tommaseo, nel nome
dei nostri lottatori, da Severo a Baia-
n9nti, nel nome dei ncfstri''rrftirtf!f;''da
karc' Antonio de Dominis i- Fran- j sco
klfjmòWo, —^^ratdH^-^-Horrrs ^terrar^
noi, non più esuli, a voi, non più di-
visi, gloria e vittoria nel nome supresBO
d'Italia.!
Per i dalmati résider
Prof. Giambattista /-vi be
— Dott. Alessandro Dudan di Spalato
— Natale Mestrovich di Zara — Dott.
Simeone Bianchi diSign — Dott. Gio-
vanni de' Difnico di Sebenico — Tom-
maseo Ruggero dalla Brazza — Avv.
Enrico Mazzoleni di Sebenico — Dott.
Antonio de' Difnico di Dernis — Mar-
tino Martinelli di Spalato — Ferruccio
Ferruzzi di Sebenico — Avv. Luigi de
Serragli di Ragusa — Conte Nino
Fanfogna di Traù — Prof. Giovanni
Costa di Casteln ovo di Cattaro.
Comando supremo, 11 novembre.
Le nostre truppe hanno raggiurito
ii Brennero.
Le operazioni per accertare il nu^
mero dei prigionieri e dei cannoni
catturati nella battaglia dal 24 ottobre
alle ore 15 del 4 novembre sono tut-
tora in corso. Finora è stato possibile
contare 10.658 ufficiali, 416.116 uo-
mini di truppa e 6818 cannoni.
Diaz.
L'aiiinìo i il salato ilei Dalmati a fiema.
L'„Associazione politica fra , gli Ita-
liani irredenti" (Sezione Adriatica)
manda questo fervido, nobiHssimo au-
gurio:
Fratelli, nella gioiosa solennità di
questo momento storico, come un nuo-^
vo baleno di una fede non m&i mutata/
di un' energia non mai domata, di una
Gli ultimi bollettini italiani.
Comando supremo, 9 novembre.
Le nostre truppe, ovunque accolte
dalle popolazioni col massimo entu-
siasmo, proseguono i movimenti con-
seguenti alle clausole dell'armistizio.
Ieri venne occupato i) passo di Re-
scheo.
Le relazioni che pervengono al Co-
mando Supremo riconfermano il magni-
Hco slancio e il valore dimostrati da
tutle le nostre trupp^é di ogtii arma,
co po e servizio. Sono segnalati per
l'onore di particolare citazione i bat-
taglioni alpini Pieve di Cadore ed
Exilles, r ll.o battaglione, bersàglieri
ciclisti, il reggimento Lancieri di Man-
tova e la 7.» squadriglia automitraghà-
trici blindate.
Diaz.
Comando supremo, 10 novembre
Le noatre truppe avanzano verso il
Brenf ero in Val dell'Isargo : hanno
occupato Toblach nella Pusteria e pro-
seguono verso oriente nella Venezia
Giulia. ,
Nella giornata di ieri nessun avve-
niraj^iito guerra.
t # Diaz.
Wilson ai popoli dell'ex Austria.
Si ha da Praga:
„L'ufficio stampa annuncia che il
^residente Wilson ha rivolto ai popoli
iberi dell' Austria-Ungheria un tele-
gramma nel quale dice:
Spero che gli uomini di stato dei
popoli liberi faranno di tutto per attua-
re i critici cambiamenti previsti con
buona volontà e fermezza, prevenendo
ogni violenza, affinchè nessun atto inu-
mano macchi gli annali di questa rior-
ganizzazione dell' umanità, Tali atti
avrebbero come risultato il ritardo
della realizzazione dei grandi ideali
per i quali combattiamo".
La Cronaca
Un sai«to. — L'altro ieri il dott.
Zìliotto ha ricevuto questo dispaccio ;
„Fiume »manda un fraterno saluto al-
l' invitta rocca italica, a Zara redenta.
— Il Capitano di vascello Costa, d'or-
dine del comandante in capo,"
La ftéirata fesBva al Teatro Ver-
di. Il nostro ieatru presentava ^unedj
La platea, i palchi e ii loggione ei ano
gremiti di popolo. Nel palco d' onav e
sedevano il Sindaco Dr. Ziliotto, il
comandante militare, di Zara Felice de
Boccard, i! VaaCtlio Maiteucci
comandante la regia torpediniera 55,
la prima nave d'Italia che approdò
nel porto di Zara, il ten. di vascello
Norman comandante il sommergibile
F 7 ed altri ufficiali.
Le due prime file delle poltrone ed un
palcone erano occupati da una depu-
tazione di marinai.
La festa cominciò col suono della
„Marcia reale" ascoltata da tutti in
piedi tra il piìi vivo, commosso entu-
siasmo ; le squillanti note dell' inno
nazionale risuonavano nella sala quale
inno di liberazione e di libertà.
Poi un coro composto da un nu-
meroso sciame di gentili ed eleganti
signorine e da parecchi valenti coristi,
accompagnato a piena orchestra, ese-
guì con bella fusione e patriottico
slancio r inno famoso di Luigi Mer-
cantini. Oggi più che mai si può dire
che le tombe si scoprono è che i morti
si levano dai loro sepolcri, oggi che
il nostro dorato sogno diventa realtà
e che le catene che ci tenevano av-
vinti si sono finalmente spezzate. Il
canto patriottico sollevò l' entusiasmo
di tutti i presenti - che fecero bissare
l'inno tra le più frenetiche àcclama-
zionì.
Indi prese là parola il dott. Silvio
Delich eh' è qui venuto come inviato
speciale dell' „Idea Nazionale".
F'ffi.ÌBE^'^^M'^t
Roma. Dld^ dbe noi fummo sempre in
cima ai loro pensieri, in fondo ai loro
cuori, e che se noi abbiamo Di^sHto
delle ore tremende, deae soft«rerrae
j|tròci, anch' essi fuorusciti vissero ore
'"'àngosciose «v/'^v^s •'l'"?;;-^
dovcasc piegare la trontc dinanzi ad
un crudo destino. Da questa che sa-
••cbbc stata una immane sciagura ci
salvò il valore superiore ad ogni en-
comio del nostro glorioso esercito, che