tramandatici sono così incerti da ingenerar
più chiarezza che oscurità. Togli quel poco
che ci lasciarono intorno ai quattro dialetti
che rappresentavano l'Ellenismo, pel rima-
nente non ti danno che una sola parola:
„barbaroi". Essi dividevano il mondo cono-
sciuto in Greci e Barbari, l'umiliazione sa-
rebbe stata pari avessero adottato i loro usi
e costumi oppure la loro lingua, si fosse
stata questa anche intimamente affine alla
loro non era che un mero gergo, E bar-
bari per essi erano gli Epiroti ed i Tessali,
i Macedoni e gli Odrisi^ i Traci come gli
Illiri. Ma quale sfera d'estensione ha essa
la parola „barbari"? Non argomenta forse
Erodoto che gli antichi Pelasgi_, ritenuti dal
popolo greco quali loro progenitori, fossero
barbari essi pure? E a questo nome così
contrastato non v' ha istorico che tratti delle
nostre origini che non si trovi dinanzi come
ad uno spauracchio ed a seconda del suo
modo di vedere tenti o sbarazzarsene con
un risolino d'ironia al loro indirizzo, od ag-
grapparsi come ad ancora di salvezza per
venire al porto. Fu l'antichissimo Illirio pe-
lasgio? è questa una domanda che spesso
si dibatte e mentre gli uni affermano, negano
gli altri, e se quelli si sforzano dimostrarne il
valore istorico, nazionale, li riguardano que-
sti come qualcosa di leggendario che sfugge
ad ogni classificazione etnologica a seconda
che si accettano ad occhi chiusi miti e leg-
gende, 0 si rigettano affatto.
In che relazione stanno i Pelasgi cogli Illirì,
per ora non giudico, forse ritornerò sull' argo-
mento; mi domando piuttosto: Chi erano i
Pelasgi? chi eran costoro per cui tanto si
combatte e si terminò, qui da noi, col farne
di questo nome un qualcosa atto a lanciarsi
in faccia come un'offesa, come un insulto?
Nessuno più di Erodoto contribuì a i-en-
dere inestricabile la matassa delle origini
pelasgiche; il concetto da lui formatosi di
questo popolo^ dalle sue Istorie ci viene rap-
presentato in guisa così confusa, così con-
tradditoria che più è impossibile; dall'altro
') Max Muller op, cit, let. IIF pag. 85.
canto la sua incontrastata autorità destando
il timore di mostrarsi irriverenti con una
mentita al padre della storia, aumentava l'im-
broglio fino a non raccapezzarsene più. Come
mai lo storico più antico della Grecia, cui
non dovevano essere ignote le tradizioni più
antiche, sia che fossero raccolte dagli epici
rapsodi, sia dai Logografi, l'uomo che avea
tanto viaggiato e l'Asia minore e i paesi
all'Eufrate e al Tigri, quelli bagnati dal
Nilo, le coste della Libia da Cirene forse
fino a Cartagine, e l'isole delllEgeo e le
coste tracie e la Grecia e l'Italia meridio-
nale; colui il quale a vastità di sapere ac-
coppiava una serena maturità di giudizio, da
essere chiamato il primo prammatico, come
mai un uomo del calibro di Erodoto si lasciò
condurre in errore ed ingannossi così gros-
solanamente sulla natura etnografica di un
popolo, del quale non del tutto dovevan es-
ser spente le reminiscenze nel popolo elleno?
Si, Erodoto non si accontenta di esporci
il fattO;, come puro, semplice fatto ma vi ra-
giona su concatenando cause ad effetti per
cui l'oggettività del racconto non di rado si
risolve in un mero soggettivismo ; e l'infalli-
bilità erodotea nessuno può ammetterla sen-
za assumersi una responsabilità oltre ogni
dire pesante. Ma nel caso nostro, là dove lo
storico di Alicarnasso giudica del harharismo
pelasgico è esso poi nel suo giudizio così
assoluto, cosi perentorio da escludere ogni
dubbio ? Ma di questo più tardi. Raccogliamo
ora dalle Istorie ciò che Erodoto qua e là
ci offre.
L'odierna Eliade, scrive egli, anticamente
chiamavasi Pelasgia (II 56, Vili 44) ma
quale comprensione si avesse questo vocabolo
non lo dice espressamente, per altro da ul-
teriori asserti non riesce difficile il dedurle.
Così nell'Epiro vi era la Thesprotia e qui
si trovava l'oracolo di Dodona sacro a Giove,
che valeva per il più antico oracolo degli
Elleni e che veniva consultato dai Pelasgi,
i quali non sono altro che gli stessi The-
sproti; questo oracolo sarebbe stato fondato
da una sacerdotessa egiziana allora che ve-
Sola se' ancor vicina
Al povero cantor,
Divina
Immagine d"" amor,
Tu musa mia gioconda,
Pudica, pia, fedel.
Bionda,
Dagli occhi color cieL
Decembre 1S78.
r-
Un estate a Bornos.
NOVELLA SPAGNUOLA
di
PERNAN CABALLEEO.')
(Prima traduzione ilaliana).
LETTERA I,
Serafina Villalprado a Luisa Tajpia.
Bornos, 15 Giugno 18...
Siamo arrivate felicemente. Tu così ricer-
cata ed elegante nei pensieri, nelle parole e
nell'opere, tu clie innalzeresti l'eleganza al
grado di una virtù, troverai questa volgare
traduzione poco degna di una lettera diretta
a te ; è certo però che cambieresti di parere
e la troveresti più interessante di un articolo
se mi fossi stata compagna nel viaggio.
Da lerez abbiamo percorso sette leghe di
una strada sassosa, attraversata da frane
larghe e protonde, per campi deserti, fra bran-
chi di tori selvaggi e focosi, senza incontrare
un'osteria dove chiedere un bicchiere d'acqua.
'} Caballero Fernan, pseuHonimo di Cecilia de Avrom,
figlia dell'amburghese .1. N. Bohlvon Faber, noto fa-
vorevolmente in Germania per i suoi studi sulla let-
teratura spasnuola, nacque in Svizzera nel 17!)7.
Giovanissima si trasferì a Cadice col padre, coltivò
con gran successo il genere della novella realistica;
i suoi romanzi sono uno specchio fedele, poetico e
nazionale della Spagna moderna. Morì a i^iviglia nel
luglio del 1876.
E la comprenderesti ancor meglio se, in giun-
ta a tutti questi seri motivi di angustia, aves-
si com'io la sciocca paura di viaggiare in
carrozza, e la disgrazia di sentire una dolo-
rosa e profonda compassione per i poveri
animali che ci servono e che l'uomo così
iniquamente compensa con trattamenti bar-
bari e coir abuso crudele che fa delle loro
forze. Non voglio nemmeno ricordare quello
che soffrirono i poveri cavalli che trascina-
vano la nostra pesante carrozza.
Veniamo a Bornos, a l'oasi nel deserto,
giacche desideri tanto che te lo descriva mi-
nutamente. Bornos è un montanino colto,
simpatico, gentile che poggiando i piedi fra
le messi dorate della pianura, si corona il
capo con le verdi foglie degli elei e col roseo
oleandro delle montagne. Non è lui che ti
move incontro anticipatamente, come curioso
o desideroso di essere veduto ; il viaggiatore
neir appressarglisi deve abbassare gli occhi
per discernerlo. Lo circondano monti di ogni
grandezza, a tutte le distanze ed in ogni
direzione. Di fronte ed a sinistra del paese
il terreno discende sino a formare un comodo
letto al Guadalete, e torna poi ad innalzarsi
come se volesse tirare a sè il picco di San
Cristobal^ che la montagna si calca in capo
come un beretto greco. Il gigante si tinge
di mille colori bruni, oscuri, bianchi, rossi
a capriccio del sole, o si avvolge di nubi
come Giove per ascondersi alla vista dei
mortali. Gli abitanti vi sono molto cortesi
e posseggono un'indiscutibile aria signorile.
Si capisce che la splendidezza con cui Ca-
dice una volta spandeva le sue ricchezze, ne
fece arrivare una parte anche in questo paese
così isolato, dove que' milionari, che lo sa-
pevano essere, venivano a godere la sua aria
pura, la freschezza delle sue acque ed i ba-
gni del suo fiume soave e tonico ad un tempo,
per la combinazione di alcune fonti minerali
che vi si versano. Vi sono belle case, chiese
e conventi. A me fece un gran bene, la mia
insonnia diminuì e con essa la svogliatezza
che mi opprimeva; i bagni sopratutto hanno
Cosi traduco il „comma il faut" francese.
golatamente, a rappresentare chiaramente le
idee. ') E allora forse gli abitatori dell'El-
iade capirono di non essere più gli antichi
Pelasgi, cioè un conglomerato di molte tribù,
ma di formare un tutto compatto, e allora,
come era di lor natura, cercarono d'incar-
nare, di realizzare questo generale rivolgi-
mento per cui sentivano di non essere più
r antico, ma qualcosa di diverso da esso non
solo, ma da tutto ciò che li circondava, im-
maginando a loro posta una genealogia qua-
lunque per cui tutte qnelle tribù si ricondu-
cevano ad un unico primo progenitore, ad
Elleno, figlio di Deucalione, fondatore del-
l'oracolo di Dodona.
Ora, se noi osserviamo questa lingua chi
deve ritenersi per il più progredito sarebbero
appunto gli Ioni, quelli che in sè incarnano
il pelasgismo erodoteo; il dialetto dorico ne'
suoi suoni piuttosto larghi e nella brevità
delle forme sa ancora del macigno, non così
l'ionio dove l'espressione è più facile, più
sonante la lingua, più molle, più flessibile,
per cui gli Ateniesi in questo riguardo sa-
rebbero una specie di prototipo degli Elleni.
Come sarebbe ciò possibile se colle tribù
elleniche fosse venuta a signoria una nazio-
nalità affatto diversa, aifatto nuova? Cosi
del paro se ci domandiamo quali si fossero
quelle tribù che rappresentano questo rivol-
gimento, troveremo essere appunto quelle
che si dichiaravano per pelasgiche: i Mini
di lolco ed Orcomeno, i Cadmei di Tebe,
gli Ioni dell'Attica ed i Danai di Argo. I
Dori invece, che per Erodoto sarebbero i
veri Elleni sono quasi stranieri a questo
slancio nazionale, a questo nuovo stadio di
coltura nell'Eliade: l'immigrazione dorica,
0 il ritorno degli Eraclidi, come vuoisi chia-
marla, è posteriore e serve d'incentivo ad-
un altro periodo. Ed anche allora la tradi-
zione ci ricorda il nome pelasgico. I Pelas-
gioti abitanti la vallata inferiore del Peneo
furono assoggettati dai Tessali unitamente ai
Lapiti loro vicini ; e i Lapiti : uomini di pietra,
Ernst Curtius: Griech: Geschichte.
Ernst Curtius: op. cit.
costruttori o abitatori di castelli, nel loro
nome ci rammentano una prerogativa pelas-
gica: la costruzione delle Larisse. E dal-
l'Attica, dove poi sì gli uni che gli altri
unitamente ai Mini si erano rifuggiti, i Pe-
lasgioti passarono a stabilirsi nella penisola
calcidica (Erod. 1. 57) donde occuparono
Creta e le coste asiatiche del mare Egeo:
così a Creta presso Gortyn, sulle coste misie
presso Kime, sulle lidiche ne' pressi di Efeso
si incontrano novelle Larisse. Ed Erodoto
(VII. 42) ci ricorda quali città pelasgiche
nella Troade Antandros, sulla penisola cal-
cidica Crostone e Placia e Schilace sulla
Propontide (I. 57). E dall'Attica si stanzia-
rono a Lemno, Imbro e Samotrace i Mini
ed i Cadmei i quali tutti venivan designati
col nome di Pelasgi (II. 51, VI. 137, IV.
145, I. 146) e perchè si distinguevano quali
costruttori di castelli : Pelasgi—Tjrseni o
Tyrreni da xùpuot; == torre.
(Continua).
j^. ^ENEYENIA.
Passer, delici^e mese puellae.
(Versione da Catullo).
c, lon te, augelliiio, sua delizia e amore,
Scherza la donna mia e in sen ti posa,
E de' tuoi morsi suol destar V ardore
Col roseo dito della man vezzosa.
Oppresso il cor per me da ardente brama,
Picciol sollievo al suo amoroso affanno,
Con te scherzar la donna mia sol ama,
Al grave arder recando breve inganno.
Oh, com'essa scherzar potessi anch'io,
Teco lenir il duci del petto mio !
jLEANDI^O.
M. Duncker: op. cit.
impressioni, che hanno vita appunto perchè
c'è la frase ricercata o la voce convenzio-
nale, che li tengono in piedi, e vi accorge-
rete che quattro pagine sue le esporrete tal
volta in mezza. E poi la storia delle lettere
ci' ha mosti-ato che lo studio del Petrarca ha
prodotto sempre vacuità di concetto e studio
eccessivo della forma esteriore. Date adunque
per un anno intero il solo Petrarca in mano
alla gioventù, che già di per sè è inclinata
al rettorismo, e voi ne farete tanti decla-
matori.
Non ci pare però che un libro fatto per
la scuola abbia bisogno d'illustrazioni, molto
meno poi se è un autore che appartenga alla
letteratura nazionale. Con tante note a pie
di pagina si coglie lo scopo di obbligare il
pensiero a raccogliersi e meditareì Noi noi
crediamo, anzi sosteniamo che in tal caso
la lettura divenga noiosa e priva di qual-
siasi utilità. Infatti come impedire allo sco-
lare di leggere solo il testo e non le note?
E se legge le note, ci sarà più meditazione
e raccoglimentoì Gli stessid'istruzione
hanno provveduto a questo inconveniente,
vietando in iscuola testi annotati.
Alle liriche pariniane il compilatore ha
preposto un discorso storico-letterario, in cui
brevemente accenna alla vita ed alle opere
del poeta. Quivi, secondo noi^ doveasi dare
maggiore sviluppo a ciò che si riferisce alla
lirica del settecento, e dividere le stesse liri-
che del Parini, come ha fatto il Guerzoni,
in tre gruppi, e confessare che le prime odi
hanno le molli leziosaggini e gli affettati so-
spiri degli Arcadi, e la vuota garrulità fra-
gorosa dei frugoniani.
1-f RUNELLI.
-ooogoo-
Dalla balza dell' Oriente
sorge chiaro il mio primiero ;
il secondo è tuo parente,
e sul viso il terzo sta ;
Veltro è tondo; nell'intero
stan parole in quantità.
PICCOLA POSTA.
Sig. prof. A. M. Jo..., Trieste. — Grazie infinite ^
pubblicheremo nei prossimi numeri.
Sig". A. Ver..., Graz. — Mille grazie : nel pros-
simo numero.
Invitiamo i signori i cui nomi rispondono alle
seguenti iniziali di spedirci T abbonamento arre-
trato dal II semestre dell'anno I:
Giù. G., Spalato — Fa. B., Sebenico — S. C.,
Curzola — S. C., Scardona — S. C., s. Pietra
Brazza -- G. L., Neresi — G. L., Cattaro —
N. M., Lissa — Gio. M., Novaglia — Ar. P., Pago
— Lui. G., Zagrude — Gio. D., Spalato —
Gae. P. di D., Graz — Lo. B., Cattaro.
Alle iniziali seguiranno i nomi per intero.
(Continua).
AVVISO.
A tutti i nostri associati rammentiamo che il
prezzo d' associazione dev' essere anticipato.
Numeri reclamati un mese dopo la loro com-
parsa non saranno più consegnati gratis ai signori
soci, specialmente a quelli che non si curano di
farci noto il loro nuovo domicilio; e si esigerà
istessamente da essi il prezzo d'associazione.
Noi siamo esalti nella spedizione.
L'Amministrazione.
riposo, che cosa sìa amore quando è ispirato
da una donna come Serafina. Mi dici di par-
tire, di allontanarmi perchè la lontananza è
la panacea di questi dolori. Ma tu non hai
pensato che nè la distrazione del viaggio,
ne il frastuono di una grande città potreb
bero cancellare dal mio animo le impressioni
ricevute. D'altra parte, Felice, la lontananza
s' approssima senza bisogno che io l'anticipi ;
fra breve sarà finita la stagione dei bagni,
allora esse partiranno.... e con esse tutto
quanto fece per me in questo estate un vero
paradiso di questo piccolo Bornos.
Altri motivi non mi potrebbero indurre a
recarmi a Madrid. Non che io non approvi
le tue idee, caro Felice ; ma la mia carriera
è finita, conservo le mie cicatrici ed i miei
ricordi (è tutto ciò che può rimanere al vinto)
e li stimo più d'ogni altra cosa che, sebbene
più apprezzata dal mondo, li profanerebbe
o ne potrebbe appannare la purezza e la
dignità. Pure ti avrai le mie simpatie ogni
qual volta ti vegga lavorare pel bene, per
la gloria e pella conservazione del senti-
mento nazionale della nostra patria. — A
queste parole tu mi risponderai^, come al
solito, che sono pochi quelli del mio partito
che pensino come penso io ; ed io allora ti
risponderò: Ve n'ha molti del tuo che pen-
sino come pensi tu? ve n'ha molti di questi
che, scordati gli odii ed i ripicchi, stendano
a quelli dell'altro partito la mano per acco-
munarsi nella santa impresa di giovare alla
patria ?
Ma ritorniamo alla mia situazione attuale.
Ti potrei giurare, che sia per istintiva
previsione sia per la piega che i rovesci hanno
data al mio carattere, facendolo diffidente
della società ed avverso allà vita pubblica,
evitai, fino a parere uno zotico, di stringere
relazioni che, dovendo stare qui queste si-
gnore per una stagione soltanto, non potevano
essere che effimera e superficiali. A me non
piace fare la conoscanza di un viso nuovo
se non ci ho la probabilità che per me si
muti nel viso d' un amico, nè stringo rela-
zioni ove non abbia la speranza che ne spunti
un'amicizia. Figurati poi quanto mi fossi
lontano dall'idea di amare! Avea la persua-
sione, come tu di' benissimo nell' ultima tua,
che ogni amore sia un frutto vietato nel mio
paradiso. — D'altronde la mia posizione non
è tale da offrire ad una donna come Serafina
di dividerla meco; sapea da Don Pio che
era fidanzata ad Alessandro Fuertes, che
conosco e che credo poco a proposito per
rendere felice una donna di spirito così su-
periore come Serafina.
Ma per quanto la ragione e la prudenza
propongano, dispongono gli eventi. Una sei'a
in cui come al solito passeggiava con Tri-
tone lungo il fiume, udii verso il luogo dove
costruiscono i bagni, grida che dinotavano
essere isuccesso qualche sinistro accidente,
corsi sopra luogo e vi giunsi al momento in
cui Serafina volea lanciarsi nel fiume per
soccorrere la propria sorella che, affondati i
piedi in una fossa dell'alveo, veniva trasci-
nata dalia corrente. Un momento dopo Tri-
tone portava la cara fanciulla che veniva
raccolta fra le braccia di sua madre e di sua
sorella. Che bel quadro formavano negli at-
teggiamenti e nell' espressione de' visi la ma-
dre e le due figlie. Non so quale fosse più
da ammirarsi, se il dolce e sereno sorriso
che abbelliva il volto di lei che era sfuggita
al pericolo, o l'angoscia e le lagrime che
avvivano il sembiante di quelle che pure
non ne aveano corso alcuno. Non essendo
conveniente abbandonare le signore in quella
circostanza^ le accompagnai a casa. La gra-
titudine pose nelle loro labbra le più amabili
proteste sulla mia ritiratezza, instarono tanto
che accettassi le loro offerte, che era uma-
namente impossibile non corrispondere alle
loro attenzioni cordiali e vivissime. Ritornai,
Felice, e ci ritornerò fino a che qui riman-
gano; tanto non ci corro più alcun rischio,
il male è fatto e non può più aggravarsi.
Almeno godrò, come dicono gli Andalusi, del
sole fin che dura. Ed a che scopo farei già
questo sacrificio, se collo scansarla non si può
distruggere un' amore di quelli che decidono
della sorte di un uomo? Io almeno considero