mare
Non v" ha il secondu
Senza il primiero :
E in questo mondo
Con il mio intero
l/uomo più inetto
OtlitMi rispetto.
Ancora una volta ia Direzione
invita coloro che non avessero
soddisfatto al loro dovere, a met-
terai in ordine coli' Ammiaistra-
zìone.
Colle seguenti 26 sillabe si devono for-
mediante le indicazioni sotto esposte,
8 parole, le cui iniziali e lettere finali, lette
da su in giù, danno lui noto adagio.
a a ca cu, cai can co cu do hua
ie iu ma na no nu pa ra ri rol
slav tan te thos va via.
1. Carica presso i Turchi. 5. Monte in Turchia.
2. Città del Perù. 6. Dalmata celebre.
3. Citta sul Dnieper. 7. Penisola d' America.
4. Dea dell'ozio presso 8. Opera musicale d'un
i Romani. compositore italiano.
Quelli poi fra ì signori asso-
ciati i quali cangiano domicilio,
sono pregati di rendere avver»
tita ia Direzione onde evitare
sbagli o ritardi ne! ricevimento
dei periodico.
Piccola Posta.
Prof. D.r iVIiagostox ich. TRIESTE. Abbiamo rice-
vuto ; grazie, pubblicheremo la prossima volta.
Non ci dimenticate. — C. de K. SPALATO. Atten-
diamo vostri scritti. — A. D. SPAIATO. Ancora
non abbiamo ricevuto nulla da voi. — M. Lanza.
VENEZIA. Siamo in attesa di qualche cosa d'altro.
— "Bollettino di Archeologia,, SPALATO. ,Ci man-
cano i vostri numeri di giugno e luglio. — "Ore
d'Ozio,, ROMA. Attendiamo i numeri di giugno e
tufflio.
Soluzione della Sciarada
del N.o 8:
Homitorio
Soluzione del Logogrifo
del N.o 8:
Onore.
qualche commedia si trovano delle tirate
contro la gente nuova e i sùbiti guadagni,
contro lo sparnazzare il danaro in cavalli, in
vestii in cene, in meretrici, ma in quell'en-
tusiasmo non vi senti ne odio, nè rancore,
in guisa che ti par fatto piìi per uso che
per sentimento. Pure tino a che in questa
corruzione v'ebbe qualche anima onesta da
comprendere il danno, vi fu una voce che
gridò alla condanna; voce nel deserto, ma
sempre protesta, voce debole si ma che ri-
vela un coraggio insperato, un barlume di
virtù. E quella voce fu satira, non sangui-
nosa ma disprezzante, sorriso di sdegno che
vai più di cento parole. Anche questo grido
però fu ben presto soffocato e si lasciò che
il mondo corresse a sua posta. Unico l'A-
riosto osò cotanto, non rigido moralista, ma
neppur corrotto da ciò che rifuggiva non si
fece sgabello ad acquistarsi grazia di prin-
cipe, fama di popolarità. Di ciò che era in
suo potere si beffò, di ciò che non poteva si
tacque, ma non lodò. Scrisse commedie per
divertirsi, usò 1' equivoco osceno, lo scherzo
poco castigato, non per compiacenza ma per
stabilire un carattere, perchè l'arte imita la
natura. Egli spento, la satira non si vide
più nelle commedie successive del XV e
XVI secolo. Quale meraviglia adunque se
non vi campeggiano nè grandi vizi, nè grandi
virtù, nè forti passioni? ei sarebbe stato un
andar a ritroso della corrente, un infiammarsi
per ciò che non era compreso. Se i soggetti
son presi dal santuario della famiglia, non
son posti là sulla scena perchè il pubblico
ci guadagni dall'esperienza altrui, ma per-
seinplice esposizione di un intrigo svolto con
più 0 meno bontà o vis comica; chi si fosse
messo all'opera con intendimenti di quella
fatta ci avrebbe avuto del pazzo a tutto pa
sto, però non si badava che a fai' opera
d' artista, di letterato e mostrar di conoscere
Menandro e Aristofane, Plauto e Terenzio.
(^Continua).
^ENEVENIA,
-—
IDEA,
r ho ritratta ne' miei carmi spesso
La soave sembianza d' un' amica
Che ne' suoi santuarii il cor nutrica
Bencliè inai l'occhio non la vide appresso.
Eppur con seco di soventi espresso
Mi son siccome a innamorata antica,
Ingenua la chiamai, bella e pudica,
E (li sognarla a' miei baci non cesso.
Forse oltre il sol d'ambrosia aure respira,
0 in qualche parte di quagg^iìi riposa
In caldo e 'n gelo, in gioia ed in dolore?
Ahimè! chi dirlo mei sapria? — Delira
Dietro un vano fantasma sospirosa
L'anima e mesta nel disio d'amore.
^arco E^aiiza.
m^ i
(Continuazione e fine v. n.ro 13).
f? •Eppure a San Marco di tetro non v' è che
quel punto: — voltate le terga al Rio di
Palazzo si ritorna a divenir gai — tranquilli
e lieti, quasi che la vita esterna comunicasse
col suo chiassoso e continuo movimento una
scossa al nostro fisico e quindi anche al morale.
Un formicolio — un polipaio — un andi-
rivieni di gente faceva ressa alla riva. Igno-
rava dapprima la causa ; avvicinatomi poscia
un pochino alla riva ne chiesi il motivo al primo
incontrato; un marinajo dalmata che era presso
a montare sul suo trabaccolo dove Io atten-
deva il resto della ciurma cenando, — „Xe,
sior, el vapor che va a Chìozza."
bandonata quell'infelice vittima. Per tre anni
continui quel galantuomo fu chiuso in con-
vento, assoggettato ad esercizi spirituali, mal
nutrito e perfino derubato. E quando gli at-
testati della sua edificante rassegnazione, e-
stesi dal frate custode, deponevano in suo
favore, si cacciava il frate umano e giusto
e gli si sostituiva qualche carceriere spietato,
e gli si negava persino la confessione. Allora
poi che il Dorotich fu convinto di avere
rubato e dilapidato i denari dell' Ordine, per
sfoggire alle ricerche del governo, scappò
in Bosnia.
Ab uno disce omnes! e tali erano tutti gli
altri, salvo poche eccezioni. Per cui i nemici
capitali del nuovo ordine di cose erano i
francescani, che si adopei^avano a prò del-
l'Austria e della Russia contro le istituzioni del
governo italiano. I primi rumori sorsero in
occasione della leva della legione dalmata.
In agosto del 1806 si sparsero per tutta la
provincia degli scritti sediziosi, in cui s' an-
nunziava la prossima cessione dell'Istria e
della Dalmazia all' Austria, e per conseguenza
l'inutilità di una legione dalmata. E che una
resistenza alla leva ci fosse stata, apparisce
dal fatto che in alcuni territori gli abitanti
incominciavano a disertare. Va bene che tali
diserzioni fossero smentite da particolari rap-
porti dei capi colonnelli Nachich di Knin e
Grisogono di Glissa e Spalato, ma pure qual-
che cosa di vero ci dev' essere stato in quelle
regioni, se la Provveditoria ha avuto bisogno
di ricevere informazioni scritte su tale pro-
posito, e se è stata costretta a disperdere la
triste impressione di un cambiamento politico
mediante un pubblico proclama ai bravi e
leali dalmatini.
Dei gravi disordini scoppiarono invece a
Katuni e Krescevo nel territorio d'Almissa,
dove i contadini armata mano si opposero
alla riscossione della regia decima. Tre capi
della rivolta furono arrestati e chiusi nelle
carceri di Almissa. Quand' ecco alcuni giorni
dopo ottanta contadini, condotti da Kuko
Bassich e Juko Trogarlich, irrompono in Al-
missa, atterrano le porte delle carceri e li-
berano i tre prigionieri. Allora il Provvedi-
tore fu costretto a far marciare delle truppe,
tra le quali figuravano in prima linea 600
terrieri d'Imoschi, condotti dal colonnello
Danese. I ribelli furono dispersi, i tre pri-
gionieri furono ripresi e mandati a Zara,
mentre il Bassich e il Trogarlich presero il
largo. Le loro case furono demolite e sul
primo fu posta una taglia dì 150 zecchini e
sul secondo di 50. Nè si creda che questi
due uomini fossero infiammati da spirito di
indipendenza e da amore di patria; erano
due comuni malfattori, sui quali pesava già
il crimine di uxoricidio ed omicidio. E di
tal gente era allora zeppo il montano, giac-
che sotto il governo veneto c' era stata apatia
e sotto l'austriaco una specie d'impunità,
specialmente per quegl' individui, che si erano
scagliati contro i Francesi ed i loro parti-
giani. A darvi un' idea dell' attività dei tri-
bunali austriaci e veneti, vi dirò che la regia
corte d'appello in una sua prima lista pre-
sentò al regio procuratore generale 2161
processi pendenti, anteriori alla nuova orga-
nizzazione del potere giudiziario. Alcuni di
questi portavano l'anno 1772! E notate che
quelli erano tutti processi criminali, e che
qui non si parla nè delle cause civili, nè
dell'enorme quantità di cause arretrate in
istato di appellazione. Quel numero solo,
capite, suppone l'orribile proporzione di tre
e più per cento d' uomini prevenuti sopra la
massa degl'individui atti a delinquere!
Guardate un po' in che razza di ginepraio
dovea camminare il povero Dandolo!
(Continua).
governo spese ogni cura a sollevare ne' suoi
stati l'industria agricola. Una lunga serie di
decreti, emanati dal 1768 in poi, tendono
tutti a questo scopo. In tutte le principali
città furono istituite delle accademie agrarie,
e con esse fu messo in relazione il magi-
strato dei beni inaliti. A Zara, a Spalato,
alle Castella di Traù c'erano di queste ac-
cademie, la cui attività esercitò benefici in-
flussi sulla coltura del suolo. Un 'pubblico
ispettore, scelto tra le persone più dotte ed
influenti, avea sotto di se tutta 1' azienda e
comunicava direttamente col governo. Il più
intelligente ed attivo di tali ispettori fu il
conto Rados Antonio Michieli-Vitturi, per la
cui solerzia sorse alle Castella di Traù una
Società georgica.
Queste accademie agrarie tenevano di
quando in quando le loro conferenze e vi si
leggevano delle interessanti monografie, che
si divulgavano poi per mezzo della stampa
nella Raccolta di memorie delle pubbliche
accademie di agricoltura, arti e commercio
dello stato veneto. In questa raccolta si trova
una memoria sulV introduzione degli ulivi nei
territori mediterranei della Dalmazia (tom.
IV, pag. 104-190) — un' altra sopra la manna
di frassino (tom. V, pag. 166-220) —- una
terza sopra gli ulivi e i diversi effetti che si
ravvisarono in Dalmazia pel freddo degli
anni 1782, 1788 (tom. VII, pag.' 155-176) —
una quarta sullo stabilimento tabacchi in Nona
(tom. XI, pag. 3-40) — tutte quattro del
sunnominato Michieli Vitturi. Ve n' ha pur
una sili governo delle api usato in Dalmazia
(tom. VII, pag. 176-192) di Giov. Luca Ga-
ragnin — poi alcune esperienze chimiche ed
osservazioni agronomiche sopra la marna re-
centemente scoperta a Nona in Dalmazia
(tom. X, pag. 94 123) di G. Arduino, pub-
blico professore, soprintendente all'agricol-
tura — e finalmente intorno alla coltura del
castagno né monti diboscati della Dalmazia
marittima e mediterranea (ibid. pag. 166-207)
di A. Fortis.
Tali furono le cure del governo veneto
per l'agricoltura in Dalmazia negli ultimi
anni della sua dominazione; alle quali dob-
biamo aggiungerò la pubblicazione di una
istruzione di agricoltura pratica pei conta-
dini della Dalmazia — stampata in italiano
ed in illirico e diffusa gratuitamente in pro-
vincia. Ma valse tutto ciò a sollevare dalla
sua abiezione l'agricoltura, specialmente nei
territori mediterranei, dove l'incuria e la
desolazione erano estreme? Tutto ciò non
ebbe quasi alcuna pratica utilità, perchè
l'abbandono della coltura dei campi non di-
pendeva dalla sola ignoranza, ma da altre
cause inerenti all' indole della popolazione e
del governo, a togliere le quali non bastava
l'attività delle accademie agrarie. Infatti se
queste esercitarono benefico influsso sulle
isole ed al litorale, dove il lume della civiltà
italiana avea reso possibile ogni materiale
benessere, poteano giovare alla secolare bar-
barie del montano, strappato completamente
dal giogo turchesco appena da sessant'anni?
Le cause poi, per cui l'agricoltura qui era
così in basso, furono esposte alcuni anni
dopo dal prov. V. Dandolo in una sua let-
tera, indirizzata al conte Michieli Vitturi e
pubblicata nel Regio Dalmata *) N. 15, anno
1807. Esse sono:
scarsezza di braccia e poca attività in quelle
che si hanno —
miseria estrema nei piccoli proprietari col-
tivatori, che in proporzione alla massa di
tutti i proprietari sono numerosissimi —
0 II IKeg-io »alniata — Mraglski SSal-
»1 utili in italiano ed illìrico fu il primo giornale,
stampato in Dalmazia. Avea per motto i due versi di
Virgilio Aen. Ili:
Dii maris et terrae tempestatumque potentes,
Ferte vi«m vento facilem et spirati secumli
Uscì la prima volta il 12 luglio 1806 e fini il 1-"
aprile 1810. Si pubblicava ogni sabato prima di mez-
zogiorno dalla tipografia di A. L. Battara. L'abbona-
mento per un anno eradi 12 lire venete, che potevano
essere pagate anche in dodici rate. Un numero sepa-
ratamente preso costava 5 soldi veneti. Riguardo agli
atti e documenti pubblici del regno e della provincia
il foglio era ufficiale. Il suo formato era il 4° coa
otto pagine.
colla ronda municipale andava a visitare i posti, a sor-
vegliare i croati, accasermati in parte ai Quartieroni,
e le carceri sottoposte. Tosto fu risposto al nemico con
tiri a mitraglia, e poiché l'azione si faceva sempre più
viva, fu battuta la generale. Si unisce allora il corpo
dei magistrati, ed imita la ronda del municipio nel
girare le contrade e nel sorvegliare le località più so-
spette. Le compagnie di sicurezza, divise in molte
squadre, si dispongono alla guardia delle carceri, del
palazzo governiale e degli altri pubblici stabilimenti.
I bastioni da un momento all' altro sono coperti da tutti
i soldati disponibili. Infine al piovere della mitraglia
ed allo scroscio delle fucilate gli assalitori sono costretti
a ritirarsi ed a lasciare alle tre dopo la mezzanotte la
guarnigione ed i cittadini nella primitiva quiete.
Al mattino dei giorno otto un pubblico usciere a
suono di tromba raduna i cittadini sulla piazza dei
Signori. Viene quivi letto un proclama del commissario
francese, *) il quale d'accordo col municipio stabilisce
alcune norme di sicurezza in caso di un bombarda-
mento. Squadre di operai vengono disposte nelle pub-
bliche piazze, coli' incarico di estinguere ogni possibile
incendio; schiere di serve sono deputate al trasporto
dell'acqua necessaria; persone ragguardevoli ed uffi-
ciali devono sorvegliare il tutto ed impedire ogni deru-
bamento.
Non bene cessa fra il popolo il bisbiglio e la di-
sputa sul pubblicato manifesto, che nasce, cresce e si
conferma una voce sull'arrivo felice di un bastimento
da Ancona. Chi può dipingere l'entusiasmo generale?
Corre ognuno a verificare la lieta novella. La nave
infatti è arrivata con provviste eli vettovaglie ; ma la
si guarda, direi quasi, con incertezza. Un approdo così
prodigioso, a vista di una fregata nemica, che domina
il canale con molte barche armate, desta in tutti la
meraviglia. La nave era partita la sera precedente da
Ancona, senza che colà si sapesse del blocco di Zara,
giacche in tal caso se ne sarebbe sospeso il distacco.
Secondata nel suo corso da prospero vento, alla mat-
tina seguente avea raggiunto lo stretto di Melada, re-
stato senza custodia dopo l'allontanamento del brigantino.
Ma gl'inglesi prima della loro partenza aveano ordinato
agli abitauti di quell' isola di vegliare sotto loro respon-
sabilità a quel passo di mare, e di respingere, se oc-
corresse colla forza delle armi, qualunque naviglio che
provenisse da porto francese. Avvenne adunque che,
entrata in quei paraggi, la nave anconitana si vedesse
sbarrata la via da un lento, montato da dieciotto ma-
rinai meladini. L'equipaggio, sbigottito a quella vista,
stava per deliberare sulla resa o il ritorno, quando la
presenza di spirito di un dalmata, che si trovava a
bordo come passeggiero, salva il bastimento e la ciurma
in quell'impreveduto frangente. Era costui un certo
Chiepolo da Novegradi, il quale, vissuto vario tempo a
Parigi come cameriere di un alto personaggio, se ne
ritornava in patria a godersi tranquillamente quel po'
di denaro che avea raggranellato. Il Chiepolo adunque,
appostatosi presso due finti cannoni di legno, che face-
Oermain« commissaire de guerre etf. f. d'Ordennateur
en Dalmatie, commissaire géne'ral de police de la place de Zara
en état de siége.
vano di sè mostra sulla coperta, intima agli assalitori
in natia favella e con quanto avea in canna, di retro-
cedere, altrimenti li fulminerebbe a mitraglia. Gl'isolani,
timidi per natura e restii nel danneggiare un loro pa-
triota, visti i cannoni e sentito risoluto 1' amico, volgono
la prora e se ne ritornano al lido. Gioisce l'equipaggio
e ride dell'astuzia; quando, uscito dallo stretto di Me-
lada ed entrato nel canale di Zara, raccapriccia ben
più seriamente alla vista della fregata inglese, che gli
sta dinanzi, ed a quella d'una barcaccia che gli dà la
caccia alle spalle. Anche qui l'astuto novegradino seppe
salvare tutti dall'imminente pericolo. Anziché dirigere
il naviglio verso la città, lo volta egli verso la fregata,
tenendosi presso gli Scogli, fuori del tiro delle batterie
francesi. Questa manovra delude coloro che davano la
caccia alla nave italiana. Infatti, vedendola dirigersi
alla fregata, supposero che venisse da terra amica, e
perciò, rallentato il loro corso, lasciaronla liberamente
avvicinarsi al legno maggiore. Ma il novegradino, vistosi
ben distante dalla fregata e dalla barcaccia, piega in
un baleno a sinistra, guadagna la protezione della piazza
e si salva nel nostro porto.
Alla mattina del nove novembre comparve da
maestro un' altra nave, la quale, veleggiando in mezzo
al canale, si dirigeva verso la fregata. Supponendo i
francesi che portasse munizioni ai nemici, uscirono tosto
dal nostro porto con tre péniches, per darle la caccia.
Ai loro comparire si staccano dal legno inglese sette
barche, le quali a tutta voga passano dinanzi ai nostri
bastioni, onde proteggere quel bastimento. Il loro corso
non viene arrestato ne dai replicati colpi delle batterie
francesi, nò dalla presenza delle péniches. Il naviglio
però, a dare tempo al soccorso, essendosi ritirato presso
gli Scogli, fa sì che le navi francesi non osino avven-
turarsi fuori della protezione dei bastioni e si ritirino,
j senz' avere nulla ottenuto, nel porto.
Così passò tranquillamente tutta la giornata ed
anche la sera fino alle ore undici p. m. A quest' ora
il solito corpo volante, appiattato presso gli orti Mar-
silio, fece varie scariche di fucile sopra le sentinelle
del bastione s. Rocco- Ma la nostra guardia nazionale,
ch'era colà di fazione, rispose pronta all'attacco, aiutata
jj dalla mitraglia delle sottoposte péniches; per cui dopo
! un fuoco di circa mezz' ora ritornò tutto nella primiera
tranquillità.
11 giorno dieci passò senza alcun ostile attacco,
j Soltanto a sera avanzata s'udirono delle fucilate: era
i il posto italiano, che dall' opera esterna avea fatto fuoco
sopra cinque marinai e sette croati, che aveano tentato
di passare al campo nemico. Cinque poterono fuggire;
gli altri sette, tra i quali alcuni feriti, furono arrestati
e ricondotti in città.
L'undici, giorno di s. Martino, non si raccolgono
i nostri cittadini, come l'avrebbe voluto una vecchia
abitudine, attorno a tavole lautamente imbandite; ma
compunti e pensosi s'avviano tutti a Campo Castello.
Si tratta di una cerimonia religiosa. Tutto il clero con
a capo monsignore Scotti, la rappresentanza cittadina
condotta dal cav. A. Borelli, ed un'immensa folla di
gente accompagna processionalmente l'immagine della
Vergine, che si venera nella chiesa del Castello. L'ar-
civescevo concede indulgenze e stabilisce un triduo al
tentativo è una prova di più che l'arte vera è cosmo-
polita e destinata ad affratellare i popoli, a qualunque
nazionalità essi appartengano.
L. J3ENE VENIA,
COSE NOSTRE.
L'Illustrazione italiana nel suo ultimo n.° prende
a disamina la pubblicazione letteraria: Profili — già
da noi annunziata — del nostro amico e collaboratore
G. D. Sabalich. Tra quei sette bozzettini, com'essa li
chiama, loda 11 diavolo del Reggimento e le Nozze nel
mare; vi trova vivezza ne' rimanenti, ma una lingua
in generale troppo ricercata.
Anche il Mente e Cuore di Trieste (N.° 14) par-
lando degli stessi ha delle parole lusinghiere pel nostro
collaboratore. Vi riconosce il non piccolo pregio di chi
sa scrivere senza pretesa nonché delle cosette carine
carine come il bozzetto II mondo e fatto a scale e l'altro
Quando Ada era malata, che dice un vero gioiello d'af-
fetti intimi.
Un nostro abbonato, il signor Giovanni Santini
da Torrette, ci offerse gentilmente la seguente lettera
indirizzatagli dall'illustre autore dei Bozzetti della vita
militare, lettera che noi pubblichiamo col massimo
piacere :
Pregiatissimo Sig. Santini,
Ho ricevuto da parecchi giorni le novelle del Sig-. Sabalich
e una sua gentilissima lettera, alla quale risposi subito. Ho
ricevuto pure la PALESTRA ed il DALMATA, ch'Ella mi annunzia,
e gliene sono iratissimo : non posso accettare, in coscienza,
tutti gli encomi di cui mi onora il primo di quei giornali;
ma mi è carissima la benevolenza che li ha dettati. Fra poco
si pubblicherà una raccolta di mie poesie : La prego sin d'ora
d'accettare un esemplare come ricordo d1 amicizia. Mi creda
ora e sempre
Suo aff.o e devotiss.
De Amicis,
Torina 17 agosto 1880.
È uscito coi tipi di S. Artale in Zara il Dalma-
lino, lunario cattolico, greco ed israelitico per V anno
1881. Tra le curiosità storiche troviamo due documenti
inediti, interessanti per la storia della lotta religiosa tra
latini e greci, combattutasi il secolo scorso in questa
provincia. Il primo è una lettera di data 24 ap. 1741
dell'arcivescovo di Zara alla Sacra Congregazione di
Roma; il secondo una determinazione del provveditore
generale Marino Antonio Cavalli in data 27 marzo 1742,
Nel programma dell'i, r. Scuola reale superiore
in Spalato per l'anno scolastico 1879-80 e in quello per
lo stesso anno dell'i, r. Ginnasio e Reale in Cattaro si
leggono due pregevoli lavori. Nel primo, il prof. G.
Kolombatović scrive alcune sue originali Osservazioni
sugli uccelli della Dalmazianel secondo, il maestro
S. Rutar nelle: Starine bokokotorske (Antichità »ielle
Bocche di Cattaro) raccoglie in un tutto ciò che tanto
geograficamente quanto . storicamente è conosciuto in-
torno a quel lembo di terra dalmata sino all'occupa-
zione romana.
La società accademica „Dalmazia", in Graz, ha
costituito la sua nuova Direzione con a presidente il
sig. G. Raccamarich, studente tecnico da Pago; a vice-
presidente il sig. 0. Pasco, stud. tee. da Spalato ; a
cassiere il sig. G. Rossi-Sabatini, stud. tee. da Zara,
ed a segretari i signori D. Maupas, stud. tee. da Se-
benico e T. Marchich, stud. leg. da Zara.
NOTIZIE e SPIGOLATURE.
La sera del 2 novembre al Teatro Nuovo ci fu
dato poter gustare per la prima volta il Boccaccio, uno
degli ultimi capolavori del nostro compatriota, maestro
Cav. F. de Suppè; esso sino ad ora assicurò l'esito
della stagione.
* *
Nel teatro Regio di Monaco di Baviera si dà ora
un corso di rappresentazioni classiche drammatiche, che
per la prima volta vengono rappresentate nella loro in-
tegrità, le une dopo le altre, con un lusso e con artisti
di cartello che solo un teatro reale può offrire. A queste
rappresentazioni prendono parte, non solo gli artisti di quel
regio teatro, ma ben anche i migliori dei teatri regi di
Vienna, Stoccarda, Dresda, Berlino, Annover e Carlsrue, e
dei teatri comunali di Lipsia e Amburgo. Le produzioni
sono: Il campo di Wallenstein, Piccolomini, La morte di
Wallenstein, Amore e Raggiro e Guglielmo Teli di Schil-
ler; Nathan il saggio, Emilia Gallotti e Ninna di Bciru-
helm di Lessing; Amleto, Giulio Cesare, Machbet ed Un
racconto cV inverno di Shakespeare ; La tazza rotta di Kle-
ist; Clavigo, Torquato Tasso ed II Conte ci'Egmont, di
Goethe.
*
Annunziamo fra le novità drammatiche in Italia:
Scrollina del Torelli, la quale, a quanto se ne dice,
sarebbe la sua Mercede rifatta; e in aspettativa: Il Ca-
prone del Barbieri, Capitan Fracassa del Castelnuovo
e I Napolitani del 99 del Cossa. In Francia: Le Finan-
ciers du jour del Sardou e Le Hommes de la Finance
dell'Augier.
*
Togliamo dal Suggeritore, giornale romano delle
arti sceniche, alcuni dati intorno al Teatro Costanti di
Roma, architettato dal signor Sfondrini.
E un grandioso monumento che abbraccia una
superficie quadrata di 4257 m., la cui platea, più grande
di quelle del San Carlo di Napoli e della Scala di
Milano, lunga 24 m. e larga 20, è capace di ben 1200
persone. Ha tre ordini di palchi, 108 in tutto, i quali
pezza su Carlomagno e su Orlando, prima di volgersi
direttamente a Lancilotto^ a Girone il Cortese e ad
alcuni altri cavalieri della Tavola Rotonda.
Orlando e gli altri Paladini diventarono adunque
nazionali od almeno famigliari in Italia, quanto forse
lo erano nella stessa Francia. I poeti fecero a chi sa-
pesse dirne di più e gareggiarono in certo modo nel-
rattribuire a quell'invincibile Orlando le imprese e le
avventure le più straordinarie. Egli fu l'Ercole dei
moderni, sul quale si accumularono meraviglie che avreb-
bero bastato ad illustrare venti eroi. Il grande Orlando
andò soggetto alla sorte quasi comune a tutti i rino-
mati personaggi, quella cioè di venire cantato da poeti
che non tutti meritavano di far eco alla sua fama. Se
non che dopo aver sollazzato il popolo con rozzi ed
informi racconti, dei quali si ignorano persino gli au-
tori, egli ebbe nel Pulci e nel Boiardo cantori degni
di lui; ed allorquando fu infine celebrato dal grande
Ariosto, quando l'Omero Ferrarese ebbe uniti a tutti
gli allettamenti delle finzioni romanzesche la nobiltà ed
il suono dell'epica tromba, il nome d''Orlando non ebbe
più nulla da invidiare a quello d'Achille.
L'Italia, maestra d'ogni scienza e di ogni bel sa-
pere, aveva raggiuntoli suo solito scopo; ella, cui man-
cavano gli elementi ed i patri esempi, attese paziente;
attinse alle fonti offertele oltre monte ed oltre mare;
se le appropriò come cosa sua; le coltivò con cura
amorosa; le redense da una sicura caduta nell'obblio
de' tempi e limpide e zampillanti di nuova vita fece
da esse sgorgare i fiumi di un'epica poesia^ fiumi che
alimentati dai perenni affluenti del genio, non avranno
giammai da temere di vedersi scemati, nemmeno di
una sola goccia.
E diffatto V„Orlando Furioso'' h, nell'epopea ro-
manzesca universale, un termine, oltre il quale al genio
moderno fu vietato di potersi slanciare.
QoWAriosto infine l'epopea italiana raggiunse il
suo apice. Era mio compito di tesserne lo sviluppo e
lo feci per quanto le mie deboli forze me lo permisero,
lascio ad altri la cura di corollare questo] mio meschino
lavoro passando dall'Ariosto al Tasso. Io, per me, faccio
punto perchè, toccato l'Ariosto credo di aver adempiuto
pienamente a quanto m'era imposto dall' assuntomi ar-
gomento. Se non vi riuscii, domando venia, che non
era al certo per colpa di poco buona volontà, dacché
posso dire in piena coscienza: rUdi qiiod potiti.
Zara in ottobre 1880.
La critica del Tommaseo, molto
diversa da quella che usa oggidì,
creava; creava anche allorquando
distruggeva l'opera altrui, come
fabbrica che s'alza forte e bella
dietro mura demolite. Nella filolo-
gia stessa creò.
Cesare «^iuasiì
segretario deWAccademia della Crusca.
Pregiatissimo Sig. Ferrari-Cupilli,
Neir invitarmi gentilmente a scrivere per il pregiato Suo
giornale, Ella, Signore, mi fa elogi che sarebbero pericolosi
alia mia modestia, e a quel giusto sentimento che io debbo
avere della tenuità delle mie forze, se la bontà e generosità
da cui muovono non arrecassero loro un opportuno tempe-
ramento.
Benché io — appena appena dilettante stonato — non
faccia che di rado timidamente capolino dalle colonne di un
qualche giornale per invincibile bisogno del cuore; nondimeno,
come minaccia piuttosto che come promessa. Le dico che mi
sarà onorevole e caro mandarLe talvolta delle bricciche mie.
Ma non avendo presentemente in pronto scritti che stieno in
armonia coir indole del Suo giornale, aderisco di buon grado
all'altro Suo desiderio espressomi, di mandarLe, cioè, alcune
di quelle preziose lettere di Niccolò Tommaseo, dall'illustre
uomo dirette a me e ad altri : così io non perderò nulla, e
i Suoi lettori ci guadagneranno di molto.
Sta bene che nel Suo giornale, che tiene alto il vessillo
della civiltà dalmata, escano di tanto in tanto lettere del più
grande de' nostri ingegni, affinchè la parte sana de' nostri
giovani, innamorandosi di quella potente parola, di que' giu-
dizi sicuri in ogni ramo dello scibile, s'invogli a studiarne
le opere immortali. E così si affezionerà sempre più a quella
lingua cui dobbiamo tutto, e senza la quale saremmo peggio
che scheletri, alla dolce armoniosa lingua del gran padre Ali-
ghieri, il quale trovò nel Tommaseo il più profondo de' suoi
commentatori; onde l'insigne dantista G. Giuliani non dubitò
di scrivere : ,,L' opera del Tommaseo s'eternerà con la fama
di Dante e ad onore della moderna sapienza."
Il Tommaseo nelle sue lettere tratta di filosofia, di filo-
logia, di morale, di economia, di politica, di astronomia, di
tutto ; ond' ebbe a dire benissimo l'egregio Falorsi „che 1' e-
pistolario di lui, riunito, darebbe un mondo ; e l'acuto critico
E. Camerini: „L'epistolario del Tommaseo sarà il più inte-
ressante e più utile di quanti fin qui si son stampati d'uomini
illustri.
Il degno figlio di lui già raccolse circa dodici mila let-
tere, gran parte delle quali vedranno, speriamo, quanto prima
la luce.
Conoscitore profondo di molte letterature, il Tommaseo
ebbe commercio di lettere cogli uomini più insigni del suo
tempo, che ricorrevano a lui per un consiglio, per un aiuto.
Egli dettava talvolta dalle dodici alle venti lettere al giorno, e
sempre dopo il pranzo, chè la mattina questo atleta infaticabile
dedicava ai suoi poderosi volumi.
Il lettore vedrà che non poche lettere di lui valgono
più di un ampio trattato, e che persino nelle brevi si trova
il suo grande spirito, come nelle famigliari il suo nobile e
generoso cuore, e sempre quella proprietà di linguaggio, quel-
r altezza d'ideo, quella critica creativa, quello siile conciso,
evidente, nervoso, che si ammirano nelle opere sue di lunga lena.
Nel novembre del 1861, all' epoca della prima esposi-
zione italiana, io era indisposto in Firenze, e il Tommaseo,
appena n'ebbe notizia, mi scrisse:
Eagusa. Esso elargì in quest'incontro 200,000 zecchini
per la costruzione di una chiesa votiva, e con questa
somma, per quei tempi molto vistosa, fu costruita a
Ragusa la cattedrale di S. Maria, danneggiata essa pure
dal terremoto del 1667, A Lacroma si rifugiò il giorno
10 decembre 1396, dopo l'infelice battaglia di Nicopoli,
anche il re di Croazia ed Ungheria, Sigismondo. Egli
passò due giorni su quest'isola, donde il conte Marino
Rastich lo condusse solennemente in città, ospitandolo
nel proprio palazzo. In questo modo due regnanti, dopo
una grande sventura, trovarono a Lacroma la pace ed il
riposo.
Per la catastrofe di Queretaro l'isola di Lacroma
cadde sventuratamente in mani private e, nei ripetuti
cambiamenti di proprietario, per ciò che concerne la
cultura artificiale, fu miseramente abbandonata. Ma la
natura rigogliosa seppe conservare ciò eh'è soggetto
alle sue eterne leggi, di modo che oggidì, ritornata
proprietà degli Absburgo, questo piccolo Eden trovasi
di bel nuovo nel suo antico splendore. Un intendente
— un tedesco dalla faccia proibita — dimora qui in
un casino alla riva del mare, probabilmente con la
famiglia e colla servitù, poiché il caso mi fece adoc-
chiare alcuni pallidi visetti teutonici dai capelli biondi
e dagli occhi cerulei.
Quando scendemmo alla spiaggia, ove ci atten-
deva il nostro canotto, annottava. Per via colsi, in barba
al signor intendente che raccomanda ovunque con tanto
di cartelloni si rispettino le piante, un ramoscello di
pino con due frutta, benché immature. Quel rametto,
ora che scrivo, giace disseccato sul mio scrittoio, ricor-
dandomi, non senza un leggero sentimento di nostalgia,
quella deliziosa giornata.
Il giorno di poi, ritornando col vapore al mio
paese, rividi Lacroma, ma questa volta di lontano e
alla sfuggita; e quando, poco tempo dopo, la lasciammo
addietro nel mare, attraverso il fumo del piroscafo le
inviai commosso un saluto della mano, mormorando:
addio, Lacroma, addio!
JA. ^Ai^
le'i^'o.irlial cai
ANDRE THEURIET.
(Continuazione vedi n.® 18 a. pj
.prendo il volume si fa subito una cara conoscenza
' coir autore. Nelle poesie Eìi Forét c' è tutta la
gaiezza della vita libera della campagna, tutta la
spensierata dolcezza delia riposata calma nel bosco;
c' è acuta osservazione e vitalità nei concetti ; niente arti-
fizio, niente sdolcinature da idìllio, ma una nota vera,
limpida, sentita, un senso fedele di tutto ciò che v'ha
di bello nella natura.
0 Racki j,L'Isola di Lacroma."
Fu riacquistata 1' anno 1878 dal conte Giorgio de Vojno-
vìch, presidente della Dieta dalmata, pel principe ereditario d'Austria,
arciduca Rodolfo.
Ci sono, se vogliamo, delle reminiscenze degl'idilli
di Tennyson e di Wenthworth: l'originalità dei quali
è scarsa e talfiata le descrizioni incappano nel conven-
zionalismo ; di tutte le poesie, però, comprese in questo
ciclo la meglio riuscita sarebbe Chant de ìioces dans
les bois, ma questa pure sarebbe, a mio credere, una
imitazione d'un canto popolare lituano.
Pure con tutto ciò, quanto di beilo la natura spiega
nella sua tavolozza smagliante, si riproduce nella poesia
dell'autore. Sembra anzi che un filo invisibile leghi
l'anima pura dell' artista e la poesia dei campi, onde
ne risulta un insieme che se della fotografia ha tutti ì
requisiti, ha della poesia tutta la potenza : è la plastica
e l'armonia che si cercano, si abbracciano e si fondono.
Udite questo suo lietour au hois:
La prison où Jean-3Iarc, le fier coupeur de chènes,
Eongeait son frein depuis six mortclles seniaines,
Vient d'ouvrir ses verrous.
Il Londit à l'air libre, il semble avoir des ailes,
Tant il court,.., et les clous de ses lourdes semelles
Sonnent sur les cailloux.
Six semaines sans voir sa forét bien ainiée,
Six seniaines d'ennuis pour deux brins de ramóe
Pas plus gros que le bras!...
Il sourit de pitie, puis il se liàte enoore,
Les yeux toujours fixés vers les grands bois qua dora
Le couchant, tout là-bas.
Il arrive. La lune au mème instant se lève.
Pendant qu'il languissait dans sa prison, la seve
A rompu les bourgeons.
La forét maintenant est dans tonte sa gioire,
Partout des rameaux verts, pas une branche iioirej
Partout nids et chansonsi
Il siffle un air de fèto en s'enfoncant dans l'ombre,
Et dans l'épais taillis, des rossignols sans nombre
Répondent à sa voix.
Il griniBe, ivre de chants et d'odeurs printanière^i,
Sur un hètre géant dont les branches deinières
Dominent tout le bois.
Le voilà se ber9ant dans l'arbre qui s'indine!
L'air de la nuit de mai dilate sa poitriae
Et court dans ses cheveuxj
Le ciel est sur sa téte, et sous ses pieds inurniure
Et mollement frissonne une raer de verdure
Aux fìcts mystérieux,
De le'gères vapeurs glissent sur les clairières,
Et la lune répand sur Ics charaps de bruyères
Des nappes de clarté.
— Hurrah! — Sa voix s'envole, et dans l'azur sans voiles
On dirait qu'on entend monter jusqu'aux étoiies
Son cri de liberto.
Ho voluto far gustare tutta la bellezza di questa
poesia nella sua integrità. Questo sentimento della na-
tura è mirabile in Theuriet e l'armonia delle sue in-
spirazioni solitarie risulta dalla fresca verità della natura
e il realismo non ha bisogno della sentina di vizi o
della bolgia infernale dove Lutezia cuoce il suo pasto
giornaliero per satollarne gli affamati della letteratura
cosmopolita.
Anch'egli, come Victor Hugo che cantava:
Enivrez-vous de tout! enivrez-vous, poetes,
Des gazons, des ruisseaux, des feuilles inquiètes,
Du voyageur de nuit dont on entend la voix.
De ces primières fleurs, dont février s'étonne,
Des eaux, de l'air, des prés et da bruit monotone
Que font les chariots qui passent dans les bois!
si concilia degnamente al civile, la novità non fa forza
alla verità, nè la schiettezza offendono i felici ardimenti.
E questo pregio, omai raro, viene a Lei dall'affetto.
E mi pare ardimento felice anco la famigliarità di certe
locuzioni, e l'andare di certi versi dimesso, ma non
abbietto. Che se taluni vorrei più delicatamente tem-
prati, Ella ne incolpi la matura arte Sua, che mi porge
il saggio di meglio. Non so se il dire che i patriarchi
Santi resero immortale la Sposa, essi che per Lei eb-
bero il premio immortale ; se il comparare T apparizione
benefica del buon prete a quella degli angeli scendenti
a liberare l'anime che si purificano nel tormento, e il
comparare la tornata di lui a quella di Mose che scende
dal Monte, se il far che S. Elmo ceda di gran lunga
a S. Niccolò (quando pure ciò si rammenti senza ap-
provare le tradizioni del popolo) ; se il chiamare fati-
cate da preghiere pie le orecchie del Suo intercessore
infaticabile, se l'intitolarlo e cantar del suo Nnme,
nell'atto di dare a Gesù il titolo di divino, soggiun-
gendo di lui che tanta orma lasciò della paterna Divi-
nità, quando la divinità era insieme Sua propria, e la
terra ne ha più che l'orma; non so, ripiglio, se possa
garbare ai severi. Ma so che a me da pochi versi è
venuta la speranza e la riconoscenza che mi recano
questi di Lei. E in ringraziamento La pregherò di due
cose. Di ringraziare il Padre Sorio che Le ha consi-
gliato inviarmeli, e dirgli che differenze insorte tra noi
nella misera arena letteraria non tolgono a me dall'a-
nimo la stima dovuta a' suoi studii operosi. Poi, giac-
che Ella si mostra così bene erudito e così amante delle
cose dalmatiche, prego che voglia appurare un fatto
affermato da me, da altri Dalmati contraddetto. Io feci
Dalmata Anton Maria Lorgna dietro all' indizio del
nome, che non ha forma delle italiane usitate, e dietro
alla tradizione di Dalmati allievi nel collegio di Verona,
dov'egli fu Direttore; lo feci Dalmata, dopo cercato
indarno nella terra di Cerea le tracce della famiglia di
Lui, dopo visto in un documento di vendita, lucidato,
il nome sottoscrittovi e conformi i caratteri ad altri
scritti suoi noti. Può essere eh' io sia tratto in inganno
da chi mi affermò lucidato sul documento quel nome;
possono gli altri indizi essere anch'essi fallaci: e fal-
laci sarebbero se in Cerea si trovassero memorie certe
di quella famiglia. Io prego Lei di cercarne, e di credere
alla stima vera del Suo
Giugno, 1864. Firenze.
N. Tommaseo.
Da notizie avute poi, il Tommaseo raccolse che
Anton Maria Lorgna, uno de' più illustri scienziati del
secolo scorso, era nato in Italia, ma di dalmatica origine.
Del Lorgna e di cose dalmatiche il Tommaseo
lungamente ragiona in quell'aureo libro Storia civile
nella letteraria, altamente lodato da critici autorevoli
e italiani e stranieri; libro che tutti i Dalmati dovreb-
bero conoscere per apprezzare sempre meglio l'uomo
cui dobbiamo perenne gratitudine.
Mi creda con distinta stima
Sebenico, 5 aprile 1881.
<Suo devotissimo
JPAOLO JVLAZZOLENI.
fm^k
Eli- era delicata e pallidetta,
di trasparenza quasi alabastrina,
con un'aria gentil dispettosetta
ne la curva elegante da bambina.
La chioma giù per gli omeri negletta,
la mollissima chioma cinerina,
movea gentil siccome un' angioletta
ne 'I velluto ravvolta e ne la trina.
In sè raccolta e la pupilla china
umilemente dietro a la veletta,
parea la sua virtù quasi divina.
Ma ne '1 segreto de la sua stanzetta
i capricci eli' avea d' una regina,
di Lalage i capricci e di Fiammetta.
ENEYENIA.
Sui ristaurì del duomo dì Spalato.
(Continuazione e fine v. n.° prec.)
La spettabile Sezione tecnica di Vienna, che non
avrebbe potuto supporre giammai possibile una proposta
di violazione del monumento^ con una apertura nella
sua parte più interessante, senza che questa vi avesse
esistito in origine (nè senza ispezione locale potendo
giudicare sull'originario stato della cupola stessa, stando
a' puri disegni) non trovò di opporsi alla progettata
apertura, ma però liinitossi a modificare la proposta,
opinando per la conservazione del tetto attuale, e per
la dilazione della muratura delle finestre e della rimo-
zione degl'interni altari.
Non ammessa pertanto la lesione della cupola per
lo scopo prefisso dall'autorità superiore, che ha dichia-
rato espressamente, che il monumento non debba alte-
rarsi dallo stato suo originario jyer non adatti restauri,
a più forte ragione risulta la inopportunità della pro-
posta chiusura di porte e finestre, oggi che per l'ad-
dossamento del campanile più non si avrebbe nemmeno
l'effetto originario della luce per la porta d'ingresso e
per la lunetta superiore. E se per altra parte non si
ha difficoltà veruna di lasciar sussistere la grande aper-
tura a volta che mette in comunicazione l'interno del
tempio col coro, e dove trovasi l'aitar maggiore, credo
a ben più forte ragione possano tollerarsi anche le altre
aperture, di molto minor conto, le quali parmi non de-
turpino minimamente l'aspetto del tempio, che chiara-
mente si presenta ad ognuno, malgrado le mancanze
del peristero.
lui e il vladika, tutte le misure necessarie all'esito del-
l' impresa, e in pochi mesi una trama potente era ordita
ed estesa a tutte le provincie slave della Turchia, com-
presavi l'Albania settentrionale. Il movimento stava
per incominciare, quando all' improvviso veniva da Bel-
grado l'ordine di sospenderlo. L'intervento russo in
Ungheria e la rivoluzione domata in tutta l'Europa
imponevano una particolare prudenza alla Serbia.
Preparando il movimento politico in Turchia il
sig. Ban ravvivava il movimento letterario, ancora de-
bolissimo, in Dalmazia, assumendosi la redazione del
Dubrovnik, di cui diede alle stampe i tre primi volumi.
Allora ampliava pure e riduceva in versi la sua tra-
gedia Mejrima o la liberazione della Bosnia, già scritta
in prosa nel 1847,
Ritornato a Belgrado nel 1850, e alieno da brighe
politiche che sarebbero state di forte inciampo alle sue
mire patriottiche avvenire, accettava provvisoriamente
la cattedra di lingua e letteratura francese al liceo di
quella città. Ma non perciò abbandonava gli affari po-
litici riguardanti l'Oriente, anzi diveniva intimo secre-
tarlo del principe per la corrispondenza orientale. Come
professore ebbe ancora due missioni presso il principe
Danilo, succeduto al morto vladika, ed una a Costan-
tinopoli nel 1854 55 durante la guerra della Crimea.
In quella guerra la Serbia con saggia previdenza
era restata neutrale, senza perciò cessare di occuparsi
vivamente dei destini degli Slavi meridionali. Il nostro
dalmata opinava che non potendosi far meglio in quelle
difficili circostanze, si dovesse almeno cercare un modo
d'influire sulla natura delle riforme turche; di cui si
occupavano le potenze occidentali. La cosa non era fa-
cile nè poteva tentarsi in via ufficiale dalla Serbia,
sempre sospettata di secreta intelligenza coi Russi e
minacciata di un'occupazione straniera, eh'era già stata
attivata in Moldavia e in Valacchia. Il sig. Ban si offrì
spontaneamente per questa delicata missione. A tale
uopo diede per tempo la sua dimissione dalla profes-
sura, scrisse, per cattivarsi la fiducia della Porta e delle
potenze alleate, le due celebri odi al sultano e alla
dinastia Napoleonica, che uscivano stampate e lodate
altamente nel foglio ufficiale di Parigi; di più scrisse
nel Journal de Coìistantinople i suoi articoli sugli slavi
della Turchia, tutti nel senso della politica occidentale
d'allora; poi si recò alla capitale ottomana come uomo
privato e noto scrittore che s'interessava al progresso
dei cristiani, progresso che la Porta stessa doveva fa-
vorire neir interesse proprio e generale. Vi fu accolto con
distinzione dai dignitari turchi e dai rappresentanti delle
potenze, ai quali nel corso di otto mesi presentò suc-
cessivamente progetti sulla riorganizzazione dei Comuni
cristiani, sulla creazione di autonomie provinciali con
governatori turchi ed un cristiano al lato, sull' istituzione
d'un ministero d'istruzione da cui dipenderebbero le
scuole comunali e provinciali, con un centrale istituto
a Costantinopoli, sulla creazione d'una marina mercan-
tile tui'co-cristiana ecc. ecc. Questi progetti esaminati
dal Divano e dalle Legazioni furono dichiarati eminen-
temente pratici, ma lasciati per uno studio dettagliato
dopo finita la guerra.
Napoleone mandava all'operoso dalmata una me-
daglia d'oro colla sua effigie, la Porta gli offriva l'or-
dine di Megidiè e un impiego; ma egli trovava modo
di sottrarsi a questi due onori senza offendere la su-
scettività turca, e avendo finito il suo affare tornava
a Belgrado.
Ivi tostochè si ebbe sentore della riunione d' un
congresso europeo a Parigi, egli si metteva a scrivere
un'opera nella quale esponeva in succinto l'istoria della
Valacchia, della Moldavia e della Serbia, provando che
questi stati, non mai vinti appieno dai Turchi ma resisi
a condizione, avevano diritto a una ristorazione poli-
tica nei limiti e modi indicati dai loro ultimi trattati
coi sultani, provando essere ciò uno dei più efficaci
mezzi di tranquillizzare l'impero turco e assicurarne
r integrità.
L'idea era sì nuova, le prove sì convincenti che
il senato serbo decideva che quell' opera si stampasse
a Parigi a spese dello stato e si rimettesse al congresso,
decretando in pari tempo un premio di 400 zecchini
all' autore.
Senonchè poco dopo prevalse l'idea che un simile
passo sarebbe stato troppo ardito, del che sdegnato il
Ban stampava in serbo quella parte dell' opera che ri-
guardava soltanto la nazione serba.
^Continua).
JSLMEONE J^JEI\OTLĆ.
T, eco, Liburnia, co' tuoi Numi, i fieri
segni onde Roma i liberi penati
gloriò de gli avi, teco pur travolse
l'ala de '1 tempo;
e ne 'I trionfo a i simulacri, a l'are,
per campi e ville de '1 lavor sonanti,
alto il silenzio de '1 deserto indisse
lùgubre intorno.
Non più ne l'arme splendido su l'alte
prore Gradivo tuo, ne '1 pugno strette
de la vittoria le dorate chiome,
più non riede
e le salse aure desioso il grido
dolce de' nauti, cui lontano arride
greco il profilo d'una bruna testa,
ora non corre.
Ah! più non corre poi che giù da l'Alpe,
onde in battaglia che disferra il turbo,
la rabbia avarica ululando torva
arse in incendi ;
^ola. — Pubblichiamo il presente componimento, sul metro
delle odi barbare, dettato dal nostro collaboratore prof. L, Beneve-
nia in occasione delle nozze principesche delle LL. AA. Rodolfo e
Stefania, da recitarsi la sera in cui dalla Società Filodrammatica
„Paravia" doveva venir solennizzato il fausto avvenimento con una
festa che per circostanze speciali non vi ebbe luogo.
La Direzione.