I\\» III. M. 14.
LA DALMAZIA
FOGLIO LETTERARIO ECONOMICO
Giovcdi 8 Aprilc 18^7.
Incora poclii ceimi §ul Mausoleo Ai
Dioclesiaiio 111 Spalato
in rlsposta air Agrgluiita del slgnor V.
Andricli offeria nel pr«cedento IV. 4
di questo i'oglio.
" La pensée est la première faculté de
l'homme; l'exprimer un ses pre-
miers besoins; et la répandre, sa
liberté la plus chère. „
Condilla-c.
L' aggiunta prodotta dal chiarissimo sig.
V. Andrich al sno primo articolo sul Mausoleo
di Diocleziano in Spalato (V. La Dalmazia N.
5i a. 1846, e N. 4 a- c0 m» chiama ad alcune
dilucidazioni sul medesimo argomento, su oui
non potrei rimanermi silenzioso, senza far torto
a me stesso ed alla scienza che da lunga pezza
io coltivo.
La corona imperiale che il sullodato sig.
Andrich fece conoscere di avere scoperta in
luglio del 184.6, sul timpano délia facciata
posteriore del sin' ora creduto tempio di Escu-
lapio, giunse opporlunemente ad avvalorare la
opinione da me concepila parecchi anni prima,
siccome lo provano il mió precedente arlicolo
diretto al cav. Labus (V. La Dalmazia N. 52
deir a. p.) e le molte altre testimonianze ch' ¡o
potrei citare di un cav. di Arneth , di un prof.
Furlanetto, di un prof. Grubissich, dello stesso
sig. Andrich, a cui Y abb. Grubissich medesimo
due anni addietro comunicava i miei pensieri etc.
che quello fosse piuttosto ¡1 Mausoleo destinato
a contenere nel suo mezzo, sopra base pro-
porzionata , il sarcofago istoriato che vi si trova
da presso; e mi é di sommo conforto lo scor-
gere una persona di arte cosi distinta, qual'é
il sig. Andrich, che peí nuovo ritrovato indizio
non solo avvalori per questa parte le precon-
cette mié induzioni, ma le confermi siccome
cosa ormai non piü dubbia.
Dice pero il sig. Andrich, che, sebbene
egli sia meco d' avviso sulla massima generale
del Mausoleo e del Sarcofago, non puo con-
sentiré all' opinione poi da me abbracciata, per
cui u dair uso antico degli scarpellini di tener
improntati dei sarcofagi istoriati, e dalle caccie
spesso ripetute perché piü addatte a convenienza
generale, io decido quello da noi presentato al
giudizio dei dotti, di comune addattabilitá.»
lo fui il primo cui nel bassorilievo che
vedesi raffigurato alia fig. III della tavola li-
tografata prodotta dal sig. Andrich (V. La
Dalmazia N. 4-) sembrasse di vedervi alegóri-
camente rappresentata Y uccisione di Apro; ed
io medesimo, dopo scoperto il frammento d'i-
scrizione che trovasi sul coperchio del sargofago
fig. 1 , premesse alcune considerazioni, non
ebbi riguardo di soggiungere, che: « Parrebbe
cadere da ció la congettura prima esposta ri-
guardo T uso del sarcofago menzionato, a meno
che sospettare non si volesse, dietro alcuni
cenni di Marcellino, che questo essendo stato
violato poco appresso, quando forse la memoria
di Diocleziano era caduta in esecrazion univer-
sale dopo il favore accordato da Costantino a*
fedeli di Cristo, per cui se ne atterravano do-
vunque le statue e i simulacri, il sepolcro stesso
giá spoglio venisse ad altro uso destinato. »
Codesto é porre in dubbio, non decidere as-
AWO III. I. 15.
LA DALMAZIA
FOGLIO LETTERARIO ECONOMICO
Giovedi i5 Aprilc 1847.
La Poglizza.
(Continuazione.)
Bollendo forte 1' impresa dei turchi, dopo
varii fatti d' armi condotti a bene dai generali
Foscolo, e Foscarini in Dalmazia , le genti di
quella vogliose di fare alie braccia e dissetare
nell' abbominato sangue dei barbari il vecchio
odio, in molto numero sotto all' insegne del
veneto leone ricorrendo, in picciol giro d'anni
delle importanti fortezze di Clissa, Rnin, Sign,
Duare, Zemonico, INadin, s'indonnarono con
grave scapito dei turchi; dappoi capitanati dal
valoroso prete Don Stefano Sorich piú fíale in
aperta baltaglia li ruppero e ricaccinrono al di
la dei monti i soccorsi inviati da Techeli bascia,
estremando per tal guisa quella potenza che
obbrobriosa e dispotica sopra d' essi da piú
secoli gravava. La facile perdita delle piü im-
portanti fortezze, porta e baluardo della nostra
térra , tolse comodo ai nemici di mantenervisi
piü a lungo, e in breve di quelli la purgo.
Conciossiaché le fortezze sendo il prodotto degli
ostacoli che la natura e 1' arte, o una di queste
soltanto, mettono innanzi al nemico per fron-
teggiare con poca oste numeróse schiere, im-
pedirne T éntrala nella térra assalita, difficoltar
Tattacco, chiuder la ritirata, mantener in fede
i soggetti; P averie i turchi perdute ridonava
ai nostri quei vantaggi da aggrediti assalitori
rendendoli; e nei molti malvoloriterosi piegatisi
al vassallaggio oltomano per Y infortunio dei
terapi, crebbe Fanimo, e coito propizio Pistante,
a quello sottraronsi da sudditi nemici; come
occorse nella gente della Poglizza, che nelle
braccia dell'antica loro signora e proteggitrice,
Venezia , si gettó. Ma perché un animo inso-
speltito fácilmente si leva, nei Poglizzani a
-ragione si mise grande un timore, non gli soc-
correndo i Veneti, di risentire dalla turchesca
vendetta tristissimi gli effetti della loro defezion^
e tumulto; e perció con calde preghiere un
ragionevole ajuto sollecitavano, mostrando per
la sicurezza e vicinanza del pericolo, la neces-
sitá della loro venuta. Dimorandosi in una tale
espettazione, né sortendo le loro sollecitazioni
effetto alcuno, i turchi a saldare quella piaga
e ristorare la vergogna degli uccisi, fatti ga-
gliardi provvedimenti con meglio che seimila
(6000) combattenti alia volla della Poglizza si
mossero, con animo di correre la térra, met-
tendola a ferro e a fuoco, e gli uomini tutti
perseguitare ed uccidere. Volo celere la fama
di tal movimento, e grandeggiando, gli animi
disperati di ogni ajuto per tal maniera com-
mosse e sbigotti, che tutti per morti si tennero.
Ma alloraquando da tale spaventoso sogno de-
stisi, riavuti gli spiriti si volsero a ricercare
qualche via di salute, con maggior tempesta
sollecitando i veneti soccorsi; e non si sapendo
bene dove dapprima i nemici avessero a ferire,
per fare qualche riparo alia piena innondatrice,
con diligenza spiati gli andamenti lontani di
quelli, e le cose loro vegghiate, vedendo la
poca forza non poter oífenderli, né volendo
giuocare la fortuna della libertá in una gior-
nata, si volsero all'industria, e, se fosse dato,
al temporeggiare. Volgeva 1' armo 164.9
T era nostra, alloraché i turchi alT entrare di
uso m. M. 16.
LA DALMAZIA
FOGLIO LETTERARIO ECONOMICO
Giovedi 32 Aprile 1847.
Se vi sia qualclie lettcratura che debba
rignardarsi como la migiiore di tutte
e se alla forma di quella convenga
og iii al ira rldurre.
(Cont. vedi i N.i 11, i3. 16.)
Le sole chièse délia cristiana religione
ch* erano asilo della vita , lo erano anche delle
scienze. Alcuni uomini di sommo ingegno,
alcune menti robustissime si diedero a tutt'uo-
mo a studiare non solo ne' codici divini della
propria religione, ma eziandio a frugare in
tutte le opere delP antichilà, e massime nelle
filosofiche, per trovar modo di rintuzzare colle
medesime loro armi le calunnie, le opposizioni,
le assurdilà che si obbiettavano dal paganesimo
alia religione di Cristo Perció essi avevano
esaurito tutto Tantico ed il ntiovo sapere, e
di tutto si erano giovati nelle loro opere di
religione e di leologia. Ma quelle opere di mole
grandiosa , di somma profond là di pensiero ed
erudizione , tutte riguardanti al cielo, non fa-
cevano molto co' bisogni del popolo per cui
erano necessarie opere minori, alia portata
del loro intendimento, e fatte loro più cono-
sciute ed accessibili, che quelle non erano per
mancanza di mezzi e della stampa.
Durarono in questo stato i popoli per più
secoli, lottarono contro principí tra loro con-
tra ri, finché si composero in quiete, finché
le barbare popolazioni colle indigène si ammal-
gamarono e s' unirono in società, e le costu- !
manze, gli usi, le credenze, le leggi si me-
scolarono e si confusero, provenendo da tale
inesto un non so che di ntiovo, di pellegrino,
di robusto, non conosciuto ne* lempi passati.
La religione medesima che additava alia mente
ed al cuore le piü sublimi doltrine, i piü «o-
lenni misteri; che inseguava all' uomo non es-»
ser questa térra la vera sua patria, ma luogo
di combattimenti e di educazioue, infondendogli
speranze di premi avvenire, timori di futuri
gastighi; che domandavagli ragione non solo
delle azioni, ma perfitio de' piü intimi pensieri
e desideri; una tale religione appoggiata ad
ineluttabili motivi di credibilitá, e che potente-
mente agiva sull'inlellelto e sul cuore, faceva
delT uomo un essere diverso da quello di prima,
con altre tendenze, all ri riguardi, nel cui cuore
v" era un vuoto che la sola virtú poteva riem-
piere, perché accompagnata dalla certa spe-
ranza di una compiuta felicita ch' era 1' ultimo
suo fine.
Chi non giudicherebbe dunque che da si-
mili vicende che avevano sconvolta la societá,
avevano cangiati gli antichi ordini religiosi e
civili, avevano, direi quasi, mulato 1* uomo da
quello di prima, non dovesse scaturire una
lelleratura nuova affatto, accommodata ai nuovi
bisogni, alie novelle societá ? lnfatti lottarono
a lungo le nazioni sul método, e sulla forma
della letteratura che dovevano addotare, esita-
rono incerti a quale parlito appigliarsi, senti-
rono il bisogno di crearne una ch' esprimesse
gT interni loro moti, il loro stato attuale, le
novelle relazioni col cielo j ma d'altra parte
avevano innanzi agli occhi i modelli greci e
romani, su' quali studiarono; non seppero cosí
ANUO III. N. 17,
LA DALMAZIA
FOGLIO LETTERARIO ECONOMICO
Giovedi 29 Aprile »847.
—j- n i-gr»
CRITICA.
Hygea de arte bene diuque vivendi,
líber primus. Con questo titolo usci in luce
il di 19 aprile corr. il primo canto di un
poema didascalíco dettato in versi latini dal
sig. consigliere di governo e protomedico Vi-
leímo Menis.
L' autore lo dedico all* augustissima perso-
na di FERDINANDO I. Imperatore e Re peí
giorno a Lui natalizio, né migliore tributo
potevasi offrire ad ottimo Monarca di un
poema che ha per iscopo il bene e 1' utilitá
universale.
Questo poema tratta dell' igene publica,
cioé di un argomento importantissimo a quanti
uomini mai sono e saranno sulla térra, essen-
do la sanitá una delle piú principali nostre
cure, che Dio ci ha dato insieme colla vita,
ed a cui non si puo rinunziare, senza rinun-
ziare anche al benefizio dell' esistenza.
Ed infatti poesia allora soltanto si solleva
al sublime suo fine, quando si studia mercé
del diletto, d'essere proficua ad altrui; quando
tra mezzo i fiori del bello disseminati nel canto
con mano accorta e generosa, s'istilla nelPani-
mo del leggitore la vena fecondatrice della
scienza , s' insinuano salutari precetti, utili av-
vertimenti, s' addita la via del vivere virtuoso
e felice.
Ció che ci viene conseguito o mediata-
mente od immediatamente, secondo che o si
»appresentano , lodano, biasimano , le virtü,
i rneriti, i vizi di alcuna persona, come suolsi
colla lirica, coll* épica, colla drammatica , o si
danno rególe e principii di scienza , di morale,
delle arti, come suolsi coi poemi didascalici,
o precettivi. Da ció poi puo ciascuno conchiu-
dere che tanto migliore sará 1' argomento di
un poema , quanto piu il fine a cui tende po-
trassi riferire alT utilitá generale degli uomini;
quanto piú converrá a tutli i tempi a tutte le
circostanze, a tutti i luoghi; quinto piú in-
concuáse ed universali saranno le veritá in quello
contenute.
Che le veritá contenute nel nostro, i prin-
cipí, le istruzioni recate sieno utilissime e
giuste, io, ancorché delle mediche discipline
profano, non temo di asseverare. Ned allrimenti
puo aspettarsi da un uomo di queste scienze
maestro. Ma di tal parte ne lascieró il giudizio
agli altri di me piú intendenti, ed essi deci-
deranno quanto le doltrine per entro esposte
stieno in relazione coi sistemi della medica
scienza, quanto ai presentí ritrovati si unifor-
mino o da quelli si dilunghino. Quel ch' io
deggio avvertire si é, che un poema didasca-
lico non é un sistema scientifico, in cui tutte
le parti anche minime sono sviluppate e svolte
di maniera che le une dieno lume alie altre,
le une dalle altre derivano, e si concatenino
e si prestiño aiuto vicendevole a formar il tutto;
ma gli é una produzione del genio, il quale
conserva un ordine suo proprio che dalla bel-
lezza glí vien suggerito, che trae dalla scienza
i principí piú solidi e piü fecondi di veritá,
senza badalucare intorno a minute dilucidazioni
e spiegazioni, e quelli in modo piíi sensibile
e piú alto a col pire 1* immaginazione ed ¡I
cuore rappresenta, perché restino vivamente
AMO III. nr. i».
LA DALMAZIA
FOGLIO LETTERARIO ECONOMICO
Giovedi 6 Maggio 1847.
——^
AlV egregio dottore
FRANCESCO DANILLO.
Liberum sit cuique suum giudicium ; si quid
Liberius dictum est, id non contradicendi
Sed veritatis scopo dictum putelur.
FKEIND.
lo puré (come avranno falto cent' altrí)
piü volte nel silenzio della notte, raccolsimi
tutto in me stesso, e coll' energia massima della
mia mente andai percorrendo i tanti fatti cla-
morosi, che riputatissimi giornali d' ogni nazione
della colta Europa portarono in campo, onde
affermare la grandiosa scoperta pervenutaci dal
nuovo mondo, la mercé dell' ingegnoso e ben
intenzionato Jackson.
INei diversi momenti adunque che mi ac-
cinsi a codesta impresa non potei fare a meno
di gettare uno sguardo a quello che pensavano
gli anteriori medici intorno agli eteri. Per sif-
fatto modo vidi che in quanto alia di loro
azione estrinseca l'ardito e perspicace americano
niente di novello offerse alia república medica;
imperocché ne' tempi trascorsi sino a\V appello
di Jackson fu ritenulo, che 1'eteree sostanze
aveano la proprietá di calmare i dolori, e di
porre in un' estasi chi sottoponeasi ai loro
volatilissimi vapori, e che quindi la novitá da
questa parte non consistea che nel partico-
lare momento dell' applicazione dei medesimi,
La quale puré perdea non poco del suo valore
in pensando che fuvvi un tempo in cui venia no
usati, se non gli eteri, ben altri narcotici ad
oggetto di soffocare il dolore nel frattempo delle
operazioni chirurgiche. Gli é perció che non
era in caso di fare grandi meraviglie. Ma dietro
una tale ricerca ne venne una seconda e spon-
tanea, quale cioé sia veramente la di loro azione
intrínseca, quella vale a diré che non dee rica-
varsi, né dalle apparenze, né dalle forme di
leggieri mutabili, ma dalle alterazioni invece
organico-dinamiche durature e permanenti. Per
questa via venni a capo, che prima ed ai tempi
di Brovn, nonché ai nostri, da molti e molti
gli eteri indistintamente furono e sono tenutí
nel rango degli eccittanti puri, o stimolanti
perfetti, in modo che il detto capo scola dello
stimolo ed i suoi successori e riformatori del
di lui sistema ebberli a diré Y anima della
medicina , in quella guisa che 1' etere é 1' anima
del mondo. Che quest' ultima azione poi, Y úni-
ca da ricercarsi, sia vera, poco vi vuole per
riconoscerla da chicchessia. I sintomi infatti
degli eteri a non grande dose nell' economía
animale in istato di salute, che é quello che
ci conduce meglio che la malattia alia reale
conoscenza dei rimedii, sono i seguenti: esalta-
mento dei sensi esterni e del comune sensorio,
nonché del pensiero, per cui le sensazioni fansi
piú vive, ed il magistero della ragione piü sol-
lecito, in ispecialilá dal lato dell*immaginazione,
che del medesimo tiene una buona parte; le
funzioni organiche con gli appetiti istintivi rin-
vigoriti, le contrazioni muscolari piú pronte
ed energiche, i polsi pieni, espansi ed un poco
frequenti, la cute piü vermiglia dell' usato con
gli occhi vivaci e scintillanti. Ma un tale stato
attivo, vale a diré, in cui la reattivitá secondo
Testa, la disimpressionabilitá secondo Gallini,
la forza conservatrice secondo Pucinotti, la
ANNO III.
LA DALMAZIA
FOGLIO LETTERARIO ECONOMICO
Giovpcll Maggio 1847.
-a^g^a-
SUI COSTUHI DÜGLl SLA11.
Per conoscere il genio di una nazione, e
le sue intellettuali e morali tendenze; per iscuo-
prire quale ne sia o debba essere 1' Índole ca-
ratterislica della sua letteratura, quali le ima-
gini piu frequenti, e piü careggiate, i concetti
ed i confronti piü abituali, quali i giudizi piü
sicuri su! giusto, suironesto, sul bello; per
vedere in qual modo questo popolo manifesli
o debba manifestare gl* interni suoi commovi-
menti, da quali oggetti specialmente sentasi
intenerito, esasperato, compulso, quali sieno i
suoi piaceri, i suoi ricreamenli, i suoi bisogni
le sue esigenze, le sue annegazioni, gli é me-
stieri lungamente usare con lui, conversarlo ,
studiarlo, facendo parte come delle sue gioie
cosi delle sue sventure, delle streltezze. Quindi
é che mettendomi io all' impresa delT investiga-
re i costumi della nazione slava, per rivelare
in quanto e come contribuiscono sul genio ca-
ratteristico della sua letteratura, mi é forza
esitare al quanto, non ripromeltendomi ogni
piü sicura notizia dalla pralica ch' io possiedo
di questo popolo, ancorché fin dalla nascita
io sia educato e cresciuto con lui, né fi-
dandomi molto di quanto verme fin' ora scritlo
perché parte trattato da persone estranee che
tramandarono relazione di cose non imparate
dalla propria esperienza , nía ricevute dalle in-
formazioni altrui; parte scritlo da naziouali,
ma col solo intendimento di presentare a' fo-
rastieri lettori una serie di costumi curiosi per
bizzarra originalilá, e quindi caricaii di tinte
che si dilungano dalla veritá, e che son atte
piü a diletlare che a far conoscere if|} popolo.
Quello che piü di ogni altro colpi riel |egno
in descrivendoli si fu il dottissimo nostro sig.
Dr. Tommaseo, il quale se anche non li ap-
prese, né li copio dal vivo consorzio del po-
polo slavo, ii derivó da una fonte altrettanto
vera e genuina qiianto il consorzio medesimo,
dai canti popolari cioé, che sono la piltura
piü veridica de' costumi di queste genti, anzi
direi cosi, la mente ed il cuore del popolo con
quelli immedesimati.
Comunque pero sia, ¡o daro qui le mié
osservazioni, studiandomi perché non alterino
minimamente la veritá, e conducano in quanto
si potra conghietturando al mió scopo.
Gli slavi, immenso popolo , vennero
addomandali con questo nome appena dal quar-
to se(.olo. Suida fu il primo ad usar di tale
nome — SKLAVENON ETNOS TO PARATEN TOV
ISTROU — Indi Procopio nella guerra dei Goti,
poi Giornande, che li comprende con distin-
zione nell' immenso popolo de' Venedi, deter-
minando anche i luoghi di loro dimora. - « In-
trorsus Dacia est ad coronse speciem arduis
alpibus emunita, juxta quorum sinistrum latus,
quod in aquilonem vergit, et ab ortu Vistolae
fluminis per immensa spatia venit, Vinidarum
natio populosa considit. Quorum nomina licet
nunc per varias familias et loca mulentur, prin-
cipaliter tamen Sclavini et Anthae nominantur,!
Sclavini e Civitate-nova el Sclavino Rumanense
el lacu qui appellalur Musianus, usque ad Da-
nabrum, et in boream Viscla tenus commo-
rantur. Hi paludes, sylvasque pro civitatibus
AMMO III. I. SO.
LA DALMAZIA
FOGLIO LETTERARIO ECONOMICO
Giovedi 30 Maggio 1847.
«VI COÜTVHI DE0L1 SLATI.
(Gontinuazione).
Di tutti gli antichi scrittori d¡ storie che
parlarono delle cose degli Slavi, Procopio ue
porge la piü completa e la piü ampia descri-
zíone de' loro costumi, lib. 3. della guerra gó-
tica. lo seguendo fedelmente il testo, quello
squarcio volteró in italiano a facilítame P in-
telligeuza a miei lettori.
« Le nazíoní degli Auti e degli Slavi non
vengono governate da un solo uomo, nía ab
antiquo vivono in popolana comune liberta, e
perció tutte le cose che od utili sono o per
avventura difficili, si recano in comune consi-
glio, le altre tutte poi, ad ambedue le genti
son quasi pari e similissime. Inoltre appresso
codesti barbari dalla legge é stabilito, e tra-
raandato dalla memoria de' padri, fra gli Dei
esservene uno, fabbricatore del fulmine, Si-
gnore di tutte le cose, único, in cui deggiono
credere, a cui i buoi e le altre vittime sagri-
ficare. Della fortuna non si conoscono, né di
altro che abbia potere alcuno sugli uomini:
ma dessi se son prossimi alia morte, o per
malattia onde furono colti in pace, o per fe-
rite in guerra, son comandati, risanando, di
fare un sagrifizio a Dio pella loro anima; per
lo che non bene escono di pericolo, che com-
piono r espiazione che fanno per voto e per
promessa, e stimano che mercé il sagrifizio
abbiano redenta la salute.
Di piü venerano le selve e le ninfe, ed
alcuni genii, cui sagrificano, e sull' atto di
sagrificare presagiscono il futuro. Abitano roz-
zi tuguri, e per lungo intervallo tra loro dis-
giunti, e mutano ad ogni tratto il luogo del
domicilio.
In guerra i piü vanno a piedi contro Pi-
nimico, recando in mano lo scudo ed i dardi;
pettorale per altro non vestono. Alcuni duran-
te la guerra né lacera, né usata veste hanno
in dosso, ma de' manteHi, alcuni de* quali
scendenti fino ai femore. Eziandio ambi i po-
poli parlano una comune e barbara lingua,
che anzi neanco di corporatura tra loro diffe-
riscono; imperciocché son tutti alti della per-
sona , e molto forti. II colore delle carni e
delle chiome né bianco aíTatto, né rosseggian-
te, né tendente al ñero, ma generalmente ros-
signo. Conducono una vita quanto aspra, al-
Irettanto negletta, a modo de' Messageti, e di
schifositá come quelli si pascono. Scaltriti non
sono né malefici, abbenché nel saccheggiare e
nel rapire abbiansi tutta la ferocia degli Unni.
Ed infatti aveano un tempo gli Slavi e gli
Auti un e medesimo nome; quello cioé di Spo-
ri, perché, come mi vien veduto, abitavano
dispersi nelle tende e separato ogni singolo:
hanno abbondevole térra, siccome quelli che
occupano la maggior parte della sponda ulte-
riore delP Istro. « — Fin qui Procopio, ed il
contorno del quadro ch'egli ci oífre sui costumi
e sull' índole di questo popolo, in molta parte
rassomiglia a quello di ogni altro popolo abi-
tatore del settentrione. Tali erano quasi gli
antichi Germani descritti da Tácito, tali i Goti,
i Longobardi descritti da Procopio medesimo
e da Paolo Diácono, tali gli Ungari, narrati
da Thurocz e da Bonfinio. Alcune particolaritá
AMMO III. M. 91.
LA DALMAZIA
FOGLIO LEÎTERARIO ECONOMICO
k
Giovedi »7 Maggio 1847.
PER IL GIUBILEO
a CONCESSO DA
NEL SUO ESALTAMENTO
i SUPRIMO GERARCA DELLA GHIESA
A TUTTO L' ORBE CATTOLICO
I DALMATI
•1847.
I.
JNella Ierra dei fiori e degli incanti
Lieta d' un* aura tepida odorosa,
Alia
sorrisa melodia di canti
Che ail' arpe d' or, degli angelí si sposa,
Una Fanciulla nata ai gaudi santi,
Vergin tre volte, al Paracleto Sposa,
Nell'antivista memorabil* ora,
Dá vita ad un Bambin, cui bacía e adora.
Celeste Donna : che delizie ha il seno
Che striuse ed allatto quel benedetto!
Beato il suol, sotto il cui ciel sereno,
Pianse e prego quel caro Pargoletto !
Colpa felice che mertasti almeno
Riparator eternamente eletto,
II Prence della Pace, ¡1 Cristo, ¡1 Forte,
Che vincitore debellô la morte!
Oh portentí di Dio! — Quando dai nulla
Sorti quest' astro d' immortal bellezza ,
E le danze danzo come fanciulla
Lieta del primo amor, di giovanezza;
Quando uno sguardo balenó alia culla
Del creato, quest'uom dalla sua altezza,
Un sol verbo parlo 1' Onnipotente ,
E un riso, un moto scintilló dal niente.
Ma quando riparar colpa infinita ,
Olocausto infinito Iddio chiedea;
Quando il perdono a un' anima pentita,
Aperto il cielo ancora non avea;
Qual parola donavaci la vita?
II Verbo eterno a noi scender dovea,
E nascer da un' umana crealura ,
E di morte moriré infame e dura! —
Oh volatemi intorno aure ridenti
Che un di al Promesso giocondaste il core,
Quand' Ei pioveva ai popoli accorrenti
Tesori tauti di virtú, d'amore ;
Quand' un pensier donava ai di vegnenti,
Ai nascituri all' odio ed al dolore
Oh volatemi intorno: — messaggiero
Suona il mió canto del divin pensiero.
Nei secoli non nati, ove il sostegno,
Di chi alia Croce trepido s'appiglia?
'Ve piü sublime innalzerassi il Segno
Di salute, d' amor, di maraviglia?
Qual fia il piü grande, ¡1 piü securo pegnor
A questa di redenti ampia famiglia ?
Sopra qual pietra Y arca d' alleanza,
Fuor della quale non vi fia speranza ? —
«
AIIO III. SU %%.
LA DALMAZIA
FOGLIO LETTERABIO ECONOMICO
Giov-edî 3 Giugno »847.
La Poglizza»
{Continuâzione).
Nelia prudenza ed avvedutezza del con-
doltiero dimora le maggiori fíate il felice suc-
cesso deli* impcese guerresche combattute in
luoghi nuovi e difficili, contro gente di quelli
couoscitrice e bellicosa ; la quale in ogni parte
sotto mille colorí puo tendere celati lacci, in
cui gf iwcauti assaltatori con grande ruina ac-
calappiare» Egli è percio che a fuggire la mala
fortuna e i pericoli che si portano in quesl'in-
contri e délie forze dei nemici, comunque de-
boli e poche, tale riguardo si dee tenere, da
non le disprezzare imprudentemente , nè, cou
cieca confidenza lasciarle avvantaggiare cosi,
che per i' opportunité del luogo possano resi-
stere a iungo, o per entrare in impresa con-
tro a tempo, o per la facilita degli aguati fá-
cilmente nuocere ; giacchè ciascuno, come av-
verte un vecchio adagio, diviene eroe for<ni-
dabile in casa propria s per la quai cosa allora
le forze minori pareggiando le maggiori, la
differenza risulta dalla sola virtù e dal valore
dei combattenti. E se questa virtù e valore è
grande negli assaliti per la prima volta, s'ad-
doppia nei ribellanti; i quali conoscendo l'of-
fesa |Dresentono il castigo che sopra d'essi dai
barbari guerrieri con ogui generazione di seve-
rità e di uccisioni si eserciterebbe; onde mossi
da questa necessità e rabbia combattono con
tale impeto ed audacia, da riuscir quasi sera- 1
pre vittoriosi. Queste ragioni ed avvisi all* inso-
lente barbaro IVlacometto riuscirono di poco
peso, per cui cadde in tanta cecilá di consi-
glio, che credette la villoría stare riel molto
numero dei militi, non nel valore e nella vir-
lu di quel'i; percio egli con superbo animo
finiera battaglia caccio per un lungo ed au-
gusto passo del monte, riputando le cime di
quello d'ogni difesa destituite; o se difese lie—
1 ve cosa lo sgomberarle. Inoltratisi adunque i
Turchi per quella lunga gola, d' improvviso
s'udi un gran frastuono come di voci confuse,
indi grida acule e minacciose, con scariche
replícale d'arcobtigi; di maniera che cupamente
rinlronarono le volle di que* monti, e con as-
sordante romore agghiadarono di timore i petti
dei piü arditi guerrieri, credendosi d* ogni ia-
torno assaltati. A crescere il pericolo poco dopo
si mise una molesta grandine di pielre che ro-
tolando per la frana altre seco trascinavano,
e precipitando sulle serrate schiere miseramente
le schiacciava, ingombrando il passo d'uomini
mutilad e feriti, di membra fumanti e sangui-
nose, di cadaveri mozzi ed iuformi. A quella
vista d'orrore arrogi il gemito degli infelici
morienti, le maledizioni e le imprecazioni de-
gli offesi, il tumulto e l'empito degli incalzantí
a guadagnar l'altezza, l'affrettarsi delle prime
file, che spesso trovando il passo dove lubri-
co, dove sfondolato, si rimboccarono agli in-
feriori; la confusione, il terrore che negF in-
colse, non della vittoria, ma della vita facen-
doli ávidamente gelosi. La qual dubitazione ie
disordine scorto dai soprastanti, formato un
eletto drappello, corsero a chiudere la rrlirata,
e ferire da tergo gl' incodarditi nemíci, per
VYYO III. K. »3.
LA DALMAZIA
FOGLIO LETTERARIO ECONOMICO
Giovedi 10 Giugno 1847.
' " '" -
Cosa awenne di Pilaras dopo I disastri
da essa patitt nella guerra
co' Romani.
Niuno Fra gli amatori delle patrie anti-
chitá ignora, che per opera di archeologiche
iuvestigazioni praticale nei dintorni di Ciuá
Vecchia , vennero in luce ruderi di muraglie
antiche, gemme iricise di perfetto lavoro, la-
pidi greche di Pharus, e finalmente gran co-
pia di monete, si di quelle coniate dai Farii,
e si di quelle, perlinenti alia república ed
all' impero di Roma. Ne awenne perianto, che
peí ritrovamento di questi preziosi monumenti,
i celebri archeologi Boehk di Berlino (Corp.
Inscrip. Graecar. N. 1838.), Cavedoni di Mo-
dena ( Annali dell'Istil. Archeol. T. i £), Ratg-
heber di Gota (Bullet. dell'Istit. Archeol. N. 7.
An. 1838), Steimbihel di Vie
nna (Id. Ibid.)
ed altri, statuirono essere omai fuori di ogni
dubitazione, che l'antica Pharus sedeva ove di
presente sorge Citlá Vecchia. Ma questi eru-
diti in parlando dei documenti discoperti fra i
ruderi farensi, non diedero opera ad investi-
gare, cosa awenne di questa ¡Ilustre cittá ,
dappoich' essa ebbe sofferle le vicissitudini della
guerra sostenuta co' Romani. A siffatta inda-
gine, di non lieve momento pella storia di Pha-
rus, noi porremo mano, tanto pin che abbia-
mo in pronto documenti onde mostrare, che
Fa
ria , comeché sopportati avesse danni gravis- !
simi nella guerra con Roma , non ebbe tutla-
via la sua popolazione giammai, né dispersa,
né affatto dislrutta. A provare la qual cosa,
noi primieramente recheremo in raezzo buon
numero di monete antiche discoperte fra' ru-
deri di Pharus, indi 1'autorilá di due antichi
scrittori; e per ultimo alcune lapidi latine, e
varii frammenti di opere laterizie.
Comiuciamo dunque dalle monete.
Nella numerosa raccolta numis uatica del
ch. sig. Pietro Nisiteo, raccolla che da dieci
anni addielro ei va formando colle solé mone-
te discoperte in questi dintorni, abbiamo fra
le consolari di quelle medaglie che, disposte,
per quanto lo si puó fare, secondo 1'ordine
de> tempi, comprendotió circa tutta quelP épo-
ca che c é delT anno di Roma 534, fino al-
1'impero d'Augusto. La quale circostanza fa
chiaramente vedere , che daü' anno sopraccen-
nato fino alia caduta della romana repubblica,
Pharus non cesso di avere abitanti. E diíFatti
fra le anzidette monete ve ne sono di M. Aci-
lio, di Annio Lamia, di Apronio Messalla,
di Sorano, di Cassio Celere, di M. Cipio, di
C. Egnatulejo, di Q. Lut.azio, di C. fNevio
Balbo, di L. Pisone Frugi, di Rufo, di M.
Salvio Otoñe, di Torio Balbo, di M. Catone,
di Antonio triunviro, di Pompeo, e finalmen-
te di L. Rutilio.
Quanto é poi alie medaglie imperiali, nel-
la raccolla sopraccennata , ne abbiamo di Giu-
lio Cesare, di Ottaviano Augusto, di M. Agrip-
pa, di Tib. Nerone, di Druso figlio di Tibe-
rio, di Caligola, di Tib. Claudio, di Nerone
Claudio, di A. Vitellio, di Fl. Vespasiano, di
Tito, di Giulia figlia di Tito, di Domiziano,
di Nerva, di Trajano, di Adriano, di Salonina
moglie di Adriano, di Antonino, di Faustina