delle quattrocentomila vittime; i giovani che hanno
anima e polso, ne offrano la prova con scritti po-
tenti e con atti di vero coraggio; poiché fomen-
tare discordia, o permettere che sia fomentata,
non è che impotenza e dissohizione. Abbiano pietà
degli invahdi; raccolgano le forze al comiin bene
e decoro, con modesta e tranquilla e infaticabile^
cura operando.
Mi creda demllssimo
4 settembre. N. TO^BIASSO.
. M. R. S.
1 fogli del giornale che contengono cose av-
verse alla persona mia, fin da quando io ne ri-
fiutai dall'editore l'invio spontaneo, lio a Zara
dato ordine che non mi si mandino. Ma ne'fogh
mandatimi leggo: "Non mai urgemmo la questione
dell'unione a Croazia„; e cotesto ripetesi altrove
assai chiaro. Ciò basta. Giudicherà l'avvenire. Ra-
gioniamo, come ben dice il foglio medesimo, sui
principii; gli assalti alle persone smettiamo. ') Ella
sa che le prime provocazioni ingiuriose vennero
da'fogli croati. La misera giierricciuola della quale
a me duole che occasione sia stato il nome mio,
(ma non son io che abbia a vergognarmene o a
chiamarmi vinto), ha provato che c' è un' opinione
in Dalmazia la quale non soffre che le sia fatto
forza con atti precipitosi. Non solamente Sebenico
mia patria, e Zara (eh' altri, interpretando al peg-
gio ogni cosa contro quel che consigliano la ge-
nerosità e l'onestà, potrebbe fingere a sè di cre-
dere mossa da sue proprie ragioni) significarono
il loro dissenso; ma in tutta Spalato non si son
potuti raccattare, tra autorevoli e no, cento nomi
approvanti ; e in Cattare stessa, nel luogo natale
dell'egregio Voinovicli, fa taluno che riprovò; e
in Traù, patria di benemeriti, e nella civile e buona
Arbe, che non nega il suo pane ai mendicanti
Croati. Ragusi ha nella Dieta chi rappresenta non
solo l'opinione sua propria, ma quella de'suoi
elettori, consenziente al Cćiuto e dignitoso indu-
giare la decisione d'un fatto che, nel presente
stato della Croazia, non avrebbe alcun valore po-
litico di per sè, metterebbe anzi in mostra la co-
mune impotenza. In altri luoghi, nell'atto di
dirsi Slavi con vanto, affermarono angusto il con-
cetto dell'Unione, da pochi voluta, dai più non
ideata nemmeno; il tempo inopportuno, le forme
sconvenienti. Nè gli studienti di Vienna sono u-
nanimi, nè i chierici del seminario di Zara. Stanno
almeno per la dilazione e preti e magistrati, e
uomini di virtù e di sapere, e benestanti probi, e
semphci popolani. EgU è dunque un volersi illu-
dere il ridire a sè stessi che tutti i giovani Dal-
mati sono per la Croazia, che 1 400,000 Slavi
hanno un solo pensiero ; e sarebbe peggio assai
€he un illudersi il gridare i 400,000 oppressi e
frodati da pochi stranieri. Cotesta parola provo-
catrice, quand'anco avesse del vero (Ella sa quanto
n'abbia), non doveva uscire di bocca a uomini
sinceramente devoti alla patria, perchè pregna
d'odii fratricidi. E il hnguaggio e i diritti del po-
polo potevansi più civilmente, più veracemente,
pili efficacemente difendere. S'è sbagliata la stra-
da; ma a ravvedersi c'è tempo tuttavia. Conve-
veniva anzi raffermare la concordia sociale, e farla
operosa; agli oltraggiatori imporre silenzio, pre-
dicare co' fatti, con esempii di generoso amor pa-
trio persuadere.
Delle poche offerte dai Dalmati che si vantano
Slavi fatte per il Montenegro, dopo tanti rimpro-
yeri ai così detti ItaUaui (che, senza la tromba
de'giornali, fecero pure nell'angustia loro qual-
cosa), non è da prendere maraviglia quando si
vede il poco che diede, e il nulla che operò, la
Croazia, tutta Slava, e costituita in governo pro-
prio, del quale la forza e la libertà con raffaccio
e con ischerno ci si rappresentano come unica-
mente desiderabih, sovranamente esemplari. Quando
avremo veduto quel che possa la Croazia per sè,
Di scritti che versano sopra cose utili, mi pare no-
tabile esempio nel Razionale, l'intitolato: La Valle del
Narenla; nè questo è l'unico: e il dirlo tn è cosa cle-
ijita e cara.
Un appendice a (|Ucsto luogo sì darrà in altro (u-jlio
deih IVi?.
come terminino le differenze tra lei e il Regno
Ungarico, tra lei e l'Impero ; quando Monsignore
Strossma^^er, giustamente pio agli Slavi oppressi
dal Turco, potrà, com'egh dice, lavare con vino
e con olio le ferite de' Confini Militari e di Fiume;
quando gli sarà dato dimostrare ai Dalmati il suo
buon volere meglio che il barone di Jelacich non
facesse ne' mesi del suo Banato, quand' egh teneva
in mano la spada vendicatrice dell'Austria; tutti
allora, non dubiti, cederanno volonterosi all'elo-
quenza de'fatti. Ma intanto che al Montenegro
torna vano F indomito suo ardimento ; intanto che
Francia e Russia lasciano sopra il collo de' Serbi
pendente la spada ottomanna, e l'Inghilterra as-
severa, in faccia al mondo legittime le minacce
di quella spada; intanto che la forte Germania
mal sa prepararsi pur di lontano a un qualche
sembiante d'unità; e America squarcia col ferro
la propria, e all'Italia costa sangue italiano ini-
ziare la sua, e alla sua indarno anela la Grecia
protetta dalle grandi memorie, e onorata da esem-
pii recenti di guerriero valore, comparabili agli
esempii splendidi antichi; non pare ben colto il
momento di far perdere alla Dalmazia perfino il
suo nome, che la stessa dominazione croata non
ha potuto abohre. Io so bene che i più savii e
accorti guarentiscono alla Dalmazia che il suo
nome le rimarrà ; e spero eh' essi disapproveranno
coloro i quali ridono e s'irritano contro chi chia-
ma sè Dalmata, e ci vogliono tutti Croati perchè
nel linguaggio d'una parte del popolo questo nome
è rimasto come semplice aggettivo, e non atte-
stante la comunanza d'origine, se non si voglia
che la attestino i nomi di francese, provenzale,
lombardo, romaico, romanzo.
Se a taluno scappò detta una qualche ceha
sopra i Croati, cotesto non fu se non dopo in-
sulti venuti da quella parte, e dopo la poco in-
gegnosa facezia sopra le origini pelasgiche; sulle
quali a ogni modo gli ultimi che abbiano titolo
di celiare, a giudizio delle genti civili, saranno i
Croati. Se piacque al Gioberti scrivere due grossi
volumi lìer dimostrare che gli Italiani sono il po-
polo principe e sacerdote perchè Pelasghi, senza
mai in tante pagine dire chiaro che cosa siano i
Pelasghi; non è colpa de'Dalmati. Quanto alle
colpe della Repubblica Veneta verso i nostri pro-
genitori, contro la quale taluni si sforzerebbero
di accendere odii archeologici, come se le passioni
vive e presenti non fossero assai; chi sa punto
di storia, e rammenta la dominazione di Genova
sopra la Corsica, e sa qual fosse e qual sia la
dominazione d'Inghilterra in Irlanda, e come il
Piemonte abbia fin qui governato l'isola di Sar-
degna, saprà dalle rabbie postume temperarsi. E
que'Dalmati che sinceramente rispettano il popolo,
sapendo in quale amore egli avesse la Repubblica
Veneta, comunque vogliasi da essa trattato, saprà,
se non rispettare lei per rispetto del popolo, com-
patirla ; tanto più che i poveri Veneti hanno a-
adesso altro in mente che la conquista di Sab-
bioncello e di Solta. Ma anco in cotesto le due
parti sono pili prossime a intendersi eh' altri non
creda o non voglia ; se uno di parte avversa ai
così detti Italiani affermò cosa mai non detta da
me con altrettanta asseveranza: che in fatto di
civiltà dobbiamo all'Italia quel che siamo. Certa-
mente potremmo essere qualcosa di pii^i : ma ci
avrebb'ella fatti dappiù la Croazia? Certamente
la Dalmazia non abbonda di grandi scrittori nella
Hngua d'Italia : ma qufinti ne ha la Croazia nella
sua lingua ? Ma coloro stessi che più avversano
l'uso dell' itahano tra noi, non lo scrivono forse
e più facilmente che lo slavo, e anche meglio?
E quanti ha l'Italia scrittori grandi? Partiamo
r Italia in regioni abitate da quattrocentomila
uomini, tutti educati a parlare e a scrivere la
medesima lingua: e molte e molte di cotesto re-
gioni Ella, signore, ritroverà, dove i parlanti e
scriventi itahano davvero sono in minor numero
che nella infelicissima patria nostra. Il dialetto
usato in essa, questo dialetto che taluni disprez-
zano con ignoranza barbarica, è uno de'più ita-
Mani d'Italia : e per quel poco eh' io conosco
l'Italia e so d'italiano, posso affermarghelo in co-
scienza. Non è perciò che la lingua uel popolo
non s'abbia a onorare, a insegnare, a scrivere
con più garbo e senno, ad apprezzare con giudi-
zio degno d'uomini civili, che non facciano i più
di coloro stessi i quali ne deplorano l'abbandono.
Ma i dispregi di tuttociò che in Dalmazia non è
pretto Slavo, per lo meno sarebbero prematuri,
tentando privarci d'uno strumento che pur ci ser-
ve, per amore d'un altro che non sappiamo ado-
prare. Dico prematuri i dispregi, per non usare
parola più forte e più appropriata. Ma quand' anco
la civiltà e la letteratura e la scienza e l'arte
croata dessero professori e magistrati, navigatori
e negozianti, più noti e pregiati fuor della patria
loro di quel che siano i nati nella povera nostra
terra; dessero cantanti più plauditi di Francesco
Mazzoleni, pittori e compositori di musica più va-
lenti di Francesco e Giovanni Salghetti, cittadini
che, in mezzo a angustie e a difficoltà e a con-
traddizioni, facciano in più breve tempo più di
quello che per la sua Spalato ha fatto Antonio
Bajamonti; noi, le cose croate ammirando, non
dovremmo però vergognarci del nome di Dalmati,
nè sperare di farci grandi o amabih ai Croati
mettendo in mostra i difetti de'propri nostri fra-
telli, e nella loro umiliazione esultando.
Nel giornale che diceva sè propugnatore unico
dell'onore del popolo nostro, io leggo queste pa-
role che forse mai contro il popolo della sua pa-
tria nessuno ne pronunziò di più gravi : Popolazione,
demoralizzala . . . ribalderia . . . licenza e prevalen-
za de' malvagi .... volgere il popolo a più miti co-
stumi. Il popolo di Dalmazia non è, grazie a Dio,
no perverso tanto, nè tanto feroce ; e se fosse, la
colpa sarebbe tutta non dei pochi d' origine ita-
liana, che non hanno in mano il governo della
provincia, nè potrebbero con la forza e con l'arte
lottare contro la probità degli Slavi tanto pre-
valenti di numero, e, a loro dire, di zelo e di
coraggio e d'ingegno; degU Slavi, non pochi dei
quali seggono tra' magistrati accettissimi ai go-
vernanti, e assai bene salariati per quel che porta
il paese, non pochi son ricchi; e certo con le
forze unite potrebbero ,al bene molto più dei loro,
imaginati avversarii; e avrebbero il grande van-
taggio di farsi intendere al popolo nella sua lin-
gua, che gU imaginati avversarii, a detta loro,
non sanno. Ma io domando se a miti costumi di-
sponga il popolo r eccitare in lui diffidenze e ran-
cori che prima non erano, contro i pochi dipinti
come oppressori di lui; il far suonare, quasi rombo
d'esercito schierato in battagha, il numero dei
400,000 chiamati a difendersi contro la banda
dei 20,000: io domando se potesse ragionevol-
mente tacciarsi di calunnia chi temeva in questa
parola, reiteratamente gridata, un fomite di guerra
civile, e peggio che di cninnunisino, senza incol-
parne però le intenzioni d' alcuno deliberate. Me-
glio confessare la sventura o la colpa (come vorrà
chiamarsi) comune; e imitare l'esempio di quegli
Slavi, i quah annunziando il proposito di cele-
brare con solenne congresso la commemorazione
degh Apostoh della Slavia Cirillo e Metodio, con»
fessane le nazioni Slave essere degne di biasimo
per non avere, finora pensalo che al letto nativo. Al
quale proposito mi sia lecito rammentare, non a
vanto 0 a rimprovero, che la Dalmazia ha il suo
proprio Apostolo, il discepolo e amico del grande
Apostolo delle genti ; che il nome di Dalmazia a
lettere indelebih è scritto nel libro divino tradotto
da un Dalmata; che la Chiesa e quindi la civiltà
della patria nostra precede di secoh a quella
d'altri popoh Slavi; che le influenze morali e
sociah e intellettuali dovevano dunque più inti-
mamente operare su noi, per tanti più secoli con-
tinuate; operare non foss'altro con la potenza
degli abiti, nel che gli stessi frenologi e fisiologi
neganti la fede e lo spirito trovansi consentire;
che la progenie dei battezzati da Tito e da Doimo
non fu tutta quanta da^ barbari sterminata ; che
tutte le storie lo attestano; che è diritto storico,
se a Dio piace, anche questo. A Lei, sacerdote,
io citerò il Calendario (e gli eruditi anco avversi
alle cose di Chiesa, tengono ormai debito della
scienza l'interrogare i monumenti ecclesiastici a
titolo di storici documenti) ; Le domanderò come
sia c{ie le commemorazioni festive e le invocazioni
SKara 34 et (em lire t§63.
Voce
Prezzo d' associazionp in valuta a astria ca per
Zara: per un anno fiorini 8: per sei iìit?>;i (ioriiri 4;
per tre mesi fiorini 2. IM rimanente delia Provincia
e fuori: per un anno fiorini 9; per sei mesi fiorini 4
soldi 50; per tre mesi fiorini 2:25. Per l'estero, e
pel Lombardo Veneto gli stessi prezzi inargento, fran-
che del porto-posta.
Giornale polìtico-letterario
Esce il Mercoledì ed il Sabato.
f o-riippi r le t'oniinissioni. franchi dell" spesa
post;di, si dii'/;I';in<) in Zara H VUÌOCUZO Duplanrieh R."-
diitton; della Voce LUtlmuticit. e gii abbuonamenii. HÌ
ni'jjozii librarii dei siiiioi-i fratelli Battara e Pietro
Abelieli. (ili avvisi ili 8 linee eostano I fiorino, e ogni
linea di più suldj (ì. LH tassa di finanza resta a carica
d>;l committente. Un numero separato costa soldi IO
La Redazione della Voce Dalmalica, vista da un
canto la difficoltà di rinvenire, nella stringenza del
tempo e nelle condizioni presenti, chi voglia as-
sumere r impresa e la compilazione del giornale,
e considerato dall'altro il rincrescimento con cui
fu accolto in generale l'annuncio della sospensio-
ne pur temporanea di un qualsiasi periodico che in-
tenda difendere la patria autonomia, deliberò, com-
posti e accomodati alla meglio i propri interes-
si, di continuare le sue pubblicazioni. Viene per-
ciò riaperta l'associazione pel venturo trimestre,
invitando i signori Socii di riftnovarla senza por
tempo in mezzo, affine di evitare interruzione o
ritardo nella spedizione del giornale. Si pregano
poi caldamente quei signori associati che fossero
ancora debitori dell'abbonamento del passato tri-
mestre, di spedire senza più gl'importi dovuti,
per non accrescere difficoltà alla impresa, già sov-
verdiiamente aggravata.
Appendice alla lettera di N. T.
stampala nel n. 37, ddla Voce Dalmalica^
Accennasi a quel che scrissero gli abitanti di
Sigli, di Stretto, e di Zlarin, affermando d'essere
Slavi e tenersene. Non solamente per la temperanza
del linguaggio ma, per le notizie che contiene,
sarà letta da'buoni non senza piacere la lettera
che a me indirizzarono circa due mesi fa gli abi-
tanti di Zlarin; della quale io tralascio le parole
di troppo amorevole lode a me. Superfluo avvertire
che nulla ci è aggiunto o mutato da me nè da altri.
E non sò quanti Municipii d'Italia potrebbero
in forma più italiana esprimere sensi più dignitosi.
N. TOMMASEO.
, . . . Dediti, come la tradizione ci narra, da
assai tempo alla navigazione e perciò stesso a
contatto dapprima con l'Itaha ed ora con tutto
il mondo, non avremmo potuto resistere a quello
spirito di libertà e progresso^ che agita le nazioni:,
e che non tarderà mercè le recenti scoperte che
ageTolano la comunicazione delle^ idee ed a?-
vicinano fra loro i popoli, d'informare a civiltà
APPENDICE.
In occasione dell' ingresso solenne alla sede
arcivescovile di Zara di Monsignor Illusi, e Kev. vmvwko MAtnPASi
YERSI.
Se dopo lenti e tedovi
Giorni di smorta luce,
Pacificato sd ilare,
0 priego 0 amor conduce
Il sol, che dal suo vertice
Porge la fronte amica
Alla sua fida antica,
Cui Dio lo disposò:
A fargli festa surgono
Ville e cittadi ft prova.
Di proda in proda l'opera
La vita si rinnova;
Caldo di speme un alito
Neil' ime zolle ferve,
E tutto plaude e serve
All'astro che tornò! —
anco le renitenti. Fu oltracciò gran ventura, l'a-
vere il senno de'nostri m^aggiori provveduto al
r educazione con parrochi^ invitati a venire talor
anco da luoghi lontani della provincia, die erano
in voce di dotti, e la cui memoria vive benedetta
fra questi abitanti; finché or son pochi anni, s'in-
stituì la scuola comunale. E appunto a tali felici
circostanze dobbiamo quel senso di civiltà da Lei
accennato. — Accettiamo riconoscenti il conside-
rarci che Ella fa a ragione quasi suoi concitta-
dini; perchè tali potremmo dirci veramente, sendo
Zlarin non altro che un sobborgo di Sebenico
alla quale vincoli di sangue, di parentele spirituali,
d'amicizia, di traffichi ci legano così, da farci parte
della medesima.
L' accoglienža ospitale, che famiglie nostre eb-
bero dalla sua, ci rammenta le non meno liete
accoglienze che alcuni di noi ebbero da Lei, Il-
lustre Signore, in Venezia nel 48, e vive tuttora
e vivrà sempre fra noi gratissima la memoria
de' benefizii, che i nostri pescatori del corallo rice-
vettero da Lei, esule in Corfù, abbracciati e baciati
con affetto paterno, a'quah Ella profferse assistenza,
li visitò infermi ed in certi lor bisogni s'interpose
efficacemente a prò loro presso quel Governo.
Noi siamo Slavi e ce ne teniamo,
amiamo la nostra lìngua perchè nostra, e perchè
bella di bellezze recondit^v ignote a chi pretende
di farcela in ciò da maestro. Le canzoni del Kacich
sono lette e cantate da que'pochi che sanno di
lettere, come le cantano il nostro marinaio e il
contadino e le donne. I frutti esotici, al contra-
rio, non li gustiamo punto; e non è mica perchè
abbiamo ottuso il palato; tutt'altro, chè anzi se
il cibo è nostrano, e da'nostri con nostri elementi
ammannite, lo assaporiamo avidamente. Tale era
la Zora, giornale slavo, per noi di grata rimem-
branza pe'dialoghi dell'or defunto canonico San-
tich scritti in quella bella lingua dalmata, quale
la parla il popolo, e pieni di utili ammaestra-
menti, e pegli articoli dei signori Ivichievich e
Verdogliak ritraenti del pari la voce ed il modo
di dire popolari. Così faremmo buon viso a qua-
lunque altro scritto che ci si presentasse vestito
Santo Pastor! cui nobile
Sorte concede il freno
De' peregrin che anelano
Sul mio natal terreno,
Perchè cemento e vincolo
Tu sii d'amor, di pace,
E guida alla verace
Patria che niun può tor;
Io ti saluto e venero
Siccome un nume anch' io.
Ma in venerarti trepido
Ammuto avanti il Dio,
Che questa rea compagine
Di polve e di peccato
Oltre il mortale stato
Mortai solleva ancor:
Sì verecondo e tenero
Il pio ti porgo omaggio,
Ch' a Dio ' ritorna, a volgere
A chi ne veste il raggio:
Raggio vital deifico
Che casto e aperto a tutti
Sol può affidar di frutti
Gli steli che avvivò. ^
della veste nazionale. E al bisogno di cosi fatti
libri, universalmente provato, s'accinse di soddi-
sfare la Giunta, e ci riuscirà, lo speriamo. Che se
ci è cara la lingua nostra, non potremmo seiiza
taccia d'ingrati disprezzare l'italiana, da cui ab-
biamo quel poco che sa])piamo, la cui mercè siamo
ospiti graditi nelle città italiane ove approdiamo,
e che per la grande sua diffusione ci è mezzo
migliore che non la nostra a farci intendere in
tutte le altre parti a cui ci rechiamo, per remote
che siano. Perciò non che bandirla da noi, dob-
biamo porre ogni studio che i figli nostri siano
in iscuola ben addestrati nel parlarla e nello scri-
verla, per non prirarii de'suaccennati vantaggi.
Ben a ragione Ella ci dice che "se la patria
nostra rimaneva possessione Croata, la famiglia
di Marco Polo non sarebbe stata da Sebenico
donata a Venezia ed al mondo; di quel Polo i
cui scritti furono ispirazione ed impulso alla sco-
perta del Colombo». E se è lecito di compai^are
le cose minime alle somme, noi diremo alla no-
stra volta, che se Dalmazia fosse stata unita
a Croazia, gli abitanti di Zlarin non sareb^
bero, come lo sono i piìi, marittimi, cui il
Commissario di guerra in Sebenico con decreto
1 decembre 1807 chiamava valorosi; nè posse-
derebbero, come posseggono essi soli, il secreto
della pescagione del corallo. Certamente questi
beni non ci sarebbero potuti venire di Croazia,
poiché nessuno sà quello che non possiede. Fu
invece dall'Italia che li ebbero gli avi nostri, i
quali mossi dall'esempio e dall'incoraggiamento
de' Marchigiani che a queste rive approdavano per
trafficarvi, non indugiarono d'imitarli dandosi alla
navigazione, e annodando seco relazioni commer-
ciali: e dall'ItaUa apprendemmo parimenti l'arte
del pescare il corallo; poiché i Conti Galbiani di
Sebenico accintisi a tale impresa, e fatti venire
all'uopo de'pescatori Napolitani, trascelsero fra
gh abitanti a mare di questo distretto i padri
nostri per farla loro insegnare.
Deploriamo, che la questione dalmato-croata
abbia divisi gli animi nella patria nostra, viventi
finora in fratellevole concordia, non ostante le due
Oh dolce torna al reduco
Sol della vita il canto:
Però non sdegna il crepito,
Ch'in solitario cànto
Gli alza una foglia, ch'esule
Dalla materna vetta,
Non più quel raggio aspetta
Al cui tepor sbocciò. —
Ma quella fè, la semplice
Fede del pargoletto.
Selvaggio ancora a' torbidi
Del dubbio e del sospetto;
Questa che specchio e regola
Proposta fu a' saputi.
Ed a'consigli astuti
b' un demone crudel ;
Fregii a mia musa il candido
Lume del santo errore,
Che crede al cuor, agl'impeti
Del sempre vivo amore.
Che del suo pondo libero
Copioso altrui si spande
In laudi ed in ghirlande
A cui consente il ciel. —
Zara 26 settembre.
Abbiamo sempre udito dire che chi piglia a
difendersi di accuse e rimproveri che altri non si
pensa di dargli , fa credere che la coscienza gli
rimorda di veramente meritarle; onde dal credere
rivolte a sè, g li scrittori del Ntizioìinlc^ le nostre
parole in risposta alle Narodne Novine, o meglio
al loro corrispondente di Zara., e mostrarsene vi-
vamente punti, potremmo legittimamente dedurre,
€he delle impertinenze per noi segnalate eglino
non abbiano in tutto netti il pensiero e la penna.
Ma questa credenza noi non avevamo menoma-
mente fatta supporre, e se abbiamo detto, che
i probabili scrittori di certi articoli scritti con-
tro di noi in islavo, potevamo quasi indovinarli
poiché movevano da qui; gli scrittori del Nazio-
nale non avevano ragione di credere che noi in-
tendessimo solamente di loro. Non di soli gli
scrittori del Nazionale si compone il partito an-
nessionista, per esiguo che sia, nè solo essi è pro-
babile 0 possibile che ci scrivano contro: non
sono i soli scrittori del Nai-ionale, di cui non
abbiamo molta ragione di tener conto delie pa-
role; e, come scritti, slavi non potevamo mai cre-
derli di loro, che scrivono costantemente in ita-
liano, che è la lingua che meglio conoscono, e
forse quella che sola conoscono.
La corrispondenza poi di cui parliamo, contiene
espressioni così scurili, (come dove dice ironica-
mente l'autore entiarghsi il ventre pel dolore della
nostra morte) che noi dovevamo reputarle impos-
sibili a chi ha indole e natura e costume italiano,
ed ebbe italiana educazione, e potremmo crederle
soltanto proprie di tale che non ebbe da prim' anni
e fino a matura età altra coltura che la slava, nè
altra lingua che la slava conobbe, di tale che mal-
grado la successiva superficiale politura, "tiene anco-
ra del monte e del macigno. „ E questo sia ghistizia
agli uni ed agU altri, e "suggel che ogni uomo
sganni,,. Era pertanto assai meglio che gli scrittori
del Nazionale, che pure hanno tante Yolte passato
sopra a parole ben altrimenti severe, da noi volte
ad essi direttamente, si fossero tenuti cheti anche
adesso die non ci passavano neppure per mente.
Che poi gli scrittori del, Nazionale amino di
vederci lungamente in vita, ci rallegriamo assai, e
perchè siamo appunto, come sanno, in grado di
poter dar loro questa consolazione, e perchè mo-
strano a questo modo un singolare amore per
la verità che siamo soliti a dire sempre con molta
franchezza, anche quando giunge a scalfir loro la
pelle 0 a scuoiare le terga. E così questo amore
della verità fosse in essi costante, e non chiamas-
sero polemica il dimostrarla e l'ammirarla e
difenderla, come fanno poi quando noi diciamo at-
tendere dal Ferrari-CupiUi die ponga in chiaro delle
utilità che a Dalmazia vennero dall' Italia, utilità
che eglino tuttavia confermano, e colla istruzione
che hanno, e colla lingua che sola possono scri-
vere, e che adoperano anche quando s' avvisano
di combatterla e di imprecarla.
Nè maggiore amore di verità mostrano, nè molto
buon senso, quando, a guarentigia della immorta-
lità delle Narodne Novine, citano il nome del loro
redattore già passato nella storia! Del sig. Lodo-
vico Gay, noi non ci siamo sognati di far parola,
non ci siamo mai immaginati che egli fosse per
modo conglutinato col giornale da lui diretto, che
dovessero passare insieme nella storia, traendo seco
tutti i collaboratori, compreso il corrispondente di
Zara, e, per poco che lo conoscessimo, credevamo
aver egli migliori titoU a memoria durevole che le
Novine, Poi, dal passare nella storia, al passare in
un hbro di storia ci corre, dacché nomi sono re-
gistrati in certi libri di storie che vi stanno come
in un vero sepolcro, anzi in una bara, con la quale
insieme giacciono poi in eterno con la memoria
dello storiografo, nella polvere delle bibhoteche.
Da ultimo, li è parlato di un Gay di trent' anni fa,
il quale lasciamo giudicare agli scrittori del Na-
rionale se sia quel medesimo d'oggidì; lasciamo
giudicare se quello d' oggidì abbia mantenuto per
r appunto, sia letterariamente e scientificamente,
già civilmente, le })romesse di quello di allora.
— -r-
Un G. ad un I.
Lettera quinta.
(Conlinuazione del n. 35, e finej, ,
Dalle opere che i Veneziani distrussero nella
città di Zara, a quelle passiamo che vi edifica-
rono, ed anzi tutto alle nuove fortificazioni ar-
restiamoci. Udendo te, mio buon I, parrebbe che
queste siano state da loro eseguite a marcio di-
spetto dei cittadini, per tenerli megho in sogge-
zione, e che il timore dei Turchi fosse un mero
prelesto ad eseguirle. Quindi era, che i cittadini stes-
si, da cui ciò bene sapevasi, di tali opere favellando,
le dicevano ironicamente loro, cioè dei Veneziani,
come appieno comprovano documenti a te noti.
Altri documenti però noi teniamo sott'occhio, con
cui Zara prejaua il Senato di provvedere alla sua
tutela con rafforzamenti, e non soltanto per sè,
ma per Nona pregava, per Vrana, e per altri luo-
ghi che ne abbisognavano. Ned il Senato a se-
condare queste preghiere mostra vasi, per verità,
frettoloso, talché ancora nel 1570, quantunque
già da oltre un secolo i Turchi ne scorrazzassero
il territorio, non si trovava la città nostra in buon
ordine di difesa; laonde la Comunità, nel man-
dare in queir anno ambasciatori a Venezia, fra
le altre commissioni dava loro pur la seguente :
"Et perchè habbiamo il nemico fino sulle porte, si
può dire, di questa importantissùna città, la quale
non si attrovando in quel stato di fortezza, che
per così potente et vicino nemico bisognerebbe;
supplicar con ogni riverentia che Sua Serenità,
considerata V importanza, lo stato et bisogno di
questa città . . . . dia quell'ordine, che parerà
al suo sapientissimo giudicio, acciò che con cele-
rità sia ridotta in istato tale, che metta ter^we
al nemico, et sicurtà a noi poveri liabitan
questa città.,, —
Ed allora fu appunto che si dovè la Repub-
blica da buon senno incalorir nel!' impresa, portato
avendo la perdita ch'essa fece in quell'epoca del
regno di Cipro le conseguenze più gravi anche
per la Dalmazia, che invasa dai Turchi, vide le
mezzelune brillare di luce funesta fin sotto le mura
delle città sue marittime, nelle angustie medesime
ricadute che nove'secoli addietro saggiate avevano
per le invasioni barbariche. E tutto ciò dirassi
un pretesto alle difese che i Veneziani in Zara
eseguirono ? E per un mero pretesto avrà la Re-
pubblica sprecato milioni di ducati, colla ftidUtà
stessa con cui del diritto storico fecer altri a'dì
nostri un pretesto per l'annessione famosa? E le
storie che narrano le sanguinose e lunghe lotte so-
stenute dai Dalmati cogli Ottomani, e le oppressioni
e i danni patiti, non altro saranno che romantiche
fole spacciate per accreditare pretesti? — Ma
queir ironico loro, .col quale, a tuo dire, i vecchi
Zaratini le nuove opere veneziane additavano ? —
E come farlo poteano diversamente? Così le no-
mavano, perchè sapeano benissimo che il governo
solo doveva ad oggetti simili provvedere, nel modo
stesso che i Zaratini attuali non potrebbero cer-
tamente dir nostre le opere austriache di tale genere.
Nè soltanto le opere di difesa la trista politica
dei Veneziani ci testimoniano ; quelle pure d'ador-
namento non furono senza peccato, e peccato mor-
tale. Pruova la così detta loggia del Comune, dal-
l' orgoglio del dominatore, a tuo giudizio, costrutta
sulla principal nostra piazza nel decoroso modo che
tuttora si vede. — Le difese pretesto, gli abbel-
hmenti orgoglio-, lo dice un I, e tanto basta. —
Ma cosa rispondono ad esso i fatti? — Lasciamo
che dell'arricchir le città d'opere vaghe e gran-
diose fu sempre da tutti i civili popoli saputo
grado alla splendidezza dei principi, e che troppo
vorrebbesi Zara ingrata e scortese al governo ve-
neto, il quale tanto fu sempre colla sua magnifi-
cenza edilizia benemerito delle arti, ed a cui essa
deve il piìi delle mighori fabbriche ond' ora s'ab-
bella; nel caso della nostra loggia il fatto stà,
mio buon I, eh' essa era, molto prima del veneto
reggimento, ed anzi è da credere fino dai tempi
del tanto da te vantato Comune hbero, un edificio
ragguardevole e da colonne sorretta), come si ri-
leva dal Memoriale del nostro de'Paoli; e se
danneggiata dal tempo, i Veneziani la ricostruì-
sero dai fondamenti nella forma nobile in cui
l'aveano trovata, non servirono con ciò pinito al-
l'orgogho proprio, ma sibbene alla dignità del
luogo, ed .ai riguardi per una città, che usa alla
vista d' un edificio sontuoso, mal avrebbe potuto
veder fatto altrimenti. p]d altrimenti avesser eglino
davvero fatto; avessero invece o non pii^i rico-
strutta, 0 ricostrutta meno elegantemente la no-
stra loggia; cosa ora direbbesi da taluni? —
Griderebbero alla barbarie, come oraparlan d'or-
goglio.
Sulla piazza medesima dov'è la loggia, edifica-
rono i Veneziani anche il corpo di guardia ; ma
vedi malizia ! proprio di fronte a quella, e barri-
cato (sono, mio buon I, tue parole) di solida trin-
cea di pietra, con due fori ben profilati, da cui
vomitar morte al bisogno ; e contro chi, già s'in-
tende : contro i cittadini, che in essa loggia rac-
colti, non si ricordassero per avventura di non
essere più il Comune libero d'una volta. —• Io
non dirò dell'uso d'erigere simili principali sta-
zioni militari nei siti principali delle città, e del-
l'opportunità ch'ebbero i Veneziani d'approfittare
del fondo d'una soppressa chiesa, ceduto al go-
verno dal Capitolo metropolitano, per ivi costruire
il corpo di guardia nostro piuttosto che in altro
punto; non dirò che se la loggia nel tempo ve-
neto era il pubblico tribunale dei dominatori stessi,
ed i cittadini ridotti eran larve di libertà, e il
nome stesso di loggia del Cornane non era che un
mentimento di hbertà, cose tutte da te pretese,
tornava inutile affatto quel militare spauracchio
rizzato ad essa di fronte; non dirò, per ultimo,
che, comunque le cose fossero, sendo stato pian-
tato il corpo di guardia nel 1562 e rifabbricata
la loggia nel 1565, sarebbe questa che colla, sua
maestosa presenza venne a porsi dell' altro in faccia,
•e a sfidarne, per così dir, l'arroganza. Una cosa
dirò soltanto, che tutti distrugge i tuoi castelU di
carta, cioè: che il corpo di guardia non è, come
a te parve, di pianta opera veneziana; che i Ve-
neziani non ci tenevan cannoni ; e che quella trin-
cea di pietra coi ben profilati buchi pei medesimi
non fu veneziana idea, ma fattura della prima
dominazione austriaca, e disegno dello slavo in-
gegnere Gian Nicolò Voinovich - Nachich. La dif-
ferenza del materiale e del lavoro balza troppo
chiaramente all' occhio ci' ognuno, che turbato non
sia da traveggole, per distinguere l'opera del 1562
da quella del 1798, ed in ogni caso, tu che onori
di lettura i lunarii, potevi anche ciò rilevare dal
Rammentatore zaratino del 1844, e più precisa-
menle dall'altro La città di Zara del 1856.
Insieme colle fortificazioni surse anche la nostra
porta di terraferma, in cui tutto bello, tutto gran-
de, tutto magnifico, da te pur mio buon I, col
tuo solito ghigno, fu ritrovato; ma v'è un oggetto
anche là, sopra cui l'occhio tuo slavo mestamente si
ferma : il leone di San Marco, stemma di Venezia,,
molto più grandeggiante del cavallo di Stm Griso-
gono, stemma di Zara. Ed ecco in tal sproporzione
frisum teneaUs amici) il simbolo del più ingenerosa
dilegio del vincitore sul vinto, di Venezia su Zara.
Povero Sanmicheh! chi mai t'avrebbe detto che di
sì prave intenzioni sarebbe un giorno accusata
l'opera tua, e in ciò che all'occhio tuo sperto
consigliavan le norme del bello simetrico, altri oc-
chi, di tempra ben differente, scoperto avrebbero
dopo tre secoli un marchio di schiavitù, un sim-
bolo artificioso di soperchianza e d'insulto ! All' a-
cutezza di questi occhi sfuggiva però la bella i-
scrizione della porta stessa, in cui viene tant'o-
norevolmente indicata la città nostra con quelle
parole: Ciim urbeni Dalmatice princìpeni, oltni Po-
pali Romani Coloniam ecc.; parole tutt'altro che
di sprezzo e dilegio, e che poste daccanto a quel
civico stemma, compensano ben largamente la mal
notata sua piccolezza. Ad ogai modo, se la forma
pili rimarchevole dello stemma d'un regno in con-
fronto a quello d'una città puossi ritenere per un
dilegio, sarebb'esso già ricaduto su Venezia me-
desima, la quale vede ora nel proprio stemma
l'aquila con due teste accoccolata in proporzioni
molto più grandi sopra il leone con l'ali; e così
Zara ne sarebbe pienamente già vendicata, ov'ella
mai nutrire avesse potuto q'iaìche igimobile riseu-
• J&arebbs quello di farmi intendere dalla maggio-
ranza deir intelligenza Dalmata, che poco ne a-
Vrebbe saputo, poco informata essendo della lin-
gua nostra. E trattandosi di un argomento di grande
importanza, die, se non adesso, in futuro la po-
trebbe riguardare, e renderla cieca seguace di una
dottrina che minaccia di alterare, corrompere e
ftiTprare la nostra bella lingua Slavo-dalmata ; mi
tro?o costretto, onde metterla in guardia, di scri-
vere questo articolo in lingua italiana, che non
ho mai coltivato per aspirare nemmeno al posto
di mediocre scrittore. E qui mi cade tosto in mente
che a taluno potrebbe sembrare strana quest' aria
•di dottrina che pare assuma, nel voler erigermi
giudice 0 quasi giudice di un affare che spette-
rebbe a merito assai superiore al mio. Ma io vedo
dappertutto un silenzio poco dignitoso, un lasciar
fare; quindi mi persuado che sia ormai tempo che
qualcuno anche dalla mediocrità sorga e alzi la
sua voce; e tale io ora mi presento, che credo
•di poter avere voce in capitolo dopo tante fatiche
<ì lucubrazioni sostenute nello "studio delle cose
patrie ; quindi mi persuado, o a ragione o a torto
giudichi chi vuole, che sono capace di dire alcun
che di buono, e mi lusingo di potere gli uomini
intelligenti persuadere.
La merce non ha guarì vendutaci dal D.r Pe-
tranovich e che porta il titolo scritto in fronte di
questo articolo, devo rigettare, e proverò perchè
la rigetto. Questa opera veramente non è sua., ma
di alcuni letterati, fra i quali egli pure figura,
raccoltisi, non in Dalmazia, per compilare una ter-
minologia giuridica in lingua slava; e la compi-
larono, e col favore del Ministero la stamparono
e diffusero, e una copia mi fu mandata dal Go-
verno qual norma da seguirsi nella traduzione de-
gli atti uffiziaU quando ero redattore del Glasnik
Dalmalinski, e ne feci ampio uso anche nel foglio
giuridico Prcmlomm, sebbene contro voglia; ma
mi doveva adattare, non potendo allora, oppresso
da moltitudine di affari, pensare a creazione di
yocaboH nuovi.
Il sig. Petranovich, ingegno mezzano, scrittore
corretto s\, ma senza stile, è seguace della nuova
riforma e dittatura sorta in Croazia, ad oggetto
di propagare volens nolens un gergo fondato su
pensiero tedesco, tedesco essendo stato il lungo
tirocinio degli studi percorsi da quei riformatori.
E si intende da se, che tale diffusione ha per scppo
runità della lingua in Dalmazia e Croazia, non
compresa la Serbia, che per giusto orgoglio na-
zionale, e per ra^gior sapienza, sostiene e difende
!a sua particolare letteratura, che è certamente le
mille volte migliore della croata. E questo con-
cetto mi sono formato dopo letti, oltre ad altre
produzioni, dei brani di storia Serba, scritti da
Vuk Stefanovich Karadcich, da Giovanni Svetich,
da Milutinovich, che per originalità e proprietà
di lingua meritano di esser pareggiati alle più ve-
nuste pagine di Tucidide e di Cesare.
Ar contrario, le opere croate, e quelle dei Dal-
.mati loro imitatori, sono obbligate e avvinte a
lingua straniera, appoggiate all'autorità dei loro
classici che non son classici. E tanto sono con-
vinto di questa sentenza, che vorrei aver il po-
tere di quel famoso Califfo il quale fece abbru-
ciare la biblioteca Alessandrina, per fare un au/o
da fe degli scritti di quei pseudoclassici, e in tal
catasta vi metterei il Manuale del D.r Petrano-
vich. E credo che questo non sia giudizio preci-
pite, avventato, o falso, essendo bene in grado di
discernere i buoni dai cattivi libri, anche se non
fossi capace di scriverne di buoni. Oltre a ciò, io
penso che fra le altre produzioni che potrei ac-
cennare, la tanto esaltata opera Osmanide, di in-
gegno nobilissimo, ma in altra lingua pensante, chec-
ché se ne dica da giudici incompetenti, rappre-
senta il Tasso 0 l'Ariosto ravvolto in panni slavi,
e la grammatica dell'Appendini è la traduzione della
grammatica italiana. Quale differenza nei canti po-
polari, nella S^pbianka del Milutinovich, e nella
poesia del Vladika del Montenegro, e di altri, ove
rifalge il pensiero slavo ! — Io per natali e pro-
fessione amantissimo della mia nazione, che vorrei
veder sorta a miglior vita, e meglio rappresen-
tata, col protestare contro a queste innovazioni ^
non intendo, che il ciel mi guardi, di arrestare
lo sviluppo della idea slava,-ma di tentare e pro-
muovere una nuova via più opportuna al nostro
progresso letterario, chè nel politico non mi vo-
gho impacciare. Questa è questione puramente let-
teraria, e presso ogni nazione colta o non colta
è permesso ai letterati pubblicamente esporre il
proprio sentimento. Che se i riformatori croati e
loro aderenti credessero di trovare in questo mio
passo ardito, uno sforzo a-far trionfare una causa
straniera, si ingannerebbero a partito, e mostrereb-
bero di voler essi comandare, come se Dalmazia
nostra fosse terra coecorum. E non è questa la
prima volta che vengo in contrasto coi fratelli
Croati; lo esperimentai tante e tante volte prima,
e ne ricavai delle persecuzioni che seppi tolle-
rare; e sono pronto a tollerare e a sopportare
delle altre che per avventura mi si facessero, con
animo forte, preparato a,,respinge re 1' assalto di
coloro che nel campo letterario non ho mai te-
muto, ne temo. E noi in questi giorni di galop-
pante pogresso letterario in senso croato, non dal-
mate, vediamo quella caccia e furia, che confina
coir ebbrezza di coloro che per la prima volta be-
vono Hquori, e di coloro che di repente trascor-
rono dalla secolare schiavitù alla libertà ; come quel
miserando folle, ricordata da Manzoni, che a rom-
picollo fugge dalla magione degli appestati di Milano.
E il sig. Petranovich fautore di quelle da me
ripudiate novità, assai prima di questa volta si
peritò di eseguire opere assai superiori alla sua
capacità, come sarebbe la traduzione di un codice,
che insigni giureconsulti e letterati italiani nella
lor lingua dopo grandi e profonde meditazioni hanno
con fatica eseguito, onde non nasca mala inter-
pretazione di qualche punto, a confusione e danno
dei giudici e delle parti. Stuprò nostra lingua le-
gandola alla tedesca, in Cui è provetto quale al-
lievo di università tedesca. — In somma, predo-
minio italiano da una parte, tedesco dall'altra, e-
secutori dilettanti con pensiero italo o tedesco,
corrompono più che possono il nostro idioma, e
Dalmazia non ha ancora persone autorevoli e com-
petenti da dar un^p^Ma. a tanti spropositi. E l'In-
clita Giunca composta'di'personaggi per dottrina
e capacità scientifica rispettabili, ma poco versati
in cose slave, va rischio di venir infinocchiata dai
croatizzanti (intendo in senso letterario) in mezzo
ai quali si erge presidente il D.r Petranovich, che
per le sue cognizioni legali, che io non gli con-
tendo, si farà forse stimare dai suoi colleghi, ma
che non posso salutare qual egregio scrittore o
conoscitore di nostra lingua. Nè io pretendo con
ciò di farmi superiore a lui, chè tutti siamo una
mediocrità, ma credo di saper meglio di lui gu-
stare questa lingua ; e parlai così schietto e forte,
nella persuasione che ci vogliono dei forti esempi
per impedire e respingere un abuso, che va sem-
pre più diffondendosi.'
Ora mi appigho alla critica di alcuni vocaboli
contenuti nella prima pagina del Manuale, riser-
vandomi di estendermi più in là se il rispettabile
pubblico aggradirà le mie osservazioni ; avvertendo
che queste manifestano puramente una mia opi-
nione, che da accademia composta di uomini dot-
tissimi in nostra hngua si potrebbe valutare e ap-
provare.
I. Aborto attentato -— pobisano ponielnuce.
1. Nego che ponielmióe sia bene inventato giusta
la proprietà di nostra liiigua; 2. nego che cor-
risponda ad aborto; 3f nego che basti a svolgere
il concetto del vocabolo aborto.
1. In nostra hngua, non abbiamo un vocabolo che
significhi aborto ; ed è perciò che di necessità per
adattarsi a hngua scientifica fu inventato pomet-
niióe. da pometnuli abortire. Questione la sarebbe
grande quando si dovesse stabilire 1' anzianità dei
nomi sui verbi, o viceversa ; ed io qui dove parlo
di nomi tratti dai verbi, intendo solamente di quelh
che costretti siamo di inventare o creare.
Pomelìiuóc è qui verbale composto dalla termi-
nazione passiva di pMuettiuli, ponieltiut, e da je,
per cui grammaticalmente dovrebbe terminare in
pomelìiutje, e per regola eufonica in pometmiée.
E regola dimenticata o non conosciuta di no-
stra lingua che si debbano torni ire i sostantivi pret-
ti, non dai participi! passivi dei verbi di azions
perfetta, che diconsi perfettivi, ma dalla radice di
questi verbi. Ed è perciò che il nostro popolo, se-
guendo il genio di sua lingua, da dometnuti, na-
melniUi, che entrano nella famiglia di pomctnuii, for-
mò i sostantivi domet, o namet \ ovvero da questi
formò i verbi corrispondenti, e non ammise per la
regola qui accennata nò domelnuée, nè nanielnuée,
le quah terminazioni contraddicenti a ciò che or
dissi, opera sono dei nostri dotti, i quali fecero
dare cittadinanza ad una moltitudine di parole dt
tal fatta, come per esempio sarebbero, izvidjenjc,
objavljenje, oznanjenje, pouzdanje ecc. ecc. stiracchia-
ture dei participii passivi perfettivi.
I così detti verbali per regola inalterabile di no-
stra lingua sono tratti dai passivi dei detti verbi
di azione continuata, imperfetta, durativa; proprietà
singolare di nostra lingua. E così da klati, klanje^
placali, plaćanje, vikati, vikanje, ecc. ecc., che suonano
in italiano lo scannare, il pagare, il gridare.
E qui la sarebbe lunga se dovessi per chi poco
intende, o non intende lo slavo nostro, spiegare
la differenza che passa tra i perfettivi e gli im-
perfettivi. Accennerò solo, che la maggior parte
dei verbi italiani doppiamente da noi si traduce;
per esempio: pagare, piatili e placali-, gnììave, vik-
nuti e vikali', saltare, skočiti e skakali ecc. ecc. ecc.
I primi sono perfettivi, che indicano atto perfet-
tamente compito, i secondi sono imperfettivi, che
in qualunque tempo (e ciò si dica anche dei per-
fettivi), significano azione incompleta. Dicendo, p. e.
skočio sani, o skociéu, vale che me la son cavata
con un salto, e sarò per fare un salto, e dicendo
skakao sam, o skakaču, intendo che si è praticata,
0 si praticherà quell'azione piìì volte senza pre-
cisare il tempo di sua durata. Alla domanda:
che fai? non si può rispondere con un perfettivo,
ma con un imperfettivo. Per esempio risponderei
bene, skačem, e no skočim ; plaćam, e nò platim,
chè questi secondi possono usarsi solamente come
presenti storici.
Ora si potrà intendere quel che sopra dissi del
participio dei perfettivi, da cui non si deve trarre
un nome, come è quel pomelnuce, che figura qual
sostantivo, ma devesi trarre qnesto dalla radice
del verbo: ed è per ciò che stando al valore di
ponietnuti si doveva formare pomet, e non pomet-
nuée, come da načiniti, nac/mba, nacim, e non na-
(injenje ecc.
II nostro popolo non pensò al scientifico voca-
bolo aborto, e perciò non ne creò un corrispon-
dente, ma ben ne adattò uno alla placenta o se-
condina e la chiamò pomelina, il che se avessero
saputo i dottori, non avrebbero proclamato l'aborto
con pometnućc, che cozza con pomelina come coz-
zerebbe aborto con abortaccio (mi si permetta l'e-
spressione), essendo pomelina voce peggiorativa, o
aumentativa di pomet.
2. È vero che pometnuli, da cui è tratto l'ir-
regolare punUniiće, è voce usata in alcune con-
trade della Slavia meridionale, ma noi abbiamo due
voci corrispondenti, le quali meglio convengono ad
aborto, e queste sono izmelnuti e izverći, o iz-
vrći sic, riportato nel Manuale, e che venne pos-
posto a pomeniili. Perciocché la preposizione iz
preposta a metnuti e vèréi, nel nostro caso spiega
a proposito un atto che completamente dall' interno
all' esterno si eseguisce ; mentre la po di ponietnuti
indica azione collettiva, come la po di potući.
E dovendosi di necessità formare un sostantivo
che corrisponda ad aborto, devo da izmelnuti (che
preferisco a izverći più applicabile alle bestie) for-
mare izmet, e no izmetnuće, voce già in altro senso
usata, ma che per questo bisogno avrebbe diritto
di essere intesa anche a questo modo.
3. Nel Manuale il testo tedesco diceiAbtreiòung
der Leibesfriicht, che dà chiaro concetto dell'aborto,
e io qual membro di facoltà medica trovo egre-
giamente espresso, per cui, secondo la proprietà
di nostra hngua, a fianco del nudo pometnuće del
testo, e del nudo mio izmel, aggiungerei la bella
parola a proposito nedonošče, e quindi direi: po-
kusani izmet nedonos'-eta, che ancor meglio che in
tedesco spiega di che si tratta. E nedonoè'e vuol
dire feto che non ha raggiunta la sua maturità
e perfezione nel seno materno : chè appunto in ciò
.. '8. Quanto [proficuo sia 1'insegnamento nelle
scuole parrocchiali ausiliarie — se tale lo si po-
trebbe rendere con piìx generose rimunerazioni.
9. Come si potrebbero rendere più attive le
autorità preposte all' istruzione — se basti la sor-
veglianza degl' ispettorati decanali sulle scuole tri-
viali e ausiliario — se debbasi sostituire quella
dei diocesani, o altre autorità laiche, e con quali
- mezzi — quali controllerie sul numero degli sco-
lari, sulla frequentazione, e sul profitto si potreb-
bero introdurre?
Ma fino ad ora "né nuovi sussidi! furono con-
cessi, nò Io saranno giudicando dal progettato
preventivo del 63, nò alla progettata discussione
ven)ie data speranza di consenso.
La Giunta non dispera che alla sua impotenza
dimezzi autorevoli ed economici venga supplito dallo
stato con nuovi provvedimenti, ma non può aquie-
tarsi in tale speranza sì per la responsabilità che
le incombe verso il paese, quanto pel timore che
non prevalgano alcune opinioni ottimistiche, se-
condo le quali, avendo il governo fatto abbastanza
anzi molto, nulla per ora sarebbevi a fare. Sì
certamente, il governo ha fatto molto per l'istru-
zione popolare in Dalmazia, e sarebbe ingrato chi
questo negasse, nè gli avversarli stessi potranno
negarlo. Ma i frutti non corrisposero allo speadio
perchè in uno stato assoluto manca il concorso
delle classi illuminate, manca la persuasione in
chi deve accettare i dettami dell' autorità senza
averli discussi nè comprenderne la necessità. Non
è ora a presumere che un governo liberale vo-
glia essere meno progressista di un assoluto, nè
che voglia ristarsi dalla via che lunga ancora ri-
mane a percorrere per condure la Dalmazia al
livello dei paesi austriaci di mezzana coltura. Come
potrebb' esso riposarsi sugli allori, maitre la Dal-
mazia è tuttavia dopo la Bukovina la provincia
più illetterata dell' impero austriaco ?
A prova di ciò veggasi, iu mancanza di ])iù
recenti dati statistici sull' impero, le Tafeln ziir
statislik del 1857 pag. 78, 79.
Secondo quelle la Dalmazia ^su 301G7 fanciulli
atti alla scuola aveva scolari 7'058, ai quali ag-
giungendo circa 400 di rito greco che senza fre-
quentare le scuole ordinarie imparavano il ciril-
liano ; in tutto 7458, ossia il 24 mentre la
Croazia ne aveva il 46 la Transilvania il 70,
la Voivodina il G4, i confini militari il 56, l'Un-
gheria il 73. Deesi però ritenere che ancor più
triste riesca il confronto, essendo evidentemente
erronea la cifra di 30167 non corrispondente alla
popolazione (di maschi 24628, femmine 22546,
totale 47174) indicata dall'anagrafi per la classe
dai G ai 12 anni, quella appunto che qualificasi
atta alla scuola, e che dedotti gì' impotenti, i fre-
quentanti le scuole e gì' istruiti, non era in quel-
r epoca inferiore a 38000 La proporzione perciò
dei frequentanti sarebbe di 20 % anziché di 24.
Una base di confronto più positiva colle altre
Provincie bassi nella popolazione generale.
La Dalmazia nel 57 aveva uno scolare su a-
bitanti 53
La Bucovina 1 su abitanti . . 57
Lasciamo il confronto troppo umiliante col Tirolo,
colla Moravia, Boemia e Slesia che davano 1 su 5;
e coir Austria e Sahsburgo 1 su 6 ; ma non possia-
mo sostenerlo nemmeno colle più arretrate poiché
l'Ungheria ne aveva 1 su . . 12
I Confini militari „ „ . . 14
La Transilvania , „ . . 15
La Galizia , „ . . 33
La Croazia „ „ . . 34
Ciò ò conseguenza naturale dell' esser stato in
Dalmazia minimo, dopo la Croazia, il numero me-
dio dei frequentatori per ogni scuola, poiché ar-
rivava appena a 42, mentre la Galizia ne aveva
62, la Transilvania 54, e l'Ungheria 84, e del-
l' aver la Dalmazia dopo la Bucovina il minor
numero di scuole in rapporto alla popolazione,
contandone 1 su abit. 2300, mentre la Galizia
ne aveva una su abitanti 2121
La Croazia , „ , 1057
La Transilvania „ ,, , 850
1 confini militari „ „ „ 1302
jyUnghcvia , „ ,, 1032
la qualunque modo si faccia questo confronto,
la Dalmazia è sempre Tjultimo o il penultimo
paese dell'Impero.
Sarebbesi forse migliorata da queir opoca la po-
sizione? Nò, pur troppo. I dati sommarli del 59
ne danno scolari maschi e femmine 7189 ; e colla
giunta dei greco-sei'bi 7589; soli 131 di più! E
se si volesse procedere con una rigorosa inda-
gine su questo numero, è molto probabile che si
vedrebbero figurare nelle scuole ausiliarie degli
scolari che non conoscono 1' alfabeto. E nemmeno
il numero delle scuole è aumentato ; esso anzi da
17G è sceso a IGl ; quindi 15 scuole di meno;
regresso forse unico in Europa ! Dati più recenti
non si hanno perchè il rev.mo ispettorato dioce-
sano di Zara non ha ancora presentato le ta-
belle del 60 e del 61, nè la c. r. Contabilità può
compire la sua statistica. Si può essere certi però
che se il confronto si lipetesse coi dati del G2,
esso riescirebbe ancora più svantaggioso per-
chè in questo frattempo Croazia, Ungheria, e tutte
le Provincie orientali hanno assai più progredito
della Dalmazia
Eppure il Governo spende per questo titolo in
Dalmazia più che in qualunque altro 'paese della
Corona, cioè fior. 38,000 circa all'anno. Le co-
muni ne spendono 31000. Totale fior. 69000. 0-
gni scolare costa fior. 9, 58. Bisognerebbe con-
cludere che la Dalmazia è una terra di cretini.
Ma nessuno oserà asserirlo che conosca il Dal-
mata sia marittimo, sia mediterraneo. A qualun-
que cosa ei volga la sua intelligenza, cssa-ilo se-
conda mirabilmente. Egli è slavo della stessa
razza di quei della Croazia e della Voivodina, che
nell'istruzione elementare progrediscono più ala-
cremente di lui.
E se sì doloroso confronto emerge fra la Dalma-
zia presa iu massa e le altre provincie ; che sa-
rebbe se la sola parte interna si prendesse? Ba-
sti il dire che le comuni di Benkovaz, Dernis, ^Ki-
stagne, Knin, Sebenico, Clissa, Imoski, Mudi, Sign,
Vergoraz e Verlika in una popolazione di 92.m
abitanti, non hanno fra maschili e femminili più
di 17 scuole, cioè 1 su abit. 5400, frequentate
da forse 700 scolari, quando gli atti alla scuola
arrivano a 8000. Uno scolare su abit. 114! Ciò,
è ben peggio della Bukovina.
Nè a giustificare tanta inferiorità avvi più l'o-
stacolo della lingua. Da qualche anno in tutte le
scuole minori si legge su testi illirici, e nelle
maggiori più o meno s' insegna questa lingua;
eppure nè scuole nè scolari aumentano.
Qual meraviglia dunque se la statistica crimi-
nale del circolo di Zara ribocca di assassinii, in-
cendi e rapine? È chiaro che il popolo campe-
stre difetta d'idee morali. Molti lo vorranno at-
tribuire a incapacità o inattività del clero. Fosse
pur ciò vero, è certo altresì che senza il sussi-
dio di una scuola ove la religione s'insegni as-
sieme coir alfabeto poco il parroco può giovare
con qualche rara lezione di catechismo.
Questo stato di cose evidentemente riclama le
più seria attenzione di un Governo che voglia co-
scienziosamente adempire alla sua missione. L'in-
clita Luogotenenza sarà certamente di questo pa-
rere; e, sia che voglia associarsi la Giunta in
questa crociata, sia che voglia da se procedere,
non farà che trascorra quest'intervallo delle va-
canze senza concretare -qualche efficace provve-
dimento.
Nella speranza che l'ecc. Ministero di stato
voglia impartire all' ecc. Luogotenenza più larghi
mezzi e poteri, perchè questa possa meglio adem-
pire a così sacro uffizio, la Giunta và a comu-
nicare copia della presente ai signori membri di
ambe le Camere, colla preghiera che verbalmente
rimostrino la condizione di questo paese tauto ai
ministri di Sua Maestà, quanto al Consiglio del-
l' Impero.
N. 2076.
GIUNTA PI-OVINCIALK DALMATA
N O T A
All'inclita i. r. Pretura di
Dalle lisposte che alcune Preture ftivorirono
ai quesiti fatti dalla_(Uimta colla nota 10 settem-
bre spirante N. 1960, rilevasi ch'esse mancavano
di una base di confronto per formare un giudi-
zio sulle condizioni, in cui trovavasi la popolazione
del loro distretto nell'anno 1860.
È perciò che la Giunta si pregia di rimetterle
l'unito prospetto da cui risulta in qual propor-
zione colla ])opolazione siano seguiti i matrimoni,
le nascite e le morti nel suddetto anno. Per gli
anni precedenti le mancano i dati di ogni singolo
distretto che furono rimessi alla suprema conta-
bilità di Vienna.
Se i movimenti di codesto distretto non diver-
sificano molto dalla media, è prova ch'esso tro-
vavasi in condizioni normali, ma se se ne allon-
tanano sensibilmente, ciò significa che in esso si
spiegò una maligna o benefica intluenza.
Fu tale influenza propria di quell'anno? Od è
permanente? Quali ne sono le causo accidentali
0 stabili ?
L'inclita Pretura comprenderà quanto sia in-
teressante questo quesito, e colla sua solita cor-
tesia vorrà prestarsi a risolverlo.
Zara 30 settembre 1862.
Il presidente
PETROVICH.
Proporzione dei matrimonii, nascite, e morti
avvenute in ogni distretto della Dalmazia nell'anno
1860.
1
tri atri-
inonio
l
nato
1
morlo
sopra abilanli
M8 1 _ 31,75 05,3fi
Pil^O 13! 21), 20 59,36
ObbroTazzo 173 29,79 44,16
Ziira 150 28,55 55,45
Benkovnz lai 25,73 53,78
Kistagne 219 28,71 50.65
146 21,47 51,40
Dernis 188 26,58 31,31
256 22,18 50,01
MS 25,00 40,87
152 2 ).,75 00,06
24(3 5l,r.3 75,01
172 52,40 43,18
Spalalo 156 27,09 31,42
209 28,7 2 . 34,82
Meikovich 102 20,08 41,57
Vergoraz 127 28,88 79,13
Macarsca I2;5 50,2.') 69.14
Almissa 165 50,55 58,22
Hrazzit 154 25,08 31,28
M4 51,83 69,08
Li ssa 145 20,18 82,79
Gurzola 105 53,05 46,70
Sabbionecllo 131 4-2.00 07,08
Sl.ngno 102 5 4.08 50,33
lo4 51,28 48,23
Hagiisavcccliia 149 59,32 0-2,11
Castellino vo 158 5 t,OU 31,12
169 50,28 45,2,1
Caltaro 109 51,"fi' 59,99
Budiia ....... 80 57,07 42,49
Meilia . . . 131 28,87 49,66
Ci facciamo dovere di pubblicare la seguente
lettera che l'illustre N. Tommaseo ci scrive da
Firenze, a rettificazione di alcune cose dette ncl-
r altra a lui diretta dal sig. Antonio Damianovich
di Sign, e inserita nel nostro numero 38.
Pregiatissimo sig. Direttore.
Non La importunerei con preghiera di dar luogo
a questa mia lettera nel suo giornale se non te-
messi col silenzio parere consenziente a parole,
dettate certamente da buona intenzione, d'uomo
soverchiamente benevolo a me ; parole troppo, per
quel ch'io stimo, severe agli educatori e maestri
del povero paese nostro. Gliele dettava il deside-
rio del meglio; e gli fiiceva in quell'atto dimen-
ticare l'esempio proprio, e i molti uomini rispet-
tabili che la nostra educazione domestica e le scuoio
nostre hanno dati alla patiia. Il dì stesso che nella
Voce io leggevo quelle parole, leggevo in un gior-
nale italiano accreditato e de' più temperati e non
avverso alla presente condizione di cose nella pe-
nisola le seguenti"Le nostre scuole non vauuo
Ziìfi'a 15 Oti^lìve I§62. .ILbìmo Wi
Prezzo d'associazione in valuta austriaca per /ara: [ict* un luiiio (liiri:i: S; jM'i* iHi'si linrini 1; Jier ire inrsi (iiirini 'i. riiiiiiiii-nii' ili'lla l'mvinci.i a fuori: |]cr un anno (iuri li !): |Ji'r sei Ihiiini -1
Koldi 50; per Ire mesi lliirini 'J:'-l'>. l'er l'esteri), e
liei Loniliardo \ cnelu gli stessi prezzi in argento, tran-
cile del |)orta-|)Osta.
Giornale polltico-lefterario
Esce il Mercoledì ed il Sabato.
I ffrnnT»? p !<• rn'nmi«'*!')?'!. fr^^nel»! (li»)!» ^»K««*»
postali, si litri iiiMio ih a \ iiire:i7.u UII|)I:\IICIL'II KC-
diiltore della Vure I>;lli;iiirli'.n. c sii ahbuonnnieiiti. ai
iiea:nzii lilirarii dri Mtnmi Iriitilli Itailnra e l'iitro
Alielieli. (ili ili » linfe eiiSl;!no I fiorini), e usui
line.) di pii'i snidili, /.il i:!-si .li linaiizii Pesti a esrico
d. I eninniillenle. l'n iMiiui'rii M-|.ai ali) fusla si Idi 10
••r
Pregiatissimo sig. Eedattorc.
]\Ii farà cosa grata collo accogliere nel suo ri-
putato giornale la seguente dichiarazione. Abbia
i miei ringraziamenti e mi creda
Suo devotissimo
BAJAHOXTI.
Vienna, 1 ollobre i862.
ersona di' io altamente venero testò mi scri-
a: Con quella schiellezza che viene da slima af-
7llunsa le dirò, che sentendo io notare l'adoprarsi
eh' ella (a per il povlofranco di Spalato, risposi quel
che credo essere vero : che non sperando ella il tutto,
s'affretti intanto a conseguire una parte. Ma eh'ella
desideri il bene di tiitli, non so diihitare.
Dalle quali parole, toi-nerebbe inutile il dirlo,
risulta troppo chiaro come da taluno si vada in-
sinuando l'idea che leino^doni Lapenna c Alberti
fossero state da me indettate, o del mio viaggio
a Vienna sieno elleno scopo jirincipalc, a non dir
unico: in una parola, ch'io tentassi ogni via le-
cita, e forse illecita, per giovare a Spalato a danno
dell' intera provincia.
Se si trattasse unicamente di me tacerei; da
lunga pezza ho appreso a disprezzare i maligni, a
sorridere agli stolti : ma poiché dal tacere ne po-
trebbe venir danno al paese, alterando forse quella
concordia che sono superbo di avere iniziato fra
i dalmati Municipii, credo opportuno di dichiarare
nulla, dell' accennata taccia, essere pifi falso e, dirò
pure, pili ingiusto. Quanto io abborrissi ogni stolido
municipalismo, credo di averlo dimostrato, meglio
che a parole, a fatti: la mia suprema ambizione
quella fu sempre di mostrarmi, non Spalatino, ma
Dalmata.
E nelle questioni del portofranco non Ilo del
pari smentito me stesso. Interpellato nell' anno de-
corso dal nostro onorevole presidente cav. Petro-
vich, risposi senza esitanza : dinnanzi al bene ge-
nerale essere noi dispostissimi a sacrificare il no-
stro speciale; fare plauso all'idea della Giunta e
Biuettere per parte nostra ogni passo. Poneva però
innanzi i miei timori, e pregava, quando il tenta-
tivo per l'intere costa andasse fallito, non si di-
menticasse Spalato, ed ai nostri sforzi speciali vo-
Icssesi unire quelli dell'Autorità provinciale.
E quanto promisi scrupolosamente mantenni. Da
allora—lo dichiaro nella più solenne forma sul
fino onore — non un passo, non mio scritto, non
lina parola mai ad alcuno, e quindi nè a Lapenna
nò ad Alberti ; nò da me, nè da alcuno de' miei
•mici, uè direttamente, nò indirettamente, e le loro
mozioni, se pure graditissime, ci giunsero inaspet-
tate. Ed oggi stesso ch'io mi trovo a Vienna,
mentre cerco di trarre dal mio viaggio 1' utile mag-
giore pel mio Comune, del portofranco non ne
parlai e non ne parlo affatto, quasi e' fosse un in-
teresse, non di Spalato, ma della Cina.
A tale dichiarazione formale non dubito si vorrà
credere, quantunque il tenere una tale condotta
potrebbe forse parere a taluno diftìcile, a non dire
impossibile. Dico ciò perchè di questi giorni ap-
punto ebbi prove che non tulti i Dalmati la pen-
serebbero a modo eguale. Per esempio non è molto
che un Dalmata ') andava strombazzando qui in
Vienna l'inutilità della diga di Spalato, porgendo
così occasione a taluno di avere una scusa di più
a propria discolpa. Eppure la costruzione della
diga non avrebbe certo recato danno di sorta a
qualsiasi altro luogo della Dalmazia, o so il- pu-
blico erario prometteva di accordare 300000 fio-
rini, ciò non era certo da tondi provinciali, ed il
nostro Comune d'altronde si sobbarcava ad una
spesa forse maggiore di 200000 fiorini. Altro e-
sempio: mentrio sono qui a Vienna per procu-
rare a taluno il divertimento d'irridere ad uii pazzo
die vi parla della ferrovia Belgrado - Spalato —
idea che fortunatamonte, con buona pace delle ce-
leberrima Donau Zcitung, non tutti trovano del jiari
strana o ridicola, e cui forse uu non lontano av-
venire mosterà uon essere stata utopia — un (pialche
Dalmata (autonomista) non Spalatino, si sbraccia
a sciorinare lunghe epistole per raccomandare la
splendida idea lachich con isbocco non a
Spalato. Terzo esempio; un tale di città non ul-
tima fra le Dalmatiche, infamia, ebbe a esclamare
allo udire la notizia delle mozioni accennate, in-
famia! . . dacché Y non poteva avere il porto-
franco, non lo doveva avere neppur Spalato. E di
consimili potrei citare degli altri, se non credessi
più opportuno il tacere. E lo stesso conturbarsi
ed agitarsi di taluno non credo provi un amor pa-
trio esente da quel sentimento, cui vorrebbesi me
inspirato.
Che se, non potendo per ora l'intera Dalmazia,
causa speciali condizioni, ottenere la franchigia
daziaria, si voglia pretendere che anche Spalato
vi abbia a rinunciare, olvl aucsta, vivaddio, è im-
pudente stoltezza, degna di riso, piìi che di bia-
simo. Io non entro nel merito della quistione, a-
vendola sciolta recentemente l'onorevole Lapenna
nel N. 30 di questo giornale, con tale copia di
argomenti, da render inutile ogni altro ragiona-
mento. Ripeterò qui solo — e credo poterlo ri-
petere a noine di quanti abitiamo la costa appar-
tenente al Circolo di Spalato — la franchigia ge-
nerale cól sacrifizio del dazio di favore pei nostri
maggiori prodotti, oglio e vino, sarebbe rovina,
non vantaggio, e d sarà permesso, speriamo, di
combatterla con quanta forza avremo. Lifine, se
un giorno Spalato avrà il portofranco, ci si vorrà
permettere del pari, speriamo, di gioirne, se pure
non lo avesse l'intera provincia, egualmente come
gioiremmo domani per uu bene di Zara, Sebenico,
0 Ragusa, quand'anche Spalato non potesse es-
serne posta 0 parte. È così, io credo, che si ab-
bia ad amare la nostra patria comune.
•) Trovandosi altualmente in Vienna l'egregio Conle
Rorelli, cui mi legano particolare stima ed amicizia, a to-
gliere a qualche maligno la possibilità di un dubbio che
ofTenderebbc ['.Tnimosuo nobilissimo, trovo di dichiarare
non solo non essere lui li persona cui «lindo, ma a sus-
sidio de' miei progetti avere avuto i consigli e 1" opera suoi.
Le parole dell'articolo precedente, risguardanti
la lettera a noi diretta dal deputato Lapenna, e
inserita nel nostro numero 30, ci obbligano no-
stro malgrado a tornare sopra quella questione che
avevamo deliberato lasdar cadere, affine di evi-
tare ogni motivo di disgusto con persona a cui
noi professiamo stima sincera, ed ogni occasione
di torta interpretazione alle parole nostre, che a-
miamo sieno credute sempre, come veramente sono,
dette a fine di bene, e con intendimento di gio-
vare al paese nostro, non mai di adulazione o
biasimo personale, il che sovente, ci duole il dirlo,
non ci vien fatto. Noi ci torneremo, però, per quello
che riguarda la essenza della questione medesima,
e più specialmente per quello che si riferisce alle
parole stesse, non già al resto della lettera, é
meno che mai alle incolpazioni o-' recriminazioui
personali che ne potessero scaturire.
Dice r egregio Bajamonti, che il Lapenna, in
quella lettera dimostrò la migliore opportunità e
utilità del limitare la franchigia doganale ad un
solo sito e più specialmente a Spalato, che non
di estenderia a tutta la costa dalmatica, con tanta
copia di argomenti da rendere vana ogni ulte-
riore discussione. Ora noi dobbiamo rispondere che
uon solo nelle cose dette dal Lapenna noi non tro-
viamo ragioni di tale evidenza da far trionfare
quella opinione che noi reputiamo un paradosso
evidente ; ma d pare invece die egli non ne ab-
bia saputo addurre neppure una sola valida ad
abbattere la opinione contraria; diè an.n nella
lettera, come già nella proposta fatta alla Ca-
mera, risulta chiarissima la contraddizione del ri-
conoscere dall' una parte la maggiore utilità della
franchigia generale, e del contentarsi dall'altra
della circoscritta, e ciò unicamente, per evitare
allo stato una diminuzione di reddito.
Primieramente quando si tratta di ripetere per
diritto, 0 per convenienza, o per grazia da taluno
alcuna cosa, non ò ragionevole di cercare e mo-
strare noi mc(le.siuii gli ostacoli ch'egli potrebbe
trovare a concedercela, e speculare sottilmente
quali sarebbero le ragioni ch'egli potrebbe avere
per negarcela, non è ragionevole di farci avanti e
dichiararci pronti di rinunziare a parte dei diritti,
0 delle esigenze, o delle domande che stiiimo per
pretendere, o fare. A noi conviene fare la domanda
intera, anzi quanto ò ragionevolmente possibile
larga, ed a noi vantaggiosa. Che se altri troverà
poi di avere buone i-agioni per negai-cela o li-
mitarla, lo farà senza dubbio da sè; e allora ap-
pena resterà a noi libero, per minor male, e con
maggior dignità, di starcene contenti a concessioni
minori. Facendo altrimenti, noi corriamo rischio,
anzi possiamo tener per fermo, di ottenere meno
ancora, e di incontrare maggiori restrizioni allo
nostre domande, come accade appunto nel caso
presente, nel quale il ministro già dichiarò di non
poter consentirci che per gran grazia, in luogo della
franchigia generale o dol porto -tVaiico spedalo ,
dei meschini entrèpnts.
Lo ragioni addotto dal Lapenna nella sua let-
tera, contro la fraiiflìigia generale, riguardano u-
nicamente il caso che veiig.i adottata la projiosta
della Criunta provinciali.;, di oitViro a compenso
della perdita de'dazi, alla pubblica finanza, la ri-
nuncia al dazio di tavore per i generi nostri en-
tranti nel territorio doganale austriaco, in confronto
degli esteri. Ora la proposta della Giunta ò un
opinione da discutersi e da esaminare ; nò da noi
nè dalla Giunta medesima fu prescatata come l'u-
nico partito da prendere, ma corno un progetto
da ventilare. Se il compenso oit'erto allo stato nel
modo dalla Giunta proposto, può parere sover-
chio, c tale da contrabilanciarc i vantaggi che no
verrebbero al paese dalla franchigia generale,
altre maniere di compenso possono rinvenirsi che
il međeshno inconveniente non presentino, e ci ot-
tengano il bene di cui andiamo in traccia, sen-
za andare incontro a mali maggiori. Tale po-
trebbe essere il compenso diretto per un aumento
alle altre qualità d'imiiosizioui, fossero anche le
dirette già gravosissinie ; avxegnacchò siftiitto au-
mento non sarebbe una maggiore gi-avezza, la iptale
già sussiste nei dazi nicdesiiai, non da altri dn' (fai
pae^e medesimo pagati; ma uno spostaiiiuatn, il
volentieri sarebbe sopjiortato, vedendosi sciolti
d' ogni barriera da ogni vessazione che il sistema
(llle tarifife inevitabilmente porta al commercio ;
e poi esso si equilibrerebbe ben presto nelle va-
rie opera2àonl commerciali e nel giro continuo
degli affari, ed il produttore ed il consumatore,
l'imprenditore ed il lavoratore, il proprietario ed
il colono, ne risentirebbero tutti un diretto van-
taggio dalla generale franchigia essendo tutti in
generale consmnatori, ed avrebbero aperto il cam-
po ai loro speciali interessi.
Tutto il guadagno che fa presentemente altri
colla Dalmazia resterebbe ad essa, e con questo
solo potrebbe indennizzare que' dazii. Non è a
dirsi che la Camera, qualora fosse chiamata a de-
cidere, pegli esposti motivi, dei tre modi decide-
rebbe pel primo.
Il porto-franco in ogni modo dovrebbe esten-
dersi a tutta la Dalmazia, poiché i motivi che mi-
litano per un punto, reggono più o meno per tutti
gli altri punti della stessa, essendoché a tutta la
costa soprastano le stesse Provincie, ed esse tro-
veranno il mighor scalo a' loro prodotti.
Il porto-franco pella Dalmazia è questione di
vita 0 di morte, nè basta a salvarla una mezza
misura ; gli entrèpots a cui accennava alla Camera
dei deputati S. E. il Ministro delle finanze evi-
dentemente non coglierebbero tale scopo.
Se alla sinistra della Camera de' deputati si
gridava abbasso i privilegi, ciò non potea riferirsi
certamente a questa provincia, che con tale mi-
sura non veniva che ad essere pareggiata alle al-
tre beneficate colla lega e con parziah o gene-
rali franchigie. L'esclusione è nociva, l'estenderlo
a tutte Io rende innocuo, ne toglie l'odiosità, ne
fa cessare i danni.
La Dalmazia che costituisce un separato terri-
torio doganale dal restante dell'Impero, connessa
commercialmente ćolle provincie orientah finitime
mediante l'attuale trattato ed altri che si potreb-
bero stipulare colla Turchia, non sarebbe più pas-
siva all' Impero, nè bisognevole dell' altrui soccor-
so. I capitali che attirerebbe a sè colle sue tVau-
cliigie darebbero vita alle arti ed alle industrie, i
cui prodotti pelle progettate strade di ferro tro-
verebbero facile spaccio nell'interno, come i pro-
dotti di quelle provincie troverebbero facile smer-
cio ne' suoi numerosi porti. Il ravvicinamento e
la comunanza degli interessi appianarebbero pure
di molto le difficoltà politiche che disgiungono
quelle provincie dalla nostra.
Ora che ogni stato procura d'attirare a sè la
maggior estensione de'commerci, è ben desolante
veder sacrificata una provincia, che è il più favo-
revole scalo a' commerci coli' oriente e che pella
sua posizione può portare la più decisiva influenza
in quei paesi, per una mescliinissima perdita che
jn mille modi sarebbe compensata.
In questa epoca che le questioni politiche vanno
di pari passo colle economiche, questa misura
reagirebbe felicemente e sulla dubbia fede dell' In-
ghilterra nei liberali principii economici dell' Au-
stria e sulla vertenza germanica.
Dal soddisfacimento infine dei speciah bisogni
di ciascuna provincia, può solo sorgere il benes-
sere di tutto l'Impero ed ottenersi la desiderata
unione.
Lo sviluppo che verrebbe ad avere con tale
concessione la marina mercantile giustificherebbe
pure r aumento della flotta, e la Dalmazia, anello
air Oriente, sarebbe indubbiamente per divenire la
risorsa di chi la possiede.
Letteratura slava.
{Continuazione, vedi N, 41).
U.
Un caso così grave e di stato come è l'intro-
duzione di una lingua per istruzione del popolo
e della gioventù studiosa, che non è fondata so-
pra elementi nazionali, solo mi poteva spingere a
comparire novellamente in pubblico, dopo aver
assaggiata la turbolenta carriera letteraria, in que-
sti nostri primi rudimenti portata a galla e se-
guita da molti; che in tanta smania di scrivere e
di progredire, si lasciano strascinare da immaturi
consigli, e dall' ambizione di far insigne comparsa
nel mondo. E a me fia lecito con tal tuono mo-
strare i propri sentimenti, che per ineffabile posso
dire conversione nel rimirare i poveri abituri della
mia gente, e le patriarcali virtù ascosevi, profon-
damente mi trovai compunto, e come per istinto
solennemente destato, e senza consultare le forze
dell'ingegno, cercai di destare in altri petti la
beata scintilla del patrio amore. E ognuno che
parla o che scrive più o meno si compiace, e de-
sidera di essere lodato per umana vanità così co-
mune, e cosi naturale, ignota solamente a qnegh
eletti che grandemente a Dio si avvicinano. E
benché sempre presente mi tenga questa salutare
verità, pure non mi è concesso di resistere ad
impressioni mondane, e sia ingegno, o follìa, parmi
di vedere una schiera di fattori, che non si tro-
vano al suo posto ; parmi di vedere di quelli, che
invece di farsi moderatori e istruttori del popolo,
dovrebbero risparmiar la carta, o darsi a mestieri
alla loro indole confacenti. E così da ogni parte
che rivolgo lo sguardo spesso vedo oggetti di di-
spiacere, certa legalizzazione di movimento con
bollenti passioni, che potrebbero trarre a meta
nefasta. Perciocché porto opinione, che uomini della
nostra razza rari son quelli, che abbiano ben com-
preso il modo di regolarsi nell' educazione di que-
sto nostro popolo, che porta impronta l'immobi-
lità dell' antico pensiero, e che agli occlii del fi-
losofo deve comparire in mezzo a tanta vita ar-
tifiziale propria delle incivilite nazioni, la ripeti-
zione dei tempi di Nembrot. Non conscio della
sua origine, superfizialmente conosciuto dai suoi
eletti, trascurato dalla vera intelligenza, che si
interessò più degli antipodi, e che lo decorò di
titoli indecorosi; ora dopo tanti secoli della sua
età eroica, per impulso venuto da occidente, mo-
tore primario del progresso europeo, vien fatto
soggetto di rigenerazione, perché entri nella classe
di quelle nazioni che per la forza morale più che
materiale si fanno rispettare, e sanno custodire
la loro indipendenza.
Ili questo solevme inoinento, in cui per l'im-
perizia di un partito d' azione, costretto mi trovo
dal nebuloso petto trarre con riserva alcuni ac-
centi, multiformi idee mi si ravvolgono per la
mente, che mi é difficile di vestire e in istretto
coordinare; simile a coloro, qiùbiis selendl et non
dieendi data est fa cult a s.
Alle nostre porte noi vediamo un popolo, dal-
l' ignoranza regina del mondo sconciamente co-
sperso di titoli di disdoro, quasi ignoto alla civi-
lizzatrice Europa; che dopo lunghe e stentate
pellegrinazioni, dopo knigo percorrere di immense
contrade, spinto da bisogni di natura, arrivò a
queste rive, arrestato dal mare. E dopo quella
prima sua venuta (mi attengo a fatto storico, non
curando le oscure storie), dinnanzi alle moli dei
Cesari, alle rovine dell' inclita Salona, e dell' ac-
quedotto di Trajano, spiegò le umili sue tende, e
mostrò suoi baroni e re sedenti all'ombra di an-
nose querele, che con ìmperatona brevitate, o con
cenni a guisa di Cajo Mario, dicevano ragione.
E dopo quel tempo fino alla nostra età, ebbe
propri e stranieri moderatori, soffrì molto, poco
godè ; ebbe i suoi Draconi e i suoi Perieli, e fra
questi qualche raro pastore, imitatore della virtù
e della santità del divo Carlo, decoro di Milano ,
come fu un Cupilli e un Garagnin, arcivescovi di
Spalato, e primati, di cui ci restano pietose, im-
periture memorie. Ed ebbe anche i suoi Ergovaz,
e i suoi Maruli, e i suoi Kacich, che ne allevia-
rono le miserie.
Seguì suo corso, sempre peggiorando nella po-
vertà ; fu fedelissimo servitore del magico Marco,
che gli ricordava il suo Kraljevich; di lagrime
cosperse la sua caduta bandiera, che meritano la
ammirazione del mondo intero ; e ancor memore
di quella supposta beatitudine esclama : Odkad je
Principa nestalo, svakoga je dobra nestalo ! La qual
memoria viene temperata dalla sua docile inerzia col
Deus dedit, Deus abstnlit, sit noinen Domini bene-
dictuiìi, che egli tradusse con stupenda semplicità
in : tinaia Bogu !
E dopo quella gran caduta comparsigli i Ru-
kavina e i Marmont^ che iacevano contrasto ai
Smiglianich, ai Jankovich e ai Nakich, di cara
memoria, per la imponente figura in assisa na-
zionale, decorato il petto delle insegne che por-
tavano i Malatesta e i Colleoni, e per l'illustre
casato, che rinnovellava quello degli estinti eroi,
le cui elegie egli accompagna col mesto mono-
cordo, che a orecchio slavo supera la guerresca
armonia dei cori della Nonna di Bellini ; chinò il
capo, e non intendendosi di proteste, arma di in-
civiUte nazioni, si mostrò rassegnato, e unico spet-
tacolo di dolore nelle pubbliche effusioni, da quelle
non usate, rappresenta in madre addolorata che
si strascina con singhiozzi, amarissirni pianti, ed
attentati di angoscia dietro la fuggente bara del
diletto fighuolo. E voi o Dalmati intelhgenti più
volte vedeste queste scene, e vi rammentaste di
quelle parole di pietà sovraumana ;
E se non piangi, di che pianger suoli?
Seguirono le pria ignote decime, si ammassa-
rono le usure, rimedio alla povertà disperata, si
ricorse al hèrnbd- e ad altre miserabili erbe sel-
vatiche per diluire la fame; tardi arrivò la fava
(che diede il nome alla storica Bobova Godina),
quando 1' avviso di tanta calamità dalla Turchia
arrivò al benefico imperatore Francesco.
Giunsero poi riforme di stato ; si cominciarono
dalla parte più vulnerabile, sopprimendo due pii i-
stituti, che davano dei pastori di anime laudanti
Dio Ottimo Massimo in hngua slava, e nei mo-
menti di ozio, imitanti i Cincinati degli aurei tempi
della republica romana; si soppressero a dispetto
del forte slavo Nicolò Didos, e di altri ; e non si
rivocò il mal fatto, dopo le vive istanze di Paolo
Clemente Miossich, vescovo di Spalato.
Lascio da parte il resto della volgare elegia,
che non vorrei peccare. Successero tempi di spe-
ranze, di riscossa; tuonò finalmente la tromba di
Zagabria, spuntò la Zora, frutto del mio pensiero
e modesta, che fece volar Pieradovich, e lo con-
fessa; che scosse tanti altri, che disconfessano, o
tengono serbato in petto ; sursero i riformatori,
a cui tributai le dovute laudi; apparve una furia
di giornali con gergo improvvisato, ec. sotto l'in-
fluenza di vento spirante dalla Senna ; qiiindi libri
a tutto andazzo, traduzioni di drammi e tragedie,
per far fronte al teatro ungherese ; arterie queste
ultime per diffondere una baldanzosa civiltà in
mezzo a popolo, che ha ancora il guscio sul capo.
E ritaha, che tanto stentò perlo giro di tanti
secoh a toccar solo una mano dell' avita libertà;
che ancor le restano dei lauri e dei cipressi da
cogliere ; che possiede la lingua dell' inchto Dante;
che mira il gran prodigio al di là delle alpi Di-
nari che !
Eppur tanto letterario schiamazzo portò qual-
che utile a Croazia per l'invidia che portava ad
Ungheria; surse il triregno, di cui una parte al-
lude a quello di Gerosohma; cancelleria auhca
sua a Vienna, erezione di gran Xupani, bano ac-
colto, scrittura uffiziale propria, in quanto com-
portano i militari privilegi; e tutto ciò a com-
penso delle amaritudini sofferte dalla nazione, il
cui eletto Jellacich io stimerei degno di compianto
e di funereo monumento, non di statua da Cam-
pidoglio, votatagli dai suoi veneratori.
Dai beni croati scendiamo ai mali. Quel trire-
gno così impastato ha il suo lato sdruscito. Un-
gheria che non può ancor sputare il toccatole
rabbuffo ; Fiume che viene placata con un' infor-
nata di dalmati in patria non esaltati; i scogli
del Quarnaro ancor devoti a Medea ; Istria, e qui
non so che dire ; soldati croati, che credono di
nobilitarsi col bastone da caporale, e sarebbero
capaci di dare fraterna lezione a fratelli ricalci-
tranti; Slavonia, che non si chiama Croazia, e
Dalmazia che rinunzia all' impolverato diritto pri-
maziale usque ad ripas Danubii, e che evoca quelle
genti che vi fabbricarono trecento città; Sirmio
colle tombe dei discendenti di Nemanja, che fece
ingrata, incancellabile mozione per bocca del su-
premo suo pastore; il Serbo, che COJICUICÒ quell'an-
ticaglia di illiro, e che vede Serbia anche in Croa-
zia: che vuol Belgrado capitale e archiginnasio e
non Zagabria; infine il Turco che ora manda i
suoi vincitori battaglioni in guardia.
E in mezzo a questo stato di coscj erano forse
N. 46. Zara 22 OIàolire I§63«
/K
/timo lii^
Prozio d'assoein/.iunc in valu(a anstriaea per
Kara: per un anno tìoiini H; |ier im-si fiorini 4;
per tp-c nursi fiorini a. Pii rinianciile della Provincia
a fuori: per un Hiino fiorini fl : per »fi mesi fiorini 4
sulJi 30: ppr (re mesi fiorini '-J : 25. Per l'estero, e
pel Lombardo \ eneio gli scessi prezzi inargento, fran-
t'Iie del pitrio-posta.
Giornale [)oIi^co-le<^erario
Esce il Mercoledì ed il Sabato.
I ffruppi <• le c iniiiiiissiiiiii, fi anelli delle »pes«
postali, si diri nwiii in /:;rH » \ iiieenno Uuplancieli Ke-
datiore delU Vi i e |ic;!i;i:itiira. e »11 »bbuonaraenii. ai
• eirozii dei ^i^ll(ll I fratelli Battara c Pietro
Alielieli. Gli ani>i di M linee eoslano I fiorino, e ojni
linea di più snidi K. I,a la^sa ili finanza resta a earico
di-I eoniioittenic. I n numero separato eosta soldi IO
Giunta Provinciale.
Air I. li Ministero delle Finanze in Vienna.
La Giunta provinciale delia Dalmazia in data
11 ottobre 18G1 nr. 381 esponeva alla inclita
Direzione provinciale delle iiiianze alenile idee sul
modo di fare degli esperimenti di coltivazione di
tabacco, perchè dassero all' i. r. Finanza nna esatta
norma delle qualità più perfette, e delle località
più opportune.
Priva (fi risposta, replicò le sue istanze li 25
gennaio a. c. ur. 203, alle quali venne dato eva-
sione col pregiatissimo ministeriale dispaccio 4
marzo nr. 6803-238. Si concedeva di piantare
300,000 piante sul fondo erariale di Stagno grande,
0 00,000 al sig. Vincenzo Coltidrovich a Ragusa.
A questa disposizione inopportuna pella sta-
gione avanzata, per la quantità enorme concessa
al sig. Coludrovich, e per F inattitudine di Stagno
a produrre buon tabacco, la Giunta replicò con
un caldo indirizzo qui unito a S. E. il sig. Mi-
nistro delle tìnanze.
Li 25 aprile 1' eccelso Ministero concedeva che
la piantagione si facesse in tre punti ])resso Sta-
gno e Eagusa a spese e per conto della Giunta.
Ad una simile evasione la (riiinta in data 10
maggio 1862 nr. 988 risposo coli'unita nota di-
mostrando :
1. Esser troppo tardi per seminare il tabacco.
2. Esser cattiva la scelta di Stagno, terreno
salino, e aria paludosa.
3. Non poter la Giunta nò alcuna autorità as-
sumere la coltivazione del tabacco con successo,
ma doversi ciò lasciare all' interesse privato.
Consta alla Giunta che quest'anno siasi ripe-
tuta la coltivazione a Stagno, benché i saggi pre-
cedenti non dovessero incoraggiare a una terza
prova; che siasi pure concesso al sig. Michele
Coludrovich di Zara di far una piccola prova, e
lo stesso pure al signor Vincenzo Coludrovich di
lìagusa.
Sarà un miracolo se piantagioni fatte fuor di
tempo riescano bene; e se riescono, ciò proverà
la somma attitudine della Dalmazia per questo
genere di coltura.
La Giunta però non crede che su queste anor-
mali e imperfette prove si debba basare alcun giu-
dizio. Essa insiste che se ne faccia a tempo e luogo,
APPENDICE.
I veri ed i falsi liberali.
Libertà, augusta parola, seducente e glorioso
pensiei'O, tu accendi negli animi nobili potenti pas-
sioni ed affetti, la razza umana nobiliti e perfe-
zioni, sollevandola dalle abbiezioni e da molte mo-
rali miserie per stringerla in armoniosi accordi e
procurarle i migliori beni, cui può aspirare il suo
consorzio. Chi è che non ami, non desideri e non
ricerchi questa sovrana delle sociali prerogati-
ve e virtù ? Ahi molti ! i despoti, perchè le loro
anime piccole si compiacciono della maestà del
comando; i tiranni, perchè essa tende a spode-
starli dell'aborrito dominio; gh imbecilli, e que-
sti sono 1 più, perchè serve loro d'imbarazzo, non
essendo atti a trarne partito; gli ipocriti, perchè
temono di perdere le arti subdole, mercè cui dcln-
dono i poveri cretlcnzoni, e Id sciame di tutti quelli
se si ha la seria intenzione di eseguire tiiialmonte
le sovrane disposizioni. Essa creile die le prove
soltanto saranno decisivo quando si faranno nel
modo proposto colla sua nota 10 maggio suddetta.
Essa crede tinalmente, come rappresentante e
tutrice degli interessi economici, ed in ispecie de-
gli agrarii di questa provincia, di dover riiii jstrare
alla benevola attenzione dell'eccelso ]\Iinistero la
necessità che immediatamente si proceda alle mi-
sure preparatorie per nuovi e più estesi esperi-
menti; i quaU non saranno normali nè decisivi,
se il terreno non verrà arato iu no^'cmbre, se la
semina non sarà fatta nella seconda quindicina di
gennaro, e il trapianto entro ajjrile, |come si usa
a Trebigne, se si vuol avere di questa qualità die
fra le turche è la più squisita.
Bisogna penetrarsi del riflesso che la Dalmazia
è un paese meridionale, e soggetto alla siccità;
che perciò la cultura ritardata cresce male per
difetto di pioggie in estate, alla quale per mancanza
d'irrigazioni non si può rimediare.
La Giunta crede che ora l'i. r. finanza debba
prendere un interesse più vivo a questa cultura,
perchè in Turchia il prezzo del tabacco, che già
da qualche tempo va aumontandousi, dove ancor
più fortemente aumentare por la grave imposta
introdotta colà su questo prodotto; imposta che
equivale al prezzo" orieinario. ìi sperabile che
quando la coltura si avviasse, iti po
trebbe fornirlo più a buon mercato, e sostenere
vantaggiosamente la concorrenza col tabacco turco
anche sui mercati esteri.
Sotto r aspetto economico si deve riflettere, che
questo prodotto potrebbe migliorare di assai le
condizioni agrarie di alcuni distretti e specialmente
dei montani interni, che sono i più arretrati in
ricchezza e civiltà. E impossibile che coi magri
prodotti che attualmente esportano, avena, orzo
ecc. quando l'anno è prospero, possano cominciare
a formarsi un primo capitale onde progredire nei
miglioramenti; tutta la produzione basta appena
per vivere, e spesso non basta, anzi bisogna che
il governo con enormi somme ogni quarto o quinto
anno venga a salvare dalla morte migliaia d'individui.
Il tabacco terrebbe poco terreno ad altre cul-
ture. Esso non sarà mai coltivato in Dalmazia a
grandi estensioni perchè non potrà mai convenire
di produrre del tabacco ordinario ; si coltiverà
i quali dall'oscuratismo, dai raggiri, dalle impo-
sture e prepotenze ottengono il loro sostentamento
ed i loro poteri.
La vera libertà è estremamente rara, pura ed
unica, assomigliando alla luce del sole che non
ha confronti. — Cosa sono i liberali ? i suoi fau-
tori ed apostoli, l^ssi la professano, la promuovo-
no, la difendono, e la sostengono, basandola sul
sentimenti e diritti i più naturali e su leggi prov-
vide, da loro stessi create e deposte nei sacrarli
della fede pubblica. Se non che, liberali non sono
pur troppo tutti quelli i quali ne van facendo na -
stra. Disaminateli, ed essi vi appariranno come le
gemme le quali tutte risplcndouo e colla loro lu-
centezza vi attirano ed anche abbagliano', senza-
chè in tutte si riscontri l'uguale intrinseco valore;
donde facile e frequente l'inganno nella loro stima
e nella loro scelta, che non va evitato che da at-
tenti esami e circospezioni. Così vi imbatterete nei
veri e falsi liberali tra loro confusi ed indiscer-
nibili; ed incontrerete in ogni dove quei tanti e
in vece negh orti, e in alcuni tratti di terra ben
situati, del tabacco della più scelta qualità, quello
che si potrà vendere fra i 20 e i 40 tior.
Non si pretende di dire che questa sarebbe la
sola risorsa dell'agricoltura in tpielle pari della
Dalmazia: ve ne sarebiìero certamente delle ultre,
ma nello stato attuale di civiltà nun sono ancora
possibili.
Riassumendo le proposto co;itenute in questa
lunga, e finora infruttuosa pertrattazionc, la Giunta
Dalmata domanda :
1. Che tosto si determinino varii punti della
Dalmazia, per provarne 1' attitudine da un' estre-
mità all' altra.
2. Cbe si scelgano coltivatori onesti, intelli-
genti, e possessori di un terreno adatto per un
piccolo saggio di coltura, non maggiore ognuno di
3 a 4000 piante, e che loro s'insinui di prepa-
rare convenientemonte il terreno e a suo tempo
concimarlo.
3. Che al principio di gennaro si affidino a
loro sementi della più perfetta qualità di Trebigne,
ed altre ancora se vuoisi.
4. Cha raccolto e condizionato il tabacco, lo si
classifichi jirima in Dalmazia da una commissione
composta di delegati della Giunta e dell'i. r. Fi-
nanza, indi a Vienna dalle i. r. Direzione della
fabbriche.
C. OIiv «ol Timromhr^ <lt>ll' nnnn Vf>n«
turo, al più tardi, si faccia conoscere il giudizio
definitivo della qualità, e il prezzo che la suddetta
i. r. Dii-ezione intendesse di pagare in relazione
ad analoghe qualità che aquista, dall' estero o nel-
r interno.
6. Che in base a questi prezzi sieno invitati a
prodursi coloro che volessero coltivare tabacco nei
18G3 colle precauzioni che 1'1. r. Finanza troverà
di stabilire.
Stimatissimo sig. Redattore.
Firenze, 6 ottobre 1S02.
Nella precedente mia lettera panni d'essere corso
con un mezzo im;)egno, e giacché dovetti contro
voglia prolungare qui il mio soggiorno per un tempo
quattro volte maggiore di quello che era stato
fissato , così restandomono agio, credo doverlo
soddisfare.
tanti i quali si danno tutta la pena possibile per
comparire tra le schiere dei liberali, perdio ad
essi il mondo tributa ovazioni e fiducia cui ane-
lano gli spiriti deboli, ambiziosi ed interessati, di
cui tra noi v' ha copia numerosa e pur troppo so-
verchia. —-1 veri liberali, possiamo asserire, stannfì
rimpetto ai falsi, nella stessa proporzione, come le
genuine gemme di fronte alle fiilse.
Volete sfuggire gli inganni e gli abbagli? siate
per quanto importa diffidenti ed onestamente dub-
biosi, analizzate attentamente la società, adden-
tratevi, indagatori, in mezzo alle passioni che la
agitano; riconoscerete il vero e discoprirete dei
peccati gravi ammantati da simulate virtù: scor-
gerete r egoismo, r interesse, la vanità, e quanto
v'ha ancor di peggio, assumere l'ingannevole a-
spetto dei sentimenti i più nobili, dc!!;i nl.iìitropia,
della generosità, dell' amor patri ), e di tante ai-
tre cospicue doti che il moiido deluso ap^jre^'^a e
talvolta premia.
Nei severi sqiiittini, in mezzo a tante witerv«
stro Cirillo, ecc. E ci scoiametterei che Petrauo-
vich si dovette i>er ora adattare alla ie nel suo
famoso Manuale, e che C1311 brutto ghigno vede
la rostrata ortografia croata che la sapienza cro>
ata lo volesse iiiiialzare al sublime grado di Mi-
tìistro, credo di giustizia, iu quella parapiglia, che
fece volar lelacich a lunspruk. Inghiottiti 0 Fau-
sto anche questa pillola amara, ciiè tu costringesti
nn pericoloso avversario a dover spezzare una
kncia nel torneo ove tu lo chiamasti.
Serbi dunque per metà gaudenti, Croati indid-
dulgeiiti, scorazza lìti una strada, che a zig zag
mena in Serbia, la quale si trova piccina, e che
da lungi mostra la sua bandiera su cui sta scritto
Sèrbi SVI, i sonda - Serbi tutti, e dappertutto - e
la sapienza croata ancor uon s'accorge dove Tan-
drà a finire, oppur si accorge per divenir serba,
e sacrificare uu nome venerato antico, la Ilcrvat-
ska, che è pur nostra, trovando in compenso i B)-
goni'li, che distruggerebbero i pregiudizi! antichi,
La ie è una questione di stato signori miei, che
potrebbe convertirsi in ije serba colla forma ci-
rilliaim, e io prevedendo il pericolo, per affezione
e per calcolo, spiego la mia bandiera contraria,
e voglio Hènalsfi'i, e non Serpda in Dalmazia, non,
Fausto, per rinculare dalla tua annessione, ma per
proteggere a qualunque costo un ramo glorioso
della Slauia, illustrato dalla nostra regina Libussa,
che un dì esclamò dinanzi al suo popolo : Silni
hèrvatski narode da Svatopluk, da papa Giovanni
X. che manda epistola al suo figliuolo in Cristo
a Tomislav hcrvalshi, et. Se i Morlacchi fossero
serbi, così si chiamerebbero e non Vlasi; ed essi
parlano lièrvalshi, perchè son divenuti hèrvali in
terra antica slavicamente detta hèrvalska.
Così risponde Mefistofele al falso Fausto, e lo
spettabile pubblico che avrà letta quella catilinaria,
mostruosa imitazione del qiiomquc landem, non mi
troverà degno di rimprovero se scrissi con questo
stile.
Oltre a quello die dissi nel n. 41. sostengo an-
cora che la lingua nostra per sua proprietà esclude
il raddoppiamento delle vocali, i così eletti dittonghi,
che molti grammatici distinti negano esistere in
nostra lingua, ed lianno ragione. E come avviene
che nel.participio ad peripharasim, altrimenti detto
passato prossimo 0 compiuto, si sentono nelle tre
persone del singolare due vocali unite? Sostengo
che anche queste sono un dittongo come la ou fran-
cese, 0 la eau, che da noi non devonsi imitare.
Prendiamo per esempio ja sani mogao : ora mogao
è degenerazione di lingua surta dal contatto di
una parte di nostra nazione con genti che abbon-
dano di vocali, e per proprietà assoluta di nostra
lingua devesi dire 0 moga se volete anche apostro-
fandolo, 0 mogo senza apostrofo. Questo esempio
vale per mille e mille altri. L'antica nostra lin-
gua nel detto participio singolare mascolino aveva
la filosofica /, che ancor da noi in alcune isole
ben sì mantiene, e i croati riformatori diedero
gran ferita alla loro nazionalità col dispregiarla.
La stolta voglia di voler far parte comune coi
Serbi ne è la cagione. Quanto è meglio dire e scri-
vere p. e. zllit nèiìiil ce. ec. invece di zelio učinio
e tu vedi, 0 intelligenza dalmata, che quella / ben
necessariamente deve trovarsi nella terminazione
femminina e neutra del participio : ì'cli/, zelila, zc-
hlo; e arrivo a dir questo, che io adotterei que-
sta forma, e se non la ho finora adottata, è per-
chè sarei stato contradetto dalla nostra ignoranza.
La forza 0 signori fa anche le lingue, e la
penna che si prende in mano per scrivere segna
grandi errori di lingua. E ne commisi anche io
grandi ; ora li conosco, e mi trovo giustificato dalla
spontanea mia confessione.
E cosa diremo quando il particicipio termina in
io, no? Tutto prevedo: se non volete rimettere la
l, dovrete mettervi la j frammezzo, e invece di
lunio, melniio, scriver umiio meliiyo. Come questo?
Eppur così il popolo, ove la lingua è meno cor-
fotta, pronunzia, ed ha ragione, e anche i rifor-
jnatori che scrivono bio, invece di bil iu imperfetto,
scrivono bijah bifase, invece di biah biase, contra-
dicendo al hio. Non intendo con ciò sostenere nè
la ie nè la ije, chè noi abbiamo la i.
Il dialetto serbo meridionale è per le ragioni
suddette assai inferiore al nostro, non così T orien-
tile che vale quanto il nostro e non si distin-
guono fra loro che per la ^ e /, e sapientemente
in esso scrivono molti valenti Serbi. La te dun-
que è una mostruosità doppiamente apparente; e
parche non vi si mette frammezzo la 7 e perchè
restando così, contrasta colla proprietà di nostra
lingua. E Fausto che la metta via, chè non se ne
iutende di grammatica nemmeno ove dice che sim-
la la ie non si potrebbe scrivere gramm.itica cjlle
debite iutiessioni.
Nun regge la gratuita asserzione sulla e del
Vi l')^> Dm ; chi vedo scritto le non si arresterà
sulla i sorpassando la e, e già alcuni da noi pro-
nunziano tutte diie per torsi d'impaccio ; lo Schia-
vetto corrotto dai Croati, qui da n )i a Spalato
sporo che non verrà m.ii usato, e nemapno nelle
diocesi di Lesina, S.-benico, Zarii, fino a che non
sarà conculcato il diritto nazionale; e il montano
che ne ha ricevuto delle copie spero ch3 le porrà
in uno scattalo, conio memoria di dono croato. Xelle
diocesi di Ragusi e Cattare potrebbe essere usato
per la differenza di quel dialetto dal nostro.
E tu esclami: è un falto oompiuio ! Sarebbe
compiuto quando Dalmazia, che Dio ci guardi, per-
desse il senno, e da maestra volesse diventar sco-
lara, e di chi ? E con queste parole, non ho an-
cora compito il mio argomento, e più sotto farò
ritorno alla grammatica.
Ora ho un poco da fare col comitato presieduto dal
D.r Petranovich ; perciocché essendo esso venuto
in cognizione di un mio periodo che come dice
lo poteva riguardare; vomitò delle contumelie con-
tro di me, vestite dalle parole: indecorosa persona-
lità, presunzione, contradizione, e vaniloquio-, —
e il sacerdote Danilo che mosse questa sentenza,
composta in istile burocratico, calpestò il precetto
del Dottor delle genti a Timoteo, capo II, verso
24: "Serutini autem Domini non oportel litigare:
sed niansaetuni esse ad onincs, dnc/hilem, patienteni„.
Così non si convertono - i peccatori.; così si pro-
vocano litigi, e sconvolgimenti; e doveva ben im-
maginarsi che potrebbe cozzare con avversario forte,
che redattore già dì tre giornali, avrà a sua di-
sposizione delle armi sufficienti. E se io provoco
dei contrasti, mi obbliga la mia professione di let-
terato, e r errore da altri abbracciato con danno
della nostra nazionalità ; e io devo parlar forte
per combatterlo.
Audio sissitras esse inler vos, et ex parte credo.
Vorrei sapere, se il comitato quando spifferò quel-
r insulto, si trovasse in seduta plenaria, perciocché
conosco alcuni dei suoi membri che sono di na-
tura temperata e modesta, e che non avrebbero
dovuto approvare la draconica severità di alcuni
tribuni.
Il comitato composto di uomini culti, ma che
possono venir trascinati da passioni violenti onde
sostenere la propria carica, deve dopo il mio as-
salto 0 sostenevela dignitosamente, oppure scio-
gliersi. Presento ad esso questo dualismo, onde non
si incorra in contradizione 0 petizione : la Giunta
vuol una cosa, ed esso un' altra. Si spieghi cosa
intenda per lingua slavo-dalmata. Se intende quella
del Glasnik dalmatinski, 0 quella dell' appendice
slava del Nazionale; che ognuno del comitato vada
a casa sua, e se non volessero, li mandi la Giunta,
e se non volesse la Giunta, ripeto ella contradi-
rebbe a se stessa, 0 avrebbe parlato imboccata,
e ciò non credo.
Dovendo venire a tal risoluzione capitale, si
potrebbe a proposito a lui domandare : come si
chiama la lingua in cui è scritto il manuale del
D.r Petranovich? È ella slavo-dalmata? Sì, nò;
nò, sì; e che diavolo di lingua è quella? croata?
serba? — I^a lingua deve aver un nome, come
lingua francese, inglese, tedesca, etc. Io risponderò,
perchè vedo che il comitato si troverebbe imbro-
gliato. Ecco il suo nome panslavistico: Dalmatinsko
slov'ìisko-sèrpsko-liènmlsko-cernogorsko - bos insko-erce-
govacko-slavoìiski jezik, 0 jazik come vuole Ivichie-
vich. E così si contentano tutti, e ancor meglio
col mescolare assieme le regole di eufonia e di
etimologia, le sdolcinature, le inflessioni tutte, di
cui è ricchissima la aostia lingua; p. e. serivore
a piacere ora pomnja (diligenza, cara), ova pmstvo,
ora poninost, e far vedere agli ìt iìia;;! che si possa
dire e ddijenza, e dilige:izona, r diiijnt^i-ina. - Fo
ritorno alla grammatica.
Si potrebbe opporre che : iao, ovao, hotao, pakao,
jao, ecc. sono parole che uoii possono comparire
senza due vocali unite, ergo ie può stare. Ilis|X)ndo
che queste, come una moltitudine di altre consi-
mili, mostrano corruzione di lingua, e die la no-
stra veneranda antichità, che fu dal divino soff'io
ispirata, aveva z) 0 za come radici dei derivato
zaliti, che ancor si dice; e orai, k'itaL pakal, jo,
ancor si dicono da noi in quei luoghi che non
furono imbastarditi. E noi ramiiieiitandoci di cotali
cose non dobbiamo ciecamente seguire la bastar-
dagine impostaci dai Croati e dai Serbi, che an-
che io ho in parte seguita quando manco ci ve-
deva , e quando era costretto di seguire la mala
corrente. E se i Croati e i loro imitaturi, che se-
guono a qualunque costo una corratela per aspi-
rare ad una grandezza nazionale, la qual è ancora
ai secoli providenziali riservata, si accorgeranno
dell' errore, abbasseranno il rude orgoglio serbo,
giusto solo in quanto a miglior costruzione di con-
cetti ; e la gloriosa prisca Hèrva'ska ristabiliranno,
non puntellandosi colla forza materiale del Triregno,
ma colla morale, colla gran Dea Opinione ; e in-
vece di rivolger lo sguardo al mezzodì, e pensar
forse agli avanzi degli Slavi del IIj Antigono;
lo rivolgano al nord, ove le radici di nostra Ungua
più pure si mantengono, e in tal modo si avvici-
nino sempre più al gran nucleo slavo ; e i prodi
Serbi alla rivalità unendo testini raianza di stima,
non insulteranno nè a Croazia nò a Dalmazia.
Io già son persuaso, che come l'ignoranza fa
or perdere il suo seggio a Croazia e Dalmazia,
così la futura civiltà, quell'albero c!ie potrà colle
sue radici succhiare unuri stranieri , mi crescere
in nostra terra, dal suo seggio mirerà con sguardo
benigno la piccina Serbia, che or fa le sue rodo-
montate, e le dirà: non pavoneggiarti oltre; il tu
dialetto orientale è dialetto croato, i tuoi Mon-
tenevlnì sono uu ramo croato della Croazia del
presbitero Diocleate; nostra lingua seguita, e lascia
la tua impura, e la tua sentenza : Sèrbi sui i svuda,
che meglio dovrebbe trasmutarsi in: Svc Hervati;
svuda Ilervati !
Queste mie ardite riflessioni, che voglion ven-
dicare r onor nazionale perduto per cagione rifor-
matrice, non meritano dispregio nò da parte croata,
nò dalmata; e Dalmazia ancor ha i suoi geni, che
nefaste circostanze rattennero dalla sublime pa-
lestra; e ancor ricorda questo umile seminario di
Spalato, che nutrì la germogliante subhme natura
di Ugo Foscolo, e la inimitabile arte di Nicolò
Tommaseo, geni ambidue.
Spalato, h 20 ottobre 18G2.
Prof. A Kitzmanicit.
-) V. Nìzioiale 11, Co.
V. Filopomeno in Plutarco, tratluziono nuovissima di
Marcello Ailriani.
*) Al m ituiale dol D r Pelranovicli. che in ogni pngiiiii
ini |)re.scnl;i degli errori, o aneliti qii.i e là (Itagli spropo-
sili, f;irò ritorno a suo leinpo; [)ercl}ò .issai più mi premo
(li svolger!.' in appresso il mio coiicolto sulla Slavia liei
inezzoii'orno.
(Nostre Corrispondenze).
Parhp, 17 Qlliihrc.
I giornali oflìeiosi smontili ieri netlainenlo dal de-
creto pubblicato dal Moiiiteur, ohhoi'o almeno ragiono <i-
nora in quanto dissero cheruNCìta dal luiniìtoro di Thou-
venel doveva essere la sola modificizione minisieriale elio
stava per succcdere. Difillo per ora non si parla di nes-
sun'altra dimissione.
Quasi a compenso il Moniteiir annuncia oagj che il
maresciallo Canrobert va a prendere a Lione il posto la-
sciato vacante dalla morte del maresciallo Castellane, e
che il (bica di Magenta riinpiazzcri\ a Nancy il maresciallo
Canrobert.
II grande comando militare che ha per capoluogx)
Lilla si trova per tal modo senza titolare; ma dicesi che
in breve vi sani proveduto on la nomina di un mare-
sciallo di Francia, e, crcdesi, che tutto le probabilità sierro
per il generale di Martmiprey, 0 pel generale Cousiu Mon-
lauban.
Oggi si comincia a farsi un' idea esatta della significa-
zione dol ritiro di Thouvcne!, e della scelta del suo sue-
Kara »9 Ottobre J§63.
Voce
Prcz/o d'assofiiizii)iii> in viiluta Hustriaca per
Zara« per un anno lioriiii b; |it'r sei iiifsi fiorini 4;
per tr>' mesi fiurini li. P>'l liinrtiicnie deila Proviticia
a fuori: per un anno liorini 9; por sei mesi fiorini 4
«olili 50; per Ire mesi lidriiii "ì.'i'y. Per l'estero, e
pel Lombardo Veneto gli stessi prezzi in argento, fran-
che del porto-posta.
Giornale politico-leiferario
Esce il Mercoledì ed il Sabato.
I £rtip[ii e le eoiiHiiis.^ioiii, franchi ii.-1!t! spe-;«
po-iali, »1 ihri jii>iMi in Zai u ;i \ iiiceii/.o Dilplancieli He-
daltiii-.- (Il lh( [»alliiiitii'U. e s,li ;iltliuoh:u)ii-ini. ut
ni-ii)/,ii libr.'.rii il( i mìi.i'i i Iratelii Ballara e Pietro
A'ielii'li. (ili iiwisj ili s linee eoslaiio I lìuiino, e ogni
Ih.e.« .11 l'Ili Milili ti. ha ta-s;i di fiiiuiiza restii a carico
d i eiiiiiMiiiIiTiie. I n iidiiiero separato eo.^ta soldi 10.
Riepilogo e Conciliazione,
ir.
La principale ragione addotta dagli slavisti
dell'esigere l'uso forzato e immediato della lingua
slava in ogni pubblica faccenda, è il credere sif-
fiìtta misura, non che utile, indispensabile a dif-
fondere e generalizzare la lingua. Ora, non che ciò
appaia evidentemente vero, noi lo reputiamo de-
cisamente falso ed atto a più sempre allontanare,
jiiuttosto che a raggiungere lo scopo voluto.
Jia lingua slava è già conosciuta dalla grande
maggioranza del popolo, da tutto il popolo della
campagna ; è la sua lingua nativa e materna, che
sentì parhir sempre dalla gente con cui convisse ;
egli non corre pertanto pericolo di dimenticarla
0 perderla, nessuno sforzo che altri volesse fare
per imporgliene un'altra, sia l'italiana, o la te-
desca, 0 la russa, sarebbe efficace; egli non ha
bisogno di scuole che gliela insegnino, di tauina-
turghi che gli predicliino la nec.'s.sità di conser-
varla; è una cura questa e un affanno che gli an-
nessionisti e i slavisti ultra si danno indarno. Chi-
la lingua italiana continui ad essere parlata nello
città, ch'egli medesimo abbia bisogno di capirla,
c realmente la apprenda, non può nuocere alla sua
punto, nò torgliene il possedimento.
Ma ciò che può giovare ntirabilmente a farla
riuscir più gradita, a ftirne abbracciare F uso con
entusiasmo, non che a dileguare quella renitenza
ad apprenderla, quella ripugnanza a parlarla che
riscontrasi nelle città, e tra la gente colta; è il con-
durla a perfezione, è il darle (^uella finitezza che
renda leggermente accessibili a ciaschednii;) le
sue intime bellezze; a fornirla di q-iella copia di
vocaboh che risponda allo stato della universale
coltura, e vaglia ad esprimere e signilicare le idee,
le nozioni, e le cognizioni che i popoli civili pos-
seggono.
Ora ciò non si potrà ottennere coli' adoj)crarla
ad ogni uso della vita pubblica, prematuramente,
forzatamente; non si potrà ottenere con industrie
determinate, e mezzi artificiali e sforzi diretti,
non con studi e indagini filologiche, con })ubl)Ii-
cazioni di dizionari e grammatiche, con traduzioni
di opere straniere, con cattedre di liiigua e let-
teratura, non con malie,i c gabinetti di lettura o
c'daonice. Son cose queste che potranno in alcuna
parte giovare, che concorreranno, dove sieno bene
dirette, a raggiungere lo scopo ; ma non saranno
il mezzo unico, nè il più opportuno, uè il più po-
tentemente efficace. Ciò si otterrà con la coltura
del popolo che possiede la lingua; ciò si otterrà
quando, ed a misura che egli se T avrà procac-
ciata; si otterrà allora che sorgerà spontanea in
lui la necessità, e troverà da sè il modo più con-
veniente di creare i vocaboli mancanti, o di pi-
gharli d' altronde, come alla sua indole toi'ni ])iù
proprio; quando l'acquistata gentilezza dell'animo
lo avrà fatto accorto di ciò che v' ha ancora di
rozzo nel suo linguaggio, e gli suggerirà natural-
piente i modi da sostituire, e le politure da pra-
|;icare. 11 perfezionamento della lingua è elìetto e
jion causa, deve seguire e non precedere la col-
tura, cioè a dire, coltura e perfezionamento devono
operare sinpltaneamente, influire l'un sull' altro
a vicenda, e l'uao succedere a misura e in pro-
porzione dell'altra.
Ora questa coltura avanzata, questo sapere mol-
tiplice, questa educazione squisita, noli sorgono co-
me per miracolo dal seno medesinio della nazione,
e per insita forza; non coli'esclusivo uso ad ogni
costo, della propria lingua: l'asserirlo è uii troppo
evidente paralogismo; è una contraddizione all'atto
dei passati secoli, che non han potuto dar tali frutti.
Ciò forse potè accadere in tempi remoti quando
l'ignoranza era universale, le scoperte tutte da
fare, le scienze da creare, le cognizioni da trovare,
0 quelle che pur sussistevano rimanevano circo-
scritte al luogo e alla gente che le possedeva, la
vita d'ogni nazione correndo isolata e sequestrata
dalle altre. Ciò accadde, quando gli animi vergini
e gli spiriti giovani, dotati di maggiore vivacità
di entusiasmo, di maggiore impeto d'immagina-
zione, di più gran forza creatiice, poterono inge-
nerare una civiltà nativa e spontanea. Ma oggidì
che la coltura universale è tanto progredita e il
sapere ampiamente diffuso, che non v' ha popo-
lo che non lo abbia immediatamente alla mano;
che non abbia sotto gli occhi le utilità che sene
possono trarre e le pratiche applicazioni di cui è
suscettibile ; oggi che la umanità, quasi a dire in-
vecchiata, non è più suscettiva di entusiasmo e
slancio originale, è necessario e naturale che cia-
schediuia tenda la ni ino ad afferrare il bene che
trova e dove lo trova, o che se ne metta ansiosa-
mente in traccia, senza star oltre a Iridare.
I popoli, pertanto, che iat^ndomo iiscii-e dalla pri-
mitiva barbarie, è necessario che si affrettino a
mettersi in immediato e frequente commercio colle
nazioni civili; che piglino da queste gli insegna-
menti e le «lottrine, le norme prime e le ultime fi-
nitezze delle arti, che ne apprendano le lingue, e
dell' eleganza, della bellezza e della copia di qnelh»
si valgano a perfezionare e arricchire la propi-ia.
(()'iesto ni odo han tenuto, per progredire nella col-
tura, tutti i popoli che poi furono insigni, questo
tutte le lingue che poi riuscirono a squisita per-
fezione; nè v' ha forse coltura o civiltà conosciuta
oggimai, che si possa con sicurezza asserire, non es-
sere stata dedotta da un'altra anteriore e diversa.
I Greci non disdegnarono pigliare dovunque rin-
vennero le cognizioni e il sapere; nè vi fu al
cuno de' loro uomini insigni che non intrapren-
desse lunghi viaggi, in contrade remote, e tra genti
chiamate barbare, per studiarne e importarne con-
segnamenti e costumanze, scienze, lettere ed arti;
che non studiasse le lingue straniere e non se
ne giovasse a perfezionare la propiia. La civiltà
e la coltura latina sono per tre quarti greche, e
prese da' Greci di peso, la lingua, derivazione della
greca, la quale erano ben lontani dall' avere in ab-
ijorrimento, e il cui studio assiduo e la cui perfetta
conoscenza, raccomandavano caldamente. Non oc-
corre dire che le colture moderne tutte sono figlie
e imnragini della greco-latina, e le lingue o deri-
vano immediatamente da quelle, o gran parte ri-
traggono di loro bellezza. La lingua latina fu par-
lata, sino a tempo assai tardo, in tutto quello che
fu mondo romano, sebbene altra lingua propria ciar
scun popolo si fosse creata, la quale si guardarono
bene dall'usare esclusivamente prima che fosse giun-
ta a maturità. Gli italiani poi, lungi dall' affrettarsi
a smettere 1' uso della latina, non si peritarono a
servirsi della propria neppur quando questa aveva
raggiunta la perfezione. Dante dubitò gran pezza di
scrivere il suo poema in latino; in latino scrisse
Boccaccio; e Petrarca tenne iti pochissima stima le
sue poesie volgari che dovevano levarlo in sì gran
fama, facendo gran conto in qu^ella vepe dell'^Wca
e dair altre poesie latine, che caddero si tosto di-
monticate.
Non diversamente devono adoperare gli slavi,
se pure intendont» di raggiungere la civiltà e la
coltura degli altri popoli; e così per vero adope-
rarono quelli tra loro che alcun passo per questo
cammino hanno già tatto. 1 boemi sanno il tede-
sco non meno del boemo, e dalla coltura e dalla
lingua tedesca, gran parte è originata della coltura
loro. I croati, se qualclie cosa avanzarono nel sa-
pere, se fece alcun progresso la loro letteratura,
ad altro noi devono che al tedesco che conoscono
e parlano tuttogiorno. Sa poi ciascuno che i po-
lacchi, e i russi singolarmente, più por avventura
che non si convenisse a serbare l'indole nazionale,
si valsero della lingua e coltura tVancese, a far nel
sapere tanto cammino.
Così imitando solamente siffatti esempi anche
gli slavi della Dalmazia possono sperare di ot-
tenere gli effetti medesimi; giovandosi cioè della
coltura e della lingua italiana. Della lingua italiana
che ha grado di coltura e di perfezionamento-, su-
periore forse, nri certo non inferiore, a lingua al-
tra viva nessuna; della lingua italiana che eglino
possono apprendere ])iù facilmente, perchè più af-
fine di suono e di efficacia alla loro che verun' al-
tra, perchè hanno occasione prossima di farlo, cou-
viveudi) col resto del popolo che parla italiano,
perchè ha:ino necessità di saperla, per le continue
relazioni in che si trovano cogli italiani, e fin col
paese d'Italia. Xonchè dunque a bandirla dall' uso
comune, e dalle scuole, quanto sia prima possibile,
devono adoprarsi a tutto potere a mantenerla
gelosamente e a promiiovenie lo studio, pel quale
solo potranno avanzare il popolo, e la coltura, e la,
lingua slava. Ciò diciam;) più particolarmente della,
classe colta, di coloro che fre([iientano le scuole
pubbliche e fanno il corso regolare di stud', i quali
hanno ad essere il naturale veicolo, diremo così,
per cui l'istruzione agli altri ordini sociah si co-
munichi ; ciò non crediamo inopportuno neppur per
le scuole di campagna che si volessero istituire.
La mancanza e le difficoltà che a fornu-e un' istru-
zione pur mediocre s'incontrano nella lingua slava,
sussistono per la elementare non meno, onde il fornir-
la in italiano si rende più che mai necessario; e agli,
slavi dalmati non ò mestieri di maestri a imparare
la lingua loro, bene importa moltissimo di sapere
l'italiana, che hanno necessità di adoperare ogni
giorno, e la cui ignoranza nuoce loro bene altri-
menti, che non noccia agi' italiani l'ignoranza del-
lo slavo.
E della efticaccia della coltura itaUana, e della
studio di quella lingua, sulla cultura e sulla lingua
slava, i Dalmati stessi hanno avuto esperienza. Se lo
slavo fu coltivato in Dalmazia, meglio che ne'paesi
vicini, fu in grazia delV italiaiuì, dalla coltura ita-
liana furono sospinti a coltivare lo slavo quei pochi
scrittori di cui si mena sì gran vanto, e le cui o-
pere in gran parte da quella coltura ritraggono.
È solenne balordaggine T imprecare alla coltura e
all'influenza italiana; senza le quali, neppure alla
loro lingua, avanzamento nessuno sarebbe venuto,
Nè è da sgomentarsi che l'influenz i straniera
alteri la coltura, e la civiltà, e F i/i ioie nazionale,
0 guasti e deturpi, con modi ua i pro^ii, ;a iiìigua.
Ciò senza dubbio può avvenire, e non oceqrre cer-
care esempi a persuadersene; ma sappiani) che
non v' ha bene che venga schietto ed intero, e senza
mescolanza di inale, e non abbia mestieri di temila