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debito di manifestarle all'oggetto di accennare alia
faísitá di quel che ci narró il Costantini in quanto
si volesse farne l'applicazione a quel Marco Ma-
nilo, cui i Dalmati chiamarono il secondo lume
della Dalmazia, e che morí in considerazione di
uorno santo: e di purgare cosí quest'ultimo da
quelle tacce ignominiose, onde altrimenti verrebbe
iinmeritamente aggravata la memoria di luí, che
appieno forni scevra di colpe, e tntta cristiana la
mortale sua carriera. Per conseguirmi il divisato
proponimento, mi fo qui innanzi tutto a sporre
volgarizzata la biografía del Marulo, stesa per ma-
no del suo contemporáneo Francesco Natali, no-
bile spalatino, uomo nelle letlerature latine molto
versato, e terso, sia che in prosa, sia che in verso
scrivcsse. (sará continúalo). L. SVILLOVICH.
Osservazioni.
Non ut clarescas odio, sed ingenuitate scribe.
Non contento il sig. dott. Michele Solitro di
quanto avea scritto a carico de' medici dalmati in
un artieolo inserto nell'appendice della Gazzetta
privilegiata di Venezia dei 6 marzo 1844> e de-
dicato al sig. dott. Marco Verzan, volle riprodursi,
usando dello stesso linguaggio, nel patrio giornale
La Dalmazia M 34 coll'indirizzare una lettera al sig.
dott. Valentino Trigari, portante il titoio: Di alcu-
ne utili pratiche da introdursi da! medici dalmati
in cui, prendendo di mira i medici addetti agli
ospitali, gl' incolpa de\\'abbandono, com'ei dice, in
cui giace la scienza medica nella nostra provin-
cia^ non ponendo in pratica molti di que' pra-
tici aiuti giá in uso presso tutte le colte nazio-
ni, tacciandoli di astuti ed invidiosi nel tener
lontani dagli ospitali i proprii colleghi m casi
di certa importanza, non istituendo con frequen-
za le sezioni cadaveriche, rifiutando e stornando
i consulti, purche al letto dell'ammalato non si
veggano con de'colleghi che professano massime
diverse dalle loro. La lettura di questo scritto non
mi avrebbe sicuramente mosso á prendere la penna in
difesa dei medici di questa provincia, ed in ispe-
cialitá di quelli addetti agli ospitali, se circolando
questo foglio fuori della stessa, non avessi temu-
to, potesse alcuno de' piu lontani dar valore ai
giudizii del nostro critico, ed averci in conto di
medici poco curanti de' reali progressi della scien-
za. Egli é con tale intendimento, ch' io qual me-
dico primario dello spedale di questa centrale,
che da norma agli altri della provincia, m'istu-
dieró di confutare succinlamente i punti calunniosi
contenuti in quelle scritture.
Ella é cosa veramente umiliante il vedere, co-
me un'arte figlia in gran parte dell'esperienza, e
della prudente e fredda ragione, sia, al diré di Ba-
glivi, fatta spesso serva di ingegni petulanti, cui
piü caro, che il vero interesse degl' infermi, é il
pompeggiare di dottrine minuziöse, astratte e rina-
scenti, che per niun conto addiconsi ad una scienza
ricavata dal criterio saggio dei fatti. ...
Ma il sig. dott. Solitro non dovrebbe pero
ignorare, che le fonti alie quali attinsero ed at-
tingono i loro precetti e le loro dottrine, i medi-
ci dalmati tanto antichi che recenti, sono quelle
ch'erano e sono comuni anche agí' Italiani, e che
mercé la svegliatezza della loro mente, ed il loro
criterio, potendo fácilmente sceverare il buono dal
cattivo, fortificati dallo studio e dalla propria os-
servazione, riuscirono e riescono tuttodi distinti
nell'esercizio pratico della medicina, ed oltremodo
utili alia loro patria. Né tali divennero recando
al letto dell'ammalato idee preventive, occhi allu-
cinati da sistemi, o sposando con troppa creduli-
ta ed entusiasmo le altrui opinioni, persuasi ogno-
ra, che il dubbio filosofico é la migíiore profes-
sione di fede per il medico, che non puó darsi in
medicina un sistema assoluto di cura, e che da
ogni sistema possono benissimo desumersi ottimi
precetti per giovare aH'umanitá soíferente. Egli é
quindi, che da quanti vennero finora immaginati,
essi sanno raccogliere il meglio, dando cosí la
preferenza alia medicina eclettica, siccome quella
che in ogni tempo ha trionfato dei sistemi, for-
mando ne' suoi seguaci i veri ministri della na-
tura. Né ai medici dalmati riescono nuove le teo-
rie proclámate dal sig. dott. Solitro, quelle teorie
cioé, che da parecchi anni oppugnate da molti,
vennero da' dalmati accolte con quella fredda e
spassionata ragione, che regola la prudente medici-
na de' fatti. Né vale qui ricordargli que' reali pro-
gressi , che vi ha fatti la medicina italiana , tro-
vandosi anche in Dalmazia non pochi caldi e veri
estimatori del mérito di que'sommi, che ne furo-
no i promotori. Soltanto gli si deve far osserva-
re, come fra i molti autori da lui citati, v'hanno
di quelli, che si sono anzi opposti al fanatismo, e
seppero prudentemente contenerla entro i limiti
della moderazione.
Discendendo senza piu ai difíetti notati dal
sig. dott. Solitro, ed alie utili pratiche, che con
pió desiderio eg!i vorrebbe veder introdotle per
cura dei medici dalmati in questa provincia, diró
primieramente: che gli ospitali non solo ne' casi
di certa importanza, ma costantemente sono dis*
Anno II« 1§46. I. 3.
F0GL10 LETTERARIO ECONOMICO
lates o agli inter essi de lia Provincia.
m
JT1
La navigazione in Dalmazia ai tempi di Augusto.
(Vedi i Numeri 29, SO, 31, a. p.J
II commercio di navigazione in Dalmazia,
siccome erasi la fonte principale delle ricchezze;
cosí anche contribuiva mirabilmente a promove-
ré e perfezionare 1' industria e le arti tutte,
a sviluppare ed incivilire que'popoli, essendo que-
ste cause ed effetti, che si succedono di necessita.
Píe poteva un commercio siífatto estinguersi age-
volmente. Poc'anzi quando piu ferveva la guerra
ira Cesare e Pompeo, non si distinsero in prin-
(ipalitá tra le loro flotte le liburne (Floro lib.
4-), mercé delle quali C. Ottavio fece prigione vi-
cino all' isola di Veglia *), C. Antonio legato di
Cesare: ed in quell'altra quando Vatinio vinse lo
stesso Ottavio, ond' ei quatto quatto in notte pro-
cellosa con poche navi riusci a fuggirsene verso
la Grecia? (Vedi Jrzio della guerra Alessandri-
na). Almeno la recente memoria di questo fatto
doveva muover Augusto a mantener florida la na-
vigazione in una provincia, che s'era riservata per
sé, c,h'eragli carissima, cui forse fino dai primi
momenti del suo impero aveva destinata in sua
mente, perché sia il suo precipuo arsenale, men-
tre avvolpinava e Marc'Antonio e Lepido, risoluto,
come gli si parí il destro, uno ad uno di perderli
e di occuparne egli solo il comando del mondo
intero. Perció appunto teneva in pronto una flot-
ta a Ravenna, facendo le viste di custodire l'Adria-
') Vedi il nostro N.° 27, pag. 256, in cui con molto di eru-
dizione il nostro dotto collaboratore dott. N. Ostoich, provó non
essere intervenuto altrinienti quel fatto navale presso Ciirzola,
ma
tico, la quale correva da quella citta a Pola, indi
a Jadera, a Salona, ad Epidauro, ma non con al-
tro intendimento, che di opporla alie flotte egizia-
che di Marc'Antonio, che furente d'amore per
Cleopatra, era cieco al pericolo, che soprastavagli
o troppo confidente del suo valore e della sua su-
periorita, non curava le arti deH'artifizioso avver-
sario. Ned altra via scorgeva Augusto per farglisi
contro, che quella di emularlo con una possente
flotta, essendo che T Egitto, dove quello dimora-
va, avevane in piedi una formidabile, ed era a
dovizia fornito d'ogni maniera di navi, intente al
commercio lucrosissimo dell'Arabia, della Persia,
delle Indie; commercio, che aveva quasi esaurita
molta parte dell'oro di Roma, colla mirra, col ga-
rofano, con la cassia, col calamo, col costo, col
cinamomo, colle stofíe della Persia, colle gemme
e le perle delle Indie, delle quali perle Mecenate
medesimo ne aveva scritto un libro, come narra
Seneca nella sua lettera quarantesimasettima. ISfé
altrimenti la cosa procedette. Quando parve tempo
ad Augusto di combattere e di distruggere l'av-
versario, facendo sembiante di voler vendicare la
ripudiata sorella, mosse guerra ai commilitone di
C. Cesare, che piü d' ogni altro avevalo giovato
per salire al trono, ed allesti una flotta di du-
cencinquanta navi leggere, sulle quali trasportó in
Albania ottantainila legionarii, e dodicimila cavalli,
mentre Antonio tragittava dall'Egitto alio stesso
paese centododicimila legionarii, e truppe ausiliari
moltissime sopra 5oo vascelli. E dopo esitato lun-
gamente nelle aque di Corfú, vicino al promonto-
rio d'Azio, se coiresercito di térra o colle armate
navali debb'attaccare battaglia, alia fine Antonio
si appiglió a quest'altimo partito, persuaso piu
da Cleopatra (la quale come avverte Plutarco nella
vita di Antonio, a ció persuadendolo, pensava giá
ad ogní poca resistenza di scior le vele e fuggir-
sene), che dal desiderio deJ soldati o dal proprio
-C D—
viene coníessare, ch' ella é sempre oscura, ed oscu-
rísima vieppiu fassi, dopo la catástrofe barbari-
ca, trapelandovi solo qualche debil raggio, che
rápidamente si nasconde. Yeggiamolo se sotto il
gotico dominio. I Goti, dicevasi, occuparono la
Dalmazia, ma non le coste rnarittime, deducendo-
si ció dal silenzio degli storici. Ma se nulla ri-
maneva alia capacita loro, perché non discendere
al mare, dove l'opulenza era maggiore e ta spe-
ranza del bottino piu certa? come comunicare col-
1'Italia da essi inondata? come prevalersi delle
navi liburniche acconcie al trasporto delle milizie
.e delle vettovaglie? Paolo Diácono riferisce, che
Odoacre passo l'adriatico per puniré gli assassini
delTimperatore Ñipóte, e per lo conquisto delle
piaggie della Dalmazia. Le sconfitte e le vittorie
riportate da Mundo e da Costanzo dovevano sbran-
care i barbari, e trarli spesso alie marine, ove
potevano rinfrancarsi, e forse oltenere soccorsi.
Teodorico diveniva padrone della Rezia, Li-
burnia, Istria e Dalmazia, né fassi eccezione, che
parte alcuna a luí non soggiacesse. Infatti, per di-
scacciare simile genía scendeva quivi qael Belisario
conquistatore de'Persiani, trionfatore di Vitige, 11-
beratore di Roma, l'eroe piu grande de'suoi tem-
pi, che per artificio femminile, e per la volubilita
delle cor ti, soggiacque infine a disavventura. Símil-
mente quel Narsete spregiato per condizione, e
per la sua taglia, m'allro eroe, elie spento Teja,
schiacció la gotica possanza. Questi dice Echard,
Tom. 7 pag prendeva la via dell'Illirio e
della Dalmazia, indi approssimavasi al paese dei
vene ti.
E Gibon parlando di cotesto: Tom. 8 pag.
117, scrive: «Narsete condusse un numeroso e
» valante esercito da Filippopoli a Salona, d onde
35 costeggio il lido orientale, fino ai confini dcl-
39T Italia, ove fu arréstalo il suo ardire.Ció dee
intendersi, onde sgombrare da'Goti questa nostra
térra, a'quali veniva sempre contrastato il domi-
nio dagl'imperatori d'Oriente; mentre soltanto
sotto Teodosio II e Placidia per Valentiniano III,
alio impaimarsi di lui con Eudossia, era stato slac-
cato rillirio occidentale, compresa la Dalmazia
marittima, dall'Italia.
Si conosce inoltre che sotto Teodorico della
casa illustre degli Amali, popolí piu distinti fra
Goti, signoreggiando ei la Dalmazia, manteneva
essa un commercio vivo con TItalia, trasportan-
dovisi legna, lana ed anco grano con i navigli di
lei. Sappiamo pure, ch'egli non sapeva né leggere
né scrivere, ma amava conservare le civili istitu-
zioni e gli edifizii, creando ad effetto una carica
col titolo di Comes nitentium rerum¿ mostrando-
si poi tenero per l'umanita, se la morte di Boe-
zio e di Simmaco non ingenerasse qualche dubbio
sulla sincerita de'suoi sentimenti.
Da tullo ció ci sembra di raccogliere, che i
Goli invadessero tutta la provincia, ma non re-
candovi ruina, portandovi solo que' mal i, che sono
inevitabili in una guerra guerreggiata. Gredtamo
adunque che le citta, di cui favelliamo , non ca-
dessero all'urto di cotesti popoli, poiché non eosi
spietati, come le nazioni succedute, e perché 11011
possedevano con tranquillita queste contrade.
Lo furono per le armi di Ai ti la ? veggiamo-
lo. Sembra non persuaso il signor Nisiteo per lo
silenzio di due riputati autori R. L. M. Miiller e
F. B. Schíitz: dicendosi da'medesimi, che «dopo
averé il terribile conquistatore assoggettata a
3? tributo Costantinopoli, diresse contra le Gallie
r> i suoi guerrieri.«
Ma in istorie simili, e principalmente in
quella del secondo, non avevano tali scrittori il
divisamento di seguir passo passo le mosse di quel
barbaro; né avevano duopo di farlo; e tal narra-
zione, riportando poi sempre stragi e devastazioni
non poteva non divenire uniforme e noiosa.
La battaglia di Chalón, la vittoria di Ezio,
la sconfitta dell' inimico, la liberazione dell' impe-
ro romano, volevano rammentare nella medesima,
e non i minuti particolari, di cui le cronache lo-
cali intrattengonsi.
Noi pero leggiamo: « Attila e Bleda con for-
» te e spaventosissimo esercito gittaronsi sull'llli-
J5 rio, ed i vi per due anni lo disastrarono. Echard
55 Tom. 6, pag. 378.
« Tutta la lunghezza, aggiunge Gibon Tom.
55 6, pag. 378, dell'Europa, che si estende piu di
5? einquecento miglia dallJEusino alTAdriatico, fu
5? dallo slesso invasa; occupata e desoíala da mi-
55 gliaia di barbar!, che Attila condusse in campo. 55
Neirillirio si contenevano tante altre provincie, e
la Dalmazia, che sebbene non nominate, debbono
credersi invade e dislrutte.
11 nostro Zavoreo pero espone: «che l'anno
55 4J2 di nostra Redenzione Alarico re de'Visigoti
con un' armata di dueeentomila uomini afílisse
35 tutto l'Illirio, e di poi sollo l'impero di Maurizio^
» Attila re degli Unni. Desideroso questi da mol-
5? to tempo di assalire 1'Italia, sperando tanto piu
?3 fácilmente impadronirsi dell' impero di tutto il
» mondo, se avesse dómate le forze romane (te-
» mendo che l'impero romano fosse occupato da-
jj gli Ostrogoti, che avevano poco prima invaso
J5 1' Illirio), determinó espugnare le marine del-
» 1'Adriático, acció nell' ingresso in Italia non ve-
;> nisse travagliáto dai Greci, ed a fronte da'Ra-
cuopre plü che suficientemente 11 rninor prodotto
nei grani.
Nel N.° 99 del giornale ledesco del Lloyd
venne dimostrato, che in Dalmazia in termine me-
dio un individuo usa consumare 3 staia di grano
all'anno. L'entrata suespressa di j3o58i staia si
riferisce ad una popolazione di circa 3oo,ooo ani-
me, in conseguenza di che, verrebbero a testa
2 % di staia. In quel medesimo giornale é stato
dimostrato, che il prodotto medio in Dalmazia puó
bastare solamente per 10 mesi, e che la quantita
mancante dev'essere ritratta da fuori. E poiché il
quantitativo di sopra accennato cuopre il bisogno
per 9 3/i ossia per quasi i o mesi; l'anno or de-
corso si puó annoverare in Dalmazia agli anni
di media fertilitá.
II prospetto della produzione dei grani nei
due anni 1844*45 ci guida ad un osservazione
tutta particolare, che inerita maggior riguardo di
quello che le si suoi daré nelle parti settentrio-
nali del nostro stato. Veggiamo cioé, che nel te-
sté decorso anno piovoso, il prodotto dei grani e
dei legumi riuscí di io per cento minore, che
nell'anno precedente; ma vedesi ben anco, che il
frumentone ed i grani minuti diedero Bi per cento
di piú, La cohura del frumentone dunque risulta
viemmaggiormente comaiendevole, in quanto che,
al par dei pomi di térra, rende il terreno piú
suscettibile per i frumenti in conseguenza della
piú frequente zappatura, e colla vegetazione piú
tarda non rende cosí sensibili T influenze atmosfe-
riche delle singóle stagioni su tutta l'economia
rustica, il che puó essere tanto meno soggetto a
dubbio, perché appunto ora in tutti i siti, dove il
frumentone si colliva in maggiore quantita, non si
odono lamenti sulla mancanza di grano.
(J. des Oest. Llojd. 13.) (m.)
Conseguenzc dcH'estirpazioiie dei boschi.
(<lal repert. d'Agricoltura di Torino, Nov. a. pj.
Lo stato naturale di molti paesi troviamo es-
sere ora non poco diverso da quello che gia era,
m modo che essi non han piú quel clima e quella
íertilitá che anticamente avevano. La cagione prin-
cipale di ció si é la estirpazione dei boschi, alia
quale non v'ha piú mezzo di rimediare, massima-
mente sulle vette delle montagne; laonde bisogne-
rebbe almeno fare si che il male non si aumen-
tarse, e perció si dovrebbe impedire il taglio e
l'abbruciamento dei boschi. Imperocché questi so-
no realmente regolatori del clima, mentre attirando
a sé le nubi che si risolvono in pioggia, arresta-
no i venti, mitigano il calore del! estáte come an-
che il freddo del vernó, impediscono la repentina
soluzione delle nevi e cosí gli straripaménti dei fiu-
mi, ecc.
In molte contrade della Norvegia piú volte
accadde che la biada non pervemsse alia maturi-
tà, e Tintera agricoltura andasse in rovina per
essersi spogliate -le montagne di boschi, i quali
prima trattenevano i venti nocevoli.
Jn alcuni contorni della Francia, anticamen-
te folti boschi distendevano le loro ombre; essen-
dosi di poi moltiplicato il popolo, questi vennero
malauguratamente estirpati, massime per daré luo-
go alia coltura delle viti;ma il danno derivatone
superó di gran lunga l'utile che se ne aspettava :
perocché il clima, già assai caldo, con ció di-
venne piú asciutto, le pioggie, che prima, raccol-
te dalle piante, ebbero agio d'insinuarsi nel ter-
reno, ora senza ritegno precipitansi nelle valli tra-
scinando seco la poca terra che copre le rupi e
che prima dalle radici degli alberi era conserva-
ta; di qua venne la nudità delle montagne del
Í>aese e i impossibilità di piú mai rivestirnele. Sul-e montagne di granito, la smania di estirpare i
boschi non ebbe seguaci, circostanza che deve a-
scriversi aH'altezza di queste montagne di prima
formazione ed alia loro distanza dal raare o dai
luoghi molto popolati, perció v' ha ancora abba-
stanza di boschi. Non altrimenti parte deU'Egit-
to e della Soria, dopo che le montagne restarono
spogliate dJ alberi, perdettero quelle loro pioggie
tanto proficue a rendere non solo l'aria piú salu-
bre, ma ancora i campi piú ubertosi. Mehemed-
Ali vedesi ora costretto a piantare nuovi boschi,
onde le pioggie siano maggiori e le malattie me-
no frequenti.
Roma andava peggiorando piú e piú nel suo
clima, come grado a grado sparirono nei suoi
contorni i sacri boschi coi loro germi. Cosicché
finalmente gli uomini si awidero del loro errore,
e probabilmente non passera gran tempo che si
pianteranno dei nuovi boschi. I nostri piú vecchi
si ricordano che prima che le montagne e pianu-
re fossero state spogliate di boschi, le pioggie e-
rano piú abbondanti; oltre che si puó temere a
ragione che il consumo del legname, che va au-
mentandosi, non solo non rincari oltre modo il
prezzo del combustibile nellë fabbriche e sulle stra-
de ferrate, ma in molte contrade, diventando il
clima árido oltre i 1 solito, anche la íertilita si
diminuisca e le malattie si aumentino. Anche la
Dalmazia , la Liburnia e l'Istria, erano una volta
coperte di boschi. San Girolamo parlando della
Dalmazia dice, essere questo un paese coperto di
dense foreste. Sembra che il gran consumo di le-
Anno II« 1 S 4 6. M.
FOGLIO LETTERARIO ECONOMICO
Inteso agli interessi délia Provincia.
mm mm
InvestigazioDi storiche sull' isola Tauris.
Prima di por mano ail' indagine per deter-
minare, quai isola del mare adriatico si appelas-
se dagli antiehi Tauris3 credo ottimo consiglio,
l'accennare alcune storiche notizie pertinent alla
Dalmazia; si per sovvenire i leggitori de'fatti sto-
rici, altra volta rettifieati, e si per collegare que-
sti con ulteriori ricerche, che ho in animo d'in-
traprendere su di altri punti nella storia nostra
controversi. Comincierô dunque con dire, che nel-
l'appendice dei N.i 99 e 100 délia Gazzetta di
Zara anno 1843, io aveva fatto vedere, che nel-
l'anno quarantesimolerzo avanti Cristo, i dalmati
mediterranei erano in possesso délia liberta, e che
la costa marittima délia Dalmazia, stava in pode-
stà del senato romano, xlveva fatto conoscere an-
cora, che Asinio Pollione fin a quell'anno non a-
veva militato nelle dalmate terre, perché all'epoca
délia morte di Cesare; e nel tempo che i Trium-
viri si erano fatti padroni délia somma delle co-
se, egli stanziava nelle Spagne (Cic. lib. 10. Epis t.
3i, 32, 33): che ritornato in Italia, si diede al
partito di Marc'Antonio (Jppian. l. 5. 55.), e che
come legato di lui sedo il tumulto, non de'Parte-
ni epidauritani, come vogliono tal uni, ma deJPar-
tini dirrachiensi ( Fast. capit. — Fast. Barb.)3
perché questi ultimi erano attenenti alia giurisdi«
zione di M. Antonio, al quale nella divisione del-
l'impero era toccato l'oriente tullo, ossia quel
tratto di paese, che si distende da Scodra fino
ali'Eufrate (dppian. I. c.J.
Aveva fatto conoscere di più, che Orazio can-
tando di Pollione, voile nobilitare il trionfo dei
Partini col nome di dalmatico (Annal, deiï In-
stit. Archeol. di Roma T. 2. pag. 295); ed a vea
provato per ultimo, che la notizia tramandataci da
Servio nei commenti all'égloga quarta di Virgilio
era errónea; i.° perché Pollione ebbe il consola lo
nell anno di Roma, quaranta avanti Cristo,
e trionfo de'Partini nell'anno di Roma, tren-
tanove avanti Cristo; 2.0 perché alia spedizione di
Germánico evvi la data dell'anno j5g di Piorna,
sei di Cristo; 3.° perché Salonino era ñipóte non
figlio di Asinio Pollione il Vecchio (Tacit. An.
I. 3. c. 75.). Aveva avvertko poi, che quell'Asi-
nio Pollione, il quale al diré di Floro (lib. 4- c.
10.), multó i dalmati nelle gregge, neil'armi e
ne' campi, era uno de'figli di Asinio Pollione in
discorso, anzi quel dessoj ch'ebbe il consolato
nell'anno 2 3 di Cristo.
Nell'appendice delía stessa gazzetla N.i 5i, 53,
a. 1844, io mi era studiato di mostrare, che la
provincia della Dalmazia, all'época di Augusto, si
apparteneva alia giurisdizione imperiale, deducen-
do questa notizia da due onorarie iscrizioni, una
di Jadera e di Epidauro l'altra (Lúcius de Reg.
Dalm. et Croat. L. 1. c. 3. — Morcell. de Strl.
Inscript. T. 1.)„ le quali nominano P. C. Dola-
bella legato propretore. Aveva in oltre fatto vede-
re contro l'asserzione di alenni scrittori, che Do-
labella non era morto in Epidauro; i.° perché
dalla iscrizione ¡ádrense, e dalla testimonianza di
Paterc. (Lib. 2. c. 124) risulta, che esso gover-
nava la Dalmazia dali'anno i4 di Cristo, fino al-
l'anno 20 dell' impero di Tiberio, 18 di Cristo;
2.0 perché dali'anno 8 e 9 dell'impero di Tibe-
rio, 21 e 22 di Cristo, egli era in Roma (Ta-
cit. an. 3. 4l' 78.); 3.° perché nell'anno 24 di
Cristo, fu spedito in Africa contro Tacfarinate
(id. ibid. lib. 4' a5.); 4-° finalmente perché nel-
l'anno 27 di Cristo era ritornato in Roma, ove
macchinava contro O. Varrone (id. ibid. I. 4• 66.)*,
dalle quali eircostanze io aveva dedotto, essere o>-
spezielta da noi dalmati , come dice uno storico
rammentando il fine sortito dalla biblioteca ma-
nuziana, che sarebbe una íollia , se non fosse un
dilelto, e sovente una necessila, il raccoglierne
(Ginguené Stor. della lett. ital.).
Di lui fa ripetuta menzione 1'ab. Forlis , il
quale prometiendo di daré dellagliate nolizie di
alcuni traurini e d'altri dalmati illustri, dice che
ció avrebbe fatto profittando delle erudite fatiche
di quel dottissimo vescovo , che si occupava nel
raccoglierle, qualora egli, che polea farlo supe-
riormente, non le avesse dale al publico per o-
nore della sua nazione (Viag. in Dalm. T. 2,
p. 6 e 7). Ma nulla nc fece né l'uno né l'altro,
ed anco in questa occasione trioníó quell'avverso
destino, che finora impedí alia Dalmazia di vede-
re insieme raccolte le tante sperperate memorie
degli uomini suoi piu distinti. J1 conté Rados An-
tonio Michieli Vitturi dirizzó a lui con parole ono-
rifiche il proprio Saggio epistolare soprci la re-
pública della Dalmazia3 Venezia 1777, ed altri
puré negli scritti loro a lui resero quel tributo
di lode che bene si meritaVa.
Colpito d'apoplesia, esci di vita nell'ottobre
1786I, compianto dai poveri, slimato dai dolti ,
amato dai buoni, ed onorato da tutta la Dalmazia.
G. F. c.
Critica.
Ci gode l'animo d'annunziare a quelli de' no-
stri lettori, a cu i fosse ignota, un'opera che ot-
tenne le lodi dei dotti d' Italia intitolata: Del pro-
gresso e del secolo decimonono3 parto della di-
stinta penna del chiarissimo padre Luigi Pasquali
de' M. O. L'egregio autore noto gia alia repub-
blica lelteraria per altre sue produzioni e special-
menle pei suoi principii d'estetica3 ch'acquista-
rongli fama e in Italia e fuori, volle viemmag-
giormente segnalarsi con quest'ultima, in cui non
sappiamo se meglio debbasi encomiare o la vasti-
ta o il criterio del suo sapere. Proponsi egli di
dimostrare in che stato trovisi nel secol nostro il
progresso dell'uomo, o diremo dell' umanila sotto
tutti i riguardi di sua natura; e quindi premesse
alcune riflessioni generali sui diversi stadii che
l'uomo deve percorrere per giungere dalla barba-
rie ai piu alti gradi dell'incivilimento, viene a
articolarmente parlare delle arti piu e meno no-
ili, delle istituzioni civili e religiose, delle scien-
ze teoriche ed applicate, e presentando quasi un
gran quadro in molti scompartimenti, ne desume
con fino giudizio le sue deduzioni, e mostra ció
di cui possiamo andar paghi per aver progredito,
quello in cui s' è relrocesso e quello in cui siamo
stazionarii. Ognun vede l'ampiezza della lela da
lui presa a pennelleggiare. Se quindi ad alcuno pa-
resse che questo o queH'argomento non sia svolto
a sufficienza o con tutta profondità, non dee ma-
ravigüarsene, che né questa è cosa da potersi com-
pletare in due piccoli volumi, né l'autor stesso
s'avvisó di farlo, che anzi si protesta di non a-
ver voluto daré che un saggio, riservandosi, quan-
do il cielo glielo permettesse, di occuparsi del tema
stesso in seguito molto piu in grande. Cosí nem-
meno da veruna discreta persona gli verra data
taccia di non aver egli sempre dato nel segno:
ognuno ha il suo modo di vedere e quindi di
giudicare; oltrechè convien ricordarsi sempre del
delto di Orazio: Dum plura nitent in carmine3
non ego paucis offiendar maculis.
11 prender parte a parte- in esame Topera,
non è assunto proprio della brevità d'un arlicolo
da giornale, né noi vantiamo tanta erudizione da
poter farla da critici in un soggetto che presenta
tanla varietà. Fermandoci per allro in qnalche
materia di cui abbiamo un poco di più esercizio
che sull' altre, rimettiamo i lettori agü articoli
sulla poesia, sull'eloquenza, sulle dottrine religio-
se , e ci lusinghiamo che troveranno verità molte
e ben'espresse. Ci congratuliamo pertanto coll'au-
tore che provó cosi luminosamente la molla dot-
trina di cui va fornito, gli auguriamo agi e vita
per daré il saggio maggiore che promette, e ai
nostri giovani speeiaimente ch'intendono a met-
tersi in alcuno deJvarii sentieri de'buoni studii
colla guida d'un retto lume, la lettura di que-
sl' opera vivamente raccomandiamo. p. D. F.
IiUnarl dalmati.
Parum parva decent.
Questo genere di produzioni letterarie acqui-
stó da qualche tempo tale sviluppo in Germania,
in Francia, in Italia ec., che non era possibile
non ne risenlisse qualche influsso anche quest'an-
golo della terra, e ne fosse allratta l'attenzione
sulle moltiplici forme e tendenze. Dai semplice
lunario, alla più elegante slrenna, trovano gli a-
matori nella sólita stagione presso i librai tutte
le gradazioni intermedie, o vogliasi il pregio ester-
no delle ricchissime legature, fregi, pilture, or-
nati d' oro o d'argento, oppure domandisi il me-
ntó intrínseco delle composizioni, tendenti al di-
letto o all utilità.
ghe funti 2925; olio f. ; pelliccerie diverse
f. 4«9; robbia f. 518; arnesi di casa f. 200; a-
grumi 25o; allume di rocca £ 326;. ossa ani-
mali f. 48o; panni lani f. 207; aquavite f. 260;
manifatture di rame f. 90; droghe funti 75; fer-
ro vecchio f. 4o.
Billibrig. Generi introdotti dali' Ottomano dal
di i5 gennaio a tutto 15 febbraio:
Bovi N. 38o; suini i63i; cera funti 1979;
frumento f. 36859; fagiuoli 913; ferro f. 4oo;
noci f. 58o; orzo f. 6o3; prugne f. 1855, poma
f. 33o; spelta 275; tavole d'abete 3134« Estratti
per l'Ottomano; acciaio f. 268; allume f. 94^; a-
grumi f. 2800; baccalari f. 4^3; carta i. 670;
caffé 29203; filati 10,520; manifatture 8466; 0-
lio f. 690; piombo f. 859; panni 229; pallini e
palle 1059; riso f. 11687; r0^3 £ 335; špiri-
ti f. 46o5; sapone 7077; sal ammoniaco f. 5g6;
stagno i. 4^5; endaco f. i54; pepe f. 3io;vino
f. 1706; vetri f. 584; vetriolo f. 90; zucchero f.
6459; generi diversi 9110.
Grab. Dal giorno 2 a tutto il 12 di febbra-
io giunsero al rastello: Bovi 179; pecore 16; ma-
iali 132; frumento f. 33685; formentone f. 54o;
segala 325; orzo f. 220; spelta f. i3o; fagiuoli f.
600; f. legname f. 4^o5; ferro f. 3885; catrame
f. 5835; frutta 460. Furono estratti: vino f. 1000;
aquavite f. 35o; sale 1000; córame crudo f. 28.
VÜÜBIGTA.
Sacrifizio alla scienza. Il célébré astronomo
La-Caille aveva contratta Tabitudine di riservare
un occhio esclusivamente per l'importante uffizio
delle osservazioni astronomiche, adoperando l'allrp
nel leggere e nello scrivere. Una taie abitudine lo
tondusse ad interessanti risultamenti. Cosi p. e.
egli poteva osservare con tutta la facilita l'altezza
delle stelle sull'orizzonte del mare, osservazione,
che va congiunta con moite inesattezze a causa
délia difficoltà di ben discernere l'orizzonte du-
rante la notte.
(Corrispondenza).
Il poter soddisfare a tutte lesigenze de'let-
ton, renderebbe un'opéra od un giornale si este-
so nella circolazione , da poter in qualche modo
far paghi dei loro voti gli autori e gli editori.
Ma questo supera le forze umane in tanta varieta
di gusti e di tendenze. Qui si applaude ad uno
scritto o ad un cenno, altrove lo si biasima. Ció
che passa inosservato da noi, altrove oífre motivo
a ragionevole critica, o a considerazione piü o
men seria.
II numero 5 p. e. del nostro giornale pre-
sentó argomento ad uno de' nostri corrispondenti
di Spalato di fare brevi commenti a qualche no-
stro cenno. Le poche parole p. e. suile stalle e
sugli ovili fecero a piu di uno arricciare il naso;
fu trovato inconseguente, ed un articolo da ovile.
Ma quot capita¿ tot sensus. Per esempio :
Un povero diavolo di cola, che non possiede né
greggie,né terreni, osservó (sea ragione oda torto,
resta a decidersi) che se é tanto disdicevole il ve-
dere il bestiame per 1' incuria dei giacili insu-
cidato, ben piu schifoso riesce lo scorgere i custo-
di bipedi piú sucidi dei quadrupedi; fa voti quin-
di, che tali guide puliscano primieramente sé stes-
se, quindi un po' di cura estendano ai quadrupedi;
o meglio: facciano 1' una cosa e l'altra contempo-
ráneamente.
Lo stesso corrispondente ci trasmise una Cri-
tica senza zucchero j del seguente tenore:
«Nel prospetto dimostrante il consumo dello
zucchero nei varii paesi delf Europa, giusta il
termine medio deH'introduzione e deila popolazio-
ne, é ommessa la Dalmazia e la Turchia.»
«Forse, perché in Dalmazia si ritiene il cli-
ma dolce, non ha essa bisogno di zucchero ? l).
E perché i Turchi bevono il caffé senza zucchero,
dovra credersi, che non ne facciano uso ? ").»
La domanda sa un po'di malizia. Ma a piano, signor
mío, uno alia volta. Se imparta di sapere, quanto zucchero
venga a testa in Dalmazia in un anno, eccone i dati, desunti dalle
tabelle statistiche ufíiciali publícate l'a. scorso a Vienna. Nel 1844,
a tenore dei registri doganali, furono introdotti in Dalma-
zia 406,000 funti di zucchero , tra raffinato ed in fariña. Presa
dunque la popolazione della provincia a 400,000 abitanti, si ve-
de bene, che il quoziente non risulta di certa dolcezza, perché
viene a testa poco piu d'un funto come in Ungheria, salvo Ter-
ror di calcolo.
Cosi ci é risparmiato l'obbligo di dirlo ad altro incontro.
Attenderemo in proposito risposta da Jusuf beg, se pur
ci capita! e cosi soddisferemo al quesito.
Si publica ogni giovedi. II prezzo annuo per Zara e di fior. 4; per semestre fior. 2; per fuori franco di porto fior. 5, per se-
mestre o trimestre in proporzione. Le associazioni si ricevono in Zara dal proprietario, fuori da tutti gl'II. RR. Ufficii postali.
^«"auceschi Ëstensore e Proprietario. Kara tipografia dei Fratelii BI at tara.
-c 69)-
delle quali parte veni va bruci ata sul rogo appa-
recchiato, e parte, che sarà stata la maggiore, era
consumata in gozzoviglia dai più prossimi devoti
dell'idolo. Canti, balli ed ogni sorta di sconcie
buffonerie accompagnavano la cerimonia. I fuochi
festivi usati alla vigilia del santo protettore di quel
tale o tal altro villaggio, quelli dedicati in onore
di s. Vito, e quelle cataste di legna, che ardono
la notte antecedente alia giornata di s Giovanni
in tutti i punti si puô dire abitati dal popolo
slavo, si puô asserire con verisimiglianza, che sian
un resto dell'antiea solennità, che celebravano in
onore del Dio Svantevid , compita ch'era la messe.
Dice il sig. M tili sen (Gesch. der Wissenschf. in
der Marek Brandenburg), i missionarii di Cristo
lasciarono agli Slavi gli antichi loro costumi, sotto
nome cristiano, dopo averli purificati dalla più
rozza lordura dell' idolatría. Gli antichi Slavi ce-
lebravano pure una festa in onore del Dio Bo-
shizh, consacrata alia pace domestica ed all'ospi-
talità. Le costumanze degli Uscocchi di Segna e
della Dalmazia, úsate perché permesse nelle festi-
vità del SS. Natale descritte dal Valvassor (Ehre
von Krain), danno a vedere gli usi dell'antico ri-
to. Durava la festa pel corso di otto giorni. In
ogni famiglia era riccamente imbandita una men-
sa con cibi e bevande, e con pañi di forma sim-
bólica. La Potiza ed il Poternik dègli Slavi della
Carniola, il Kolazh dei Boemi, lo Strilaz degli
Slavi dalmati, usati all'epoca della nostra festivi-
ta , sono pani simboleggianti che ricordano gli
antichi riti. Dice il prelodato Valvassor, che gli
Uscocchi della Dalmazia destinassero in quest' e-
poca un fanciullo col nome di Gost, per adern-
piere gli uffizii dellJospitalità. Ed un altro fan-
ciullo col nome Badniak, era incombenzato a
mantenere ardente il fuoco simbolico dell'amicizia
costante. Vige tuttora una rimembranza evidente
di questo rito fra il volgo slavo della Dalmazia.
In ogni famiglia con formalità festive e religiose
un grosso tronco di legno, e quanto più grande
tanto più pregiato, portano al focolare col nome
di badniak, ove deve ardere pel corso delle gior-
nate di questa festività. Un sacerdote od il capo
della famiglia con preci lo benedice, ed i fami-
gliari ed amici rispondono aile preci con ispari di
fucile. E vige tuttora nelle dalmatiche contrade
la costumanza di tenere imbandita la mensa per
alcuni giorni, con adornamenti festivi, e d'invitare
l'uno all'altro reciprocamente a bere e mangiare.
Questi cenni che mi fu dato di raccogliere
sulla religione antiea degli Slavi, io non li pre-
sento al publico colla pretensione di aver esaurito
l'argomento, ma coll'intendimento di dar raos-
sa ai nostri eruditi, onde se ne occupino in pió
esteso dettaglio, per far conoscere se vi esistesse
analogia fra la credenza religiosa antica degli Sla-
vi e quella degl'Illirii, della quale faro una breve
esposizione, che bastera peí confronto.
(sara cont.) P. NISETEO.
La »tampa periódica in Dalmazia, paragronata
con la sua popolazione, e con quella delle
altre provincie austriaclie.
Prendendo le mosse, come é ben naturale,
dalla nostra provincia, e considerando quanto si
é fatto appo di noi da varii anni in qua, in pro-
duzioni di questa specie , vi troveremo passi cor-
rispondenti al progresso del tempo, e diremo di
non essere rimasti stazionarii. Sia seinpre cara in-
tanto la memoria di tutti quelli, che col fatto e
col consiglio cercarono d essere giovevoli a que-
sta conlrada, acciocché fra tutte le classi del po-
polo , anche con stampe periodiche, venga estesa la
conoscenza di cose utili a sapersi da ognuno, e
piu agevolmente, che non lo sarebbe con opere di
una certa mole e di prezzo alto.
La Dalmazia, dopo il Regio dalmata (1806
al IBIO1) non aveva nissun foglio periodico suo,
ed appena nel i832 ,perció dopo un'interruzione
di 22 anni, si publicó il primo numero della
Gazzetta di Zara, giornale político, non diverso
dagli altri fogli provinciali di tal fatta, di carat-
tere semi-ufficiale, e destinato a comprendere e
diramare le notificazioni delle autorita centrali in
oggetti politici, giudiziarii ec. Trovat*si pero que-
sta gazzetta in mano or dell'uno, or dell'altro
degli editori, e stesi i suoi articoli politici, let-
terarii, da persone di maggior o minor valentia,
corsé quasi sempre la medesima fortuna, ebbe li-
mitatissimo numero di lettori, e non oltrepassava
i confini, che fossero stati alquanto remoti.
Col principiare del 1844 la luce il fo-
gio letterario in lingua dalmata: Zora dalmatinska,
a spese de'fratelli Battara, e ... tuttora prosegue.
Non é trascorso ancora un' anno, che ha
vita questo giornale: La Dalmazia, che con parco
alimento, ancor esso, regge in piedi come meglio
lo puó, sospirando tempi migliori che non lo fu-
rono finora.
Perché a Spalato non vide la luce il nuovo
giornaletto illirico ed italiano: L'Amico del Con-
tadinoj non siamo ehíamati ad investígame le
cause. Prova novella che le intenzioni sono otti-
II regio dalmata cominció ai 12 di lugliol80G, fin»
al 1.° d'aprile 1810, esciva ogni settimana una volta.
-c 78 )-
açcrescere e perfezionare le produzioni nostre na-
tufâiij ćhe con rossore ancora altrove rirtiracciamo.
^La npstra provincia possiede gli elementi per
coftqurci a questa sospirata meta, basta aver l'a-
nimérdi componerli, e di non assonnâre sui mezzi
nnici per pttenerla. In aîlora vedremo sorgere una
prošperita „ permanente , radicale , e non fondata
sui^à incertezza degli eventi.
Ci uniamo pertanto nel desiderio comune,
che il mercato trasferito dai confini terrestri al
mare, mântenuto coi generi degli ottomani, sorta
proficuo i e serva di stimolo non di ritardo al vita-
le progresso della Dalmazia.
Ëcço il nostro sentimento e voto patrio ed
ingie.nuo; éhe fe altrimenti venne interprétalo, si
attribuisca o mancanza per parte nostra, o ad
un gitidizio prematuro per parte allrui. A. FENZI.
BEL SISTEMA- A LEGNO, E DEL SISTEMA A FRUTTO
NELL'ECONOMIA VEGETALE DELLE PIANTE. i:
CContinuais. V. il N. anteced.)
" Ora noi dobbiamo accordare pure, perché
riconpsciute nei Vegetabili l'età dell' infanzia e l'età
della ^liberta. Vediamo che in tutte le piante le-
gnosé ed
erbacee nel corso della loro infanzia,
cioé dalla nascita sino ell'epoca della riproduzio-
ne, voglio dire della pubertà, tutte le funzioni
organiche della chimica vegetale lavorino nell' in-
dividuo colla tendenza única di far progredire, di-
latare e crescere, come negli animali, il composto
orgánico vegetale. Se confrontiamo tra loro gli
accrescimenti degli anni dell'infanzia , troviamo che
i primi sono maggiori nel vegetabile come nel l'a-
nimale; e che diminuiscono gradatamente á mano
a maño, che si avvicina il termine del periodo
dell'infanzia j e si aprossima 1'época della puber-,
ta. Riscontriamo pure nel vegetabile come nell'a-
nimale, che la durata dell' infanzia non sia uni-
forme , ma varia e costante per cadauna specie
di vegetabile coltivato in quel dato clima e terre-
no. ?Giunte le piante all'epoca della pubertà, cioé
alfejpoca di doversi riprodurre, si sviluppano loro
gli 'gjgggini délia riproduzione. Ci mostrano pur
es||y *céme gli animali, e se non tutte, parecchie,
e<TÍ
botanici saranno meco d'accordo, ci mo-
strano dico il bisogno della riproduzione. Se non
meontoagio questa vitale tendenza in tutte le pian-
te, vorrà dire ^ che, per I'insufficienza dei nostri
mezzi *di osservazrone, non siamo capaci di scuo-
prire e d'ifttendefë il linguaggio della famiglia
vegetale ', e non dovremmo dire perció che la teo-
ría non sia vera e generale. Giunta la pianta in
i questo stato, la vita vegetativa loro decresce
in energía, come negli animali, e questa decre-
scenza nella forza organica vitale ci dà segno cer-
to di una nuova tendenza sviluppatasi nella pian-
ta, qual è quella della riproduzione. Un occhio
esercitato ad osservare con questo scopo 1'anda-
mento della vegelazione delle piante, puô ricono-
scere quanto è prossima l'epoca della riproduzio-
ne, senza aver veduto per anco gli erudimenti della
fioritura sui membri vegetali che la porteranno.
Arrivato a questa età il vegetabile, l'accrescimenlo
del suo composlo orgánico di poco si vantaggia.
Non resta inerte per sé, né vi deve restare ; ma
lavora principalmente per la riproduzione , per
condurre ad effetto la nuöva tendenza sviluppata-
si; cioé la vita ríproduttiva. Queste due vite, la
vegetativa e la ríproduttiva , devpno come negli
animali concordare Ira loro ; una non deve pre-
dominare sopra l'allra, se vogliamo ottenere lo
scopo contémplalo nell'agronomia ; cioé un con-
veniente stato nella vegetazione, ed un conveniente
prodot.to nella riproduzione. Fa d'uopo osservare,
che le piante tutte sono nutrite dal loro compo-
sto orgánico , dalla chimica vivente, come gli a-
nimali eolio scopo voluto dalla sapienza creatrice3
di non equilibrarsi tra loro le due vite, la vege-
tativa e la ríproduttiva ; giacché progredendo la
prima con forte energia, passata l'età dali'infan-
zia, non dà luogo alio sviluppo della seconda. E
viceversa sviluppatasi di troppo la seconda., infie-
volisce la prima, e non è raro il caso^ che l'in-
debolimento sia tale da cagionare la morte dell'in-
dividuo vegetale. E del primo e secondo caso ab-
biamo esempii, come dissi, nella famiglia animale.
Quantunque lo scopo della vegetale economía e-
gli sia di mantenere nel necessario equilibrio le
vitali funzioni; pure noi vediamo accader di so-
vente, che il proporzionato equilibrio richiesto(,
ci si mostri altéralo più o meno, ed alie volte
fuor di misura. In questo caso si deve cercare la
causa od in una malinlesa coltura, od in una
vicissitudine atmosférica favprevole troppo o trop-
po contraría all'armonico andamento della vegetale
economía. Le piante non hanno volontà, come un
grande numero di animali. Que' movimenti e
quelle ricerche che riscontriamo nelle parti orga-
niche del vegetabile, non potendo e non doven-
do dirli effetti della volontà; io li giudico effetti
della forza di attrazione reciproca, tra le moleco-
le organiche delle piante, e gli elementi esterni
terrestri, ed atmosferici* donde nasce la loro nu-
trizione. Egli è percio che possiamo in alcuni casi
considerare i vegetabili viventi passivi ; cioé ob-
bligati ad ubbidire alie affinità chimiche a danno
—C 84 3—
Spafflo, che significa palcitium latum sive le-
tumi et quivi dimoro baon , tempo, dileltandosi a
meraviglia della vita rusticale, godendo un beatis-
simo ozio, e vivendo una tranquilissima vita, et
quantunque egli fosse moite volte chiamato dal
Senato a ripigliar 1'imperio, essendo la Repúbli-
ca oppressa da. ¡diverse guerre; nondimeno mai
volse partiré da questo palazzo fabricato nel suolo
patrio da lui moho amato, il quale dopo la di-
struzione di Salona fù guastato et rovinalo d'At-
tila delíe cuLrovine molti Nobili Salonesi, che
fugirono il s»o furore, salvandosi per quei aspri
monti, fabricarono moite case appresso il palazzo,
appoggióndole alie proprie mura d'esso, come so-
no oggidiet dall'ora in poi cominció ad aumen-
tarsi il popolo, et con tempo divenne città, tenendo
iLnóme di Spalato, stando in liberta, e regolan-
tfosi per se stessa, sotto il nome di comunità, rac-
comandata alli re d'Ungaria, sotto la cui divo-
7ÂO00 signoria sfcettero buon tempo essi Spalati-
niî, et poscia si diedero in potere della Serenissi-
ijM,Signoria, con i suoi capitoli confirmatigli del
quattrocento venti, nel quai tempo quasi lutta
la Dalmazia venue alla devozione délia .República.
Questà città ha il porto in Ostro , o più presto
inr Garbin ; la porta di terraferma è in Tramonta-
na; il circuito è di passa trecénto, et la meta
è circondata dalle mura del delto palazzo antico
cominciando dalla porta di terraferma, ch'è in
Tramontana, et venendo alla porta, ch'è in Levante,
solle quali due porte sono Turrioni undeci rosi
alti e larghi, che capivano dentro belissime ca-
mere in fazza del mare, cioè in Ostro e Garbin,
')-E l^possibite ch'Attila abbia distrutto Salona, quando
è provato Che^ Salona non solo esisteva un secolo dopo, al tem-
po, di Giustiniano, ma eziandio nella guerra gótica prestasse ai
s'ttoî dtt§i e massime a Narsete corjsiderabili aiuti contro il co-
1 mane nemico, conservandosi illesa fino al VII secolo, in cui
£ fu veramente rovinata. Il Bonfini, il Biondo ed altri scrittori
^ delle cose tingan'che, cíie ció asseriscono in modo di pura ve-
nta, favoleggjano absolutamente, come hanno fatto in altre sto-
riche particolarità. Tentaron o di giustiíicare l'asserzione con un
passo di Poríirogenito, il quale colloca la distruzione di Salona,
éimpecento anni prima del suo tempo Scriveva quel principe
alia meta del X ; quindi il fatto cadrebbe appunto a! tempo di
Attila, cioè alla meta circa del V secolo. Ma il Lucio, il Ban-
duri, il Fajçlati, e ben altri critici, notarono concordemente una
viîSiatura nella lettera numérica (D) del Porfirogenito, solito ef-
fettô -dêll' imperizia degli amanuensi. Aggiungasi, che in propo-
sittf^ç' fatti d'Attila, debbonsi valutare gli storici piii antichi
Giornfcnde, Prisco, Rctore ed altri, che ne fecero espressa trat-
tazione, Come più prossimi all'epoea di quel tiranno, e cotesti
osserva il nostro Lucio, non dicono mai che Attila seorresse
devastando la Dalmazia. S'egli avesse portato la rovina delle
città nostre marittime, se ne troverebbe memoria eertamente
negli annali.dçl suo |çmpo. Ere. Mem. per la Stor. della Daim.
Vol. I, p. 24Ct, Vedi* eziandio ció che scrisse intorno a questa
snpposta cftlata. d'Attila nella Dalmazia, il chiarissimo sig. Pie-
tro Niseteo nel suo a^ticoló sut municipio de'Riditi, pu-
blicato in puesto foglio al N.° 15 anno passato.
ove sono quaranta fenestroni con le colone mar-
moree tonde d'otto pezzi l'una, alte otto piedi sen-
za il piè di sotto et il capitello di sopra , li qua*
li erano li fenestroni del porlieo del palaz-
zo, il quale era amplissimo e larghissimo; ma
ora sono otturati e servono per mura delle città.
Nel mezzo di questi finestroni è una porta coris-
pondente ad un'altra porta, ch'è in terraferma
verso Tramontana, che si chiama' porta aurea, per
essere di quattro porte del palazzo la più bella ;
nel centro della città dov' è ora la piazza nuova,
et dove terminava il palazzo, sono due porte gran-
di, le quali si chiamano le porte franche, che
sono verso ponente, ove stava la guardia di Dio-
cleziano, nel quai luogo fugendo alcuno, che fos-
se stato micidiale, o che avesse comesso altro de-
litto , era salvo ad immitazione dell'asilo di Ro-
ma. L'altra metà della città dov'è la piazza, il
castello, che è in Ponente, et il resto delle mu-
ra, fù fabricato assai dopo, che si domanda terra
nova, et quella parte, che è girata - dalle mura
del palazzo, è nominata terra vecchia. Il tempio,
il quale ora è la chiesa Catedrale, era nel mezzo
del palazzo, il quale è fabbricato in forma roton-
da a guisa di Moschea, et si chiamava tempio di
Giove, nel mezzo del quale era un idolo conse-
crato alla Dea Cybele, il quale oggidi è riposta
fuori della Chiesa; è di sasso duris&imo pur mar-
moro, ha la testa di donna el con le mani u-
rnane tiene una colonna, sopra la quale stava in
piedi il Dio Giove. La parte di dietro, cioè il
dorso, le gambe et la coda, hanno la forma di
Lione. Il tempio è fabbricato tutto di pietre di
bianco marmore concaténate con ferri et piombo
et con certa mistura tenacissima in luogo di cal-
cina, falta come si crede di chiara d'ovo et altre
composizioni non intese o conosciute a questi tem-
pi, et sono poste dette piere con tal ordine et
con si giusta proporzione , che tante li girano di
sotto quante di sopra, cominciando da terra fin
alla somità. È intorno questo tempio di fuori una
corona di ventiquattro colonne, che parono falte
di certa pasta a mistura mischia pur marmórea,
ma più dura, di modo che non si puô lavorare
col ferro come s' ha fatto manifesta prova. Queste
sono tutte d'un pezzo, alte piedi tredici et mezzo
con alcune cornici, sopra le quali stava appoggia-
to un coperto, sotto il quale si caminava attorno
il tempio. Di questa medesima sorte di marmore
sono nel tempio otto colonne alte piedi sedici e
mezzo, et grosse a proporzione, cioè piedi cinque.
Il piè d'esse, gli archilravi, i capitelli et le cor-i
nici sono superbissime, e di meravigliosa archi-
tettura, alcuni de' quali sono consumati dall'anti-