ina 5000 uomini ; intatti in Polibio si legge :
pentahisdiilioi. Il Lucioj clic aveva consultato
Polibio, ci dà con precisione il numero di
òOOO (de Uegno D. et C. I, 1).
Tali sono le principali inesattezze die de-
turpano questa prima epoca, e che già si
riscontravano nella prima edizione di questo
Prospetto cronologico. Certo è questa l'epoca
più difficile della nostra storia, e per la scar-
sità d(dle fonti e per la corruzione delle ino-
desinie; ragione di piìi adunque di valersi
delle opere critiche, uscite in questi ultimi
tempi specialmente in Germania, per non ri-
petere gli errori dei nostri vecchi scrittori.
Una storia della Dalmazia, che si appoggi
esclusivamente alle cronache ed alle storie
dei nostri maggiori, riuscirà sempre una mo-
struosità; a produrre qualche cosa di buono
è necessario rileggere le fonti da Scilace Ca-
riandeno a Mica jMadio, e non fidarsi già di
edizioni vecchie o di traduzioni, bensì cer-
care i testi originali e le recenti edizioni cu-
rate dai piti riputati filologi contemporanei.
Concludiamo la nostra critica a questa prima
parte del .Prospetto col dire, die 1' autore qui
noi ei offre niente di più di quello che avea
pubblicato il Faldati verso la metà del secolo
]iassato nelle sue Sjjìiopsis Chronologicae, in-
terculatt! alla sua grande opera lUyricvm
/>acruììi.
La seconda epoca, che per il nostro autore
va. dall'anno 180 a. C. all'anno t) d. C., è
di gran lunga superiore alla jirima per l'e-
sattezza storica e cronologica. Qui infatti ci
troviamo in un campo definito, perchè le fonti
sono autorevoli e precise, e di rado danno
luogo a dubbiezze. 11 medesimo dicasi del-
l'epoca terza (6-476), durante la quale la
nostra provincia non ha storia propria, ma
subisce i destini della monarchia romana.
L'epoca quarta (47(j-6r>6) all' incontro e la
quinta (636-806) per le irruzioni dei barbari,
per i governi die spesso si mutano, sono in-
tralciatissime; di queste ei occuperemo nel
prossimo numero. {Continua).
« •
Ci venne gentilmente rimessa la Rdazioiu
(Mia Presideìiza della (Jamera di Commemo
ed Industria del Cit'condario di Zara iuto-rm
al rapporto del sìg. L. Stockìiaramer sxlle
condizioni economìclte della Dalmazia. Non
potendo intrattenercene questa volta per man-
canza di spazio, procureremo farlo nel pi-os-
simo numero.
Bibliomane.
mìmm^
iNei iruxii di [)ar[ar (rovi il piiiniero
Or (lice, ora non dioe, or fìnge arcani:
Del secondo è mestieri far 1" intiero
E oppartieii al verace e ai culli strani:
Ha base il tutto nel social sistema
Kd al IVi/./.o la!(H' serve di tema.
Piccola Posta.
1'. B. Zara. .Non si inserisce. — S. !.. Spalato.
Con tutta la nostra buona volontà non siamo iti
grado (li corrispondere al vostro desiderio. Spe-
diteci (pialclie cosa d'altro. — À. I). e A. C. Spa-
lato. Riceverete nostre lettere. — (ì. IL (ìraz. K
necessario evitare ogni appiglio a poleniiclie. —
A. S. Cz^enio^itz: Spediamo lettera. — .Jiivista
Minima", filano. Non riceviamo più vostri numeri.
Che sia uno sbaglio poslale? — ..Suggerilore'\
Roma. Gra/.ie.
Soluzione della Sciarada
del N.o 4 :
Odio.
. _ Jr
colle sue speranze e coi suoi dubbi. Ma que-
st'uomo non è solamente il Guerrazzi: egli
scompare dalla scena e vi riconosci te stesso
nelle tue aspirazioni di patria e di libertà.
Il mondo al tuo sguardo si allarga sempre
più, l'individuo cede il posto all' umanità^
a quell'umanità che combatte accanita con-
tro una forza superiore che la vuole incep-
pata, contro r ignoto, contro l'infinito che
non sa definire, ma pure percipisce. Tu scorgi
l'Italia quale fu veramente dal vent'uno in
poi. Si grida allo scetticismo del Guerrazzi^
ma questo grido non va preso come una
colpa. L' uomo figlio dei tempi, più o meno
ne porta impresse le traccio, e questo scet-
ticismo non è suo, ma in buona parte del
suo secolo e degli Italiani di allora. I pro-
messi Sposi dell' illustre Manzoni sono un e-
manazione, se non individuale, in ogni caso
non di tutta una nazione.
(Continua).
BIBLIOGRAFIA.
CANTI POPOLARI SLAVI
uoYlaVv \\\ ^3t,TsV iVoVvaui àa
GtAcoMo D.R CHIUDINA.
il. >a ricchissima letteratura poetica degli
Slavi meridionali è in Italia, e confessiamolo
con dolore anche in Dalmazia, ancora un
incognita; è un tesoro nascosto ed ignorato
che attende da tempo la mano di un uomo
di mente e di cuore, che diseppellendolo, lo
dia alla luce del giorno. Non è già che in
Italia le letterature straniere non sieno col-
tivate, che anzi vediamo ogni giorno far ca-
polino e nuove traduzioni poetiche e nuovi
studi critici; ma per uno di quei fenomeni
non nuovi nella storia del pensiero e del-
l'arte le creazioni poetiche del genio slavo
giacciono trascurate e, ciò che piùflL monta,
disprezzato ; e ciò nel tempo stesso • che in-
gegni fortissimi si sciupano negli sturudì delle [
secrezioni poetiche dei trovatori roi manzi, e '
vestono di forme italiane il Mahah^arata, il
Ramayana, il Savitri, o gli anemici idiiii di
qualche poetuncolo del Nord. E polire alle
sdolcinate svenevolezze dei provenazali, al- ^
r impotenza poetica dei Valmichi, desi Viasa,
dei (iessner e dei Pyrker *) gli Slaavi pos-
Rispettosi verso gli altrui convincimeanti, e! si
conceda esternare una nostra opinione.
La storia del pensiero umano, sia che eaesso porti
l'impronte del genio o i traviamenti dell'ir nipotenza,
dovunque si manifesti, è storia che va stuekliata. La
scienza, l'arte non è di una sola nazionali ita; sono
retaggio di tutti; sono cosmopolite. Ma il pensiero
non è vegeto e robusto dall'oggi, esso è anti»ico quanto
il mondo; a bene comprenderlo bisogna istudbdiario ne'
suoi principi, e non v'ha nazione, la qualtle, piii o
meno, non abbia cercato di cooperare a ques^sta rico-
struzione gigantesca. E l'Italia nel passato e»essa pare
si trasporta e con febbrile attività dà opera s a questo
lavorio, ci si conceda il dirlo, archeologicìeo lette-
rario. L'ingegno a ciò rivolto chi può dirlo sisciupato? k
Non è forse il mondo asiatico quale l'aripte ed il
genio seppero infiorarlo, una ricca miniera di eni-
dizioni, di filosofemi e di poesia? (V. Giobesrti. Pri-
mato). Il Ramayana, questo cantico di lode aalla virtii
della donna, e di una cosi sublime moralità,„ non ci
mostra esso uno stato di civiltà superiore sa quello
rappresentatoci da Omero? L'ubbedienza di Rlani!!al-
l' ingiusta sentenza di un padre acciecato dal le perfi-
die di una sposa matrina, che esula raccomatndando a
chi lo incita a resistere di smettere la collmra e di
perdonare ; l'amore puro ed esclusivo di Sitia a cui
la virtù è il suo miglior velo, che allo sposo che vuol
abbandonarla grida: Tu sei il mio signore, il mio
pontefice, il mio Dio, io ti seguirò!; il rapiimento, il
dolore di Rama, l'incontro, mostrano in tip i ideali,
ricchezza di lampi, e di situazioni poetiche.
Se vi è chi giudica la letteratura indiana nel soo
complesso materialmente assai ricca spiritmalmente
ben povera (U. A Canello. Saggi di Crit. leitt. parte
I. pag. 13) c'inchiniamo, ma d'una impotenza poe-
tica di Valmichi e di Viasa non v'ha sentore. Il giu-
dizio, severo sul Mahabarata, è di gran lunga più
mite sul Ramayana. Sono forme di poesia corrispondenti |
a quell'età di formazione, una poesia romamtiea. H
Canello per altro (op. cit : La storia comparata delle
letterature neo-latine I., pag. 12r>) si move una que-
stione pregiudiziale che fa al caso nostro: Perchè —
scrìve egli — "perchè conturbare l'età nostra ben piii
LA FARFALLA LASCIOLLO E AD UN NARCISO
ALIANDO SI RIVOLSE,
MA DI PROFONDA NOJA IL FIOR CONQUISO
SBADIGLIANDO T ACCOLSE.
LA FARFALLA SEI TU FANCIULLA ARDENTE
DALLO SGUARDO ROVENTE.
IL NARCISO È IL TUO DAMO PROFUMATO
CINICO ED ANNOIATO.
ED IO DAL FRONTE CUPAMENTE ALTERO,
CERCATORE DEL VERO
CHE SFUGGO IL LAMPO DEL TUO SGUARDO STRANO
LO SONO IL TULIPANO !
Spalato, S luglio 1878.
ti ii^eoli.
BIBLIOGRAFIA.
Prospetto cronologico della storia della Dalmazia con
riguardo alle provineic slave contermini. — Seconda
edizione, notevolmente accresciuta — Zara. Spiridione
Artale, 1878 — un voi. in 16.o di pag. 430. —
"Adempiamo la promessa, fatta nel n.ro 5
di questo periodico, e veniamo ad occuparci
dell' epoca quarta (476 636) e quinta (636-
806) del Prospetto cronologico.
Per quello che si riferisce a quei fatti, i
quali appartengono alla storia universale,
troviamo in queste due epoche piena esat-
tezza ; ma quando si tratta della nostra storia
particolare, gli errori e le favole ci vengono
esposte come tante verità indiscutibili. Di-
pende ciò da una cieca fede prestata ai no-
stri cronacisti dell'età di mezzo, ed a quei
primi storici, che i loro lavori appoggiarono
sulla buona fede di quelli. La storia degli
Slavi, quale ci viene offerta dal Prete dio-
oleate e da Marco Mando, è una mistifica-
zione; e per conseguenza mistificazioni sa-
ranno tutti i libri^ compilati sull' autorità di
loro. E il nostro autore ci crede!
Il Regnim Slavorum del Diocleate, e i
Regum Dalmatiae et Croatiae gesta derivano
ambedue da un originale slavo, di cui il
Lucio possedeva una copia, esemplata l'anno
1546 del sacerdote Gerolamo Kialetió. Già
il Lucio avea messo a confronto questi tre
testi, e ne avea notato le varianti, e gli er-
rori storici, cronologici e geografici, di cui
erano zeppi ; i quali, colle cognizioni d'og-
gigiorno, sone giunti a tale proporzione, da
non potersi prestare affatto alcuna credenza
a quelle cronache.
Ed a dimostrare che io non esagero, darò
qui una prova di quanto vado dicendo. I tre
testi intanto non vanno d'accordo circa la
venuta di Ostroilo e Totila : il Diocleate pone
questo fatto all' epoca dell' imperatore Ana-
stasio e di Gelasio papa, il Marulo sotto l'im-
peratore Giustiniano, e l'originale slavo ai
tempi di Basilio. Nè si può dire col Dio-
cleate che i Goti latinamente si chiamassero
Slavi; nè che nel 538, come vuole il Ma-
rulo, scendessero in Pannonia, attaccando
poi il re d^ Istria e quello di Dalmazia, che
avea sua residenza a Salona (!). I Goti già
da molto tempo erano passati in Italia, e
nel 538 la Pannonia era occupata dai Lon-
gobardi. Ma siccome si narra poi che questo
Totila devastò tutta V Italia ed in breve tempo
morì, come gli era stato predetto da S. Be-
nedetto, così è chiaro che le cronache in que-
stione si occupano delle guerre tra Giusti-
niano ed i successori di Teodorico il grande,
in modo però assai inesatto; e che questo
Totila, anziché uno slavo, non è altro che il
re d'Italia, del quale si sa che nel 542 vi-
sitasse monte Cassino e s'intrattenesse con
S. Benedetto (cfr. Murat. Annah d'Ital.). Il
Marulo poi ed il Diocleate confondono T ir-
ruzione bulgara con quella degli Avari, at-
tribuendo alla prima la distruzione di Salo-
na, che così erroneamente dovrebbe avvenire
verso r anno 550.
XIX, furono tutti del tempo suo ; egli è anzi
di fatto che vivevano tutti nel 1300, in cui
il poeta finge il misterioso suo viaggio al-
l' altro mondo, talché se di qualcuno egli ac-
cenna qualche fatto posteriore a quell' epoca,
ne parla come di predizione, del che si ha
una prova là dove accenna alla morte di
Filippo il Bello re di Francia, della quale
parla come di cosa futura: „Quei che morrà
di colpo di cotenna^^ morte avvenuta nel 1314,
per cui quel canto non prima poteva da lui
essere scritto.
E a prova che i re menzionati nel detto
canto furono tutti del suo tempo riporterò il
succinto elenco personale a mio studio com-
pilato :
V. 115. Alberto. Alberto I d'Austria (1298-
1308).
— 120, Quei che morrà di colpo di cotenna.
Filippo IV detto il Bello, re di Fran-
cia, (1285-1314) morto a caccia per
r urto d'un cinghiale.
— 122. Lo Scotto e V Inghilese. Giovanni Bail-
leide re di Scozia (1297-1306) e
Odoardo I re d'Inghilterra (1272-
1307).
— 125. Quel di Spagna e quel di Buemme.
Ferdinando IV re di Castiglia (l295-
1312) e Venceslao IV re di Boemia
(1284-1305).
— 128. Il Ciotto di Gerusalemme. Carlo II
detto lo zoppo, re di Puglia e di
Gerusalemme (1285-1309).
— 131. Quel che guarda V isola del fuoco.
Federico d'Aragona re di Sicilia
(1296-1336).
— 137. Il barba ed il fratel del medesimo.
Il fratello fu Jacopo II re d'Ara-
gona (1291-1327) lo zio fu Jacopo
re di Mairico intorno al ' medesimo
tempo.
— 139. Quel di Portogallo e di Norvegia.
Dionigi II (1279-1325) Accone VII
(1299-1319).
— 140. Quel di Rassia ed è questo ap-
punto quello che deve interessare
le nostre ricerche.
Alcuni commentatori dicono che si chia-
masse Orosio, ma questo nome (forse meglio
Uronio) fu comune a parecchi re di Rassia,
ne tale indicazione nella intricatissima ge-
nealogia loro può bastare a determinarlo.
Il Lazzari ritiene che fossero due, cioè
Stefano ed il primo Uronio, il cui regno com-
bina colla data 1282 della terminazione re-
cente da lui riportata. Francesco Gregoretti
nel suo commento dicendo che il regno di
Rassia comprendeva presso a poco il paese
che ora dicesi il Montenegro e la parte con-
tigua della Dalmazia, ritiene che quel re
fosse Stefano, il quale regnò sul declinare
del secolo XVII. A seconda del mio debole
modo di vedere ritengo che a darcene qual-
che lume meglio d'altri gioverà l'antico com-
mento conosciuto col nome Ottimo, stam
pato la prima volta a Pisa nel 1827 e di
cui anche il Tommaseo riporta nel suo le
parole che ci porgono di quel re la seguente
particolare notizia : — „Di costui e de' suoi,
si puote diro peggio che l'autore non scrive.
Questi avendo uno figliuolo e d' esso tre ni-
poti, per paura che gli togliessero il regno,
li mandò a Costantinopoli allo imperator suo
cognato; e scrissegli, sì come si dice, ch'e-
gli cercarono sua morte, e che gli tenesse in
prigione. E così fece, tanto che per orribi-
litade del carcere il padre de' tre perdè
quasi la veduta; li due il servivano ed il
terzo fu rimandato all'avolo. Finalmente il
padre uccise l'uno de' due suoi figliuoli, e
con l'altro si fuggì di carcere e tornò in
Rassia, e prese il padre di cui l'autore parla
e fecelo morire in prigione. Poi è poco resse
il regno; che da' suoi figliuoli ricevette il
cambio." — Questi particolari, importanti
perchè offertici da un commento, il quale, o
sia l'opera d'un solo anonimo come alcuni
ritengono, o sia una compilazione di più
commenti, com'altri credono, è certamente
molto apprezzabile per l'antichità sua e per
la buona conoscenza che mostra dei fatti
storici di cui parla, e combinano nella so-
stanza colle notizie che le storie ci porgono
di due re della Rassia di quell'epoca; e se
di un paese e la sua geografia lu vi innesti
anche la sua storia letteraria allora io non
dubito che il neo, divenuto una macchia, in-
vece che abbellire deturpi. In questa con-
traddizione fra il titolo ed il contenuto è
caduto r autore, contraddizione che maggior-
mente risalta quando non contento di averci
introdotto un quadro storico ed un altro cro-
nologico, volle gli facesse coda un terzo
quadro biografico. £ da questa intrusione
derivò uno sbaglio di forma ; invece di darci
la storia politica e letteraria come corpo se-
parato, quasi direi prefazione all' opera, volle
dimostrarne il loro concatenamento colla parte
geografica e devenne a quella divisione del-
l'opera in una parte generale ed in un'altra
speciale. Da qui ancora la necessità delle
ripetizioni: dapprima una lista irta, secca
secca di nomi di paludi, di laghi, di fiumi,
di pianure, di vallate, di monti, di canali,
di rade, di valli, di porti, di scogli, di isole,
di penisole e poi una descrizione forse un
pf)' troppo detagliata.
Ma non monta ; non badiamo al titolo, ac-
cettiamo r intenzione ; accettiamo il quadro
storico ed il cronologico ed il biografico e
domandiamoci se ne valevano la pena. Io
credo che no. Prescindendo dal valore dei
fatti narrati od indicati, che a considerarli
storicamente ci condurebbero tropp' oltre, ciò
che doveva essere un quadro si rincantucciò
nelle umilissime proporzioni di un bozzetto,
di un abbozzo, anzi meglio ad alcune sfu-
mature le quali se appagano 1' occhio perchè
abbracciano non poche pagine, nulla ti di-
cono. II buono sta là in quelle annotazio-
ni, e citazioni di nomi antorevoli : degli an-
tichi ci son tutti; Polibio, Cicerone, Livio,
Strabone^ Appiano, Vatinio, Dione Cassio,
Velleio Patercolo, Floro, Svetonio, Eutropio,
Procopio, Teofane, Porfirogenito, Eginardo,
Lucio, Farlati e Lullich. L'autore che ha
consultato le fonti perchè torsi il merito del-
l'originalità compilando il Cattalinich e lo
Svillovich? Se non le conosce che di nome
perchè non aggiungervi presso ognuna : apud
Cat. op. c., apud Svil. op. c.? e non era
un sottinteso, lo sarebbe stato se non le a-
vesse notate a piè di pagina. E così perchè
non dirci che la divisione cronologica della
nostra storia in epoche non è che una copia
imbellettata di quella dell' Anonimo sebbene
non ve ne siano che otto, troppe ancora a
mio credere trattandosi di epoche?
Non soffermiamoci però su delle probabili
dimenticanze — come quella di non aver
dato un pesticcino noi quadro biografico al
povero nostro Farlati — e badiamo ad altro.
Alle ripetizioni inevitabili conseguenti dal-
l' unione artificiale della parte storica e let-
teraria colla geografica altre ve ne sono e
tali da nuocere alla chiarezza. Così troviamo
fuor di luogo : Comuni politici e cenmarì,
pag. 16-25; Divisione naturale ed ammini-
strativa, pag. 35-44 ; Strade, pag. 205-7
come pure la Tavola delle i^rincipali altezze
della costa e delle isole della Dalmazia, pag.
198-204. Il posto di quest'ultima era a pag.
167 dove havvi un altro prospetto delle al-
tezze dei monti principali della Dalmazia,
questo elaborato dall' i. r. stato maggiore
della Dalmazia ed inciso dall' i. r. Istituto
geog. mil. in Vienna 1861-63; quello ese-
guito dal tenente colonnello Marieni e pub-
blicato nel suo Portolano del mare Adriatico
(vedi Carrara: La Dalmazia descritta) Mi-
lano 1830, nei quali •— ciò che non può non
ingenerare confusione — la misura è diversa :
r uno in piedi l'altro in klafter viennesi. E
si che non ci voleva assai ridurre ogni cosa
alla misura metrica generalmente usata nel
manuale. — Lo stesso diffetto che riscontrasi
altrove nell' uso del meridiano — ora quello
di Parigi ora P altro di Greenvich — e del pari
così facile ad evitarsi. La fretta^ la fretta!
essa guasta tutto. Il capitolo Strade poi (pag.
205-7) ripetuto malamente a nostro avviso
a pag. 225-8 doveva incorporarsi nel capitolo
V Coltura IV quali leve dirette a promuo-
vere la coltura materiale ed intellettuale di
un paese; mentre che la divisione ammini-
strativa e r elenco dei comuni politici e cen-
suari di necessità dovevano seguire là dove
appunto 1' autore fpag. 222) si richiama. E
accaduti in Dalmazia ed in Italia tra gli
anni 1288—18of». Seppure il rozzo e disa-
dorno latino in cui fu dettata non sia fatto
per rendercela attraente, seppure il crona-
cista forse abbia avuto di mira più che la
patria sua le gesta dei romani imperatori e
pontefici di quell' epoca come accenna nel
titolo, pure r editore die n' è il signor V.
Brunelli è l'iuscito a rendercela oltremodo
gradita. La copia delle autorevoli ed assen-
nate osservazioni che ei pone a piò di quei
XXIX capitoli è tale che come da un iato
ci dimostra, fino ad un certo punto, il valore
istorico del cronacista, così dall' altro ci dà
prova del come il giovane editore intenda
vadi i studiata la storia; come questa non
dc' ba essere semplice lavoro abboracciato
su opere che si ripetono colla differenza del
più o del meno, ma vadi assoggettata ad
una sana critica delle fonti, L'editore a tale
scopo si sobbarcò ad uno studio pa-iientis-
Simo di quelle cronache che degli stessi av-
venimenti ci relazionavano : degli Italiani
Cr. Villani, Dino Compagni, G. Ant. Sura-
raonte, Alb. ]\[ussato 5 degli Ungheresi Pi'ay,
Tinion, Turocz : e dell' opere ausiliarie dei
liaynaldj dei Bonfinio, dei Muratori, dei
Lucio, dei Parlati, dei Sismondi e dei
Romanin : di alcune recenti monografie di
F. Bradaska e di Iv. Tkalcié, e ci() che
più monta dei documenti pubblicati dai Ma-
kusev, dai Rački^ dai Ljubié i quali, perciò
che concerne la stona degli slavi meridio-
nali, sono ciò che più di accreditato e di più
assennato in quest' ultimi anni sia stato pub-
blicato. Basato su questo autorità egli è riu-
scito a stabilire la ci'onologia di Mica Madio
spesse volte sbagliata ed a retificarc in me-
glio alcune sue asserzioni fino a questo punto
ripetute come verità indiscutibili da pJcuni
scrittori di cose patrie. Noi comprendiamo ìa
fatica a. cui il sig. Brunelli si sarà sobbar -
cato ; e seppure egli non sia pienamente sod-
disfatto dell' opera sua per non aver potuto
che in parte rispondere alle domande che si
era proposto intorno alla suddetta cronaca,
causa la mancanza di libri adatti che qui da
noi è grandissima, certo egli ha fatto opera
doppiamente commendevole. Prima di tutto
ci fece noto un' antico nostro cronacista, il
che ci fa sperare che egli almeno ogni anno
vorrà regalarci qualche cosa di simile, in
secondo luogo il di lui esempio gioverà
ad incitar altri a simili lavori così necessari
per conoscere la storia di un paese qualunque.
Non possiamo a meno di porgere al sig.
Brunelli i nostri sentiti ringraziamenti.
Bibliofilo.
Colle seguenti 54 sillabe si formino 17
parole le cui iniziali e finali lette da su in
giù danno il cognome d'un generale francese
ed un suo memorabile detto;
a a al ba bad bas bi ca ca ce cha
com cu dal dau din el fa ger gua il
la li lie Un me men mo mo mu inus
Ila nar ne ne neu new ni 0 ri rie
rim ro rol rui so su ta te to ìon
iir US vo
fO,
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
Bailo spagnuolo.
Montagna neila Palestina.
Fiume della China.
Opera di scolfura.
Pittore ed incisore tedesco del 17® secolo.
Sorta di arma.
Celebre calderaio.
Istrumento d" anatomia.
Celebre lago della Russia,
Veste romana.
Cavalcatura.
ìsoletta della Melanesia.
Patria d" un patriarca.
Genere di pianta.
Rinomalo storico francese del 18" secolo.
Città dell' India.
Sostanza minerale.
eran da formarsi dodici ducati gran-feudi,
dei quali uno era la Dalmazia. L'investitura
di questi feudi poteva esser data dal solo
imperatore, e doveva trasmettersi ereditaria-
mente^ per ordine di primogenitura, ai di-
scendenti maschi, legittimi e naturali di quelli^
in favore dei quali il feudo era stato con-
cesso. In caso d'estinzione della loro discen-
denza mascolina, legittima o natui-ale, il feudo
ritornava alla corona. Il quindicesimo del-
l' entrata, che il regno d'Italia avrebbe riti-
rato dalle dette provincia, dovea passare ai
feudatari ; e 30 milioni in possessi nazionali,
situati nelle stesse provincie, doveano servire
per la medesima destinazione.
Più tardi però alcune di queste disposi-
zioni fui'ono cangiate. Con decreto, segnato
a S. Cloud il 26 aprile 1806, Napoleone sta-
biliva, che in luogo della quindicesima parte
della rendita, i possessori dei feudi doves-
sero ricevere dal tesoro del regno d'Italia
un' annua invariabile corrisposta in moneta
di Francia, da cominciare il l.o luglio 1806.
Il feudatario della Dalmazia dovea ritirare
100.000 franchi. Inoltre, invece dei 30 mi-
lioni di possessi nazionali, il regno d'Italia
avrebbe dovuto pagare 30 milioni di franchi,
mediante il versamento di 300 buoni della
cassa di ammortizzazione di fr. 100.000 l'uno,
portanti l'interesse del 5 7o; ^ datare dal l.o
luglio 1806. A rimborsare la cassa di am-
mortizzazione doveano essere posti in vendita
40 milioni di beni, provenienti dalle Com-
mende dell'Ordine di Malta, esistenti nelle
suddette provincie, e dalle Corporazioni re-
ligiose soppresse e da sopprimersi.
Ma anche quest' ultima disposizione fu a-
brogata quando l'imperatore stabiliva che le
Provincie ex-venete, cedute mediante il trat-
tato di Presburgo, dovessero formare sette
dipartimenti del regno d'Italia. Rispetto poi
alla Dalmazia l'articolo 4.o di quel decreto
diceva cosi: La Dalmazia sarà provvisoria-
mente governata da un Provveditore generale
sotto quelle leggi, che Noi crederemo piti adatte
alle circostanze locali di quel paese e al be-
nessere de' suoi abitanti. In pari tempo ve-
niva nominato a Provveditore generale della
Dalmazia Vincenzo Dandolo, cav, della Le-
gion d' onore ' e della Corona di ferro. A
governatore dì Ragusa e dell'Albania, che
formavano una provincia a parte, fu eletto
dall'imperatore il generale Lauriston.
Chi era V. Dandolo ? Egli non discendeva
dall' illustre famiglia veneziana, che avea
dato parecchi dogi alla Repubblica, ma da
famiglia popolana. Suo nonno, in origine e-
breo, convertitosi al cristianesimo ebbe alla
fonte battesimale per padrino un Dandolo
patrizio, da cui, come s'usava in simili casi
in Italia, ricevette il cognome. Suo padre,
chimico di professione, morì per tempo e
non lasciò ai suoi figli che un nome onorato.
Per cui Vincenzo, ch'era nato a Venezia il
26 ott. 1758, fu da' suoi parenti mandato
all' Università di Padova, dove s'applicò allo
studio della chimica e della farmaceutica.
Pieno d'ingegno e nello stesso tempo d'una
volontà ferrea, ben presto si distinse in que-
sti seri studi, a differenza di noi altri, suoi
coetanei, che ci perdevamo o nelle frivolez-
ze di una letteratura erronea, oppure can-
tavamo in mezzo alla baldoria di una cena
da Trimalcione gl'inni mal compresi della
Francia rivoluzionaria. Le scienze fisico-
economiche esercitarono sopra di lui un'ir-
resistibile attrattiva; ed a queste egli s'era
dedicato a tutt'uomo, non per vanagloria di
dotto, ma per anaore al suo paese, di cui
egli ad ogni costo volea migliorate le con
dizioni materiali, dalle quali, secondo lui,
dovea pur dipendere il suo benessere politico-
morale. Noi gridavamo la rivoluzione, per-
chè cosi era di moda, e più in là della di-
struzione della vecchia Repubblica non ve-
devamo una spanna; egli per rivoluzione
intendeva miglioramento delle condizioni ma-
teriali prima e poi politiche del suo paese.
Era un uomo pratico insomma, che sapea
vedere le cose quali esse erano, e che si
sentiva capace di raddrizzarle. Non già che
una soverchia tendenza alla realtà avesse in
lui distrutto ogni sentimento ; egli anzi, for-
nito di una ricca imaginazione, era capace
fu tosto nominato generale in capo dell' e-
sercito della Dalmazia e gli fu imposto di
abbandonare il Friuli e dirigersi nella sua
nuova provincia. La sera del 15 egli partiva
per Fiume, dove s'imbarcava con una com-
pagnia di volteggiatori alla volta di Zara.
L'esercito della Dalmazia contava otto
reggimenti (5.", 8.", 11.", 18.», 23.", 60.",
79.", 81.",) di truppa francese; più due bat-
taglioni di guardie, un battaglione di cac-
ciatori bresciani e tutti i cannonieri di truppa
italiana. Marmont, dopo essersi fermato un
giorno solo a Zara, partì tosto per Ragusa,
dove arrivò ai 2 agosto. Qui seppe che i
Russi, battuti sotto Ragusa, erano rientrati
a (Jattaro, ed i Montenegrini e Bocchesi nei
loro villaggi.
Intanto a Parigi il 20 luglio era stato fir-
mato tra la Francia e la Russia un trattato
di pace, pel quale dovea cedersi l'Albania
veneta ai Francesi, e questi s' obbligavano
a riconoscere l'indipendenza di Ragusa. Lau-
riston era incaricato di occupare le Bocche
di Cattaro; ed una divisione di scialuppe,
comandate dal capitano di fregata Armeni,
era destinata ad incrociare il mare fra Ra-
gusa e Budua, perchè si temeva che i Russi
consegnerebbero le Bocche agi' Inglesi. Con
tutto ciò non si prendeva alcuna disposizione
per la consegna di Cattaro. L'ammiraglio
Siniavin, interpellato su questo pi'oposito,
avea risposto eh' egli dovea attendere gli or-
dini della sua corte per l'esecuzione di un
trattato, il quale non era stato ancora rati-
ficato.
Ma Napoleone, che non si fidava dei Russi
e che temea 1' arrivo degl' Inglesi, avea fatto
giungere al generale Marmont più precise
istruzioni. Non era sua intenzione che si sgom-
brasse Ragusa, bensì che si riconoscesse la
sua indipendenza e che si fortificasse. Le
sue torri doveano essere ricoperte di nuove
batterie e nuovi forti erano da erigersi a S.
Croce, a Calamata, a Ragusavecchia e nella
penisola di Sabbioncello. I reggimenti 5." e
23." doveano presidiare Ragusa e Stagno,
rSl." la Dalmazia veneta, Lauriston col ge-
nerale Delzons e due altri generali di bri-
gada aveano l'incarico di guarnire le Bocche
coi reggimenti 8.", 18.", 11." e 60." e colle
truppe italiane. Marmont, stabilito il suo
quartiere generale a Spalato, dopo organiz-
zate le sue forze, e passati appena i caldi
dell'estate, con 12.000 uomini dovea piom-
bare sui i\lontenegrini e punirli delle bar-
barie da loro commesse contro i Francesi.
A mettere in esecuzione questo piano, Lau-
riston colle sue truppe marciò subito alla
volta di Castelnuovo. Agli 11 d'agosto egli
avea parlato coli' ammiraglio Siniavin ed
erano passati d'accordo circa la formalità
della cessione. Il giorno non si era potuto
stabilire, perchè Siniavin avea detto ch'egli
nulla potea decidere senza Saukowsky, che
era ammalato a Cattaro. Tutto ciò non era
che un ripiego dei Russi, per guadagnar tem-
po, giacché s' era sparsa la notizia, che la
guerra sarebbesi continuata. L'ammiraglio
russo infatti riceveva ogni giorno nuovi rin-
iorzi, e truppe di terra sbarcavano continua-
mente a Corfù. Inoltre si rassettavano in tutta
fretta le fortificćizioni a Castelnuovo, al forte
Spagnuolo ed a Porto Rose, dove i Russi
aveano eretto una batteria.
In questa incertezza di cose il generale
Marmont si occupava anch' egli alacremente
delle foi tificazioni di Ragusa. Facea costruire
un forte sulla cima del S. Sergio ed un altro
in posizione avanzata. Raccoglieva molte
provvigioni; e ad assicurare i viveri all'e-
sercito, caso mai ne avesse avuto urgente
bisogno, stringeva amicizia coll'agà di Mo-
star, col pascià di Trebigne e col visir della
Bosnia, regalandoli di armi e di cannoni da
montagna. Raccomandò al pascià di (Trebi-
gne di non permettere, com' era prima suc-
cesso, il passaggio ai Montenegrini attraverso
il territorio turco, e di vegliare acciò i suoi
sudditi, di religione greca, a loro più non si
unissero.
Nella supposizione poi che l'ammiraglio
Siniavin, mal disposto verso i Francesi, avesse
voluto salvare le apparenze delia lealtà, po-
teva egli tare la consegna delle Bocche alla
IV.
Malcontento in Dalmazia. — I Russi occu-
pano le ìsole orientali e poi le abbandonano.
rT"i 3 di ottobre i Francesi si ritirarono
di pieno giorno alla vista del nemico e rien-
trarono nel campo trincerato dinanzi a Ra-
gusa-Vecchia. La ragione di un tale movi-
mento stava nella pochezza delle loro forze,
insufficienti ad assediare le piazze delle Bocche
ed a penetrare in un paese alpestre, che po-
teva essere difeso colla massima facilità an-
che da pochissime truppe. 11 numero invece
dei Russi cresceva ogni giorno ; anzi, stando
alle informazioni di Sebastiani, ambasciatore
a Costantinopoli, 10.000 soldati eransi im-
barcati nei porti del Mar Nero ed erano di-
retti a Corfù. Inoltre Napoleone avea rac-
comandato che si organizzasse prima la di-
fesa della Dalmazia, e di Ragusa e che in
quanto all'Albania era compito dell'Austria
di consegnarla, a tenore del trattato di Pres-
burgo, in mano ai Francesi.
Infatti gli Austriaci ancora in luglio del
medesimo anno 1806 erano partiti da Trieste
con due reggimenti d'infanteria [St. Julien
e Beiskìj), una divisione di granatieri ed una
corajDagnia d'artiglieria. Tutti questi uomini
si trovavano sopra alcune navi da trasporto,
difese dai tre brick di guerra Eolo, Oreste
e Pilade, ed erano comandati dal generale
conte F. Bellegarde. Ma dovettero ritirarsi
dal golfo di Cattaro dinanzi alla flotta russa,
e rifugiarsi prima a Breno e poi nella Valle
di Giupana, dove rimasero chiusi per nove
mesi, perchè erano guardati a vista da un
vascello nemico.
Intanto Marmont fortificava il territorio di
Ragusa. Alcune batterie, erette sull' isola di
Daza, coprivano la Valle d'Ombla: e l'in-
gresso nel Canale era protetto da altre bat-
terie, situate sulle isole di Calamotta, Mezzo
e Giupana. Parimenti i forti sopra le mon-
tagne, che formano la sicurezza di Ragusa,
furono armati; per cui, compiuti tutti i la-
vori, 8-1 pezzi di cannoni di grosso calibro
si trovavano nella città e nei forti, e 182
nel suo circondario. Anche Stagno, stazione
importante per la navigazione del Canale,
fu posta in istato di difesa, essendosene oc-
cupato l'istmo militarmente ed essendosi fab-
bricato un forte sulla montagna che la do-
mina. La stessa cosa fu fatta a Curzola, che
per la sua posizione signoreggia la naviga-
zione esterna ed interna.
Marmont adunque, eseguiti tutti questi
lavori ed ispezionatili personalmente, lasciò,
come gli era stato ordinato, Lauriston a Ra-
gusa con tre reggimenti (23.o, 60.o e 79.o),
sottoponendo alla sua giurisdizione Stagno,
Curzola e Sabbioncello. E poi col rimanente
delle truppe partì al l.o di novembre per
Spalato, dove stabilì il suo quartiere gene-
rale. Da qui diede gli ordini opportuni per
riattare le fortificazioni di Lesina, quelle di
S. Nicolò presso Sebenico e di Fort' Opus sulla
Narenta ; fece inoltre armare ed occupare mili-
tarmente la Brazza : tutto ciò per rendere sicura
la navigazione lungo la costa, sulla quale con-
tava moltissimo, perchè le comunicazioni per
terra erano difficilissime. Pose in buon stato di
difesa e fece adunare vettovaglie d'ogni spe-
cie a Glissa e Knin. Clissa, che domina le
gole delle montagne e che presenta una po-
sizione quasi inespugnabile a poca distanza
da Spalato, gli sarebbe potuta servire di
rifugio, in caso di un numeroso sbarco del
nemico; Knin poi poteva essere d'appoggio
all'armata in caso d'un movimento da parte
degli Austriaci. E perchè le fortificazioni di
Spalato e di Traù non dovessero servire al
nemico, furono in parte demolite e ridotte
poi a pubblici passeggi e giardini. Le truppe
furono scaglionate così: 1'81.o a Zara, il IS.o
a Sebenico, il 5,o a Traù e Castelli, TI l.o
a Clissa e Spalato, la guardia itahana a Spa-
lato, r 8.0 a Macarsca ed a Sign la caval-
leria, composta da 350 uomini del 24.o
cacciatori^ montati su piccoli cavalli bosniaci.
governo spese ogni cura a sollevare ne' suoi
stati l'industria agricola. Una lunga serie di
decreti, emanati dal 1768 in poi, tendono
tutti a questo scopo. In tutte le principali
città furono istituite delle accademie agrarie,
e con esse fu messo in relazione il magi-
strato dei beni inaliti. A Zara, a Spalato,
alle Castella di Traù c'erano di queste ac-
cademie, la cui attività esercitò benefici in-
flussi sulla coltura del suolo. Un 'pubblico
ispettore, scelto tra le persone più dotte ed
influenti, avea sotto di se tutta 1' azienda e
comunicava direttamente col governo. Il più
intelligente ed attivo di tali ispettori fu il
conto Rados Antonio Michieli-Vitturi, per la
cui solerzia sorse alle Castella di Traù una
Società georgica.
Queste accademie agrarie tenevano di
quando in quando le loro conferenze e vi si
leggevano delle interessanti monografie, che
si divulgavano poi per mezzo della stampa
nella Raccolta di memorie delle pubbliche
accademie di agricoltura, arti e commercio
dello stato veneto. In questa raccolta si trova
una memoria sulV introduzione degli ulivi nei
territori mediterranei della Dalmazia (tom.
IV, pag. 104-190) — un' altra sopra la manna
di frassino (tom. V, pag. 166-220) —- una
terza sopra gli ulivi e i diversi effetti che si
ravvisarono in Dalmazia pel freddo degli
anni 1782, 1788 (tom. VII, pag.' 155-176) —
una quarta sullo stabilimento tabacchi in Nona
(tom. XI, pag. 3-40) — tutte quattro del
sunnominato Michieli Vitturi. Ve n' ha pur
una sili governo delle api usato in Dalmazia
(tom. VII, pag. 176-192) di Giov. Luca Ga-
ragnin — poi alcune esperienze chimiche ed
osservazioni agronomiche sopra la marna re-
centemente scoperta a Nona in Dalmazia
(tom. X, pag. 94 123) di G. Arduino, pub-
blico professore, soprintendente all'agricol-
tura — e finalmente intorno alla coltura del
castagno né monti diboscati della Dalmazia
marittima e mediterranea (ibid. pag. 166-207)
di A. Fortis.
Tali furono le cure del governo veneto
per l'agricoltura in Dalmazia negli ultimi
anni della sua dominazione; alle quali dob-
biamo aggiungerò la pubblicazione di una
istruzione di agricoltura pratica pei conta-
dini della Dalmazia — stampata in italiano
ed in illirico e diffusa gratuitamente in pro-
vincia. Ma valse tutto ciò a sollevare dalla
sua abiezione l'agricoltura, specialmente nei
territori mediterranei, dove l'incuria e la
desolazione erano estreme? Tutto ciò non
ebbe quasi alcuna pratica utilità, perchè
l'abbandono della coltura dei campi non di-
pendeva dalla sola ignoranza, ma da altre
cause inerenti all' indole della popolazione e
del governo, a togliere le quali non bastava
l'attività delle accademie agrarie. Infatti se
queste esercitarono benefico influsso sulle
isole ed al litorale, dove il lume della civiltà
italiana avea reso possibile ogni materiale
benessere, poteano giovare alla secolare bar-
barie del montano, strappato completamente
dal giogo turchesco appena da sessant'anni?
Le cause poi, per cui l'agricoltura qui era
così in basso, furono esposte alcuni anni
dopo dal prov. V. Dandolo in una sua let-
tera, indirizzata al conte Michieli Vitturi e
pubblicata nel Regio Dalmata *) N. 15, anno
1807. Esse sono:
scarsezza di braccia e poca attività in quelle
che si hanno —
miseria estrema nei piccoli proprietari col-
tivatori, che in proporzione alla massa di
tutti i proprietari sono numerosissimi —
0 II IKeg-io »alniata — Mraglski SSal-
»1 utili in italiano ed illìrico fu il primo giornale,
stampato in Dalmazia. Avea per motto i due versi di
Virgilio Aen. Ili:
Dii maris et terrae tempestatumque potentes,
Ferte vi«m vento facilem et spirati secumli
Uscì la prima volta il 12 luglio 1806 e fini il 1-"
aprile 1810. Si pubblicava ogni sabato prima di mez-
zogiorno dalla tipografia di A. L. Battara. L'abbona-
mento per un anno eradi 12 lire venete, che potevano
essere pagate anche in dodici rate. Un numero sepa-
ratamente preso costava 5 soldi veneti. Riguardo agli
atti e documenti pubblici del regno e della provincia
il foglio era ufficiale. Il suo formato era il 4° coa
otto pagine.